16. Ary: Davvero, è tutto a posto

Una cosa l'avevo capita da quell'esperienza.
Eloise e Rose non mi piacevano più.
Anzi. Le ragazze non mi piacevano più.
Compresi che non era nel mio DNA stare con loro e parlare con loro. Sostenere conversazioni del genere era più difficile che saltare da un tetto all'altro di qualche grattacielo Newyorkese.
Forse ero io la strana? Perché non andavo d'accordo come con le altre ragazze?
Perché invece di parlare di sentimenti non potevamo parlare di tutte le prese mortali che si possono fare ad una persona alta il doppio di te? Quello sì che è interessante. Oppure come evitare in modo figo una macchina in corsa che arriva a cento chilometri orari. Tutta questione di fisica e anche un pizzico di trigonometria.
Andiamo! Essere adolescenti con superpoteri addestrati come spie dell'intelligence che conoscevano cinquecento tecniche di strangolamento, doveva pure avere altri argomenti! Perché si eccitavano per un paio di sandali e bisognava fare a gara a chi baciasse meglio?
Mentre tornavamo indietro con le nostre spese, rimasi in disparte e non partecipai alle conversazioni.
Era insolito per una chiacchierona come me che non riusciva mai a starsene zitta. Perciò attirai l'attenzione di Nick.
«Sicura che vada tutto bene?» chiese senza guardarmi, in modo da non attirare l'attenzione degli altri su di noi.
Era così dolce a preoccuparsi per me che mi sentii in colpa.
«Davvero, è tutto a posto» sorrisi guardandolo.
Nick mi restituì il sorriso e come al solito mi mancò un battito.
Il sorriso di Nick era dolce e gentile. Non c'erano dubbi su quanto fosse ogni volta vero e sincero, anche perché lui non era tipo da sorridere spesso.
«Sai che mi puoi chiedere di accorciarti il tempo con l'Element» disse.
«No! Non farlo, non lo sopporterei.» mi affrettai a rispondere. Sarebbe stato ancora più umiliante per me.
Nick iniziò a dire qualcosa, non riuscii veramente a comprendere il contesto. Quando iniziò a parlarmi, con il busto avvicinato a me e il volto leggermente chino, non ci capii più nulla.
Lui voleva solo evitare che gli altri ci sentissero, siccome parlavamo della B.L.C., almeno credo, ma io vedevo solo le sue labbra muoversi e il discorso delle ragazze ritornò ad ossessionarmi.
Non avevo idea di come sarebbe stata la sensazione di poter sfiorare le sue labbra con le mie, già il pensiero mi faceva rabbrividire tutta, in senso buono. Immaginarmi a dare un bacio con tanto di lingua, alla Eloise per intenderci, era fuori dalla mia portata. Mi imbarazzava troppo e mi faceva venire voglia di squittire con toni troppo acuti persino per le mie corde vocali.
No, non potevo assolutamente baciare Nick senza sapere nemmeno come si faceva. Non potevo fargli credere di essere inesperta come una bambina. Ero abbastanza certa che mi considerasse già tale.
«Okay?» chiese lui.
Colta alla sprovvista da quella improvvisa domanda replicai semplicemente annuendo. Non avevo sentito un accidente di quel che mi aveva detto. Come al solito.
Il treno si fermò di nuovo e a quella fermata salirono molte persone.
Un'anziana signora faticava a passare dal corridoio. Aveva due sacchetti della spesa e un bastone da passeggio che invece di garantirle più equilibrio le stava ostruendo la strada.
Mi alzai e le dissi di prendere il mio posto. Avevo rinunciato di star accanto a Nick, ma il sorriso che la vecchietta mi dedicò e il suo timido grazie mi fecero sentire meglio.
Mi piaceva essere utile.
Purtroppo era difficile stare in piedi, con tutte quelle persone e più ne salivano, più mi allontanavano dalla mia vecchia postazione.
Mi ritrovai così ad affacciarmi sui sedili dove era seduto il Rubinetto e un altro ragazzo al finestrino con il cappuccio e gli auricolari.
Il Rubinetto mi guardò appena ma poi continuò a curiosare sul suo telefono.
Ero scomoda in piedi e avevo lasciato il telefono e gli auricolari nello zainetto che teneva Nick, così il mio occhio cadde sullo schermo di quello del Rubinetto.
Lui stava scorrendo su alcuni messaggi e ne eliminava molti senza nemmeno leggerli, poi altri li leggeva e rispondeva. Non sapevo con quale criterio rispondesse o meno, ma sembrava abbastanza sicuro di ciò che faceva. Il treno stava per fermarsi e il ragazzo al finestrino si alzò, preparandosi a scendere.
Il Rubinetto si alzò per lasciarlo passare e così cercai di fare anche io, ma c'era ben poco spazio per muovermi.
Abituato alla calca di persone, cappuccio si fece largo a forza e mi diede un colpo con lo zaino da farmi perdere l'equilibrio in avanti.
Misi le mani davanti per evitare di finire troppo addosso al Rubinetto.
Una mano scivolò in basso e l'altra trovò appiglio sulla sua faccia.
Lui emise un verso strozzato per la sorpresa.
Stavo per ridere o chiedergli scusa ironicamente, quando mi accorsi di dov'era finita la mia mano sinistra.
Le ritirai entrambe di scatto, come scottata, e mi rimisi dritta arrossendo, mentre lui portò le sue sul cavallo dei pantaloni.
Oddio, me lo ero immaginata o era morbido?
Il Rubinetto teneva la testa china appoggiata contro il sedile anteriore.
«Scusa, non ho schiacciato niente, vero? Cioè, non ti ho fatto male, spero» balbettai imbarazzata senza sapere se potevo toccargli la spalla per assicurarmi che stesse bene.
Forse era la prima volta che mi scusavo con il Rubinetto in vita mia.
«Tutto okay lì?» chiese un signore accanto a me incuriosito.
«Emh, sì. Tutto okay.» risposi al posto del Rubinetto.
«Sto bene.» rispose anche lui senza accennare ad alzare la testa.
«Fa davvero così male? Non mi sembra di esserci salita sopra con tutto il mio peso.» continuai bisbigliando e chinandomi appena.
«Non fa più male, va tutto bene. Senti, puoi allontanarti da me?» chiese piuttosto bruscamente alzando appena la testa.
Mi offesi, e se fosse stata un'altra situazione gli avrei risposto per le rime. Ma essendo effettivamente colpa mia (e del tizio con il cappuccio), decisi di voltarmi e dargli le spalle, non riuscendo a passare tra la gente.

Quella notte non riuscii a dormire bene.
Tiara era invece profondamente addormentata dall'altra parte del letto.
Mi alzai e mi trascinai verso la porta a piedi scalzi, quando ricordai che i ragazzi dormivano al piano di sotto in salotto.
Uscii dalla finestra per andare sul balcone, mentre l'aria fredda mi gelava le gambe nude.
Ignorai i brividi e raggiunsi la ringhiera, la scavalcai e lasciai le gambe a penzoloni nel vuoto, restando in equilibrio con le mani strette attorno ai ferri.
La finestra del balcone dava sul cortile che si trovava sul retro della casa.
Vi era un albero, un capanno degli attrezzi e una cuccia per un cane, forse appartenente al vecchio proprietario della casa.
Al di là della recinzione c'era già il cortile di un'altra casa e accanto ad essa un palazzo più alto per gli appartamenti.
Chissà se mi vedevano da lì.
La luna quella sera era piena e luminosa, tanto da rendere superflua la presenza di lampioni.
E fu grazie ad essa che notai nel cortile qualcuno.
Inizialmente lo scambiai per un tavolino, ma effettivamente, al buio del cortile, c'era qualcuno sdraiato in un angolino.
Mi lasciai cadere dal balcone e piegando bene il corpo caddi in piedi.
Mi avvicinai di soppiatto verso la figura addormentata.
Il Rubinetto aveva un libro aperto che gli copriva il naso e la bocca, una mano sulla copertina e l'altra piegata dietro la testa.
Lo sdraio a malapena conteneva la sua lunghezza e l'avevano costretto a tenere una gamba piegata e una a penzoloni.
A terra notai una lanterna rovesciata e spenta.
Stava leggendo a notte fonda?
Restava il fatto che si era addormentato all'esterno in una fredda notte primaverile.
In realtà potevo benissimo lasciarlo lì, permettendogli di prendersi una broncopolmonite che si meritava, ma il mio spirito caritatevole ebbe la meglio.
«Svegliati.» dissi dando un calcio allo sdraio.
Il Rubinetto si alzò di soprassalto e quasi cadde a faccia a terra.
La sua espressione disorientata era così buffa che mi fece ridere.
«Mi-mi sono addormentato?» commentò recuperando il libro caduto a terra.
«E nessuno è venuto a chiamarmi?» continuò stropicciandosi la faccia.
«Che razza di egoisti» borbottò sbadigliando.
«Ti ho appena chiamato io.» gli rammentai.
«Certo che potevi farlo più dolcemente» sbottò stirandosi.
Prese il cellulare, anche quello scivolato in qualche modo a terra e controllò l'ora. Erano quasi le due di notte.
«Che ti aspettavi? Un bacio per risvegliare il bell'addormentato?» commentai sarcastica incrociando le braccia dietro la schiena.
«Effettivamente me ne devi uno.» disse guardandomi.
Distolsi lo sguardo.
«Senti, mi dispiace per quel che è successo sul treno.» affermai a bassa voce. Ma c'era così silenzio che lui riuscì perfettamente a sentirmi.
«Ci sono un sacco di cose di cui dovresti scusarti con me. Come quella volta in cui mi hai messo una rana morta sotto il mio letto...»
«Non contano gli scherzi da bambina. Quelli te li meritavi perché ricambiavo i tuoi.» commentai facendolo ridere.
Il Rubinetto tornò a sdraiarsi.
«Appunto, eravamo bambini. Allora mi spieghi perché in tutti questi anni ce l'hai ancora con me?» chiese ad un tratto.
Perché mi fa questa domanda ora? Cosa c'entra? Sono le due di notte per la miseria! Vai a dormire!
«Perché tu sei tu e io sono io.» replicai sedendomi a terra, appoggiando le spalle sullo sdraio.
«Wow, che motivazione profonda e piena di significato.» commentò sarcastico.
Sorrisi.
«Vedi? Non potremmo mai avere un rapporto sano. Tutto quel che dici mi irrita.» dissi.
«Ma non vale lo stesso per me.» affermò.
Non risposi.
«Mi odi veramente così tanto?» chiese.
Non risposi nemmeno questa volta.
Non sapevo che rispondere.
La parola "sì" non riusciva ad uscirmi dalle labbra.
Tutte le altre volte gli avevo risposto di sì, perché ora no?
«L'avermi toccato le palle ti ha lasciato senza parole?» continuò prendendomi in giro.
«Ma sta zitto.» sbuffai arrossendo. «Ti ho già chiesto scusa o sbaglio?»
«Vedila così, si dice porti fortuna.» commentò lui.
«Io starei cercando di dimenticare questa cosa, se non ti dispiace» replicai coprendomi il volto con entrambe le mani.
«Ti ricordi qual era il nostro motto?» chiese ad un tratto rimettendosi a sedere.
«Noi non avevamo nessun motto.» commentai.
«Non era ufficializzato, ma era sottinteso. È sempre stato quello. "Occhio per occhio, dente per dente"» disse.
Mi voltai verso di lui e incrociai le braccia davanti a me, guardandolo offesa e alterata.
«Non ci pensare nemmeno» dissi proteggendomi il petto.
Lui alzò un sopracciglio.
«A cosa?» commentò stranito dalla mia strana reazione.
Quando finalmente capii che non stavamo giungendo alle stesse conclusioni mi imbarazzai per aver pensato che volesse... Be', poco male, tanto non avrebbe avuto niente da toccare.
Nonostante sia nata in provetta non sono super dotata come Eloise. Ingiustizie della vita.
«Niente. Quindi? Occhio per occhio e dente per dente, eh? Mi sembra che sia il nostro unico modo di comunicare.» affermai.
«Mi chiedevo se potesse iniziare a valere anche per le cose buone. Insomma, io faccio una cosa carina a te e tu ne fai una a me.» disse.
«E lo scopo di tutto ciò?» chiesi scettica.
«Be', non so, magari ci impedirebbe di azzannarci a vicenda ogni volta che ne si coglie l'occasione.» scrollò le spalle.
«Sei tu che inizi sempre ad irritarmi.» dissi infastidita.
«Ma se te ti alteri anche quando dico di dovermi grattare la schiena!» sbuffò lui.
Feci per replicare ma lui mi mise un indice davanti alle labbra per zittirmi.
«Ti sto proponendo una tregua. Siamo rivali, no? Ogni tanto ci possiamo concedere una tregua.» disse lui guardandomi.
Era da tempo che lo vedevo a qualche passo più avanti di me e la consapevolezza di ciò mi aveva dato veramente ma veramente fastidio.
Però, lui mi considerava ancora come sua rivale e questa cosa sotto sotto mi piaceva.
Forse stava aspettando che lo raggiungessi.
«Ci proverò. Ma non ti prometto niente.» dissi facendolo sorridere.
«Okay, allora iniziamo con il chiamarci per nome, Ary» disse scandendo bene le poche lettere del mio nome abbreviato.
Finsi di sbuffare infastidita, ma mi scappò un sorriso.
«Okay, Nate...» avevo quasi paura di dire il suo nome scorrettamente, avendolo chiamato da sempre "Rubinetto".
«Mi piace come dici il mio nome. È erotico.» affermò scherzando ricevendo un pugno sul braccio da me.
«Ecco perché mi dai fastidio.» dissi. Anche se non ero veramente arrabbiata.
Lui alzò le mani in segno di resa.
«Però... "Nate" è molto intimo» commentò fingendosi pensieroso.
«Posso sempre continuare con Rubinetto. Ti si addice.» replicai alzando gli occhi al cielo. Quei commenti mi innervosivano, sembrava quasi volesse insinuare qualcosa.
«No, quel che intendo è perché Nate e non Nathan?» volle chiarire.
Scollai le spalle.
«Ti chiamano tutti Nathan e Nate lo usa solo Abigail. Le faccio compagnia.»
Lui scosse la testa, ma sorrideva.
Stranamente quel sorriso non mi dava più fastidio.
«Comunque, quella storia di insegnarti a baciarti... Facevi sul serio?» chiese sedendosi meglio per lasciarmi spazio.
Mi misi di fianco a lui ed entrambi guardammo le nostre ombre scure allungarsi sotto la luce lunare.
Si alzò una fredda brezza che mi faceva rabbrividire e venire la pelle d'oca.
«In realtà sì. Ti avevo detto che mi avevano imbarazzata no? Insomma, stavano continuando a parlare di quanto fosse importante il modo di baciare e poi mi hanno messa in mezzo e io non ho più saputo gestire la situazione.» dissi nervosamente, senza sapere nemmeno perché mi stessi confessando proprio a lui.
Anche se c'era una tregua tra noi, non significava che ad un tratto eravamo diventati super amici, no?
Forse era il favore della notte.
«Penserai che sia una bambina.» affermai accarezzando con la punta dei piedi l'erba.
«Io non ti ho mai vista come una bambina.» disse lui.
«Non prendermi in giro, sono consapevole che tutti quanti mi hanno sempre considerato una bambina: James, Sophie, Tiara, Eloise e Rose, magari anche Eli e poi Nick...» dissi l'ultimo nome con tono amaro.
«Sono sempre stata la più piccola del gruppo, verrebbe naturale anche a me...»
«Ary, non sei una bambina.» mi interruppe lui.
Il suo tono era così serio che mi spinse a voltarmi per guardarlo.
Nathan sotto la luce lunare aveva un colorito bluastro e bianco. I suoi capelli biondi non si notavano e potevano essere scambiati per bianchi. Poi anche il suo sguardo, era più blu che verde.
C'era da dire che aveva un viso interessante, un po' spigoloso. Aveva dei lineamenti netti e ben visibili, completamente opposti a quelli delicati e quasi femminili di Nick.
Mi resi conto che nei suoi diciassette anni, il Rubinetto sembrava più uomo di quanto io sembrassi una donna.
Distolsi lo sguardo imbarazzata.
Perché mi aveva guardata in quel modo così serio? Dov'erano finiti i suoi sorrisi finti e irritanti perenni?
Le sue dita corsero sotto il mio mento e mi costrinse a tornare a guardarlo.
Non ebbi il coraggio di spostarmi. Non ne ebbi nemmeno la tentazione.
Si chinò leggermente verso di me, facendo scivolare sulla fronte una ciocca di capelli biondi e mossi.
Poi chiuse gli occhi.
«Baciami, Ary.» sussurrò delicatamente.
Le sue mani erano scivolate sul suo grembo. Nessuna parte di lui mi stava sfiorando, eppure non era mai stato così vicino.
Ero quasi certa che fu la notte malandrina, che aveva svelato tutti i segreti e mi aveva resa più sensibile, che mi spinse ad avvicinarmi a lui.
Socchiusi gli occhi, mentre mi avvicinavo e gli sfioravo timidamente le labbra con le mie.
Appoggiai incerta le mani sulle sue spalle e provai a metterci più pressione.
Sentire il suo respiro caldo mi spaventava leggermente e mi destabilizzava, ma non mi fermò.
Nathan aveva delle labbra morbide.
Non si direbbe dato che sono sottili.
Quasi sobbalzai quando sentii le sue mani sui miei fianchi e le sue labbra muoversi sulle mie.
Lui piegò leggermente la testa e si strinse ancora più a me.
Quasi per riflesso schiusi le labbra e ciò gli permise di approfondire il bacio.
Spalancai gli occhi, di cui non mi ero resa nemmeno conto di aver chiuso, per la sorpresa e mi allontanai da lui.
«Scusa, non... Non l'ho mai fatto.» sussurrai a testa china e in imbarazzo.
Ero sicuramente rossa. Fortunatamente era buio.
Eravamo così vicini che forse potevo sentire anche il suo cuore battere.
Sentivo ancora la pressione della sua lingua sulla mia e non sapevo se la cosa mi fosse piaciuta o meno.
«Fattelo dire dal tuo maestro, fino ad ora te la sei cavata benissimo.» replicò lui.
La sua voce suonava roca e tremolante.
Strana.
Lo guardai in faccia, ma lui distolse lo sguardo.
Poi si nascose il volto con il braccio.
«Non mi guardare.» disse. «altrimenti mi dimentico tutto e io devo ricordarmi tutto per quando sarò sveglio.» sussurrò.
Quella reazione mi fece ridere.
«Okay, se è tutto un sogno, allora passiamo al secondo round. Voglio imparare a fare la cosa che mi ha fermata prima.» dissi.
Allungai le mani e lo presi per il colletto della maglietta, avvicinandolo a me e costringendolo a togliere il braccio.
Mi fermai a pochi centimetri da lui e lo guardai da vicino.
Oltre ai suoi occhi chiari il resto era buio.
Mi sentii il volto in fiamme e i brividi. Ma non di freddo.
Fu lui ad annullare le distanze quella seconda volta.
Una seconda chance in cui mi lasciai andare di più alle emozioni e al trasporto e, soprattutto, smisi di pensare.
Lasciai che il mio cervello si liquefacesse e che altro prendesse in mano le mie articolazioni.
Nathan tentò un approccio più profondo una seconda volta e questa volta provai a ricambiare.
Era delicato, curioso e molto, molto, molto appassionato. Così come lo ero anche io.
Socchiusi gli occhi, ritrovandomi le sue ciglia lunghe che tremolavano sui miei sigomi, non mi sembrava reale.
Li richiusi e lasciai che il bacio si prolungasse, perché ci stavo prendendo veramente gusto.
Fu lui il primo a staccarsi e quando lo fece non ebbi il coraggio di riaprire gli occhi.
Ero senza fiato e il sapore di lui persisteva ancora in bocca, per non parlare della pressione fantasma sulle labbra.
Piano piano ripresi consapevolezza di ciò che era appena successo e mi sentivo davvero di fuoco.
«Tutto okay?» chiese lui incerto.
Annuii, ma senza rispondere o guardarlo.
Lui si sciolse da me lentamente, poi si alzò dallo sdraio.
Non accennai alcun movimento.
«Emh... Io... Credo che andrò a dormire.» lo sentii commentare. Poi lo sentii allontanarsi e richiudersi la porta sul retro.
Rimasi ancora lì per qualche minuto, aspettando che le gambe di gelatina ritornassero ad essere capaci di sostenermi.
Oh, santo cielo!
Ho baciano Nathan Cray! Ho baciato Nathan Cray e mi è piaciuto un casino!

Quando la mattina dopo mi risvegliai, immaginai che fosse stato tutto un sogno. O forse cercai di convincermene.
Ma quando, dopo essermi preparata il più lentamente possibile, scesi al piano di sotto a tavola e i nostri sguardi si incrociarono, lui mi fece un sorriso imbarazzato e io capii che non era stato un sogno.
«'Giorno.» disse distogliendo lo sguardo appena.
Aveva ancora i capelli biondi arruffati dalla notte e dei baffi di latte sopra il labbro superiore.
E io la sera prima le avevo baciate...
Forse era meglio far finta di niente?
«Ciao, Nate...» replicai sedendomi su uno sgabello aggiuntivi attorno al tavolo della cucina.
Eloise e Rose che stavano chiacchierando affianco a lui si bloccarono di colpo e mi guardarono con espressione scioccata.
Anche Tiara dietro di me aveva fermato il suo intento di versarsi dei cereali per guardarmi.
«L'hai chiamato per nome» fu Nick a commentare stupito, che si trovava appoggiato dietro all'anta aperta del frigo.
«Per diminutivo in realtà.» aggiunse Tiara stupita.
Arrossii.
«C-che c'è di strano? È il suo nome no?» borbottai per poi concentrarmi sui cereali.
«E poi hai salutato lui prima di tutti noi.» notò anche Rose.
Ma che, ora sono diventati tutti detective?
Fatevi gli affari vostri!
Rispondere così sarebbe stato più da me, ma mi sentivo comunque in dovere di giustificarmi, così dissi:«Lui è l'unico che mi ha salutato»
Rose ed Eloise si guardarono a vicenda poi iniziarono a torchiare Nathan con lo sguardo.
Lui le ignorò e basta.
«Che c'è di strano in tutto ciò?» chiese una voce nuova.
Ci voltammo tutti per vedere la figura meravigliosa di una donna splendida posta sull'uscio della porta.
Aveva i capelli raccolti in una semplice coda alta e un vestito aderente color panna che contrastavano con i tacchi neri. Il trucco metteva in risalto il suo viso sottile, quasi affilato, e i grandi occhi cobalto.
La donna aveva già sistemato la giacca scura sull'attaccapanni accanto all'entrata, quindi forse era lì da un po'.
Assurdo che nessuno di noi se ne fosse accorto.
«Courtney Young» boccheggiò Rose stupita.
«Tesoro, non è carino tenere la bocca così aperta per una ragazza.» commentò la donna facendo arrossire la mora.
Poi il suo sguardo corse su noi ragazzi, uno ad uno finché non si aprì in un ampio sorriso.
Allargò le braccia.
«Non vieni ad abbracciare la tua futura cognata, Nicholas?» esclamò vedendo Nick.
«Emh, lascio che lo faccia Eli» commentò il ragazzo imbarazzato richiudendo il frigo. Ma rimase lì, fuori portata grazie al tavolo attorno la quale eravamo seduti tutti noi.
«Solito scontroso, comunque sia, non mi aspettavo tutti voi. L'ultima volta mi avevano detto sareste stati in quattro...»
«Courtney» la interruppi alzandomi e raggiungendola, guardandola con occhi sgranati e dimenticandomi tutti i problemi che mi facevo prima. 
Oh, mio Dio! Una delle più famose Imperium del fuoco dell'esistenza della B.L.C. davanti a me! La famosa Fenice! La Luogotenente più giovane di Susan Blackwood! Le sue fiamme rappresentano la vita e la rinascita e io voglio sapere tutte le sue tecniche segrete!
«Già, tu sei la piccola Barker, giusto?» chiese sorridendomi.
«In realtà ho sedici anni» mi affrettai a precisare.
Lei sorrise ancora alla mia affermazione.
«Fammi indovinare, vuoi conoscere qualche tecnica segreta» mi disse divertita.
Non riuscii far altro che annuire mentre il mio corpo vibrava dall'emozione.
Prima che potesse dirmi altro, la donna venne distratta da una nuova presenza nel salotto.
Eli era appena rientrato in casa e quasi venne buttato a terra dalla sua fidanzata che gli saltò addosso.
Le effusioni amorose furono tali che mi spinsero a distogliere lo sguardo imbarazzata.
«Avremo altre occasioni per parlare con Courtney. Ora dobbiamo andare» disse Nick mettendomi una mano sulla spalla.
Il mio cuore palpitò velocemente alla sua vicinanza.
«Michela purtroppo oggi non ci può raggiungere, ma ci siamo fatti dare un indirizzo. Oggi ci affideremo a Google maps» mi annunciò Nick.
Eli e Courtney ci salutarono appena, presi com'erano a chiacchierare sul divano.
Ci rimasi un po' male. In fondo mi aspettavo un po' più di collaborazione da due ex leggende come loro due, ma avevano preso seriamente il loro ritiro da questo mondo.
Non ci avrebbero aiutato con la missione, era solo nostra.

«Ora ci dite perché Milano è così importante e perché dobbiamo andarci a tutti i costi? Perché non credo alla balla del turista emozionato» chiese Tiara a Nick mentre aspettavamo la metro per arrivare al Duomo.
Nick guardò Nathan che stava giocando con un cubo di Rubik con più delle classiche nove caselle per faccia, seduto su una delle tante panchine poste affacciate sui binari.
«Non guardare me. Io ho istruzioni leggermente diverse dalle tue.» commentò lui senza neanche restituirei l'occhiata.
Notai che i suoi capelli erano tornati a posto da soli.
Non aveva bisogno di pettinarsi quel ragazzo?
«Prima o poi ve l'avrei detto.» iniziò lui passandosi entrambe le mani sui capelli neri nervosamente.
Un rombo assordante, simile ad un incrocio tra un ululato meccanico e un ruggito d'orso, annunciò l'avvicinamento del treno, costringendo Nick a rimandare.
In piedi, dentro quei stretti corridoi del mezzo, non potemmo nemmeno parlare tra di noi e quando uscimmo c'era troppo casino.
Così uscii più in fretta possibile, seguendo la massa di gente.
Attesi che gli altri mi raggiungessero e poi lasciai i sotterranei.
Per mezzo secondo, non riuscii a vedere nulla per via del sole di mezzogiorno, ma poi la mia vista mise a fuoco una grande piazza gremita di persone. Loro, i pali e i piccioni, contribuirono a rendere più magica la grandissima cattedrale davanti a me.
Solo la sua facciata chiara, dai portoni scuri e dalle centinaia di statue brillanti.
Mi emozionai a vedere qualcosa di così simbolico e bello.
«Ostruisci la strada.» commentò Tiara dietro di me, divertita dal mio stupore.
Mi spostai più al centro, stringendo le bretelle dello zainetto, ancora troppo emozionata.
«È tutto così bello!» esclamai.
Poi anche il resto mi apparve chiaro. Attorno alla piazza del Duomo di Milano, si estendevano una schiera di edifici che lasciavano spazio ad esso e allo stesso tempo lo accerchiavano come degli adoratori di una divinità.
«La maggior parte delle città d'Italia sanno si antico» commentò Nick affiancandomi.
«Per questo sono tutte così belle da togliere il fiato. È la bellezza di secoli di storia.
Le nostre città sono molto più recenti e hanno bellezze diverse.» commentò.
Non aspettai gli altri e iniziai ad allontanarmi per conto mio in esplorazione.
«Arianne!» mi chiamarono, ma ormai ero troppo presa ad avanzare verso uno dei vicoli.
Ignoravo bellamente i negozi di vestiti, ma trovavo affascinanti i vari bar che vendevano dolcetti di qualsiasi tipo.
La carta di credito fornita dalla B.L.C. sembrava non avere limiti per questo genere di cose e io ero immensamente felice per ciò.
Poi la gente era tremendamente gentile.
Diventai così imbottita di delizie che, mentre camminavo per un mercatino all'aperto con un sacchetto di quella specie di pizza piegata e in mano quello che chiamavano Cannolo siciliano, mi resi conto di essermi separata dagli altri.
Recuperai a fatica il telefono dalla tasca posteriore dei miei jeans e realizzai che era schifosamente scarico.
Cercai di ritornare sui miei passi ma non facevo altro che inoltrarmi di più tra gli stand. Poi, ad un tratto, mi ritrovai in un vicolo ancora più stretto che aveva un vago odore di urina.
Sicuramente avevo sbagliato strada, mi voltai per tornare indietro e quasi rischiai di andar a sbattere contro un uomo.
«Scus...» iniziai, ma le parole mi morirono in gola.
Lo fissai e lui fissò me.
Ci misi un po' a collegare tutti i punti. Non potevo essere così fortunata!
Bit iniziò a fuggire immediatamente e io lo seguii di corsa con qualche secondo di ritardo per via della sorpresa.
Correva spintonando la gente e buttandomi addosso ogni cianfrusaglia degli stand, sotto le grida e proteste della gente.
Quando rovesciò un tavolo di palle di vetro, lo evitai per un pelo saltando agilmente attraverso il chiosco delle castagne.
Non badai le persone attorno a me, mi limitavo a superare gli ostacoli e a stare dietro al ricercato con la determinazione di un predatore.
Non conoscevo abbastanza il luogo da poter tagliare le strade per poterlo prendere di sorpresa.
Lui continuò a correre, uscendo dal mercatino e inoltrandosi in una via di trattorie. Diede un poderoso calcio ad un tavolo che volò nella mia direzione.
Lo evitai ad un pelo dal naso, mentre andava a schiantarsi alle mie spalle.
In quella via c'era troppa gente, attirata da alcuni artisti di strada. Molti presero Bit per un fenomeno da baraccone e applaudirono entusiasti quando compì un salto mortale per evitare una donna con il passeggino. 
Più avanti notai degli uomini intenti a trascinare alcune merci verso un ristorante. 
Lui era troppo veloce e non riuscivo a raggiungerlo senza attaccare. Accelerai la corsa e ad una distanza buona premetti l'indice e il medio sulle labbra. Poi soffiai.
Una lingua di fuoco eruttò dalle mie dita, allungandosi con il mio fiato fino a raggiungere Bit. Ma lui lo evitò come previsto. Le fiamme colpirono le merci degli uomini che presero fuoco. Bit, con la strada ostruita da un muro di fuoco sterzò bruscamente, rischiando di cadere.
Credendo che ormai fosse fatta, cercai di raggiungerlo con un unica accelerata. Balzai in aria, tirando in dietro la gamba per poterlo colpire di punta, quando qualcosa mi prese  duramente il mio fianco e venni scaraventata lontano.
Il dolore era allucinante e sbattei ripetutamente le palpebra per riprendere contatto con la realtà.
Le voci della folla nel panico mi giungevano ovattate, così come il rumore dei loro piedi. Facevano tremante il terreno come una mandria inferocita.
Altri tre uomini erano comparsi e accerchiavano Bit. Non capivo se fossero suoi alleati o altri nemici.
Mi rimisi in piedi e ingoiai un lamento.
«Lui è mio!» esclamai.
«Non è lui che vogliamo» disse l'uomo davanti a tutti.
Alto, spalle larghe e con il volto pieno di cicatrici di ogni tipo. I capelli erano così corti a far intravedere la cute tra quei peletti neri.
«Cosa volete?» chiesi mettendomi in guardia.
Ero spericolata, ma sapevo anche il che avevo bisogno di rinforzi in quel momento.
Provai a raggiungere il mio bracciale, in modo da poter chiedere aiuto, senza che quelli se ne accorgessero. Quando vidi la lucina rossa lampeggiare fui tentata di sorridere: erano in arrivo.
«Solo l'Element.» affermò.
Cercai di non dare a vedere il mio stupore.
«Io non ho nessun Element» sibilai.
Dovevo procrastinare, in modo da dare tempo agli altri.
«Oh, sì che ce l'hai» sorrise sinistro prima di tuffarsi verso di me, seguito a ruota dagli altri.
Mi creai un muro di fuoco per rallentarli, ma quelli lo superarono a testa china come tori imbizzarriti.
Dopo essere stata inseguitrice, toccò a me a scappare.
Il terreno si smosse ai miei piedi e prima che fossi troppo lontana caddi a faccia a terra.
Un altro dei cattivi fu sul punto di saltarmi addosso con dei pugni di terra, ma riuscii a rotolare via. Si sfracellò violentemente al terreno, spaccando persino la ghiaia.
Quel secondo uomo gigante dalle sopracciglia ad ala d'aquila e le dimensioni di una palla da bowling gigante mi sorrise sinistro.
Qualcuno mi prese per una caviglia e mi sollevò a centrifuga, per poi lanciarmi violentemente contro dei tavolini e delle sedie.
Ero totalmente intontita e mal mi capacitavo del mio dolore fisico.
Delle sirene iniziarono a suonare, mano a mano in avvicinamento, ma ciò non fermò quei tre uomini a ricaricare.
Afferrai velocemente una sedia e ci infusi tutto il mio calore, poi lo lanciai contro gli avversari.
Quello alto che mi aveva centrifugato lo prese in pieno petto e la forza dell'impatto lo fece sbattere addosso al compagno tondo.
Il capo banda dalla faccia piena di cicatrici si bloccò prima che potesse entrare nella mia area di tiro. Poi tirò fuori da dietro la cintura una pistola e me la puntò contro.
Fui così sconvolta che rimasi paralizzata.
«Vediamo come te la cavi con una arma da fuoco, piccola Ignis bruciante» sibilò facendo scattare la sicura.
Ma prima che potesse solo fare qualcosa, venne intrappolato in una sfera d'aria.
Mi voltai e guardai Nick con sollievo.
«A te ci penso dopo» mi disse severo.
Ero sul punto di raggiungerlo, concentrato a intrappolare l'uomo cicatrice, che notai le due figure dietro di lui, pronto ad attaccarlo a tradimento.
In poche falcate lo aggiunsi e lo abbracciai, in modo da poter ricevere io tutto il colpo. Strinsi gli occhi e l'abbraccio, il cuore che urlava e la voce zittita dalla paura.
Paura perché Nick potesse essere ferito.
Un onda d'urto fece scappare l'elastico dai mie capelli, liberandoli in aria.
Quando ebbi il coraggio di aprire gli occhi, ero ancora stretta a Nick, con la guancia premuta contro la sua schiena.
Nick teneva le braccia allargare, come a tenere separati due muri in avvicinamento di una trappola.
Mi staccai sorpresa, rendendomi contro di trovarmi in una cupola di onde d'aria.
Il mondo esterno approva distorto, come se fosse appeso dietro una lastra di vetro.
I tre uomini erano a terra, oltre alla barriera eretta da Nick.
«Non farlo mai più.» disse Nick voltandosi verso di me, le ciglia corrugate dalla preoccupazione.
Le pupille degli occhi chiari sembravano voler inghiottire tutta l'iride grigia e le guance erano rosee dalla fatica.
Al collo pendeva ancora l'Element.
Ma in quel momento nulla mi interessava se non lui.
Presi il suo volto tra le mani e lo baciai.

Angolo Autrice

Capitolo più lungo del solito per farmi perdonare...
Ma finalmente ho finito gli esami e spero di non arrivare più in ritardo.

Comunque sia, solo io penso sia un po' trash questa storia? Dilemmi amorosi da serie tv scadenti per teenager...

Ma poco importa, commenti particolari su questo capitolo?
Vogliamo mollare delle opinioni sui baci? Sulla missione? Su Courtney?
Ditemi tutto ciò che vi passa per la testa.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top