18. Nathan: Parole sante
«È una mia impressione o stai evitando Arianne?» chiese Tiara levandosi di nuovo il mio braccio dalle spalle.
Giusto per darle fastidio la impegnai del mio peso nuovamente.
«Non mi piacciono le tue domande retoriche, Tiara.»
Lei si liberò di nuovo da me.
«Piantala di appiccicarti a me per tenere lontano lei.» sbuffò la ragazza puntandomi un dito al petto e allontanandomi. Impressionante la sua forza perforante, c'era da ammetterlo.
«Oh, così mi ferisci» dissi con la mia espressione ferita migliore.
Lei alzò gli occhi al cielo è incrociò le braccia. Che donna insensibile.
«Riformulo. Perché la stai evitando?» chiese.
Ci trovavamo in uno dei tavolini disposti sotto il tendone fuori da un bar-gelateria. Eravamo solo io e Tiara e probabilmente agli occhi altrui potevamo sembrare una coppia di innamorati, a giudicare da certe occhiate donateci dai passanti.
Avevo detto a Twain che mi servivano tutte le ragazze per completare il piano, ma la verità è che mi divertiva l'idea di lui che si portava dietro un uomo svenuto senza poter usare poteri o chiamare aiuto.
Ary bastava e avanzava a controllare la situazione sul tablet e Eloise e Rose avrebbero fatto il resto.
La cosa divertente della situazione era che Tiara aveva capito perfettamente che non avevo bisogno anche di lei, ma mi aveva seguita ugualmente, lasciando nei guai il suo adorato leader. Tutto perché era curiosa di sapere perché evitassi Arianne.
E come potevo non farlo dopo quei due baci la notte prima?
La verità è che temevo che se le avessi parlato una volta di troppo, avrei rovinato tutto. Lei sarebbe tornata a detestarmi come prima e, dopo che avevo scoperto com'era baciare veramente Arianne Barker, non ero certo di riuscire di nuovo a sopportare quella distanza che lei metteva tra noi.
«Tiara, ti hanno mai detto che sei una donna splendidamente intelligente?» le dissi giocherellando con la coppetta del gelato vuota e il cucchiaino di plastica azzurro.
«In molti, ma a me questa non sembra una risposta» sbuffò lei.
«Quindi dovresti capire che il fatto che siamo amici non significa che ora parleremo sempre di sentimenti tra noi. È vero, l'ultima volta ti ho chiesto consiglio, però ti ricordo che non mi hai aiutato. Quindi, non vedo cosa ci possa guadagnare per me nel rispondere a questa domanda.» le dissi con tono piatto.
«Nathan» affermò lei.
«Cosa?»
«Ti ho mai detto che tifo per te?» chiese Tiara dal nulla, per nulla offesa dal mio discorso.
Inarcai un sopracciglio.
«Non è che ammiri la tua persistenza e il non arrenderti mai... È che tu hai il coraggio di amarla. E forse questa cosa mi rende anche invidiosa» disse incorniciando il viso con le dita lunghe e affusolate.
«È la seconda volta che mi fai pensare di esserti innamorata di me. Non lo sei vero?» chiesi scherzoso. Speravo vivamente di no. Tiara mi stava simpatica come pochi, sarebbe stato degradante.
«No, no... È che... Da una parte mi piacerebbe davvero innamorarmi di qualcuno e provare questo sentimento, ma dall'altra... Ho paura di ferirmi. I dolori fisici si curano, ma quelli del cuore no. Quindi... Ammiro e sono invidiosa di te che riesci a gestire quel che provi per Arianne quando è sempre stato ovvio che lei ti avrebbe continuato a ferire. Ed è per questo che tifo per te.» ammise lei.
Mi passò un brivido lungo la schiena per quello che disse.
Non ero certo che tutto quel discorso fosse un complimento.
«Non dire idiozie. Mi fai sembrare una persona sdolcinata e disperata» commentai con una smorfia alzandomi dal tavolo.
«Perché? Non lo sei?» sbuffò lei.
Poi spalancò gli occhi come se avesse appena realizzato qualcosa.
«Aspetta, non è che che hai rinunciato a lei?» chiese tutta sconvolta.
Quel commento mi fece ridere.
Spostai lo sguardo verso la folla di persone e poi dissi:«Io non rinuncerò mai a lei. Mai.»
Sentivo lo sguardo di Tiara su di me, ma non glielo restituii. Continuavo ad osservare affascinato le diverse persone. Ce n'erano veramente di ogni tipo. Mi sarei potuto sentire a casa per quante varietà fossero presenti in quella stretta via commerciale.
«Sei sicuro che quello che provi per lei sia amore?» chiese lei.
«Sono sempre sicuro di quel che provo.» affermai. «Perché lo chiedi? Un'attimo fa eri lì che mi ammiravi per la mia dedizione e ora ti chiedi se sia sincero?»
Lei corrucciò la fronte e mi guardò di sottecchi.
«Non è questo... Perché ho notato che sei una persona masochista.» disse come se quello avesse potuto spiegare tutto.
Scoppiai a ridere a quell'uscita.
«E cosa c'entra?» chiesi sinceramente curioso.
«Insomma, come ho già detto, lei non fa altro che ferirti, ma nonostante ciò tu continui ad andarle dietro. Se ci pensi è una cosa masochista.
Io credo che ti fai del male perché pensi di meritartelo, perché pensi di essere un mostro, secondo me.» disse sorprendendomi.
«Le vado dietro perché so che ne vale la pena. Non ho alcun complesso masochistico dove mi figuro come un mostro.» affermai.
Tiara mi fissava ancora. Iniziavo quasi a innervosirmi ad essere tenuto così strettamente sott'occhio da quelle iridi di ghiaccio.
«Controllo se le altre hanno finito» tagliai corto.
Forse ero infastidito da quello che aveva detto Tiara. Per qualche motivo lo trovavo sgradevole.
Tiara era una sciocca. Era quel tipo di persona che pretendeva di sapere tutto e si dava limiti e ideali inesistenti.
Credeva di riuscire a guardare oltre tutto, ma senza effettivamente a raggiungere ciò che vedeva.
Se la pensava così non saremmo mai stati d'accordo.
Se si riusciva a vedere il traguardo bisognava saltare gli ostacoli e raggiungerlo e una volta raggiunta la meta se ne prefissavano altre. Non bisognava avere paura di cadere. E se nel frattempo pestavi i piedi agli altri maratoneti, ti dovevi ricordare che era una cosa indispensabile per andare avanti.
Questo era il mio modo di pensare ed era tutt'altro che masochistico. Ero una persona che si poneva davanti agli altri e ne traeva piacere, ero tutto il contrario semmai.
Controllai il telefono e notai che Eloise mi aveva mandato una posizione. Segnava dove erano andati a rifugiarsi la Resistenza.
Era sicuramente un rifugio temporaneo. Si stavano riorganizzando.
La normale procedura della B.L.C., sarebbe stata introdursi e catturarli prima che avessero la possibilità. Ma bisognava pazienza se volevamo avere un lavoro fatto bene.
Scrissi a Eloise cosa dovevano fare lei ed Rose.
Spiarli per ora era la mossa più intelligente.
Dovevamo scoprire come contattavano il loro quartier generale, se ne avevano uno.
Avevo detto ai ragazzi che la nostra priorità restava Bit, ma perché accontentarsi di questo pesce piccolo? Alla B.L.C. Bit serviva solo per ottenere più informazioni possibili sulla Resistenza, ma solo perché non riuscivano a farlo con gli altri.
Se io avessi trovato il modo per scovare qualcosa di più grande e importante non sarebbe stato meglio?
Nonostante Joanne ci desse parecchi incarichi da seguire alla perfezione, incoraggiava sempre le idee autonome e i suggerimenti. Ci ripeteva sempre di pensare e ragionare su ciò in cui credevamo.
In un modo o nell'altro avrei mostrato di essere capace. Ma dovevo avere pazienza e non lasciare che gli altri, Eloise e Rose comprese, capissero le mie intenzioni. Mi avrebbero aiutato senza sapere per cosa.
Ero certo che loro non sarebbero stati d'accordo con me.
Mentalità troppo ristretta incapace di vedere il quadro della situazione.
«Bene, non ci dovrebbero essere più membri della Resistenza nei paraggi. Ary si starà annoiando a forza di controllare le telecamere» dissi consapevole che Tiara mi aveva raggiunto.
«Nella prossima fase ci assicureremo che i nostri vicini facciano da occhi per noi» affermai.
«I vicini? Intendi Gianluca e sua figlia?» chiese Tiara dubbiosa.
«Esattamente. Faremo in modo che ci comunichino tutto ciò che vedono e trovano di strano. Il fatto che oggi ci abbiamo attaccati significa che probabilmente sapevano che saremmo venuti e quindi sanno anche dove abitiamo. Forse non hanno attaccato direttamente lì per via di Eli ed eravamo tutti concentrati lì. Ricordiamoci che hanno attaccato Ary quando era sola.» ragionai.
«Oh, questo significa...» comprese Tiara spalancando gli occhi.
«Esattamente. Sanno dove siamo ma per qualche motivo non hanno la disponibilità di Imperium per poterci attaccare. La mia ipotesi è che se sono in tanti come dice il nostro ostaggio, è che la base sia molto lontana e che quindi siano incapaci di mandare rinforzi. Quindi quei pochi che hanno qui non hanno il coraggio di attaccarci. Nonostante siamo ragazzini siamo in tanti per loro e poi c'è Eli, e da oggi anche Courtney. Se erano veramente ex Ribelli, riconosceranno la forza della Fenice e del Geminus di terra»
«Se? Hai preso in considerazione il fatto che non siano solo ex Ribelli?» chiese Tiara confusa.
«Perché, tu no?» chiesi di rimando.
«Se non sono ex Ribelli... Chi sono?» mi chiese la ragazza.
«Bella domanda. Tienitela a mente» semplificai.
«Aspetta, non capisco ancora cosa tu voglia dai vicini e come pensi di farli diventare sentinelle? Non possiamo mica dir loro la verità.» chiese ancora la ragazza.
«Tiara, non c'è bisogno di dire loro la verità. Con pettegolezzi e fiducia si possono fare miracoli, sai? Diventeremo i loro migliori amici, in modo che saremo le prime persone a cui vorranno comunicare qualcosa se vendono qualcosa di strano. Inoltre, possiamo raccontare loro una storia ben elaborata che li induca ad accettare certe situazioni, ci devo ancora pensare.» affermai mentre il mio cervello già iniziava a lavorare.
«Ma tra un po' partiamo, ha senso ancora farlo?» chiese Tiara.
«No, Tiara. Non ci sei arrivata? Non partiremo più così presto. Ary ha visto Bit, significa che si trova qui. Non avrebbe senso partite ora» affermai.
«Ma tu non ti stai attrezzando per catturarlo, mi sembra» disse la ragazza dubbiosa.
Era sveglia, inutile negarlo. Quasi mi dispiaceva doverle mentire.
«Catturarlo in città sarebbe pericoloso. Già oggi abbiamo rischiato grosso. Farò in modo che voglia tornare alla sua base in montagna, poi andremo lì, lo prenderemo e la missione sarà conclusa» dissi allegramente.
Tiara mi fissò intensamente. Probabilmente aveva altri dubbi.
«Che c'è?» chiesi spazientito.
«Non me la racconti giusta» commentò.
«Ma mi fiderò per questa volta. Così, quando fallirai anche tu, Joanne e James capiranno che solo io merito di fare la leader.» commentò agitando una mano.
Risi.
«Ammettilo che l'unica cosa che ti interessa è spodestare me e Twain» dissi divertito.
«Se tu ammetti che sarei più brava di voi»
«Sai che non posso mentirti» le ammiccai.
Dissi a Rose ed Eloise di tornare direttamente a casa perché io volevo fermarmi con Tiara e Ary dai vicini, così da poter iniziare a lavorarceli.
Stavamo tornando a casa in autobus e Ary era l'unica seduta.
Mi ero aggrappato con una mano al palo sopra la mia testa e con l'altra digitavo veloci riposte alle mie compagne di squadra.
Il problema stava nel fatto che Ary non era seduta seguendo la direzione del sedile, ma con le spalle rivolte verso il finestrino. Quindi mi stava davanti ed eravamo assurdamente vicini.
«E come pensi esattamente di farteli amici?» chiese Ary scettica.
Non sapevo se si era accorta che avevo evitato di incrociare il suo sguardo per tutto il giorno.
Ma quando lo feci, mi venne voglia di chinarmi su di lei e baciarla di nuovo.
«Farsi gli amici è semplice. Non basta essere amichevoli e simpatici. Se vuoi qualcosa devi dare. Racconta qualcosa di te stesso, qualcosa di intimo e fai sembrare che lo condividi solo con lui o lei. Aggiungici qualche cosa in comune ed è fatta» spiegai pratico.
«Tu sei inquietante.» commentò Tiara.
«Che c'è?» chiesi.
La mora scosse la testa, così mi voltai verso la bionda per capire.
«C'è che non puoi manipolare la gente innocente in questo modo» disse Ary.
«Okay, se tu non lo vuoi non lo faccio» affermai pratico.
Ary spalancò gli occhi sorpresa.
«Qual che dico è che non è carino, non che tu debba rinunciare al tuo piano... Cioè... Una cosa è la Resistenza, ma...» disse la ragazza nervosamente abbassando lo sguardo.
«Non è indispensabile averli come sentinella.» affermai.
«Ma tu non capisci proprio qual è il problema, vero?» sbottò Ary.
Iniziai ad agitarmi. Cosa avevo detto di sbagliato? Si stava di nuovo arrabbiando con me?
«No» ammisi.
Stranamente la mia ammissione fece sparire il cipiglio arrabbiato dalla faccia di Ary.
Sospirò.
«Nate, anche se loro non lo sanno e non avranno problemi, non è carino prendere in giro persone per bene solo per raggiungere uno scopo.» spiegò Ary.
E Ary, non è carino nemmeno farsi prendere di sorpresa dalla Resistenza. Avrei voluto dirle.
Si trattava di precauzione.
«Hai ragione» dissi invece trattenendomi.
«Come?» chiese lei sconvolta.
«Hai ragione.» ripetei senza guardarla.
«Oh» disse lei. Non era abituata alle mie rese e la cosa la stava sconvolgendo più di quanto voleva dare a vedere.
«Però fermiamoci ugualmente dai Serafino. Sono stati gentili con noi, dovremmo ricambiare» affermai.
Le due ragazze mi guardarono male.
«Che c'è! Prometto che non utilizzerò alcuna tecnica manipolativa mentale su di loro, parola di scout» dissi mettendo una mano sul petto.
«Tu non sei mai stato scout» fece notare Ary.
«Non badare a questi futili dettagli, Ary» commentai ammiccandole.
«Però è vero, ci meritiamo del riposo» disse Tiara.
«Ma... Non dovremmo evitare i Popolani?» chiese Ary.
«Suvvia, Ary. Non è che siano degli alieni. Sono esseri umani come noi. E anche tu, in qualità di essere umana, dovresti comunicare con loro. Frequenti la Marcey Academy, no? Ti capita di parlarci» commentai.
«Non è che sia così tanto integrata nella società. Le conversazioni normali mi annoiano.» ammise lei.
«Perché non hai trovato ancora il tuo interesse. Prendi per esempio, Tiara. Lei parla di musica e ballo con quelli interessati.»
«Tu che ne sai?» chiese Tiara.
«Mi sbaglio?» replicai retorico.
«No, ma...» balbettò la mora appoggiandosi con il braccio al palo al quale si teneva.
«Non troverò mai un Popolano interessato ad argomenti come a quale tipo di calcio sia più più potente tra il kick-boxing e il takewondo» commentò lei.
«Mai dire mai. Ci sono Popolani interessati alle arti marziali» replicai.
«E poi non trovi Michela simpatica? È carina e socievole, potresti andarci d'accordo» aggiunsi pratico.
«Lei... Ti piace?» chiese Ary a voce così bassa che quasi mi immaginai di averglielo sentito dire.
«Sei gelosa?» non potei far a meno di gongolare.
Ary distolse lo sguardo e incrociò le braccia al petto.
«Figurati. Era curiosità.» sbottò facendomi sorridere.
«Allora è deciso, passiamo dai Serafino».
Una volta giunti presso la via di casa, trovammo Gianluca intento a pitturare di rosso la cornice delle finestre del primo piano.
Un colore insolito e parecchio appariscente per una casa a schiera come quella, ma mi piaceva chi sapeva attirare l'attenzione.
Tiara, da buona puritana che era, si precipitò da Gianluca a chiedere se aveva bisogno di aiuto.
Il resto venne da sé come uno scherzo di cattivo gusto ben organizzato. Uno scherzo che avrebbe fatto invidia alle vipere di Carrie White della storia di Stephen King.
Gianluca, nel voltarsi, urtò il secchio di vernice che si rovesciò, e, grazie alla gravità, ricoprì Tiara, appena sotto, di rosso.
Le reazioni di tutti furono differenti.
Gianluca imprecava e si scusava in italiano mentre scendeva.
Tiara boccheggiava cercando di non far finire la vernice in bocca e assunse una posa da zombie terrificante con le braccia alzate e gocciolanti.
Ary, al mio fianco, si era coperta la bocca dallo stupore ed ero quasi certo che si stesse trattenendo dal ridere.
Io, d'altro canto, non ci riuscii e scoppiai a ridere.
«Guarda che non è divertente!» mi rimproverò Ary, proprio mentre la vedevo soffocare un sorriso. Poi si precipitò verso la sua amica.
Mi avvicinai anche io giusto per sentire Tiara che dichiarava di tornare a casa e raccomandare noi ad aiutare Gianluca con il disastro rosso.
Oh, si è arrabbiata?
«Che è successo qui?» chiese Michela arrivando in roller e togliendosi il casco. Dietro di lei c'era Angelo in bici.
«Colpa mia, ho rovesciato la vernice sulla loro amica» rispose Gianluca mortificato.
«Signor Serafino, non si preoccupi. È solo un po' di vernice, verrà lavato via.» affermai.
«Certo che il tuo italiano è niente male» commentò Angelo appoggiando i gomiti sul manubrio.
«Grazie» dissi sorridendogli.
«Quei roller sono fantastici!» esclamò Ary notando Michela e osservandola mi sembrò veramente entusiasta.
«Vero? Me li hanno regalati per Natale!» replicò l'italiana.
«Vuoi provarli? Che taglia porti? Sicuramente hai qualcosa in meno di me, io sono una 38» affermò.
«38?» chiese Ary confusa.
«I sistemi di taglie è un po' diverso qui.» bisbigliai. «Sarebbe un 7 se non sbaglio»
«Fantastico! Abbiamo la stessa taglia!» esclamò Ary senza farsi problemi.
Prima che me ne potessi accorgere, Ary mi aveva messo in mano la sua spugna e si stava allontanando con Michela.
«Ma mi lasci solo?» esclamai oltraggiato.
Ary si voltò verso di me e disse:«Una punizione per aver riso di Tiara»
Poi allungò una mano verso di me. Strinsi gli occhi, aspettandomi qualcosa di brutto, e invece mi sfregò il pollice sulla punta del naso.
«Rudolf» ridacchiò, poi tornò a voltarsi verso Michela.
Ero così scioccato che mi dimenticai di sbattere le ciglia e chiudere la bocca. Se non fosse stato per Gianluca che si schiarì la voce, sarei rimasto lì a fissarle la schiena in allontanamento e una mano sul naso per il resto della giornata.
Fissai Gianluca confuso e indicai i tre ragazzi che si allontanavano.
Lui sorrise e mi fece un semplice cenno con il mento.
In realtà io ero solo perplesso per l'azione di Ary. Cercavo solo qualcuno con cui condividere il mio breve stato di shock. Ma Gianluca aveva capito che chiedessi il permesso di raggiungerli.
Restai comunque ad aiutare Gianluca a ripulire prima di raggiungere Ary e gli italiani. Evidentemente possiedo un animo buono e altruista che non conoscevo... Nah, impossibile.
Il parco con il campo da basket era proprio dietro la zona condomini ed era popolato da bambini.
Un gruppo di ragazzi stava giocando a pallone e Angelo era tra loro.
Individuai sulla stradina deserta che delimitava il parco Ary che piroettava sui roller e Michela che applaudiva divertita. Quest'ultima si accorse di me e le feci un cenno con la mano, ma invece di rispondermi si mise a ridacchiare e richiamò l'attenzione di Ary la quale si voltò e mi sorrise mozzafiato.
Ebbi una stretta al cuore. No, il sangue mi affluì tutta al cervello. No, il mio battito cardiaco rallentò fino a fermarsi. Qualcosa accadde perché quel semplice sorriso mi era sembrato come il cancello del paradiso aperto solo per accogliere me. Quindi, teoricamente, mi aveva ucciso.
Era vero che ero io ad avere proposto la tregua, ma se lei mi sorrideva così tutte le volte sarei potuto morire sul serio.
«Ehi! Ti unisci a noi? Ci manca un giocatore!» chiese Angelo attirando la mia attenzione su di lui.
In realtà non mi piaceva giocare a basket. Anzi, in generale non mi piacevano gli sport di gruppo, tantomeno con qualcuno che non conoscevo. E poi, francamente, non mi piaceva sudare. Era poco decoroso per un'artista come me.
Il fatto che decisi di accettare dipendeva totalmente dal fatto che Ary stava guardando. Le avevo fatto tutto un discorso sul fare amicizia con i Popolani, ritirarmi in quel momento sarebbe stato incoerente da parte mia.
Così sorrisi agli italiani e accettai cortesemente.
Appena giunto sul campo, Angelo mi presentò i suoi amici di quartiere di cui mi dimenticai immediatamente i nomi. Non trovavo importante saperli, dato che, molto probabilmente, dopo quel pomeriggio non li avrei più rivisti.
La partita iniziò, ma la mia attenzione non era rivolta al gioco. Quando potevo, scoccavo sempre lo sguardo verso le due ragazze sui roller.
Sfortunatamente Angelo mi passava sempre la palla, forse per coinvolgermi di più.
«È la tua ragazza?» mi chiese Angelo dopo aver passato la palla al suo compagno.
«Ary? Forse lo sarà» dissi senza chiedere a chi si riferisse.
Non potei attendere la sua risposta perché il gioco si riavvicinò di nuovo dalla nostra del campo.
I miei riflessi pronti mi permisero di prendere una palla al volo diretta ad un compagno alle mie spalle.
Il ragazzo più alto si avvicinò a me per marcarmi.
Qualcosa nel suo sorriso mi fece venire voglia di prenderlo un po' in giro.
Tenni gli occhi fissi nei suoi e sorrisi appena, mentre palleggiavo con una mano.
Lui tentò di rubarmela, ma la feci scovolare velocemente nell'altra mano. Giocai con la palla, colpendo il terreno e facendo girare ridicolmente in tondo il ragazzo.
Il mio possesso di palla si stava facendo troppo lungo, così mi liberai del mio marcatore facilmente e, una volta alle sue spalle, lanciai e feci canestro.
Tre punti meritati.
Recuperai la palla e la feci sparire davanti ai loro occhi. Poi la feci riapparire, mimando scenette comiche.
I ragazzi mi guardavano stupiti e bisbigliavano tra loro.
Portai l'attenzione sulla palla, poi sui miei occhi, il millesimo di secondo necessario per farla sparire di nuovo.
Stesi le mani vuote e mimai un conto alla rovescia di cinque secondi. Una volta scaduti, il chiaro suono di un altro canestro alle loro spalle mi fecero guadagnare un applauso.
«Oh! Ma io so chi sei! Sei Nathan Cray!» esclamò uno di loro. Sembrava molto realizzato per essersene ricordato.
«Non ve l'ho detto?» chiese Angelo divertito. Sembrava orgoglioso di se stesso per avermi conosciuto.
Mi feci adulare ancora un po' quando qualcuno mi colse alle spalle dandomi uno schiaffo sulla schiena.
«Nick mi ha chiamato un sacco di volte, non me ne sono resa conto. Dovremmo andare.» mi disse Ary.
«Adesso? Mi stavo facendo degli amici» commentai con una voce annoiata.
«Odio ricordarti che abbiamo rapito una persona e dovremmo interrogarla. Anzi, lo dovrai fare tu, Mr. Genio maligno» commentò lei alzando gli occhi al cielo.
Quella ragazza aveva veramente dei bellissimi occhi.
Il mio udito colse un boato, simile al suono di uno sparo. Poi ne seguirono altri.
«Qualche idiota a giocare con i petardi» commentò Michela infastidita raggiungendoci in roller.
Ma il mio sguardo era fisso verso il luogo da cui proveniva il rumore. Per qualche strano motivo il mio cuore stava battendo fortissimo.
«Noi andiamo, siamo americani e ceniamo presto» informai i ragazzi.
Tutti quanti i giocatori, nel loro sudore, credendosi già miei amiconi, mi salutarono con pacche e cenni non necessari.
Li salutai ancora sorridendoli anche mentre mi voltavo e tenevo una mano sulla schiena di Ary per condurla via.
«Muoviamoci, ho un brutto presentimento» dissi ad Ary che mi guardava stupita.
Mentre tornavamo sentimmo una sirena avvicinarsi e dirigersi verso il quartiere principale.
«Che succede?» chiese Ary aumentando il passo.
La brutta sensazione si fece più persistente, così non risposi e mi limitai a raggiungerla.
Lei ad un tratto iniziò a correre e io la imitai.
Quando la raggiunsi ci trovammo la polizia che entrava e usciva dalla casa di Eli.
«Che sta succedendo qui?» chiesi ad un poliziotto.
«Non lo sappiamo, l'interno della casa è un caos totale, siamo stati chiamati perché il vicinato ha sentito dei boati e degli spari.» disse l'uomo giovane in uniforme.
«Abiti qui, ragazzo?» chiese a me.
«No.» risposi.
Forzai poi un sorriso. Non aggiunsi altro e raggiunsi Ary, rimasta in disparte a guardare.
«Ho chiesto a dei vicini. Pare che una ventina di persone sia scesa da dei furgoni si sia diretta a casa di Eli e poi c'è stata una sparatoria. Anche se non è durato molto.» mi disse Ary.
«Che è successo agli altri? Che facciamo?» chiese ancora.
«Per prima cosa dovremmo entrare senza farci notare dai piedipiatti. Dobbiamo capire cos'è successo realmente. Poi cerchiamo di contattarli. Mi sembra assurdo che siano stati tutti rapiti» affermai nervosamente.
«Ma se qualcuno si fosse salvato avrebbe cercato di mettersi in contatto con noi immediatamente» disse logicamente Ary.
Una ragazza nel panico che stava parlando con un poliziotto attirò la nostra attenzione.
«Vi dico che è sparito anche mio padre! Lui non lascia mai un lavoro a metà!» stava gridando Michela.
«Ne è sicura? Potrebbe essere semplicemente uscito...»
«Non ha finito di ripulire il giardino dalla vernice versata e non ha finito di pitturare! E poi il rubinetto del lavandino di casa era aperto! Vi dico che è stato preso anche lui!» continuava Michela agitata.
In quel momento la ragazza incrociò il nostro sguardo e sembrò comprendere qualcosa.
Presi Ary per il polso e le sussurrai:«Meglio allontanarci da qui e non farci coinvolgere. I Popolani ci conoscono e finiremmo per dover testimoniare qualcosa. Ma non abbiamo tempo.»
«Dobbiamo esaminare la casa» disse Ary.
«Quando la polizia se ne sarà andata torneremo. Al momento dobbiamo andarcene da qui.» lanciai un'occhiata alle spalle di Ary, dove Michela si stava dirigendo verso di noi.
«Adesso.» insistetti.
Ary annuì e mi seguì.
Angolo Autrice
Pardon gente per il ritardo di una settimana!!! Sono in vacanza, capitemi.
Comunque vi saluto dall'Alsazia, città francese in cui ambienterò una mia storia futura (quelli che mi seguono su Instagram capiranno).
Credo che le cose d'ora in poi si faranno più avvincenti.
Comunque sono indecisa su come rappresentare il prossimo capitolo. Ditemi voi, che punto di vista vorreste?
Se fosse quello di Nathan vedremmo qualcosa a ritroso dove lui analizza lo scenario e cerca di dedurre l'accaduto.
Se fosse quello di Nick vedremmo cosa è effettivamente accaduto e sarebbe qualcosa con azione più che riflessione.
Se fosse quello di Ary... Be', non cambierebbe molto da quello di Nathan.
Quindi datemi una mano.
La presenza di un POV comporta l'assenza degli altri POV, comunque.
Au revoir 👋🏻
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