58. Jase: In conclusione

Silenzio. C'era un tale silenzio in camera sua.
Nessuno l'aveva toccata dopo che l'aveva distrutta.
Diedi un calcio a quello che un tempo era un libro e quello si sbriciolò.
Sapevo che aveva una storia magnifica quel libro, ma era pur sempre fatto di carta. E la carta si rovina per un nulla.
Sospirai e mi voltai, dando le spalle a quella desolazione.
Camminai, con l'intento di raggiungere la Serra, l'unico posto della Base che mi desse un qualche tipo di tranquillità.
Conoscevo quei corridoi, quelle scale e quegli ascensori a memoria, così bene che i miei piedi si mossero da soli. Le pareti non mi erano mai sembrate più bianche e le stanze non erano mai state più vuote. Un senso di depressione avvolgeva quel luogo.
Se n'erano andati tutti.
Un gruppo di scienziati che chiacchieravano animatamente tra loro mi tagliò la strada, proprio mentre mi stavo posizionando davanti all'ascensore. Forse non proprio tutti.
Ero quasi sorpreso di vederli, avendo passato gli ultimi giorni isolato ed evitando le persone.
Quando le porte dell'ascensore si aprirono, vi entrai e premetti il numero del piano corretto senza nemmeno guardare.
Pensai a Joy, che aveva lasciato tutto alla Base per seguire Sophie a San Francisco. Voleva darle un luogo sicuro al suo risveglio. Ad un risveglio senza più il suo passato.
Sophie era ufficialmente scomparsa l'inverno precedente assieme a sua madre. Avrebbero semplicemente raccontato che era stata ritrovata e con gli Stati Uniti che si stavano ancora riprendendo dall'attacco catastrofico di Susan, le autorità della California non si sarebbero fatte troppe domande.
Il padre di Sophie aveva deciso di dimenticare, dopo aver saputo della delicata situazione della figlia. Stessa sorte era toccata alla sorella adottiva di Sophie.
Un totale volta pagina per la famiglia Hunter.
Theresa era ufficialmente ancora scomparsa, ma si sapeva che avevano ormai interrotto le ricerche e perso le speranze.
Jo mi aveva chiesto di andare con lei, ma non sarei riuscito a spiegare la mia improvvisa presenza nella sua vita. Non mi conosceva e Jo non aveva mai raccontato niente di me prima del nostro ufficiale incontro. E il fatto che avesse un fratello, non poteva interessare più di tanto a lei che si era appena svegliata da un rapimento e un vuoto di memoria lungo nove mesi.
Dovevo darle tempo per riprendersi.
Uscii dall'ascensore e presi il corridoio davanti a me. Un'unica figura che mi accompagnava nel breve tratto che mi separava dalla porta che mi portava alle scale che dovevo prendere.
La riconobbi come la mia ex, un volto che pensavo di non rivedere più.
«Courtney» la chiamai stupito, per essere certo di averla vista bene. La ragazza si voltò verso di me spaventata, come se fosse stata colta sul fatto. Mi resi conto che ci trovavamo davano alle porte dell'unica palestra della terra che si era salvata dalla distruzione di Sophie. Le porte scorrevoli erano chiuse, ma dalla vetrata si riusciva ad osservare l'interno.
Courtney si portò le mani dietro la schiena di scatto.
Il volto era arrossato dall'imbarazzo e gli occhi cobalto erano sgranati come quelle di un bambino. Ma la cosa che aveva attirato la mia attenzione era la mancanza della deturpazione. Lei si era fatta curare.
Inoltre quell'espressione sul suo volto mi rimandava ai vecchi tempi.
«James!» esclamò lei imbarazzata.
Inarcai un sopracciglio. Quel comportamento mi era estraneo. Estraneo dalla Courtney che conoscevo io.
«Ti sei fatta curare.» notai.
«Sì. Ho realizzato che stavo facendo un torto a me, ascoltando il mio orgoglio. La mia bellezza serve per far sentire bene me stessa e io voglio sentirmi bene.» affermò velocemente, quasi si fosse imparata la battuta a memoria.
«Inoltre...» mi mostrò le mani. «Posso di nuovo suonare. Forse mi cambieranno terapia grazie alla musica.» affermò sorridendo appena.
«È una notizia meravigliosa!» esclamai abbracciandola velocemente.
Lei si guardò intorno, come se temesse che qualcuno ci vedesse. Lo feci anche io, incuriosito dal suo comportamento anomalo.
«Che stai facendo?» le chiesi. Non trovavo il motivo per la quale la ragazza si dovesse trovare in questo piano della Base e nemmeno per la quale fosse così sospettosa.
Il mio sguardo attraversò la vetrata, cercando qualcosa che mi potesse suggerire la causa del comportamento di Courtney.
Poi lo colse.
«Niente! Me ne stavo tornando nella mia sala terapia. PonyBlu sta per essere incoronato principe.» disse in fretta abbassando lo sguardo.
«Cercavi Eli.» dissi certo delle mie parole.
«Non lo cercavo.» protestò.
«Volevi informarlo della tua guarigione.»
«Così non mi avrebbe più rotto le scatole con le sue filosofie da quattro soldi!» esclamò, confutando la risposta precedente.
Non credevo ad una sola parola di quel che aveva detto.
«Solitamente i ciechi sono saggi.» intervenne una voce dietro la ragazza che la fece sussultare. Le porte della palestra si erano aperte senza che lei se ne accorgesse.
«Tu sei un'eccezione, allora.» protestò la ragazza arrossendo.
«Uh, okay.» affermò tranquillamente Eli.
«Mi cercavate?» chiese passandosi una mano sulla fronte sudata.
«Oh, no. Lei ti cercava.» dissi con un ghigno sul volto.
Courtney mi guardò oltraggiata. Vedere quello sguardo rivolto a me e, soprattutto, da parte sua, era un'altra novità.
Eli attese che la ragazza dicesse qualcosa, ma lei boccheggiò senza emettere alcun suono. Le diedi una leggera spinta sulla schiena che la fece avvicinare al ragazzo.
«Mi hanno detto che hai deciso di andartene.» disse la ragazza tutto ad un fiato dopo avermi scoccato un occhiataccia. Novità su novità.
«Oh! Le voci corrono, eh?» rise intrecciandosi le dita dietro la nuca.
«Dove andrai da solo?» proseguì la Fenice acquisendo sicurezza.
«Pensavo di iniziare dall'Europa e viaggiare verso Oriente. Poi magari ritornare indietro.» affermò Eli tranquillamente.
«C'è così tanto da vedere in viaggio, non puoi andarci da solo.» insistette Court.
«Ma io ci vedo...»
«Non dire cazzate, non ci vedi. Non vedi i colori, non vedi le emozioni dei paesaggi. Hai bisogno che qualcuno ti faccia da occhi. Quindi verrò con te.» disse l'Imperium del fuoco senza tanti giri di parole, spiazzando completamente il ragazzo.
«Credimi, non ne ho...» provò a iniziare il ragazzo alzando i palmi.
«E se tu vedrai con la tua vista interiore qualcosa di più bello, farai da occhi a me. Così potremo veramente vedere tutto di questo viaggio.» affermò la ragazza esplicitamente. Sorrisi.
«Amico, non puoi dire di no.» dissi ad Eli, passandogli accanto, dando una pacca sulla sua spalla. Li sorpassai per lasciarli soli e mi diressi verso le porte.
«Devo partire tra due settimane, pensi di riuscire a convincere il tuo medico curante che sei pronta per un viaggio?» sentii dire Eli.
«Tu sarai la mia cura, ovviamente accetterà!» replicò la ragazza con un curioso tono gioioso e felice. Non lo era da molto tempo, ed ero contento per lei.
Mi chiusi la porta alle spalle.

La Serra era vuota, come sempre. Il profumo delle erbe mediche mi rilassava il corpo, anche se la mente era ancora un tumulto di pensieri, più negativi che positivi.
La mia pateticità in quel momento era a livelli estremi. Un ragazzo. Appena diciottenne, a piangersi addosso per un cuore infranto.
Un ragazzo che aveva girato il continente nuovo, che conosceva il kung fu e sapeva dominare il fuoco e l'acqua. Un ragazzo che un tempo era conosciuto per la sua spavalderia, sarcasmo, una maschera odiosa e meschina. Quel ragazzo era un fuoco sempre ardente, ma in quel momento era spento e fievole come la debole fiammella di un fiammifero acceso nel freddo inverno.
Mi sdraiai sulla panchina e fissai l'albero che portava alla finestra della camera di Sophie. Quello che consideravo il nostro albero.
Un albero sul quale non sarei mai più salito. Una camera che non sarebbe mai più stata sua.  
«Come sei deprimente, Sharp.» dissi a me stesso. Presi un profondo respiro.
«Sapevo che ti avrei trovato qua.» disse la voce di Max.
Voltai la testa e lo vidi con un tablet in mano, un taccuino nell'altro, le penne infilate nel taschino del camice bianco, gli occhiali da vista appesi al collo e un paio di occhiaie sotto gli occhi a mandorla.
«Ti porti il lavoro ovunque.» dissi accennando agli oggetti che aveva in mano.
«Devo.» sospirò.
«Mi cercavi?» chiesi appoggiando il piede sinistro sul ginocchio e le mani dietro la testa, fissando a occhi socchiusi gli specchi che riflettevano la luce solare artificiale della Serra. Il profumo dei fiori mi accarezzava le narici e quasi mi immaginavo una fresca brezza che mi scompigliasse i capelli. Per un momento, mi immaginavo all'aperto, su un prato ad ascoltare uccelli canterini al posto della realtà di Max.
Lui tirò fuori dalla tasca posteriore dei pantaloni un oggetto che avevo imparato ad odiare col tempo.
«Posso cancellartela, se vuoi. Me lo hanno appena rispedito.» mi disse seriamente.
Ridacchiai.
«Max, non è la memoria che mi fa soffrire. Poi non lo farei mai, non mancherei di rispetto alle persone che sono morte. Lo so che mi capisci.» sospirai mettendomi a sedere.
«Poi non funzionerebbe. Mi legherei troppo a qualcosa, come al solito, e il Flash sarebbe vano.» dissi prendendo l'oggetto dalla mano del dottore. Lo feci roteare sulle dita.
«Però potresti andare da lei senza mentirle. Ti peserebbe meno.»
«Non mi importa quante volte si dimenticherà di me. Sono abbastanza intelligente e con una grande memoria da ricordare per entrambi. Mi basta sapere che la amo e che si innamorerà ogni volta di me, come prima, come adesso e in un modo tutto nuovo, così come io la amerò ogni secondo di più.» guardai Max che mi osservava con un'espressione addolcita. «Chi se ne frega se sembro sdolcinato. Sono cose che chi non ha provato non può capire.» dissi stingendo la presa sul Flash.
Max non mi rispose. Posò lo sguardo sull'oggetto che avevo in mano come feci io.
«Un' invenzione geniale, Max. Ma ha causato più problemi che risolverli.» cambiai argomento freddamente per non rimanere in silenzio.
«Per questo ne esiste solo uno. Ho fatto sparire i progetti tempo fa, prima di unirmi a Susan per evitare che ripetessero l'operato. Io stesso non ricordo più i passaggi corretti per crearlo.» affermò lui.
«E anche scoprire l'Element è stato un casino assurdo. Possibile che tutto ciò che sembravano soluzioni per un futuro migliore si sono rivelati clamorosi fiaschi?» chiesi lanciando l'oggetto in aria e riprendendolo. Maneggiare con tanta noncuranza qualcosa di così importante mi faceva temere di meno l'oggetto stesso.
«Forse per l'essere umano non è ancora giunto il momento di evolversi. Di liberare il resto novanta per cento delle sue potenzialità» affermò Max.
«Perché dici questo?» chiesi.
«Perché è quello che penso, prendi L'Element per esempio.» affermò facendosi spazio sulla mia panchina. «L'Element è troppo potente per noi, ci toglie ogni grammo di ragione, non riusciamo a dominarlo. Essendo l'elemento primordiale sblocca solamente la parte del nostro cervello legata alla natura. Capisci? Ma abbiamo bisogno di esso per legarci alla natura. Senza non siamo niente. Siamo sempre noi. Ed è solamente il due per cento della nostra mente. Cosa accadrebbe se si sbloccassero tutte le altre parti?» affermò scattando nuovamente in piedi e camminando avanti e indietro, colpito dalla sua solita parlata geniale alla quale facevo fatica a seguire persino io.
«E quando pensi che saremo pronti? Ad accogliere l'Element in tutto il suo potere intendo» chiesi.
«Forse mai. L'uomo è troppo legato ad una cosa. Una cosa potente e debole allo stesso tempo. È questa cosa che fa da muro.» disse misteriosamente.
«Cosa?» chiesi curioso.
«I sentimenti.» rispose «Hanno una proprietà incredibile. Sono la causa di atti più coraggiosi, miracolosi e incredibili compiuti dall'uomo nella storia, ma senza quelli probabilmente accoglieremmo meglio l'Element, perché si ciba di quelli.» disse serio.
«Io sono stato sottoposto all'Operazione. Ma sono ancora capace di amare»
«La dose da te assorbita è minima. É come chiedere ad una formica di divorarsi un intero pacchetto di zucchero da sola. Non ci riesce da sola.»
«Che metafora scema» commentai.
«È saggezza orientale» replicò.
«Certo come no.» borbottai «allora è meglio non evolversi. I sentimenti ci rendono umani dopotutto» riflettei.
«Forse hai ragione» commentò.
Max mi guardò con affetto.
«Hai pensato a cosa fare d'ora in poi, quindi?» mi chiese lui alzando lo sguardo su di me.
«Intendi come lavoro?» chiesi annoiato.
«Sì, potresti restare al mio fianco, iniziare a studiare qualcosa di particolare e poi sistemarti. Ora puoi farlo.» mi disse con un sorriso.
Feci un'alzata di spalle.
«Non ci ho mai veramente pensato.» ammisi. E, a dirla tutta, non ci volevo nemmeno pensare.
«Ho intenzione di continuare il progetto sugli Imperium. Ma d'ora in poi saranno solamente volontari.» disse risoluto.
«Abbiamo molti Iniziati, comunque. Hanno bisogno di guide e molti Mentori sono periti durante questa guerra...»
«So dove vuoi arrivare, Max.» dissi con un sorriso.
«Non sono adatto a fare da babysitter.» lo anticipai.
Max rise, poi mi disse: «Promettimi che ci penserai.».
Annuii. Ma dissi:« Forse» strappando un sorriso al capo della B.L.C. e un leggero scuotere della testa.

Il mio telefono squillò interrompendo la tranquilla conversazione. Risposi senza nemmeno guardare.
«Ciao Jase!» esclamò la voce di Jo un po' alterata. Forse era in viva voce.
«Joy.» risposi. «Hai bisogno?»
«Non posso chiamare mio fratello per pura voglia di sentire la sua voce?» chiese lei con un tono allegro.
«Con chi stai parlando?» chiese una voce dal sottofondo. Il mio cuore iniziò a battere più velocemente non appena la riconobbe prima della mia mente.
«Mio fratello, sai te ne ho parlato prima.» esclamò mia sorella.
«Ah, quello con cui non parlavi più da tempo ma con il quale ti sei riconciliata di recente?»
Quasi sorrisi a quello scambio di parole. Non era una bugia quello che le aveva detto. Anche se non la verità. Ci sapeva fare mia sorella.
«Proprio lui.» replicò.
«Okay, salutamelo. Io intanto vado a cercare dei fogli bianchi, possibile che non ci sia niente in questa camera?» la sentii borbottare mentre si allontanava. Seguì il tonfo di una porta chiusa. Immaginai le ragazze nella camera dal letto della casa di San Francisco e studiare idiozie Popolane, nella loro nuova e tranquilla vita.
«Grazie, Joy.» sussurrai capendo il motivo per la quale mi aveva chiamato.
«Pensavo che magari la sua voce potesse farti sentire meglio...» disse lei con la voce che tornava ben udibile, confermando che il vivavoce era stato spento. «Mi hanno detto che sembri un' anima in pena dell'Ade negli ultimi tempi.» mi disse con tono da presa in giro.
«Chi te l'ha detto? Max?» chiesi fissando male il capo della B.L.C. accanto a me.
Lei rise dall'altro capo del telefono.
«Oh! James Sharp che ammette le sue debolezze?! Questa sì che è una novità! Comunque no, me l'ha detto Seth.» affermò lei.
«Frost? È ancora in giro? Non l'ho visto.» finsi disinteresse.
«Molto divertente. Ah ah ah. Come se la sta cavando con il suo nuovo lavoretto?» mi fermò sul nascere.
«Steel lo fa sgobbare, ma fino ad ora non l'ho sentito lamentarsi. Ma non so niente di preciso dato che non me ne frega.» replicai annoiato.
«E tu? Non pensi di trovare un lavoro anche tu? Oppure vuoi andare a scuola? Tecnicamente non esisti come persona per gli Stati Uniti, dato che i tuoi documenti sono falsi.» mi precisò.
«Esisterò.» mi limitai a dire. «Tu pensa al tuo diploma, alla ricostruzione della Base 5 e a lei.» affermai con un tono fintamente seccato che la fece sbuffare irritata come previsto.
«L'altro giorni mi hai chiesto cosa volessi fare io. Mi sembra giusto ricambiare»
«Ma tu non hai saputo darmi una risposta.» le feci notare.
«Ora te la dò. Vorrei essere una mentore.»
«Tu odi i bambini.» mi trattenni dal non riderle in faccia.
«Non è vero! Insomma, non totalmente.» Pausa. «Non più, okay? Ho avuto la possibilità di conoscere meglio alcuni degli Iniziati, e beh... Ho molto da insegnare loro.» sbottò.
«Cosa potresti tu insegnare loro?» chiesi sarcastico con tono da scherno.
«Ma sta zitto tu. Indeciso perenne e vieni a criticare me.» sbuffò infastidita.
Una foglia dell'albero cadde sul mio naso. Lasciai che scivolasse sul pavimento bianco. Una prima macchia gialla che annunciava l'autunno.
Dall'altro capo del telefono sentii nuovamente la sua voce chiamare mia sorella.
«Va bene, brontolona. Sto zitto, okay? Segui i progetti degli architetti, ascolta la McFingers e tratta bene i piccoli Iniziati. Ci sentiamo.» affermai prima che potesse saltarle in mente l'idea di passarmela. Non volevo parlarle così per la prima volta. Praticamente le attaccai il telefono in faccia e la volta successiva se la sarebbe presa tantissimo.
Max era stato in ascolto tutto il tempo.
«È bello che il vostro rapporto si sia solidificato così in fretta nonostante la separazione.» mi disse l'uomo.
«Per Lucas invece è molto più difficile riallacciare i rapporti.» sospirò.
«Chissà quando lo rivedremo.» mormorai, sapendo che mancasse tantissimo all'uomo. Dopotutto l'aveva cresciuto come un figlio da quando aveva nove anni.
«Tornerà. Torna sempre. Dagli il tempo di metabolizzare le perdite. È sempre stato molto sensibile anche se non lo vuole fare a vedere.» sospirò.
Non risposi. Conoscevo bene Nox e se fosse stato per lui, avrebbe viaggiato per sempre alla ricerca della sua libertà, senza capire che il suo ideale di libertà non fosse completo. Ma magari arriverebbe a trovare una risposta prima o poi  e si sarebbe lasciato aiutare.
Fissai Max che lavorava sul suo tablet.
«Dovresti prenderti una vacanza.» affermai seriamente.
«Non posso. Almeno non finché il mio progetto non si sarà realizzato.»
L'idea di Max era semplice. Avrebbe coinvolto passivamente i Popolani, aprendo le nuove Basi a loro.
Per esempio, la Base 5 che era una scuola, si sarebbe aperta veramente alle persone normali, e avrebbe introdotto un nuovo corso di "tecnica moderna" dove avrebbe insegnato e spinto ai giovani prodigi verso una visione del progresso futuro. Il museo che c'era alla Base 3 sarebbe stato aperto per mostrare e prediligere  la scienza del futuro. Per le basi come Miami nelle città distrutte, al momento non si poteva far molto, se non mandare Imperium e medici della B.L.C. ad aiutare gli abitanti a riprendersi, curarsi e ricostruire le abitazioni.
Niente sarebbe tornato come prima, ma Max non voleva un come prima, lui mirava ad un futuro migliore.
Avrebbe sfruttato le reti tessute da Barker nel suo impero nero a suo favore, ribaltando la situazione. Non sarebbe stato più un dominio, ma più una collaborazione con i grandi capi.
Bisognava solo avere pazienza e tempo.
«Riposati qualche minuto.» insistetti vedendolo troppo affaticato.
«Non posso!» esclamò prima di venire soffocato da uno sbadiglio.
«Forse... Solo cinque...» non finì nemmeno di parlare che cadde in un sonno profondo con la testa ciondolante sul petto. Lo aiutai a stendersi sulla panchina.
«Mi hai rubato il posto per sonnecchiare, vecchio.» lo accusai con un sussurro, pur sapendo che non poteva sentirmi. Sospirai e lo lasciai a dormire lì.
Uscendo dalla Serra ripensai a che fare dopo le parole che mi avevano detto Max e Joy.
Non potevo sicuramente aspettare il momento giusto per presentarmi a San Francisco e basta. Qualcosa dovevo pur fare.
Ripensai a quando avevo conosciuto gli Iniziati, a come ricordassero me e gli altri a quei tempi. Ma non volevo che assomigliassero a noi. Forse potevo cambiare le cose e dare loro qualcosa che io e gli altri non avevamo avuto. Farli sentire accolti come io non ero mai stato. L'idea di me a fare da mentore a un gruppo di ragazzini era ridicola, ma non mi dispiaceva per niente. Potevano diventare tanti mini-James e il mondo ne sarebbe stato solamente giovato.
Decidi che avrei assistito a Max finché ne avrebbe avuto più bisogno di me. Se n'erano andati tutti e lui si era caricato tutto il peso delle conseguenze. Mi sembrava giusto sostenerlo e non abbandonarlo. Poi quando avrebbe avuto finalmente in mano la situazione, me ne sarei andato per la mia strada.
Deprimente. Ma almeno avevo preso una decisione. Non è mai facile prendere decisioni dopo il susseguirsi degli eventi catastrofici più grandi di te.
Osservai le mie mani chiuse a pugno. Le aprii entrambe e nella mia mano sinistra comparve un globo d'acqua che si cristallizzò in ghiaccio per poi evaporare direttamente; mentre nella destra, bruciava una fiamma iridescente. Le fiamme che bruciavano per le persone che amavo e alla quale tenevo poi dell'anima stessa vita. Finché bruciavano andava tutto bene. Chiusi le mani a pugno e ghignai al futuro, trattenni il passato nel cuore, ma tenevo il presente in mano.

Angolo Autrice

Cari Imperium! Questo è l'ultimo capitolo in assoluto! Quante cose sono successe fino a questo punto! Non so se essere felice o deprimermi! Nel dubbio, sarò entrambe le cose. 😭
È un vero piacere sentirvi arrivare alla conclusione dopo avermi seguita passo a passo. Ma ce ne sarà ancora uno che pubblicherò entro oggi. Preparatevi alla scena che ha dato inizio a questo libro!
Ho preso troppo seriamente la citazione del boccino d'oro "Mi apro alla chiusura" hahaha.

Qui sotto, i miei personaggi principali vi salutano! Anche qui... Piango o rido?

P.s. Sono ideogrammi cinesi e rappresentano rispettivamente Vento🌪, Acqua🌊, Terra e Fuoco🔥.

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