Conoscersi
Quando scese le prese un colpo, Troin era riverso a terra in fondo alle scale. Lo scosse per le spalle, lo schiaffeggiò chiamandolo, ma nulla, sembrava morto. Corse di sopra, girò su se stessa passandosi le mani sul viso, chiedendosi cosa fare.
«Calmati, ti devi tranquillizzare» si disse, tirò tre lenti, lunghi respiri e la tensione accumulata defluì dal suo corpo. Prese un secchio d'acqua e caracollando giù per la scala, glielo gettò addosso.
Un singulto, aprì lentamente gli occhi e lei si calmò.
«Cosa ti è successo?».
Rispose con un mugugno, si massaggiò le tempie stringendo gli occhi, se possibile si sentiva ancora più indolenzito, stanco, arrabbiato per la situazione in cui si trovava. Ringhiò furioso.
Elleonor non si scompose, sentiva che la sua rabbia non era rivolta verso di lei, gli poggiò una mano sulla spalla, ritraendola subito, sconcertata per come quella creatura riuscisse a smuovere in lei ciò che stava cercando di seppellire, cancellare dal proprio essere. Lo aiutò a mettersi seduto, poggiò le mani ai fianchi e attese impettita che le desse una spiegazione.
Troin si grattò la barba ispida e disse :«Volevo salire, la gamba non ha retto».
«Sai che hai rischiato di morire? Cosa credi, che soltanto perché sei un orco sei immune alla morte?». Sbruffò. «Poi cosa ti ho detto? Devi stare quaggiù, non posso rischiare che ti trovino, specialmente ora con l'esercito che sta arrivando» iniziò a camminare nervosamente per la cantina. Le mille possibilità cui sarebbe potuta andare incontro s'ingarbugliavano nella sua mente, sembrandole una peggiore dell'altra e tutte che terminavano con la sua esecuzione per tradimento. Si disse che tenere quell'orco in casa, fosse la scelta più stupida che avesse mai fatto.
«Esercito?».
«Sì, tra qualche settimana» rispose senza interrompere quella marcia.
Troin provò a rialzarsi, una smorfia di dolore apparve sul suo volto :«Devo andare» poggiò la schiena contro la parete e guardò la luce proveniente dalla botola aperta.
«E dove, non riesci neanche a dare due passi?».
«Devo avvisare gli altri».
Gli altri. La possibilità, che ci fossero chissà quanti orchi nascosti chissà dove, che aspettavano solo di attaccare la fece rabbrividire.
«Devo provare, ne va della riuscita della guerra, della nostra sopravvivenza».
E la nostra di sopravvivenza? Pensò. Non avrebbe forse dovuto avvisare Quercino della presenza degli orchi? Se fosse stata una persona perbene l'unica cosa sensata da fare era rinchiudere Troin e correre subito a dare l'allarme.
Pensò a tutti gli abitanti del paese, erano pochi quelli con cui andava d'accordo, ma solo per questo meritavano la sua indifferenza?
Si ridestò da quei suoi pensieri quando lo sentì imprecare, era riuscito a salire qualche gradino, ma si era fermato e barcollava pericolosamente.
Rapida fu al suo fianco :«Reggiti a me» divenne il suo bastone «Non puoi andare».
«Non mi fermerai, non ne hai la forza» disse sicuro.
Alzò lo sguardo e incontrò il suo, duro, torvo, indagatore, come se stesse leggendo nei suoi pensieri.
«Dopo se vuoi, potrai anche andare dalla tua gente, prima dammi la possibilità di riscattarmi».
«Riscattarti da cosa?» Non rispose.
Una volta di sopra, chiuse le tende alle finestre. Lui era stremato, come se avesse scalato la cima più alta del Reulg.
Provò nuovamente pena per lui, si morse il labbro, detestandosi, maledicendosi per quel suo modo scellerato di comportarsi. Troin si poggiò allo schienale di una sedia, si raddrizzò, portandosi la mano al fianco dolorante, si diresse alla porta della camera.
«No» lo fermò acchiappandolo per il braccio «Puzzi peggio di una carogna, così nel mio letto non t'infili».
Mormorò qualcosa nella sua lingua, di sicuro qualche bella parola indirizzata a lei. Lentamente prese posto a terra di fianco al camino, diede dei colpetti con la testa al muro, pensando a come poter uscire vivo da quella situazione, doveva tornare dagli altri il prima possibile, o avvisarli in qualche modo.
«Hai bisogno di un bagno» gli disse picchiettandosi il naso.
«Come ti pare» rispose alzando le mani come arrendendosi all'inevitabile.
Una volta sistemata la tinozza di fronte al camino, riattizzò il fuoco iniziando il via vai dal pozzo. L'ultima secchiata che prese la usò per innaffiare la rosa, sorrise pensando a come sarebbe stata bella una volta in fiore.
Quando fu in piedi lo aiutò a spogliarsi, rimase senza parole nel veder quante cicatrici segnavano il suo corpo, con le dita passò delicatamente su quella più lunga e recente, che andava dalla spalla destra e scendeva obliqua fino all'ombelico.
«Queste ferite però sono state curate».
«Queste non sono ferite, ma moniti».
«Moniti?».
«Sì, quando diventiamo adulti, a ogni nostro errore c'è lasciato un segno pari alla sua gravità, così da non dimenticare e non ripeterlo nuovamente».
«E per meritare questa cos'hai fatto?» risalì nuovamente con le dita fino alla spalla.
Lui le afferrò la mano. Elleonor distinse rabbia nei suoi occhi, non verso di lei, immaginò che qualsiasi cosa avesse fatto, l'aveva segnato profondamente.
S'immerse, lasciò che l'acqua calda sciogliesse finalmente tutta la tensione che il suo corpo aveva accumulato. Vi erano così tante cose a preoccuparlo, il suo incidente, trovare il modo di tornare dai suoi, la punizione che gli era stata inferta. Poggiò il capo al bordo della tinozza, sospirò e fissando il soffitto di tavole cercò di svuotare la mente.
Prese il balsamo regalatole da Adamfo, gli e lo versò tra i capelli, sulla schiena e iniziò a lavarlo. Si lasciò sfuggire un mormorio soddisfatto come un felino. Gli districò i capelli dapprima con le dita, poi col pettine. Passò alla schiena, strofinò con un panno vigorosamente.
Lui sussultò :«Fa piano o rischi di rompermi del tutto».
Elleonor iniziò a contare le cicatrici che, incrociandosi come in una ragnatela, corrugavano la massiccia schiena. Le sembrò quasi di percepire la violenza di quei colpi, ne conosceva fin troppo bene la durezza, come bruciassero, l'odore ferroso del sangue e il suo calore intanto che scorreva sulla carne martoriata per gocciolare infine a terra. Com'era doloroso restare stesi sul pavimento tremanti, scossi da fitte che sembravano interminabili. Alla fine, quando si aveva di nuovo abbastanza forza per rialzarsi, dover strappare i lembi del vestito rimasti attaccati al sangue rappreso e sentire la pelle lacerarsi nuovamente.
Scosse la testa cercando di scacciare il più lontano possibile quei ricordi, doveva pensare a qualcosa :«Dimmi, dove sono i tuoi amici?».
Troin gettò la testa indietro e rise.
«Secondo te sono tanto idiota da andare in giro a dare di queste informazioni?».
Si mise di fronte a lui, gli strofinò il petto e scese, quando mano lo sfiorò tra le gambe la bloccò «Faccio io».
«Tranquillo non te lo strappo».
Una volta finito lo aiutò a rimettersi in piedi e gli porse il telo :«E tu l'hai una compagna?».
«Che t'importa».
«E di cosa dovrei parlare con te, del tempo?».
«Non devi mica parlare per forza».
«Se continui così andrò a dire della tua presenza».
«Non lo farai».
Serrò la mascella, come gli fu di fianco la afferrò per il braccio, stringendolo talmente forte da strapparle un urlo.
Lo schiaffeggiò :«Non osare più mettermi le mani addosso» la voce tremò leggermente.
Si era quasi scordata che era pur sempre un maschio, anche se non umano e loro avevano quella malsana abitudine di credere di poter comandare.
«Scusami» la lasciò «Adesso potrei andare a letto, sono stanco». Il tono della sua voce non era più sprezzante.
Elleonor cercò di calmare l'agitazione che l'aveva assalita.
Lo spiacevole momento, sembravano entrambi intenzionati a lasciarselo alle spalle, la loro era di per sé già difficile come situazione, litigare non avrebbe giovato a nessuno dei due.
Lui era a letto da un pezzo, Elleonor si ostinava a restare sulla sedia a dondolo, non divideva il suo letto con un uomo da sei anni. All'epoca giurò che mai più un uomo sarebbe entrato in casa e nella sua vita. Comprese nel peggiore dei modi che non poteva fidarsi di nessuno, anche di chi conoscevo da tempo e diceva di esserle amico. Alla fine ognuno cercava di ottenere ciò che gli interessava, con le buone o le cattive. A lei era rimasto il dolore, che si tramutò in rabbia e rancore.
Troin dal suo posto riusciva a vedere le foglie di una rosa, al lato della finestra, che venivano mosse dalla leggera brezza.
Il suo popolo a causa delle persecuzioni si era visto costretto a rifugiarsi nelle caverne e scavare, andando sempre più in profondità, estendendo quel loro nuovo mondo nelle viscere della terra. Il loro mondo era fatto di roccia, terra e fango, nulla riusciva a sopravvivere in quelle condizioni. Gli orchi risalivano alla superficie solo nelle notti senza luna, per cacciare e raccogliere quanto più cibo potevano, dai campi e frutteti coltivati dagli uomini.
Ritornò con la mente a quando era un giovane orco e insieme a lei, si ritrovarono nel giardino che si estendeva dietro un grande palazzo, era quasi l'alba, sarebbero dovuti scappare per non rischiare di essere visti, ma lei rimase affascinata dai colori che quel luogo aveva. Raccolse un bocciolo, fermandolo tra i suoi capelli, lei lo prese per mano e sorrise, si guardarono e capirono che erano destinati a stare insieme e corsero via, tornando a casa.
«Kelte».
Elleonor si voltò, massaggiandosi il collo indolenzito :«Hai detto qualcosa?».
«Il suo nome era Kelte».
Elleonor si alzò stringendosi addosso la coperta, si poggiò allo stipite e attese che continuasse a parlare.
«Era la mia compagna».
Dalle sue parole, dal tono della sua voce, Elleonor comprese che lei non c'era più e che le mancava. Quell'orco aveva un cuore, dei sentimenti, non era soltanto un mostro assetato di sangue e voglia di combattere, uccidere e distruggere come venivano descritti.
Si avvicinò al letto, lui si voltò a guardarla :«Puoi dormire nel letto è casa tua, tranquilla non ti farò nulla, anche se volessi non sono nelle condizioni adatte» sorrise toccandosi il fianco.
Elleonor fece il giro, lo guardò titubante, ma la schiena reclamava un giusto riposo, si sdraiò supina intrecciando le dita sul ventre :«Io per vivere faccio la prostituta».
Non commentò, nessuna battuta a doppio senso o giudizio nei suoi confronti. Elleonor chiuse gli occhi, sorrise e si addormentò.
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