🔥Indovina Chi

Angolo Autrice

Cari Imperium! Questo è un gioco che mi è venuto in mente di fare con voi su consiglio di una cara ragazza, astorminmyteacup ! Il gioco consiste nel riconoscere i POV dei personaggi. Qui a seguire vi proporrò delle avventure di ciascuno di loro, senza dire chi sono, ma dovrete capire dal contesto, dal modo di pensare e di narrare chi è che sta parlando. Ovviamente, non ci saranno tutti i personaggi, solamente alcuni di loro. La loro prova? Affrontare dei Popolani che si chiamano "James". Vedrete come ogni approccio sia diverso per ciascuno di loro.
Ogni volta che metterò un " * " vuol dire che potete tirare a indovinare.
Però, più o meno verso il finale, si capirà chi è che sta narrando. Quindi, cercate di indovinare prima dell'ultimo *. Indovinate anche il periodo della vita in cui è ambientato. Tipo, se pensate che sia James dovete dire "prima di mollare Courtney; Dopo aver incontrato Sophie adulta, durante il periodo da Iniziato eccetera".
Inoltre, non è assicurato che un personaggio comparso non ricompaia in un'altra situazione.
Mi sembra divertente no? Proviamoci.

1
La sveglia suonò. Allungai una mano, tastando invano il comodino, alla ricerca del mio telefono. Il sogno, fino a poco prima vivido, cominciava già a svanire. Le mie dita toccarono una superficie fredda e liscia. Eccolo! Lo spensi con gli occhi sempre chiusi e tornai a ronfare. Nessuna sveglia mi avrebbe impedito di sognare, era troppo importante per me farlo.
Ecco che un altro sogno iniziava a prendere forma. Tante voci formavano un coro di tifo ed urlavano un solo nome. Il mio. Mi guardai intorno, ammirando il pubblico acclamante, colorato ed elettrizzante. A Opal sarebbe piaciuto quell'aggettivo. Il coro di voci si fece sempre più nitido diventando un unico richiamo. Umh... Era una voce femminile? Aspetta. Non è nel sogno.
*

Socchiusi gli occhi e mi ritrovai davanti agli occhi un bel volto femminile. Una creatura divina dai capelli biondo scuro arricciati e penetranti occhi marroni con pagliuzze verdi. «Buongiorno, splendore» sussurrai con il mio tono mattutino più sexy.
«Buongiorno, Supermen» sussurrò lasciandomi una serie di baci lungo la mascella. «Ti è suonato il telefono» mi disse appoggiandosi sul mio petto nudo e tracciando i contorni del mio tatuaggio con l'indice.
«Lascia che suoni, l'unica cosa che voglio sentire è la tua voce melodica.» affermai accarezzandole la schiena nuda. Lei rise. «Magari è importante» mi disse «Cosa può essere più importante di stare con la fanciulla più graziosa sulla faccia della terra?» Beh, forse stavo esagerando. Sapevano entrambi che quella sarebbe stata la nostra unica sera assieme. Lei si stava per sposare, dopotutto. Il suo uomo era un timido stagista, ingenuo e gentile di nome James. Completamente diverso dal James che conoscevo io. Mi faceva sentire in colpa per esser andato a letto con la sua futura moglie.
«Come fa un ragazzo come te a non avere una ragazza?» mi chiese mettendosi a cavalcioni su di me.
«Non sopravvalutarmi, splendore. Qui l'unica persona incredibile sei tu» affermai. Il mio telefono squillò di nuovo. Sbuffai esageratamente strappandole un altro sorriso.
«Pardon» dissi con gentilezza mentre lei si spostava divertita.
«Pronto?» chiesi allegramente all'interlocutore.
«Stooooo morendoooo!» la sentii gridare disperata.
«Torna a casa!» singhiozzò. Scattai in piedi, incurante delle lenzuola che mi erano scivolate via.
«Scusa, splendore. Emergenza a casa.» affermai raccattando i miei vestiti sparsi per la camera. Dio... Che disastro.
*

«Te l'avevo detto che era importante.» mi disse stringendosi attorno al seno le lenzuola.
«Mi hai mentito? Era la tua ragazza?» mi chiese lei.
«È la persona più importante della mia vita» mi limitai a risponderle con un sorriso. Anche se in cuor mio ero già a casa, preoccupato a morte.
«Spero che ci rivedremo» affermò quando ero ormai sulla soglia.
«Continua a splendere. E io ti troverò» ammiccai.
*
«Sono a casa! Che è successo?!» esclamai entrando trafelato. Opal mi si tuffò addosso. «Sto morendooooo di faaaaameeee!» disse disperata. Inarcai un sopracciglio e risi. «Davvero? E io che mi aspettavo chissà che» dissi.
«Sei un disastro senza di me, sorella».
*

2.
Comportarsi normalmente. Già, facile a dirsi, ma non da farsi. Non per una come me che è tutto tranne che normale. Ma non doveva essere difficile. Bastava non usare i poteri.
*

Mi guardai intorno, alla ricerca di quel volto conosciuto. Ma non era ancora qui. E poi sono io quella che arriva in ritardo, sì come no. Pensai.
*

Iniziai a battere freneticamente il piede a terra sempre più impaziente.
«Scusami» disse una voce interrompendo il mio mantra.
Mi voltai verso la fonte. Un bambino alto la metà di me teneva la mia veste tra le dita piccine. Il volto paffutello era inondato da lacrime e muco. Strinsi le labbra all'idea di quelle mani sporche sulla mia veste. Ma cacciai immediatamente l'idea, non potevo fare la stronza con una creatura innocente in lacrime. Anche se la creatura era un cucciolo umano. Ho già detto che odio i bambini?
*

«Dimmi» dissi cercando di essere gentile.
«Ho perso la mamma» pianse. E io che dovrei fare? Aiutarlo a cercarla? Perché io?
«Mi spiace, dove l'hai vista l'ultima volta?» gli chiesi abbassandomi alla sua altezza. Lui si passò le mani sul volto, cercando di cancellare tracce di lacrime e muco, ma peggiorò solamente la situazione. Mi costrinsi a regalargli un fazzoletto preso dalla borsa. «Grazie...» singhiozzò
«Mi aiuti a trovarla?» mi chiese alzando lo sguardo. Di nuovo, perché tra tutta la gente, proprio io? Però, fissando quei due grandi occhioni scuri, lucidi, innocenti e luminosi, non potei fare a meno di sorridergli.
«Puoi contare su di me.» dissi.
Dopo avergli pulito le mani con una salvietta umidificante, lo presi per mano e andammo a cercare sua madre, cercando di ripercorrere i passi del piccoletto. Passammo per il parco alberato, per il mini market, per i stupidi negozi per bambini, alla ricerca di una donna di cui non conoscevo né nome né volto.
Intanto, il piccolo Brad -così si chiamava- mi raccontava di lei, del padre e della scuola. Era assurdamente stupido e dolce che si fidasse così tanto di me. Forse i bambini non sarebbero stati così male, se erano tutti come lui.
*

Ad un certo punto, il suo tranquillo chiacchiericcio e le mie risposte monotone vennero interrotte da grido.
«Brad!» esclamò un ragazzo correndo verso di noi. Afferrò il bambino e cercò di trascinarlo via. «No!» esclamò il piccoletto. Strinsi la presa sulla sua mano. «Ehi! Chi sei tu?» esclamai indignata.
«Suo fratello, bambolina!» mi disse con disprezzo.
«Brad non mi ha parlato di fratelli» affermai fissandolo male.
«Beh, a me non ha parlato di pedofile» affermò.
«Come osi?!» esclamai. Rischiai di andare in escandescenza, ma invece di prenderlo a pugni mi voltai verso il piccolo.
«È tuo fratello?» gli chiesi.
«No!» rispose deciso.
«Tu! Brutto marmocchio...» iniziò il ragazzo alzando un pugno. Brad si nascose dietro di me. Fermai il colpo sul nascere
«Toccalo e ti spezzo» affermai convinta.
«Brad! James!» esclamò una donna correndo verso di noi. Aveva i riccioli tutti arruffati. «Santo cielo! L'hai trovato» disse abbracciando il bambino che squittì con un "mamma!". La donna si rivolse poi a me.
«Mi hai portato via il figlio!» esclamò indignata.
«Come, scusi?» chiesi scioccata. Il ragazzo ghignò.
«E stavi colpendo l'altro mio figlio!» disse. Quella donna era pazza.
«No, c'è stato un equivoco...» tentai di spiegare.
«Non c'è nulla da spiegare! Una poco di buono come te, deve stare lontana dai miei figli!» esclamò prendendo per mano Brad che non mi salutò nemmeno. Il ragazzo mi fissò sorridendo prima di seguire anche lui la madre. Fissai sbigottita la famiglia quando entrambi i figli si voltarono e mi fecero la linguaccia. Era chiaro. Odiavo tutti i bambini e le persone che si chiamavano James.
*

Di ritorno al punto di incontro, la trovai ad aspettarmi.
«Sono arrivata giusto in ritardo di dieci minuti... E tu arrivi ancora più in ritardo di me?» mi chiese Sophie alzando un sopracciglio scuro.
«Lascia perdere...» mormorai.
*

3.
Lui era lì fuori da qualche parte. Era possibile che si stesse divertendo con qualche troietta, mentre io ero nella mia dimora ad annoiarmi. Niente missioni, solamente noia e addestramento.
Non potevo permettere che mi tappassero le ali, così mi vestii ed uscii. Ero perfettamente consapevole di quale reazione la mia bellezza suscitasse nel corpo degli uomini e ciò aumentava la mia autostima. Sentivo di essere perfetta ed invincibile.
In quel momento avevo voglia di carne fresca, di nuovi volti che perdessero la testa per me.
*

Ero indubbiamente la più bella del locale, guardandomi intorno, vedevo solo stupide ragazze troppo truccate e con jeans troppo stretti. Nessuno aveva la mia classe. Scandagliando il luogo, agganciai la mia preda. I nostri occhi si incrociarono e rimasero fissi l'uno sull'altro per lunghi secondi. In un attimo, lui si stava già dirigendo verso di me, liberandosi della sua amichetta appiccicosa.
«Ciao» mi salutò sedendosi accanto a me. «Ciao» replicò.
«Posso offrirti da bere?» chiese come previsto. Tipico. Non aveva capito che non avevo l'età per farlo.
«Certo che sì.» cinguettai aprendomi in un sorriso seducente. Dal sguardo di quel ragazzo, sapevo già che sarebbe stato mio. Peccato fosse solo uno sciocco Popolano.
*

La serata passò tra chiacchiere e bevute. Io finsi sempre di bere, non lo reggevo bene, ma il Popolano, presto, andò troppo oltre. Era chiaramente ubriaco fradicio e ciò mi fece capire che, quella sera, non ci sarebbe stato niente.
«Se mi dai il tuo numero, mi chiami?» biascicò mettendomi le mani addosso. Poi sembrò accorgersi di aver detto e fatto un' idiozia.
«Se ti do il mio numero, mi chiami?» riformulò appoggiandosi sul banco e fissandomi con i suoi occhi chiari. In realtà non era così male. Mi ricordava lui. Anche se dubitavo che lui potesse mai ridursi in quello stato pietoso.
«Se mi dici il tuo nome, ti chiamo» replicai. «Sono James» disse. Mi spuntò un sorriso sulle labbra.
«James» lo chiamai come promesso, gustandomi quelle parole in bocca. Lui crollò sul banco. Mollai del denaro al barista e me ne andai.
*

4.
Era strano andare a scuola. Ma era il mio lavoro. Mi avevano assegnato questo compito e io l'avrei eseguito nel migliore dei modi.
*

Uscii dalla doccia e mi passai un asciugamano tra i capelli per asciugarmeli, lasciandolo poi ricadere attorno al collo. Poi un altro per allacciarmelo attorno vita. Uscii anche dal bagno e mi diressi verso la macchina dell'espresso. Mi appoggiai alla credenza e fissai il mio piccolo appartamento. Mi ci dovevo ancora far l'abitudine. Mi ero trasferito da poco ed era una delle poche cose concesse ai membri della B.L.C. Si dovevano veramente fidare ciecamente di me perché me ne assegnassero uno.
*

Mi mancava ancora mezzo anno prima di compiere diciotto anni, eppure ero già su una delle migliori strade.
Mi vestii e uscii di casa. Buttai lo zaino bei sedili posteriori. Accesi il motore e uscii dal parcheggio. Strinsi il volante in pelle tra le mani e tirai giù il finestrino per poter sentire il vento in faccia.
Quel gioiellino era il dono che mi ero fatto spendendo tutti i miei risparmi. Non mi serviva un granché, ma avere un auto mi faceva sentire indipendente.
Schiacciai la frizione e cambiai la marcia. In due minuti mi trovavo già davanti alla scuola. Scesi dall'auto e chiusi lo sportello. Quel suono fu seguito da alcuni sospiri. Mi voglia giusto per vedere le cheerleader della scuola ridacchiare. Ricambiai il sorriso più per educazione che per altro, sperando che non si facessero troppe illusioni. Non volevo e non potevo avere troppi contatti con i Popolani. Soprattuto non potevo.
*

Passai il portone in vetro, ritrovandomi negli ampi corridoi dove sostavano centinaia di studenti allegri e senza responsabilità. C'erano persone di ogni tipo, dai classici bulli, ai furbetti. C'erano gli studiosi e gli scansafatiche. C'erano i musicisti ed anche gli hippie amanti dell'arte...
«Ehi...» mi chiamò qualcuno toccandomi il gomito, mi voltai per poi abbassare lo sguardo. Un ragazzo dai grandi occhiali tondi e i ricci castani mi fissava in imbarazzo.
«Sei quello nuovo» affermò stringendosi la bretella dello zaino.
«Già» affermai.
«Vuoi iscriverti a qualche club? Perché al nostro di nuoto servirebbero membri e tu sembri uno molto portato per lo sport» mi disse allungandomi una location colorata con un tizio che si stava per tuffare.
«Avete un club di nuoto?» chiesi incuriosito «Già, non conta molti membri, però» la speranza negli occhi del ragazzo si stava accendendo sempre di più
«Tu nuoti?» gli chiesi.
«Umh... Sì, ma appunto sono poco allenato e abbastanza lento, non sarei d'aiuto nella squadra... Quindi volevo...» iniziò
«No» lo interruppi
«Non mi interessa. Ho già molte cose da fare, mi spiace» dissi sistemandomi lo zaino sulla spalla.
*

«Capisco...» mormorò deluso. Mi voltai nuovamente verso di lui.
«Sai che ti dico? Volere è potere. Se vuoi una cosa, devi dare tutto te stesso per raggiungerla. Non darti limiti inutili.» gli dissi.
«Quando sei basso e magro come me, non puoi sicuramente ambire al nuoto agonistico» disse accarezzandosi la nuca imbarazzato.
«E perché no?» lui mi guardò come se fossi pazzo. «
«Se ti impegni puoi fare tutto» ripetei.
«Come ti chiami?» gli chiesi.
«James. James Wade» disse colto alla sprovvista. Era veramente curioso che portasse il nome di una persona tanto diversa da lui. Cacciai via l'immagine di quel bastardo dalla mente e mi concentrai sul James davanti a me. «Beh, Wade, aspetto di vedere il tuo nome in televisione. Magari sarai il prossimo Michael Phelps» dissi lasciandolo con i volantini del suo club in mano.
*

Raggiunsi il mio armadietto e immediatamente qualcuno mi affiancò.
«Oggi non viene» mi disse Annie.
«Perché no?» le chiesi. Ero leggermente scocciato, dopotutto ero in quella scuola Popolana per lei.
«Non si sente bene, perché non provi a goderti un giorno da persona normale? Magari iniziando col dare il due di picche a quelle oche laggiù» mi disse indicando col suo pollice smaltato di nero dietro le sue spalle, indicando lo stesso gruppo di cheerleader di questa mattina.
«Ho di meglio da fare che pensare ai Popolani» dissi chiudendo la portiera dell'armadietto.
*

5.
Aprii le palpebra e risi. Ci dovevo ancor fare l'abitudine con quello che mi circondava. Mi tirai su dal letto e mi passai ripetutamente le mani sul volto per potermi svegliare. Dovevo essere sempre sveglio, un minimo di distrazione e sarei potuto finire contro un muro. Nel buio, raggiunsi a tentoni il bagno, dove eseguii i soliti movimenti per potermi dare una ripulita.
Dieci minuti dopo, fresco, sveglio e pulito, mi trovavo già dai miei insegnanti.
*

«Oggi andrai in città» disse.
«Okay» replicai accondiscente. Percepii della perplessità, almeno, sembrava fosse perplesso. «Da solo» precisò infine. Oh... Questo non me l'aspettavo.
«Da solo?» chiesi cercando di non mostrare il timore che mi stava assalendo.
«Già, ti farai un giro per la città. Il tuo compito? Portarci la spesa» Risi a quelle parole, sicuro che mi stesse prendendo in giro. Ma non sentendo arrivare alcuna risposta, capii che probabilmente non stava scherzando. «Ah, e c'è un limite di tempo. Avrai due ore per andare al supermercato, comprare zucchero, uova e latte scremato e tornare con tutto intatto.» aggiunse. Sbaglio o c'era una nota maligna nel tono della voce?
«Okay... Mi accompagnate all'uscita, vero?» chiesi sorridendo. Il mio insegnante rise.
«Ci vediamo tra due ore» disse. Poi sentii i suoi passi allontanarsi.
*

I corridoi puzzavano di limone. Lo stesso odore delle sala operatoria e delle infermerie. Perché avevano questa ossessione verso i limoni? Miracolosamente, non inciampai nemmeno una volta, ma stavo consumando tempo prezioso. Dovevo decisamente accelerare il passo. Facendo leva sui miei poteri, mi concentrai per poter vedere qualcosa. Presi a camminare più velocemente finché riuscii ad arrivare all'uscita, salvo. Sano non saprei.
«Buona fortuna» mi disse la guardia mentre faceva scattare il portone.
«Grazie, ne ho bisogno» affermai sorridendo. Avanzai di un passo e andai a sbattere contro il muro. Ecco, stavo gioendo troppo in fretta. La guardia mi aiutò a rialzarmi e mi salutò di nuovo.
*

La città puzzava. Era assurdo che questo pianeta puzzasse tanto. Ma in mezzo a quel l'odore di inquinamento, distinsi altri aromi. Profumi scadenti, un lontano odore di fritto, forse, profumo di fiori. Geranio? Ma non potevo giungere al supermercato come un segugio.
Boston era molto rumorosa, ma supposi che tutte le città siano molto rumorose rispetto ai silenziosi corridoi della Base.
Mi misi gli occhiali da sole e presi a camminare con sicurezza, cercando di andare oltre l'asfalto. La terra era là sotto da qualche parte. Ad un certo punto, come se avessi avuto un rilevatore corporeo, sentii varie presenze. Molte presenze. Mi bloccai e tutto svanì. Chiusi le palpebre e mi concentrai su tutto ciò che mi circondava. Improvvisamente capii dove andare, nonostante non fossi mai stato in città. Era tutto chiaro come il sole. Mi fermai al semaforo, sentendo il ticchettio creato per i non vendenti.
*

I motori rombavano e sembravano il mio cuore. Ero elettrizzato. Appena sentii l'allarme presi a correre, ma andai a sbattere contro qualcuno. Cademmo entrambi a terra. Intontito dalla perdita del contatto, tentai di rialzarmi. Un lamento attirò la mia attenzione. «Mi scusi, tutto a posto?» chiesi voltandomi verso la fonte del lamento.
«Sì, sì» sentii dire. Era un vecchietto, probabilmente sugli ottant'anni.
«Mi spiace, non l'ho vista» mi scusai. Effettivamente era vero. Localizzai una panchina e aiutai il vecchietto a sedersi.
«Si sente bene?» chiesi preoccupato.
«Dolore all'anca. Ma è vecchia, come me» ridacchiò. Se aveva voglia di scherzare, voleva dire che stava bene.
«Mi spiace veramente, vuole che l'accompagni a casa? Dove abita?» gli chiesi. «Oh, sei molto gentile, non ti spiace se accetto, vero?» chiese «Abito vicino al supermercato, è da molto tempo che non parlo con un giovane» disse alzandosi in piedi a fatica. Lo aiutai.
«I suoi nipoti non la vengono a trovare?» gli chiesi. «Oh, io non ho nipoti. Non mi sono sposato... Non ci sono riuscito» mi spiegò. Intanto avevamo preso a camminare nella direzione corretta.
«Mi spiace» dissi non sapendo cosa rispondere realmente. Io non avevo intenzione di sposarmi.
«Oh, non ti scusare, ragazzo. Ho vissuto una bella vita, grazie ad un uomo che mi ha salvato la vita» mi disse. «Ha partecipato alla seconda guerra mondiale?» gli chiesi. «Oh, sì. Vedi... Avevo perso tutto... I miei erano stati deportati, ma un uomo mi accolse con sé. Si chiamava James» disse
«Anche a me un James ha salvato la vita» mi misi a ridacchiare. Era stranamente confortante parlare con questo vecchietto. «Davvero? Oh, siamo arrivati. Grazie per la compagnia, figliolo» mi disse con il suo tono trascinante.
«A rivederla» lo salutai con garbo.
*

Quando entrai nel supermercato capii di essere nei guai. Non avevo la minima idea di come trovare il necessario da solo, dato che per me, era ancora impossibile percepire gli oggetti inanimati.
«Beh, niente male, sei arrivato fin qui» sussultai al suono della voce del mio insegnante. «Mi hai seguito» esclamai deluso. Non si fidava abbastanza delle mie capacità? Mi credeva un inetto?
«Già, le due ore sono passate» disse.
«Non sei ancora pronto a quanto pare. Quindi dovrai impegnarti di più» aggiunse. Mi limitai a sorridere ed annuire solo per farlo contento.
*

6.
«Sono indecisa» affermai.
«Ah, non guardare me. Sei tu che devi fare il regalo. Pensa a cosa sceglierebbe lui» mi disse dolcemente. Tornai a guardare quella distesa di armi dell'arte.
«Non so nemmeno se avrà tempo per usarli...» mormorai dispiaciuta.
«Scommetto che se il regalo gliel'hai fatto tu, il tempo lo trova di sicuro» affermò sorridendo. «No! Zitta!» esclamai indignata.
«Lo dici come se fossimo una coppia!» esclamai imbarazzata.
«Va bene timidona, sto zitta. Io intanto vado a guardare negli altri reparti, mentre tu scegli, va bene?» mi disse passandomi una mano sulla testa.
*

Tornai a riflettere su cosa prendergli. Mi piacevano molte cose e mi sarebbe piaciuto ancora di più vederli usare per i suoi lavori. Sapevo per certo che amava il semplice, quindi niente di troppo sfarzoso ed ingombrante. Non avrebbe saputo dove metterli.
Un ragazzo poco più grande di me afferrò con possesso una scatola di pastelli colorati e se li strinse al petto. Notò il mio sguardo, così distolsi in fretta il mio, imbarazzata. Mi azzardai a dedicargliene un altro, ma quel ragazzo stava scegliendo le matite con cura, come mio nonno quando accarezzava i vari tipi di lame. Sembrava un vero appassionato, così, spinta dal coraggio, mi avvicinai a lui e mi azzardai a parlargli.
«Ehi» lo chiamai. Il giovane si voltò verso di me incuriosito.
«Ciao» mi disse.
«Ciao» replicai sempre più imbarazzata. Mi misi in testa che lo stavo facendo per il mio migliore amico, per farmi coraggio. Dovevo superare la mia timidezza.
«Puoi darmi una mano?» chiesi. La mia voce suonò molto più infantile e lamentosa di quando mi aspettassi.
Il ragazzo inarcò un sopracciglio e mi disse «Non sono il commesso» brontolò. La mia sicurezza vacillò, ma non mi diedi per vinta.
«Lo so.» precisai.
«Devo fare un regalo ad un mio amico. Lui è veramente bravissimo a disegnare. Ho pensato che lo fossi anche tu, quindi...» dissi
«Capisco» mi fermò prima che potessi finire la frase.
«Ma non ti posso aiutare.» mi disse. Mi indignai. Chi si credeva di essere? Non gli avevo mica chiesto un organo!
*

«Perché no?» ancora una volta suonai come come una bambina. Lui osò ridermi in faccia. «Perché non posso permettere che queste cose preziose finiscano nelle mani di un mocciosetto incapace di utilizzarli.» mi schernì
«Sarai tu il mocciosetto!» sbuffai.
«Non ti permetto di offendere il mio amico! Non lo conosci nemmeno!» lo affrontai a pugni stretti. Sapevo che se lo volevo, sarei stata capace di spaccargli una costola. Ma non si poteva usare la violenza sui Popolani. Altrimenti sarei finita nei guai.
«Non sei troppo giovane per avere un fidanzatino a cui fare regali?» mi chiese di nuovo. Capii, da quelle parole, di aver fatto un errore madornale a chiedere aiuto a quel presuntuoso.
«Non è il mio fidanzato! È il mio migliore amico» esclamai.
«Di questi tempi non fa differenza» sospirò. «Vai a comprargli macchinine da corsa o spade laser» mi scacciò agitando una mano.
«Ehi! Tu! Coso!» esclamai facendolo voltare. «Ho un nome, mi chiamo James, mocciosetta» affermò mettendo qualcosa nel cesto.
«Non ti si addice, forse "Insulso" ti starebbe meglio» esclamai. Poi corsi verso di lui. Gli rubai il cesto e corsi via a cercare mia madre.
*

Fortunatamente la trovai vicino alle casse «Mamma! Paga! Paga!» esclamai mettendole in mano il cesto.
«Ti aspetto in auto» dissi guardandomi indietro. Non mi aveva seguita. Gioii per quella bravata e tornai a casa con un album da disegno, diverse matite colorate e non, acquarelli, gomma e temperino. Non era niente di speciale e originale, ma speravo che gli sarebbero piaciuti. Sempre meglio di disegnare su vecchi avvisi o sui tovaglioli. E poi avevo affrontato un odioso Popolano per averli.
*

7.
Il cielo era azzurro. Bene, non avrei avuto problema di pioggia. Tirai di nuovo le tende e mi misi la felpa con il cappuccio. Poi mi diressi verso la porta. Appena la spalancai, me la ritrovai con la mano alzata, nel tentativo di bussarmi sul naso. Mi notò e fece un passo indietro. Un lampo di imbarazzo le passò sul volto, prima di ritrovare la sua compostezza.
«Vai a correre?» mi chiese squadrando la mia tenuta.
«Se mi fai passare, ho buone probabilità di riuscirci» affermai appoggiando una mano allo stipite.
«Sì, beh, magari non voglio che tu vada a correre» affermò alzando in mento in segno di sfida.
«Magari non mi interessa cosa vuoi tu» replicai.
«Magari ti posso obbligare a obbedirmi, dato che quello che ho in mente è più importante» proseguì imperterrita.
«Magari possiamo smettere di usare frasi ipotetiche e andare dritto al punto» affermai fissandola dritto negli occhi. Un leggero movimento delle palpebre tradiva la sua sicurezza. Le mani incrociate dietro la schiena erano un chiaro tentativo di nascondere la tensione. Doveva chiedermi una cosa.
«Sputa il rospo. Ti conosco troppo bene» affermai. Lei si guardò intorno.
«Andiamo a correre insieme?» mi propose. Quasi scoppiai a ridere. Quasi.
«A meno che non bari, non ho possibilità di correre con te» affermai.
«Terrò il tuo passo» mi disse.
«Tu non tieni mai il passo.» precisai conoscendo il suo spirito di competizione e di trovarsi sempre davanti a qualcuno.
«Con te posso fare un eccezione» insisté.
*

Ero abbastanza stufo di tutti quei giri di parole. Le costava tanto andare dritto al punto?
Mi avvicinai a lei abbastanza da farla indietreggiare, per poi voltarmi e attraversare il corridoio.
«Ehi! Non puoi ignorarmi!» esclamò raggiungendomi. Teoricamente potevo.
«Parla, ti ascolto.» dissi con voce atona scendendo le scale invece dell'ascensore.
Mi seguì fino all'uscita senza aprire bocca. Mi feci dare l'autorizzazione e uscii dall'edificio. Sempre con lei alle spalle. Non sarei certo stato io ad iniziare la conversazione. Se voleva farmi da ombra, non sarebbe stato un mio problema. Almeno per una volta, sarebbe stata lei a rincorrermi e non viceversa.
*

Iniziai a correre per risaldarmi, ascoltando il mio respiro e i nostri passi sull'asfalto. Tenne alla promessa e non cercò di superarmi nemmeno una volta.
Azzardai un'occhiata e la trovai a fissarmi. «Che c'è?» chiesi. Era forse l'unica persona che mi facesse venire voglia di mettere a voce le mie domande.
«Hai, per caso, bisogno di... Niente» disse prima di bloccarsi. Mi fermai di scatto e mi voltai.
«Dacci un taglio. Cosa vuoi?» le chiesi duramente.
«Una bottiglia d'acqua. Ne vuoi una?» esclamò superandomi e dirigendosi verso il mini market. La seguii con lo sguardo entrare e sparire in quel luogo.
Sospirai e continuai a correre.
*

«Al ladro! Al ladro!» sentii strillare. Mi limitai a correre e ignorai quella richiesta di aiuto, ma una figura vestirà di nero mi sfrecciò accanto goffamente e non potei più far finta di niente.
Afferrai la borsa beige al volo, mentre il ladro venne strattonato indietro. Una piccola deformazione del terreno lo fece capitolare a terra ridicolmente, ai miei piedi. Tentò di rialzarsi ma lo bloccai a terra con un piede, mentre un agente di polizia sovrappeso ci raggiungeva con il fiatone, assieme alla proprietaria della borsa.
«Grazie, grazie infinite!» esclamò la ragazza mentre il ciccio poliziotto metteva le manette allo scippatore. «La...» ansito «Ringrazio...» ansito «Per...» ansito «La disponibilità» però, due parole di fila senza ansito, niente male come ripresa. Anche se una delle due è un articolo.
I due si diressero verso la centrale della polizia, ma la ragazza si attardò. «Come posso sdebitarmi?» mi chiese guardandomi ammirante.
«Non farlo» replicai voltandomi e riprendendo a correre
«Ehi! Aspetta!» esclamò. Ma la ignorai bellamente. Avevo già perso troppo tempo. «Per Favore!» gridò. Mi fermai e attesi che mi raggiungesse.
«Voglio veramente ricambiare il favore.» insisté. Già mi stavo pentendo di aver fatto una specie di buona azione.
«Non ne ho bisogno» cercai di farle capire. Magari era troppo ottusa per comprendere.
«Ma...» cercò di iniziare.
«Niente ma. È stato un caso che io sia capitato lì. Problema risolto. Addio.» dichiarai prima di voltarmi.
«Permettimi sdebitarmi!» si lamentò.
«Dentro questa borsetta c'è l'ultimo regalo di mio nonno, e grazie a te, non l'ho perso per sempre» mi spiegò. Oh, il regalo di suo nonno. Molto toccante. Se solo me ne fosse fregato qualcosa. Mi si stava appiccicando come una sanguisuga, e questo mi dava enormemente fastidio.
«Vuoi sapere come puoi sdebitarti? Levati di torno» affermai tornando a correre, ignorando i suoi richiami. Avevo dimenticato le cuffie per le orecchie quella fredda mattina. Quindi non potevo nemmeno confondere i miei pensieri con i Led Zeppelin.
*

Notai in lontananza una fontanella e mi affrettai a raggiungerla.
Evitando gli schizzi, abbassai il cappuccio e mi sporsi per bere. L'acqua gelida mi punse le labbra, ma la sete ebbe la meglio. Mi sentii osservato e alzai lo sguardo. Smisi di ingurgitare acqua, quando vidi la ragazza.
Stalker. Fu la parola che mi balenò in mente. «Finché non mi farai sdebitare con te, ti seguirò» balbettò.
«Anche se mio fratello non sarà contento.» sembrò ripensarci. Quella era fuori di testa, veramente.
«Sei fuori di testa» dissi freddamente. Poi mi voltai.
«Aspetta un secondo.» mi disse raggiungendomi con una mano sul petto e il fiatone. Erano tutti così poco allenati i Popolani...
Fissai la sua mano che mi stringeva la manica della felpa. Quando se ne accorse la ritirò in fretta.
«Ti assumo come guardia del corpo» disse. Inarcai un sopracciglio. «Sono la figlia del presidente della "Morpheus enterpise", posso pagare bene» mi disse. Strinsi la mascella e chiusi gli occhi per cercare un po' di pazienza. «Senti...» iniziai.
«Ehi, tu! Stalle lontano» un altro babbeo Popolano ci stava raggiungendo. Spostò la ragazza dietro di sé, facendole da scudo.
«Che vuoi da lei?» mi accusò. Assurdo. Troppo assurdo.
«Niente» dissi. E mi voltai per andarmene.
«Ti informo che finché ci sarò io, non potrai toccare mia sorella!» affermò alzando il mento. E chi ci tiene? Stessa famiglia, uno più idiota dell'altro.
«Ti sbagli, James. Lui mi ha aiutata e pensavo di fare di lui la mia guardia del corpo» disse la stalker, mentre mi chiedevo cosa ci facevo ancora lì a dar loro retta. E così si chiamava James...? Iniziavo ad avere dei pregiudizi su quel nome.
«Proprio a lui lo chiedi? Ma l'hai visto? Con quei capelli e quella roba sulla faccia? Non è per nulla affidabile!»
*

Inarcai un sopracciglio a quell'affermazione, ma lasciai correre. Non mi interessava cosa pensassero di me.
Mentre loro discutevano, ne approfittai per voltarmi e andarmene. Ormai deciso a concludere quell'assurda mattinata. Non se ne accorsero, per mia fortuna.
Passai davanti al mini market, ricordando di aver abbandonato un'altra ragazza a se stessa. E proprio pensando a lei che venni raggiunto. «Ti ho cercato! Dove ero finito?» mi chiese sbucando al mio fianco.
«Dove vuoi che sia andato? Correvo» mi limitai a rispondere.
«Cosa è successo? Sembri infastidito» mi chiese.
«Non è successo niente» affermai. Tornando ai cancelli della Marcey Academy.
«Ti devo chiedere una cosa, prima di entrare» mi disse.
Mi fermai in attesa. Forse finalmente avrebbe parlato.
«Hai bisogno di qualcosa?» mi chiese senza guardarmi.
«In che senso?» chiesi.
«Nel senso che c'è qualcosa che desideri?» cercò di spiegarmi. Nella confusione totale, mi si accese una lampadina. Guardandomi intorno, notai finalmente le decorazioni. A Natale mancava poco. E lei voleva prendermi un regalo. Le donne e le date speciali, chi le avrebbe mai capite?
«Sì, ho bisogno di una doccia calda» affermai varcando il cancello.
«Vuoi venire con me, Annie?».

8.
Quella ragazza era veramente molto carina. Proprio il mio tipo. Oh! Anche quella seduta al tavolo davanti al bancone. Ha delle belle gambe. Mmm, sì, ce le ha. Scoccando uno sguardo al ragazzo accanto a me, notai che la pensava come me. Il suo sguardo era anche più affamato del mio.
*

«Ehi» mi salutò il barista. Si chiamava James, come uno dei miei migliori amici. Era un nome assolutamente comune, eppure, ogni volta che sentivo il nome James, pensavo solo a Sharp. Sapeva come rendersi unico.
«Ehi» replicai sorridendo.
«Il solito?» mi chiese. Ormai frequentavo quel luogo più spesso del dovuto. Però, era un ottimo terreno di caccia. Un ottimo terreno per divertirsi e lasciarsi andare. Un ottimo posto per diventare pazzi.
«Sei davvero gentile a farmi bere nonostante non abbia ventun' anni.» affermai bevendo un sorso del cocktail.
«O veramente cattivo» disse appoggiandosi al bancone.
«Già, dipende dai punti di vista, presumo» replicai.
Forse era solo l'alcool, ma iniziai a sentire caldo. O forse ero semplicemente io. Dopotutto, sono una persona Hot. Sentivo il tempo scorrere e qualcuno parlarmi, ma non capivo veramente quel che diceva. Avevo la testa annebbiata. Perché mi trovavo lì quella sera? Ah, caccia... Ma avevo perso la voglia. Mi alzai dallo sgabello barcollando. Guardandomi intorno, vidi che c'era poca gente. Stava chiudendo? Frugai nella tasca posteriore dei jeans, alla ricerca del denaro da dare a James per le bevande.
«Offre la casa» lo sentii dire. Strizzai gli occhi per metterlo a fuoco.
«Oh, beh, grazie» affermai. C'era qualcosa che non andava. Di solito reggevo bene l'alcol. Il mondo girava troppo velocemente e il mio equilibrio era diventato improvvisante instabile.
«Ehi, tutto a posto?» mi chiese qualcuno. In quel momento il terreno si staccò dai miei piedi, ma grazie a due forti mani, riuscii a non cadere a faccia a terra.
«Senti, chiudo il bar e ti porto a casa, va bene?» mi suggerì con una nota preoccupata. Forse annuii o forse no. La cosa strana era che le luci mi sembravano sempre più luminose. Improvvisamente mi scappò da ridere. E lo feci. Ridacchiai finché James il barista non ritornò, senza il suo grembiule.
«Non hai nessuno da avvertire?» mi chiese premuroso.
*

«Io sono suo parente.» annunciò qualcuno. Entrambi ci voltammo verso quella voce. Era il ragazzo che si mangiava con gli occhi le ragazze che avevo adocchiato.
Il barista inarcò un sopracciglio.
«Pensavo che il bar fosse vuoto» disse James il barista.
«Ero al gabinetto» annunciò quello.
«Ma io non so chi sei» affermai.
Lui scosse la testa.
«Vedi? Ha bevuto così tanto che non mi riconosce più.» disse.
«Forse lo conosco» ammisi. Magari veramente non me lo ricordavo più.
«È nella mia rubrica? Se è nella mia rubrica lo conosco» chiesi a James tirando fuori il telefono e porgendoglielo.
«Non fare l'idiota. Alzati e andiamo.» insistette il ragazzo di prima. Cercai di spremere le meningi ma proprio non lo ricordavo.
«Non ti ho mai visto qui» affermò il barista.
«Oggi mi ha invitato qui. Perché dice che è bello» affermò facendo un cenno verso di me.
«L'ho fatto?» chiesi. Magari era qualcuno che avevo veramente conosciuto. L'alcool faceva anche fa Flash? Dovevo ricordarmi di chiedere a Max se aveva usato i principi del l'alcool per crearlo.
«Certo che sì» affermò brontolone. Già, d'ora in poi l'avrei chiamato così. Gli si addiceva. Non avevo notato che James il barista stava scorrendo sullo schermo del mio telefono e chiamò il primo numero. Quello di emergenza.
*

«Pronto?» chiese l'inconfondibile voce di uno dei miei più cari amici.
«Emh, pronto, sono il barista dell'...» a quel punto il brontolone strappò di mano il mio telefono da James il barista. Lo buttò a terra e lo calpestò.
«Ehi! Il mio telefono!» esclamai. Ma non mi diede retta. Mi prese per un braccio e mi buttò malamente a terra. Poi diede una ginocchiata in faccia al barista che svenne. Pappamolle. Poi, brontolone si voltò minaccioso verso di me. Ancora a terra. Ma non lo temevo. Non temevo niente io.
Con uno sguardo folle si tuffò verso di me, ma prontalmente tirai un calcio, mirando verso i gioielli di famiglia. Lui si piegò in due dal dolore. Nonostante l'alcool in circolazione, avevo un sacco di adrenalina che mi caricava dandomi energia. Avevo voglia di divertirmi con lui. Prima che si alzasse gli sferrai un altro calcio alla tempia. Seguito da una pedata sul naso. Tre colpi ed era a terra. E non avevo nemmeno usato i miei poteri!
*

In quel momento la porta del bar si aprì e comparvero due ragazzi. Prima che potessi rendermi conto di chi fossero, mi ero già messa in guardia. Poi misi a fuoco e riconobbi mio fratello e il mio coinquilino. Mi rilassai visibilmente e mi buttai tra le braccia del Giustiziere della notte.
«Ho bisogno di un telefono nuovo» annunciai prima che uno dei due parlassero.
«Te l'avevo detto che non c'era bisogno di preoccuparsi.» disse Zach spavaldo, anche se dalla faccia, capii che era stato il primo a farlo.
«Mai fidarsi di Jase» aggiunse scherzando.
«Perché hai il numero di Jase salvato come quelli di emergenza?» chiese Nox staccandomi da lui.
«Geloso?» chiesi.
«Perché dovrei?» replicò il ragazzo, sinceramente stupito.
«È una cosa che ha incuriosito pure me» aggiunse mio fratello.
«Perché se sono veramente nei guai, so che voi due siete accanto a me, mentre Jase deve far strada per raggiungerci» dissi improvvisamente sobria. Quando uscii dal locale, con l'ambulanza in lontananza in arrivo, mi resi conto che forse, brontolone aveva messo qualcosa nella mia bevanda, ma nonostante ciò, l'avevo messo al tappeto. Mi sentivo una tigre.
*

Fine!
Quanti ne avete indovinati?
Come vi è sembrato questo giochino?
Questa prova è stata una sfida sia per me che per voi. Voi per, per testare le vostre conoscenze su "Elements". Per me perché mi sono divisa in otto persone, cercando di non farvi capire chi fossero fino alla fine. Mi sono divertita! E voi? Beh, vado a continuare "Perdita" che altrimenti mi fate fuori, ciao ciao 😁.

Soluzioni:

1. Zach. Periodo prima di Sophie, trasferiti da poco a casa di Nox.
In realtà è difficile perché in questo caso, si dovrebbe sentire l'eccessiva preoccupazione che prova per Opal. Non che prima non si preoccupasse, solo che dopo la morte dei genitori è diventato iperprotettivo. E si sa, i genitori sono morti e sono stati subito perseguitati. Fortunatamente li ha trovati James e li ha portati da Nox. Inoltre, è prima che Sophie entrasse di nuovo nella vita di James, poiché si vede che ha tempo per "divertirsi".

2. Jo. Nel periodo in cui faceva da guardia a Sophie, prima che entrasse di nuovo a far parte del mondo di Elements. Si capisce hahah uscivano come normali amiche 😂.

3. Courtney. È stata già mollata da James ed ha ucciso la sua prima vittima. È già diventata luogotenente. Si dovrebbe capire dal fatto che non ha molto da fare e può andarsene quando vuole dagli allenamenti 😅.

4. Aiden. Facile, rigido e pieno di principi. Ovviamente, nel periodo in cui si è trasferito nella scuola di Sophie per avvicinarla.

5. Eli. Diventato cieco da poco. Si capisce hahaha

6. Sophie. Prima di subire il Flash. È ancora una ragazzina e sta scegliendo il regalo di compleanno per James, il suo migliore amico. La donna è chiaramente Theresa, sua madre.

7. Seth. Seth e Jo si sono ritrovati da poco e fanno parte della stessa squadra. Non si sono ancora messi insieme. Si dovrebbe capire dal fatto che si parlano e non si evitano come farebbero ora. E poi si vede che non stanno ancora insieme, niente baci o abbracci hahah

8. Opal. È chiaro. Sempre periodo in cui non hanno ancora incontrato Sophie, dato che si capisce che passa spesso in quel bar e quella è solo una delle tante sere. E no, non è ancora andata a letto con Nox, dato che è ancora interessata a lui in quel modo.

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