54. Jase: Natura morta
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Non si muoveva. Non respirava. Non dava alcun cenno. Persino la respirazione bocca a bocca non funzionava.
«Cercate aiuto! Un dottore!» esclamai alzando lo sguardo su Sophie. La ragazza mi guardava con espressione sconvolta. Vedevo le lacrime scendere dagli occhi lucidi e lasciare solchi sulle guance sporche.
Perché piangeva? Se lei piangeva rendeva tutto più reale.
Sophie strinse le labbra e scosse la testa appoggiandomi delicatamente una mano sulla spalla.
«No.» mormorai mentre stringevo a pugno la mano. Poi gliela battei forte sul petto.
«Svegliati brutto bastardo! Svegliati!» battei più volte il pugno, con violenza «Non ti permetterò di scappare di nuovo! Svegliati e rimani con me! Non puoi andare dove non ti posso raggiungere!» gridai furioso. Non stava accadendo veramente. Mi rifiutavo di accettare anche questo. «Se non ti svegli ti sfratto la casa e brucio i tuoi bonsai!» lo minacciai. Mi poteva sentire, ne ero convinto. Lui sentiva sempre tutto. Sentiva quello che a me sfuggiva. «Nox... Svegliati.» mormorai, perdendo improvvisamente tutta la furia. Alzai lo sguardo verso il cielo, notando le striature rosse e violette del tramonto.
«È quasi notte... La tua ora preferita...» abbassai la testa e mi chinai sul suo corpo. Le mie dita strette sulla sua veste iniziarono a tremare. «Ti devo ancora il favore di avermi salvato da me stesso, Lucas... Ti devo ancora ringraziare... Ti devo ancora chiedere scusa... Lucas, ti prego, svegliati.» mi stavano per venire le lacrime agli occhi dopo tanti anni. Avevo già perso troppo in questo mondo. Non potevo perdere anche lui. Non avrei mai accettato la sua morte.
«Non... Non. Chiamarmi. Lucas» disse una voce flebile.
La mia testa scattò in alto. Ero terrorizzato dall'idea di averla solo immaginata. Fissai il volto immobile di Nox, in attesa.
Il mio amico schiuse gli occhi dorati lentamente e cercò di rialzarsi. Lo aiutai in fretta mentre lui veniva preso da un attacco di tosse. Ispirò profondamente e tossì di nuovo.
«Mi hai spaventato a morte brutto scemo» sospirai sollevato. Tutta la tensione e la paura accumulata fuoriuscirono con quel sospiro. I muscoli tesi si rilassarono e il cuore mi divenne più leggero .
«Sì, ora però voglio le scuse, i ringraziamenti e il favore» scherzò.
«Grazie per essere tornato» mormorai dandogli un pugno sulla spalla. «Grazie di essere vivo.» proseguii. Il ragazzo si lamentò.
«Non lo rimarrò ancora per molto se mi maltratti così» mormorò. «Non riesco a muovere niente. Credo di essermi rotto tutte le ossa.» borbottò richiudendo gli occhi.
Risi. «Hai ragione. Cerco aiuto.» alzai lo sguardo su Sophie che aveva entrambe le mani sulla bocca con gli occhi piene di lacrime.
«Sei vivo!» esclamò commossa.
«Avete ragione, vado... Vado a cercare aiuto.» borbottò saltando in piedi.
Eli la seguì senza dire una parola.
«Non dormire ora. Non è il momento.» dissi scuotendo una spalla al ragazzo disteso che stava socchiudendo nuovamente le palpebre. Fece nuovamente una smorfia.
«Se mi hai riportato in vita per uccidermi con le tue mani, potevo rimanere lì.» sussurrò.
«Continua a parlare finché non arrivano i soccorsi. Rimani sveglio.»
«Peccato, pensavo di poter finalmente riposare.» mormorò con la voce sempre più flebile, sempre ad occhi chiusi.
«No. Finché ci sarò io nei paraggi tu non riposerai.» Nox tentò di ridere ma la sua voce venne smorzata da altri lamenti di dolore.
«Mi hai per caso baciato?» chiese.
«Consideralo un onore unico.» replicai.
«La prima cosa che farò quando mi avranno sistemato, sarà lavarmi la bocca una cinquantina di volte.»
«Bene. È un ottimo incentivo.» affermai mentre osservavo con un sorriso dei paramedici della B.L.C. giungere.
Nox venne caricato su una barella tra molti dolorosi lamenti. Venni affiancato da altri medici che mi fecero dei veloci controlli. Avevo dolori ovunque, ma qualche pastiglia miracolosa della B.L.C. mi rimise in sesto. Chi aveva brevettato quelle medicine era un genio. Ritornai in forze nel giro di qualche minuto.
La battaglia aveva consumato non poche vittime, ma sarebbero state molte di più senza l'intervento di Michael.
I Ribelli di Susan e Santos erano stati completamente neutralizzati grazie alla coalizione tra Michael e Barker, un prigioniero inviato dal nostro caro Max senza il consenso di Sophie.
La ragazza, in quel momento, era rannicchiata su una finestra rotta, a riflettere sull'accaduto. Capivo benissimo che aveva bisogno di stare da sola.
Joy mi raggiunse e si sedette accanto a me, fluttuando a terra come una piuma.
«Pensi che sia finita?» chiesi.
«Susan è trentamila leghe sotto i mari e ho dato una bella lezione a Santos, ora dietro incatenato. Direi di sì, è finita.» ridacchiò lei passandosi una mano tra i ciuffi biondi. I suoi capelli si stavano scolorendo da un po', ritornando del loro castano naturale. Così mi somigliava di più.
«Che ha lei?» mi chiese Joy facendo un cenno a Sophie.
Scossi la testa e posai lo sguardo su Sophie.
«Si sta lasciando condizionare dalle parole della Blackwood. Ha farneticato su qualcosa sull'equilibrio e il caos e che colpirà anche lei.» spiegai.
«Non le crederà veramente, spero.» chiese Joy accarezzando una ferita sulla fronte.
«Per ora lasciamola stare.» affermai.
D'un tratto le guardie Imperium si fecero agitate. Correvano da una parte all'altra. Mi raddrizzai mentre un brutto presentimento mi serrava il petto.
«Che sta succedendo?» chiesi bloccando per il polso una donna dell'aria.
«Gli Imperium dell'acqua hanno setacciato tutta la zona, nessuna traccia di Susan Blackwood, dobbiamo avvertire i vertici, temiamo che sia ancora viva.» disse lei preoccupata. Mollai la presa mentre lei sfrecciava via.
«Dannazione.» sibilai. Mi voltai verso Joy che capì la situazione anche senza chiedermi nulla.
«Gioito troppo in fretta?» chiese.
«Dovevo aspettarmelo che non poteva essere così semplice.» sospirai passandomi una mano tra i capelli.
«Jase!» esclamò Joy tirandomi per i vestiti, indicò un punto dietro di me. Voltandomi vidi che Sophie era sparita. Girai su me stesso, cercando la sua chioma scura, la sua figura, ma era sparita. Nessuna traccia.
«Non penserai che sia andata a cercarla?» chiese Joy con gli occhi spalancati.
Non le risposi.
Prima che partissimo alla ricerca di Sophie un forte boato attirò la nostra attenzione.
«Merda, è il luogo dove hanno rinchiuso temporaneamente Santos.» sibilò Joy correndo in quella direzione.
«Jase!» esclamò qualcuno mentre mi apprestavo a raggiungere il luogo dell'esplosione.
«Che succede?» mi raggiunse Zach, comparendo improvvisamente al mio fianco. Aveva perso la sua divisa da Imperium ed era rimasto solo con la canottiera chiara squarciata. Il tatuaggio scuro dell'aquila spiccava al di sotto. I capelli rossi erano arruffati richiamavano l'espressione disperata. Per completare l'opera c'era del sangue secco sopra il labbro superiore. Era ridotto male.
«Ho visto Nox, lo stavano portando alla B.L.C.» affermò.
«Starà bene.» lo rassicurai.
«Mi spiace, sarei dovuto essere con voi.» disse abbassando la testa. Sembrava frustrato, come se il fatto di non aver potuto proteggere sua sorella su riversasse anche sui suoi amici.
«Non ti preoccupare» ripetei. «Abbiamo problemi più grandi. Santos si è liberato.» proprio in quel momento un edificio crollò.
«Per l'appunto.» affermai correndo in quella direzione.
Capimmo che eravamo vicini quando iniziammo a vedere le vittime e il terreno squarciato. Sembrava ci fosse stata un'esplosione.
«Dannazione, Joy.» mormorai avanzando. Altri Imperium si stavano radunando, quelli rimasti, almeno. Perché molti erano tornati alla Base 1 per le cure e assistere ai feriti, essendo convinti che la battaglia fosse finita.
«Dove sei finito tu?» chiesi con un sussurro a Zach, mentre avanzavamo verso uno degli edifici. Non c'era anima viva e Zach faceva schifo con le percezioni. Già, come Imperium di terra era abbastanza penoso.
L'ansia per Joy continuava a salire.
«Non ho combattuto contro Santos se è questo che ti stai chiedendo.» affermò.
«E chi ti ha ridotto così?» chiesi senza distrarmi e continuando a guardarmi intorno, attento e vigile.
«Due donne.» disse il ragazzo. Mi voltai verso di lui con le sopracciglia alzate. Poi risi.
«Sei patetico. Non dirmi che ci hai provato con loro.» ridacchiai tornando con lo sguardo in perlustrazione.
«Amico, così mi offendi.» affermò lui appoggiandosi le mani al petto. «Però sì, ci ho provato. Non ha attaccato. Pensi che sia per il braccio bio meccanico?» chiese lui.
«Zach.» lo chiamai.
«Sarebbe una vera sfortuna perché ci sto facendo l'abitudine.»
«Zach.» ritentai.
«Spero anche che la mia futura ragazza ci faccia l'abitudine.»
«Zach...»
«Hai ragione, provarci con delle Ribelli non è sicuramente...»
«Zach! È Santos!» gli sibilai mettendogli una mano sul petto per fermarlo.
L'uomo vagava in mezzo a quel deserto come una bestia alla ricerca di prede. Era ingobbito dalle ferite ed era completamente nudo tranne che per le braghe strappate. Il sangue secco lo copriva totalmente e quando si voltò vidi gli occhi spiritati e l'espressione feroce. L'umanità era svanita dal suo corpo.
Nella mano destra stringeva una pietra scura che dedussi fosse l'Element.
«Per la miseria, che gli hanno fatto?» sussurrai.
«È ancora più brutto di prima.» mormorò Zach da sopra la mia spalla, mentre teneva fastidiosamente una mano sulla mia testa e l'altra attorno al mio braccio. Me lo scrollai di dosso.
«Vedi Joy?» sussurrai.
«No, ma ci sono due Imperium là sotto, nascosti e probabilmente feriti.» affermò Zach indicando un punto sotto un edificio crollato.
Li notai anche io. Strinsi lo sguardo e vidi chiaramente che uno dei due era chiaramente ferito. Ispezionai ancora la zona, scorgendo molti dei nostri feriti e in pericolo.
«Dannazione.» mormorai. Santos sbuffava e ringhiava come un toro, camminando attorno ad un cerchio invisibile.
«Salir a la calle!» esclamò in spagnolo.
«Affrontatemi, cobardes!» gridò selvaticamente battendosi un pugno sul petto. Il terreno tremò sotto le sue rombanti parole.
«Chi l'avrebbe detto che lo spagnolo fosse così spaventoso.» sussurrò Zach. «Avrei puntato sul tedesco.»
«Anche il russo non scherza.» affermai. Poi mi diedi dell'idiota mentalmente per aver dato corda a Zach.
«Concorderai con me che il cinese è impossibile, pensa a Max quando è arrabbiato!» continuò a farfugliare.
«Perché? Max è capace di arrabbiarsi?» chiesi.
«Oh, sì, non sai quanto.» percepii un sorriso tra le sue labbra. Ma non era il momento di scherzare, Santos sembrava pronto a distruggere ancora.
Prima che potessi intervenire una figura sfrecciò nella sua direzione. Fu un lampo. Joy attaccò alle sue spalle. Lo vidi al rallentatore, mentre era in aria, con le braccia alzate che impugnavano una lama. Ma Santos si voltò altrettanto in fretta e la sbatté a terra come una bambola di pezza. Il suolo tremò e si alzò una coltre di polvere.
«NO!» esclamai correndo verso di lui.
Un incendio si accese attorno a me, vorticando come un vortice di calore. Schiantai le mie fiamme verso l'uomo che alzò un muro di terra per difendersi. Il terreno si spostò come posseduto verso di me. Saltai in aria e compiendo una capriola perfetta la schivai. Santos si era ormai concertato solo su di me.
Iniziò ad attaccarmi senza riserve. Non aveva la precisione e il controllo di Susan. Era goffo e impreciso. Le fiamme non avevano potenza, il vento era forte ma non mi toccava, l'acqua non sapeva dove cercarla. Solamente l'elemento della terra mi creava tanti problemi. Inoltre, non mi ero ancora ripreso del tutto dalla battaglia precedente, le ferite non si erano ancora rimarginate e bruciavano ad ogni mio movimento.
Zach aveva portato via mia sorella e alcuni Imperium erano sbucati dai loro nascondigli per aiutarmi. Ma mi davano solo più fastidio, poiché non potevo muovermi liberamente.
Santos riuscì a colpirmi alla nuca e schiantarmi a terra. Una coperta di terra mi avvolse, premendomi verso il basso. Non respiravo e la pressione che si esercitava sul mio corpo mi stava facendo implodere. Cercai di mantenere il controllo su me stesso e sulle tubature sotto il terreno. Era una città dopotutto. Richiamai l'acqua a me, facendo esplodere le tubature e spaccando il terreno. Essa si riversò in superficie come tanti geyser freddi. Il liquido non si disperse, poiché lo tramutai in dita di ghiaccio che puntarono minacciosi sull'uomo.
Santos tentò di respingermi con le fiamme, ma non erano abbastanza potenti. Una stalattite gli trafisse la coscia. Barcollò leggermente, un momento di debolezza che gli Imperium sfruttarono per attaccarlo. Percepii il pericolo, ma non feci in tempo ad avvertire alcuna persona. Il terreno eruttò e spazzò via tutti i presenti nel raggio di tre metri. La terra inghiottiva e schiacciava chiunque gli capitasse a tiro. Riuscii ad allontanarmi appena in tempo assieme ad alcuni, ma gli altri...
«Abbiamo bisogno di rinforzi.» mormorò una ragazza con la coda di cavallo. Sembrava spaventata.
«Vattene.» le dissi. Lei mi guardò come se fossi fuori di testa. «Ti ho detto di andartene.» dissi gelido. La ragazza fece per parlare ma poi ritornò con lo sguardo su Santos, seguendo poi i corpi senza vita dei suoi colleghi. Si girò e corse via.
Non la biasimavo. La maggior parte degli Imperium erano troppi giovani per affrontare tutto ciò.
Santos la notò e fece per attaccarla ma una figura lo raggiunse, bloccando il braccio di Santos.
«Non è carino attaccare ragazze alle spalle.» ghignò Zach.
«¿Tu, de nuevo?!» ringhiò Santos.
«Non capisco quello che stai dicendo, gorilla.» affermò Zach schivando un colpo abbassandosi.
«Ma nemmeno io sono felice di vederti, se è questo che intendevi.» affermò prima di fare una capriola indietro.
«Appena ti rimettiamo il collare faccio del tuo stupido coccodrillo una borsa per mia sorella.» sbottò Zach abbassandosi velocemente e dominando il terreno ai piedi di Santos per farlo cadere. Zach non notò che una pietra appuntita puntava alla sua schiena. Intervenni prima che fosse troppo tardi. Spinsi Zach via, ma quella penetrò nella carne della mia spalla.
«Jase!» esclamò Zach. Ma non era finita. Santos si stava surriscaldando. Una folata di vento s'innalzò improvvisamente, trapassando la pietra che mi attraversava da parte a parte. Strinsi i denti dal dolore.
Gli Imperium attaccarono e finirono a Terra uno dopo l'altro. Non erano abbastanza esperti per combattere un folle in possesso di un Element allo stato naturale. Alcuni erano ancora vivi, ma erano impossibilitati a continuare.
«YO VOY A MATAR A TODOS!» esclamò Santos. Minaccia di morte. Anche se non capivo lo spagnolo, quella era chiaramente una minaccia di morte. E la mia spalla dolorante confermava.
Il terreno prese a tremare irregolarmente, passava da movimenti sismici violenti, alternate a scosse moderate. Sembrava di essere su uno di quei giochi dei Luna Park.
Santos parve confuso. Batté i pugni sul terreno, provocando un nuovo terremoto, ma presto quello si regolarizzò ugualmente.
Santos alzò lo sguardo, fissando un punto dietro di me. Non riuscivo a muovermi più di tanto, ma voltando la testa, scorsi Eli inginocchiato a terra, con i palmi aperti al suolo che contrastava il potere del Luogotenente.
Il volto del ragazzo era deformato dalla fatica di mantenere il controllo.
Zach colse il momento di confusione dell'uomo per attaccarlo nuovamente. Inaspettatamente Santos si voltò come un fulmine e bloccò Zach in aria con le dita enormi strette attorno al collo del ragazzo. Lo costrinse a terra, trattenendolo per i capelli. Zach evocò le fiamme nel tentativo di liberarsi ma Santos non si arrese, mantenne salda la presa, provocando in contemporanea terremoti sempre più potenti che Eli faticava a contenere.
Abbassai lo sguardo sull'elemento estraneo che fuoriusciva dalla mia spalla. Il mio sangue creava un albero rosso con lunghi rami sulla grigia pietra. Strinsi i denti e feci un unico passo in avanti che mi sfilò dal chiodo che mi bloccava. Il dolore acuto mi stordì a tal punto che persi contatto con la realtà. Il freddo e il caldo coesistevano in contemporanea. Caddi al suolo, tentando di respirare come meglio potevo. Il mio braccio cadente mi sembrava estraneo davanti a me. Faticavo a metterlo al fuoco. Mi strappai di dosso i vestiti inzuppati del mio sangue e chiusi gli occhi. Appoggiai la mano sana sulla ferita, la bruciai finché non sentii più alcun dolore, poi la ghiacciai per fermare il sangue. Probabilmente dopo di ciò avrei rischiato l'amputazione al braccio come Zach. Ma non mi importava, dovevo aiutare i miei amici.
Sfruttando il terreno, feci percorrere le fiamme lungo una traiettoria che esplose sotto i piedi di Santos. Lui mollò la presa su Zach che cadde a terra e tossì violentemente alla ricerca di aria.
«Ti ucciderò!» grugnì Santos in inglese, ridotto ad una massa sanguinolenta di muscoli.
«Ritenta, anche se non ce la farai mai.» affermò Zach che mi aveva raggiunto per sostenermi.
«Ti ucciderò come ho fatto con i tuoi genitori, chico » sussurrò con una luce folle negli occhi.
Sentii Zach irrigidirsi.
«Non ascoltarlo, Zach. Sta bluffando.» dissi. Ma il ragazzo non mi ascoltava. Lo capivo che non mi ascoltava. Avevo provato per anni la stessa emozione che vedevo in quel momento negli occhi di Zach. Una furia che bruciava.
«Sai perché sono dovuti morire? Perché erano deboli.» il vento si alzò mentre Santos alzava le braccia, stringendo in bella vista l'Element. Se solo riuscissimo a toglierglielo.
Con la mano sana strinsi la presa sulla spalla di Zach, per assicurarmi che lui sapesse che ero lì.
Zach non mi aveva mai chiesto nulla sui suoi genitori. Aveva continuato a vivere con sua sorella, godendosi la vita e tutto ciò che aveva. All'epoca non capivo perché i gemelli non sentissero la voglia di scoprire la causa della morte dei loro genitori. Allo stesso tempo li invidiavo per essere così forti da andare avanti. Ma in quel momento, con le parole velenose dello Scorpione in sottofondo, vedevo Zach forse per la prima volta. Il dolore, la furia, un intenso amore. Emozioni che avrebbe fatto compiere a qualsiasi persona, azioni folli.
«Hanno preferito tenersi stretti i figli prodigio invece di consegnarli a Susan! Ma questi idioti, che avrebbero avuto il ruolo come Luogotenenti, sono scomparsi alla morte dei genitori, lasciando i posti vacanti.» continuò Santos. Fissando quell'uomo sembrava che la sua pelle diventasse sempre più rossa, come se un fuoco si stesse accendendo in lui.
«Li abbiamo convocati. Non sospettavano di niente.» la sua voce si regolarizzò, come se un lampo di ragione fosse tornato in lui.
«Mi sono avvicinato ad Oscar alle spalle. Per ucciderlo non c'è stato nemmeno bisogno di usare il mio elemento, mi è bastato una lama per squarciare la sua gola.» strinsi la presa sulla spalla di Zach. Lui tremava, con lo sguardo puntato su Santos.
«Zelda fu più combattiva. Mi fece parecchio male, ma alla fine perì anche lei. Peccato, perché era una donna...» Santos non finì di parlare. Zach mi mollò a terra, senza pensare, si fiondò su Valentin Santos.
Il braccio di Zach mutò in una lunga lama lucente. Lo raggiunse come una saetta e tranciò la gola a Santos. Il sangue spruzzò a fontana sul volto spiritato del mio amico. Il terreno smise di tremare, non appena il corpo dell'uomo finì a terra.
Ma non era finita. Il corpo di Santos ebbe una reazione anomala, diventava sempre più rosso.
«ZACH! ALLONTANATI!» gridai con il braccio sano protesi verso di lui, le gambe rigide a terra incapaci di muoversi. Zach fissò il corpo di Santos, poi incrociò il mio sguardo. C'era soddisfazione in esso. Vidi le sue le labbra muoversi per formulare qualcosa, qualcosa che non compresi per il frastuono. Intorno a noi sentii l'aria vibrare, mentre tutto il metallo s'innalzava e puntò verso Zach come se lui fosse stata una calamita. Scie di sabbia serpeggiava verso le due figure avvolgendole in un alto cono. Il metallo di compresse, racchiudendoli.
Si sentì un grande boato che fece tremare le mie ossa.
Un silenzio opprimente avvolse quel luogo quando i sismi cessarono. La struttura in metallo crollò, alzando volute di polvere. Quando esso si diradò, dove prima c'erano Zach e il corpo di Santos, c'era solo una statua di vetro lucente. La statua andò in mille pezzi non appena ebbi il tempo di imprimermi quell' immagine nella mia mente.
«È quello che Santos voleva... Coinvolgerci tutti nell'esplosione ucciderci.» disse qualcuno. Non capii chi lo avesse fatto. Eppure lo sapevo anche io.
«Zach Day ci ha salvato.» sussurrò qualcuno che mi aiutò a sedermi. Era Eli.
Fissai il ragazzo accanto a me assente.
Era tutto troppo da sopportare, persino per me.
«Non gliel'ha chiesto nessuno.» fu l'unica cosa che dissi.
L'incidente con Santos era stata una cosa a parte. Ma fece ritornare molte delle persone che erano tornate alla Base. Non ebbi nemmeno la forza di guardarli in faccia, tutti fieri e autoritari. Ma era colpa della loro incompetenza e negligenza se era successo quel che era successo. Un profondo rancore nasceva nel mio petto, lo lasciai bruciare, ma non gli permisi di controllarmi.
Zach aveva portato Joy in un posto sicuro, sotto le cure di alcuni paramedici che avevano installato una tenda di fortuna per la cura dei feriti fuori da quello che era il vecchio ospedale.
Ero accanto a lei, distesa in una barella, svenuta, ma viva. Attendevo che le acque si calmassero e che gli altri risolvessero i problemi. Perché io non avevo la forza di muovermi.
Mi avevano curato la spalla e tutte le altre ferite e contusioni, ma io mi sentivo più rotto che mai.
Joy mosse le palpebre e piano piano le sollevò, mostrando i suoi occhi castani.
«Jase» sussurrò mettendosi seduta. Si portò una mano alla testa per un capogiro.
«Che ti è successo?» mi chiese fissando le mie fasciature e la giacca che mi copriva le spalle.
Non seppi cosa dirle, rimanendo in silenzio.
«È finita. Torniamo a casa.» riuscii a dirle.
A casa... Quale casa?
La ragazza mi appoggiò una mano sulla guancia.
«Non dobbiamo essere per forza forti.» mi disse con un sorriso forzato sulle labbra.
Nel giro di poco tempo mandarono altri velivoli a prelevare il resto delle persone. Alcuni Imperium contavano i sopravvissuti e i morti. Prima di salire assieme a mia sorella sentii la conversazione tra due di loro.
«Ci sono tutti? Manca all'appello qualcuno?» chiese quello più alto.
«Sì, ventitré di noi sono introvabili.» disse l'altro.
«È possibile che il loro corpo sia ridotto così male da non aver lasciato tracce. Dobbiamo prendere in considerazione anche questa ipotesi.» replicò l'altro.
«Ma... Uno degli scomparsi è Sophie Hunter. Persino il dirigente Ryder è introvabile.» disse agitato l'altro.
Un'attimo dopo ero già scattato nella loro direzione e stringevo per il colletto l'Imperium impacciato con la cartella in mano.
«Come sarebbe a dire che Sophie Hunter è scomparsa?» ringhiai.
«È così, le squadre di controllo non l'hanno trovata da nessuna parte!»
«Cercare meglio!» continuai furioso.
«James.» Eli mi appoggiò una mano sulla spalla e liberò la presa che avevo sull'Imperium.
«Li troveremo tutti. Meglio che tu torni alla Base a riposarti e a vedere il tuo amico Nox.» insistesse il ragazzo cieco. «Qui non servi.» proseguì.
Lo disse come se lui non avesse avuto bisogno di riposo. «Potrai tornare quando starai meglio.» mi suggerì con insistenza.
«Non potrei nei fidarmi ancora del vostro operato.» dissi sprezzante. «Non con Susan Blackwood sparita e Sophie introvabile.» dichiarai.
Eli fece una smorfia.
«James, uno dei due feriti arrivati con Aiden l'altro giorno sì è svegliato. Dovresti veramente tornare alla Base.» insistette Eli. Opal. Pensai. Mi venne la nausea all'idea di doverle spiegare la sorte del fratello.
«Anche se non ti fidi della B.L.C., prova a credere in me. Tenterò tutto per trovarla.» mi promise stingendo una mano sulla spalla. Poi si voltò e se ne andò, senza attendere risposta.
Mi costrinsi a tornare alla Base in volo con il
jet. Dovevo una spiegazione a Opal, e presto, non avrei voluto che lo sapesse da qualcun altro. E Nox...
Mia sorella si strinse a me e appoggiò la testa sulla mia spalla.
Nessuno dei due aveva più il coraggio di sperare che fosse finita. Almeno fino a quando non avessero trovato il cadavere di Susan Blackwood e Sophie fosse ritornata da noi.
Ero sicuro che lei fosse andata a cercarla da solo, credendola ancora viva.
Dannazione, stava andando tutto a rotoli, completamente fuori dal mio controllo.
Giungemmo a destinazione prima di quanto credessi. Alla Base c'era un grande tumulto e agitazione nonostante l'ora, ma non feci caso a loro. Mi diressi in fretta al piano e alla sezione dove c'era Opal, tallonato da mia sorella. Bussai alla porta della stanza che era di Opal, ma quando vi entrai notai che la figura sul letto, svenuta, non era quella della mia amica. L'infermiera mi caccio fuori irritata, prima che potessi chiedere qualcosa.
«Se si è risvegliata probabilmente è stata trasferita in un'altra stanza. Quest'ala è dedicata a quelli in terapia intensiva, dopotutto.» rifletté Joy.
«Hai ragione. Meglio chiedere prima di perderci, però non a quella scorbutica lì.» dissi indicando con il pollice la stanza. Joy sorrise.
«Sei cattivo, Jase.» mi disse piegando all'insù.
Incrociai un dottore con la cartella clinica in mano.
«Mi scusi, sa dov'è finito il paziente che qualche giorno fa era in terapia intensiva?» chiesi.
«Ragazzo, sai quanta gente c'è finita in terapia intensiva?» mi chiese lui inarcando il sopracciglio e mettendosi la cartella sotto braccio.
«Mi scusi. È stato portato qui da Sophie Hunter e la squadra di Ryder dopo il disastro di Miami, mi hanno informato che si è svegliato da poco. Ho un urgente bisogno di informare il paziente di un fatto.» insistetti.
L'uomo mi guardò.
«Sei James Sharp.» disse. Forse mi aveva riconosciuto come amico di Opal.
«Sì.» affermai.
«È stato trasferito nella sezione C di questo piano. Dovrebbe essere la stanza 103.» affermò prima di imboccare il corridoio dalla quale eravamo arrivati.
«Non mi devi continuare a seguire.» dissi a Joy mentre fissavo la porta della camera.
La ragazza non rispose.
Mi voltai verso di lei vedendo che aveva abbassato lo sguardo.
«Voglio tenerti d'occhio.» mi disse. Sembrava così fragile in quel momento, con la divisa sporca, le fasciature, i cerotti, i graffi cicatrizzati che ornavano il suo corpo da combattente. I capelli leggermente elettrizzati le davano un'aria selvaggia e posseduta. Sembrava persa.
Bussai alla porta, anche se nessuno rispose.
«Opal?» chiamai. Temetti che lo fosse venuta già a sapere.
Entrai senza permesso, aspettandomi di trovarla infagottata e in lacrime, ma lei non c'era. Non era in quella stanza.
Al suo posto c'era Philip Smith, seduto con quattro cuscini impilati dietro la schiena. Il suo volto presentava diversi cerotti e la testa era bendata, lasciando intravedere ciuffi di capelli ricci. Gli avevano accorciato notevolmente la lunga chioma.
Sotto la camicia del paziente, si intravedevano altre fasciature che raggiungevano il collo. Le braccia erano anch'esse coperte da bende pulite. Il tutto lo faceva sembrare ad una mummia, ma non era questo il punto. Il punto era che non era Opal.
Smith alzò lo sguardo su di me.
«Non mi aspettavo la tua visita, Sharp» disse il ragazzo con gli occhi sulla televisione di fronte a lui.
«Non era per te.» replicai.
«Ma così mi ferisci.» replicò sarcastico alzando il braccio. Ma venne bloccato dalle manette assicurate al letto.
«Già, quasi scordavo.» ridacchio poco divertito.
«Perché non ti hanno rinchiuso?» sibilò Joy.
«Già, hai ragione, perché non l'hanno fatto? Posso alzarmi in qualsiasi momento, uscire di qui è uccidere ogni persona presente con le bende iniettate di anestetico. Oppure con il temibile letto che mi trascinerò dietro, dato che ho le manette ai polsi.» affermò sarcastico facendo tintinnare i suoi nuovi accessori.
«Andiamocene, abbiamo sbagliato stanza.» dissi gelido mentre mi voltavo per uscire.
«Un, momento. Non stavate cercando la ragazza fulminata?» ridacchiò.
Lo ignorai, mentre tenevo aperta la porta per Joy.
«Io so dov'è.» disse ancora.
«Crogiolati nella tua solitudine, Smith.» affermai.
«La tua amica è morta.» disse proprio mentre stavo chiudendo la porta. Mi bloccai.
«Tu menti.» dissi stringendo la presa sulla maniglia.
Dovevo andarmene e ignorarlo. Non potevo credere alle parole di quel ragazzo. Dovevo solo andarmene. Ma per qualche motivo rimasi.
Joy appoggiò una mano sul mio braccio.
«Che beneficio ne gioverei?» chiese lui.
«Non lo so. È possibile che tu sia così stronzo da volermi vedere soffrire?» chiesi con altro sarcasmo.
Lui rise. «Ti dai ancora un sacco di arie, Sharp. Non me ne faccio niente della tua sofferenza, non mi comporta alcun divertimento.» replicò.
«E anche se fosse... In questo caso la verità fa più male di una menzogna.» disse giocando con le catene delle manette.
«Vedo che i tuoi anni passati con Michael ti hanno reso più bastardo di come madre natura ti ha fatto.» dissi impassibile.
«Uh, così mi ferisci nel profondo.» ridacchiò.
«Puoi non credermi. Ma è la verità. Me l'ha detto l'infermiera che mi è venuta a controllare prima. "Ritieniti fortunato, Philip Smith, di essere sopravvissuto ad un esplosione simile. La ragazza che è arrivata con te non ce l'ha fatta ed è morta da poco, poveretta." Vi cito le sue parole.» spiegò chiudendo gli occhi per ricordare. «"Vedi il lato positivo, almeno si è liberato il posto per gli altri feriti." avevo risposto io. Non ho ragione?» ridacchiò.
«Andiamocene.» dissi a Joy prima di chiudermi la porta alle spalle.
«Non c'è alcun motivo di credergli.» mi disse Joy accanto a me. Non replicai.
I miei piedi mi stavano portando automaticamente nell'ufficio di Max, mentre un ronzio costante mi tappava le orecchie.
Il mio corpo era in uno stato catatonico. Sembrava che non riuscisse a sopportare più dolore emotivo di così, e fosse giunto al termine. La costanza di provare male nel petto, lo aveva reso immune al dolore stesso.
Bussai ripetutamente la porta e quella si aprì automaticamente. All'interno della stanza Max non era solo e stava parlando con Barker come vecchi amici.
«Dov'è Opal?» chiesi senza degnare di uno sguardo Christopher Barker.
«I giovani di oggi non hanno alcuna educazione.» disse Barker scuotendo la testa e incrociando le gambe.
«Jase, puoi attendere un minuto?» chiese Max.
«Devo parlarle.» insistetti.
L'uomo abbassò il viso appoggiò una mano su esso, coprendolo.
«Suvvia, Meng. Era solo una ragazzina.» affermò tranquillamente Barker.
«Max, è importante, se sai di Zach...» dissi facendo un passo in avanti.
«Non infierire, Jase. So di entrambi. Sarà meglio che tu vada ad informare Nox di questo, prima che lo scopra da solo.» disse Max girando la sedia e dandomi lo schienale.
«Max...» mormorai confuso. Anche se sapevo. Una parte di me lo sapeva, per questo era rimasta ad ascoltare Smith. Volevo cercare una soluzione alternativa alla realtà.
«Jase, ti prego. Vattene.» lo sentii sospirare, il dolore nella voce.
Indietreggiai scontrandomi con mia sorella.
«Scusa.» borbottai.
«Jase.» fece lei appoggiandomi una mano sul braccio.
Mi scansai da lei, confuso. Poi iniziai a correre, scendendo i piani, raggiungendo il luogo che più odiavo di tutta la struttura del Centro. L'obitorio.
Raggiunsi la reception a passo incerto.
«Sto cercando...» le parole mi si fermarono in gola.
La ragazza che stava analizzando i dati alzò lo sguardo su di me.
«Mi può controllare Opal Day?» chiesi.
La ragazza mi guardò dolcemente nel suo completo bianco.
«Aspetta un'attimo. Abbiamo avuto un sacco di entrate nelle ultime ore.» mi spiegò. Digitò qualcosa sul computer mentre io mi guardavo intorno, fissando le pareti fredde e chiare. La luce era al minimo in quella sezione, dando a tutto ciò su cui posavo lo sguardo un'aria lugubre.
«Sì, l'abbiamo archiviata di recente. La causa è l'esplosione. Morta alle 23:57, prima che i dottori riuscissero a stabilizzarla.» lesse la ragazza. «Vuoi vederla?» mi chiese gentilmente.
Scossi la testa.
«C'è già un ragazzo dentro, diceva di essere il suo amico, è dentro da un po'.» mi informò la ragazza.
Un brivido mi percosse la schiena.
Lasciai che la ragazza in bianco mi portasse in quelle gelide stanze.
La figura di Nox era fasciata da una veste bianca che rifletteva la fioca luce azzurra delle lampade.
Le braccia e le gambe erano fasciate come quelle di Smith ed era sostenuto da due stampelle. Fissava un corpo disteso su un tavolo. La parte superiore era coperta da lui, quindi non potevo vedere chi fosse, anche se era ovvio.
«Nox» lo chiamai mentre la ragazza se ne andava. Lui non rispose.
Feci un passo in avanti.
«Appena sveglio, non riuscivo a stare nella mia stanza. E anche se non riesco a muovermi sono voluto uscire. Non l'avessi mai fatto.» sussurrò. «Non volevo sentire quelle parole.» continuò.
«Dovrei smettere di ascoltare.» sussurrò. Le stampelle tremavano, come se non riuscissero più a sopportare il suo peso. In effetti un secondo dopo, il ragazzo scivolò. Mi affrettai a raggiungerlo per sostenerlo, mettendomi un suo braccio attorno alle spalle, tra i suoi gemiti di dolore.
Non potei più evitare di incontrare il volto senza vita di Opal. Potevo illudermi che non fosse lei, non le assomigliava più. L'unica parte intatta era il collo, dove era rimasta la traccia del tatuaggio rosso, il suo inconfondibile segno distintivo.
«Non sembra nemmeno lei, vero?» sussurrò Nox.
Distolsi lo sguardo da quella figura bruciata.
«Andiamo, Nox.» lo sostenni finché non uscimmo da lì, lasciandoci il corpo di Opal alle spalle.
Camminammo in silenzio, prendendo gli ascensori per tornare ai piani superiori. Non volevo dirgli anche di Zach, però sapevo che se l'avesse scoperto dopo sarebbe stato ancora più male; soprattutto perché io non glielo avevo detto.
«Nox... Ti dovrei parlare di... Una cosa.» gli dissi.
«C'entra Zach?» chiese lui.
Mi fermai, e lui con me.
«Come lo sai?»
«Non sono scemo, Jase. Sua sorella è morta e lui non è lì con lei... Non è da Zach.» sussurrò lui abbassando lo sguardo. I ricci neri gli coprirono lo sguardo mentre abbassava la testa.
«Quindi... Anche lui...?» mormorò Nox.
Annuii, senza avere la forza di produrre alcun suono. Avevo la bocca secca.
Nox sì liberò dalla mia prese a barcollò contro il muro del corridoio, ignorando le persone che si scontravano con lui al suo passaggio. Si appoggiò scompostamente con la fronte. Le stampelle gli scivolarono a terra e lui si fece trascinare giù con loro. Si mise seduto con la schiena appoggiata al muro e incastrò la testa in messo alle ginocchia, coprendo tutto con le braccia. Rimase lì, fermo per qualche secondo, prima che lo raggiungessi.
«Ho come la sensazione che la loro morte sia avvenuta in cambio della mia» disse Nox con voce soffocata.
«Non dire idiozie.» replicai.
«Se io fossi morto, magari sarebbero sopravvissuti.» continuò ignorandomi. Alzò lo sguardo e non potei non notare che i suoi occhi dorati erano lucidi di pianto. Ma non scese nemmeno una lacrima.
«Certo che ne dici di cazzate.» replicai.
Appoggiò la testa al muro, mostrando la gola e il pomo d'Adamo.
«Mi fa male tutto. Vorrei non averli mai conosciuti per non provare questo dolore... Vorrei non poter più amare per non soffrire tanto. Ho passato così tanto tempo nel tentativo di difendermi...» disse.
«Lucas, quel che provi ti rende umano. Ti rende ciò che sei, e non dovresti nemmeno pensare di dover cambiare.» affermai.
Lui non replicò, non mi insultò nemmeno per averlo chiamato per nome.
«Mio padre mi è venuto a trovare mentre ero convalescente. Ero già sveglio, gli anestetici non funzionano un granché con me, non so perché.» affermò.
«Mi ha chiesto scusa mentre fingevo di dormire.» disse il ragazzo.
Non dissi niente.
In quel momento si attivò una voce all'altoparlante. La voce di Barker.
«I nostri uomini non hanno trovato tracce di Susan Blackwood. Per questo si suppone che sia ancora viva e sia fuggita a curarsi i danni subiti. Dobbiamo scovarla ora che è debole. Non ci possiamo arrendere, la troveremo e la staneremo. Tutti coloro che riescono ancora a muoversi sono incaricati di cercarla, dovessimo rivoltare tutto il continente per tirarla fuori. Michael McEwan ci ha indicato tutti i luoghi in cui potrebbe essersi rifugiata, riceverete i dati nel vostro palmare e vi dividerete in gruppi. Io stesso scenderò in campo.» la comunicazione si chiuse.
Susan Blackwood era ancora viva, mentre i gemelli non c'erano più. L'ingiustizia ci pesava sulle spalle, ridendo follemente e ingrandendosi ad ogni passo, finché tutti i nostri buoni propositi e ottimismo non fossero sprofondati nelle braccia delle fine.
«Non finirà mai?» chiese Nox.
«No. Finirà.» dissi rimettendomi in piedi, non avrei perso.
«Ti riporto nelle tue stanze, devi riposarti. Non andare da nessuna parte.»
«Non potrei nemmeno. Mi fa male ogni singolo muscolo e osso del corpo.» disse il ragazzo.
«Penso si stiano spezzando di nuovo.» mormorò.
«Andiamo, Nox.» dissi allungando la mano inguantata verso di lui. Nox la fissò, poi l'afferrò.
Prima di incontrare Max mi fermai davanti alla porta della stanza di Smith. Entrai senza permesso e lo trovai a fissare annoiato il soffitto.
«Dunque ti avevo detto la verità? Dalla tua espressione si direbbe di sì.» disse il ragazzo con un ghigno.
«Che ci fai qui, Sharp?» chiese.
«Perché sei tu che sei sopravvissuto? Perché?!» ringhiai dando un pungo al muro. La stanza vibrò mentre alcune fiamme annerivano la parete, creando un fiore nero che aveva per centro il punto d'impatto con la mia mano.
«Non sarai qui per accusarmi di questo, vero?» mi schernì lui.
Lo raggiunsi in poche falcate e lo afferrai per il colletto della camicia. Lui gridò addolorante.
«Prendersela con un moribondo perché sei ferito? È da vigliacchi, Sharp.» disse con una smorfia.
«Se non fosse stato per te Opal non sarebbe ricorsa ai suoi poteri e nulla di tutto ciò sarebbe accaduto.» sibilai.
«Se non fosse stato per le informazioni da te passate a Susan...»
«Fermo, bello. Molla la presa.» mi disse calmo, indicando con lo sguardo le mie mani strette alla sua vesta. Lo mollai.
«Intanto, le scelte che ha fatto quella ragazza, non mi riguardano. Secondo, se non ci fossi stato io a fare da spia, ci avrebbe pensato qualcun altro.» affermò.
Un'infermiera entrò nella stanza e fissò sbalordita il muro, poi me.
«Me ne stavo andando.» dissi prima che potesse dare l'allarme. Scoccai un'ultima occhiata a Smith.
«Prego per averti fatto da punchball. Spero ti sia sfogato per benino.» di urlò dietro.
Incontrai Max in una sala riunione, in attesa che mi assegnasse un compito. Joy era con lui, ripulita e di nuovo in forze, le ferite superficiali curate e il trauma cranico passato grazie ai nuovi medicinali della B.L.C.
«Come stai, Max?» gli chiesi.
«Male, ma ce la posso fare.» affermò l'uomo.
«Quindi ora Barker è nuovamente a piede libero?» chiese Joy dubbiosa.
«Non proprio, gli ho installato un'esplosivo nel collo.» disse Max noncurante. Io e mia sorella lo fissammo sorpresi.
«È pur sempre un prigioniero.» spiegò Max accarezzandosi le nocche. Però aveva uno sguardo assente, come se stesse pensando ad altro.
«Com'è che Santos è esploso?» chiesi dopo una pausa.
Max sembrò risvegliarsi da un sogno.
«Una forma di autocombustione.» replicò.
«L'Element allo stato naturale attiva maggiormente un elemento diverso a persona. Solitamente è sempre l'elemento del fuoco a svilupparsi, per via del nutrimento che ne ricava dalle emozioni, la parte più esposta di noi. La forma di combustione è una delle più alte di questo elemento.» spiegò l'uomo pazientemente. Mi stupivo sempre di quanto ne sapesse.
Annuii.
«Suppongo che voi vogliate cercare Sophie. Me l'hanno riferito.» disse l'uomo. «E mi state chiedendo il permesso.»
«Max, non ti stiamo chiedendo il permesso. Ti stiamo informando.» replicai.
«È possibile che Aiden sia con lei? È sparito anche lui.» intervenne Joy.
«Non lo so ragazzi.» affermò l'uomo accarezzandosi il mento.
«Devo ancora mettere a posto i dati sulle circostanze della battaglia. Attendete che vi dia la pista giusta da seguire, non potete semplicemente uscire di qui e cercare.» ci disse massaggiandosi le tempie.
«Prendete questi» aggiunse lasciandoci due orologi con uno schermo nero, triangolare e piatto.
«Sono gli ultimi prototipi. Vi invio i dati. Funziona ad ologramma e a comandi vocali. Ho già registrato i vostri dati all'interno.» spiegò. Mi strinsi al polso sinistro l'orologio.
«Controllerai Nox?» chiesi a Max mentre uscivo dalla stanza assieme a mia sorella.
«Ci proverò.» replicò con un sorriso. Mi bastava.
Prima che lasciassimo la stanza lo schermo dietro le spalle di Max si attivò e il volto di Susan Blackwood comparve.
Sembrava messa piuttosto bene, senza nemmeno una ferita.
Ci sorrise.
«Meng.» sorrise disinvolta.
«Susan.»
«Vorrai sapere dove sono. Ma non te lo dirò... Sappiate solo che finalmente ho quello che volevo.» sussurrò divertita.
«Una dolce riunione di famiglia, amo le riunioni di famigli. Chris, potrebbe raggiungerci... Altrimenti io e la mia nipotina lo precediamo.» sorrise subdola e spense la comunicazione. Raggelai nella mia posizione, fissando lo schermo vuoto.
Angolo Autrice
Dunque, non saprei nemmeno da dove iniziare. Diciamo che vi auguro felice anno nuovo.
Volevo dirvi che avrei voluto pubblicare lunedì, ma non per mancanza di tempo e nemmeno per mancanza di voglia non riuscivo a scrivere. Mi bloccavo mentre pensavo a ciò che avrei dovuto far accadere, così ho diviso quel che sentivo in momenti diversi di questa settimana.
Sono così... Non so nemmeno cosa dire, ancora fatico a capacitarmi della loro morte. Vorrei farvi un angolo Riflessione, ma non saprei nemmeno cosa chiedervi.
Avevo intenzione di far morire Zach dopo che aveva tagliato la gola a Santos. La sua morte non doveva essere eroica fino al momento in cui l'ho scritta. Eppure, lui si è ribellato. Lo sentivo prendere forma sotto le mie dita e prendere in mano la situazione, decidendo lui stesso come sarebbe dovuta finire. Gli ho lasciato fare.
Susan ha finalmente Sophie tra le sue mani e questo è male. Molto male. Come sia successo lo scoprirete nel prossimo capitolo. Anche il prossimo sarà difficile da scrivere, però spero di impiegare meno tempo.
Ecco come si conclude il 2016, eh?
Sempre Skadegladje ha reso il logo della B.L.C. reale, mai stata più felice di aver vinto il suo giveaway.
Qui sotto invece c'è il futuro logo che adotterò nella revisione. Sarà il simbolo di Susan Blackwood e i suoi Ribelli.
Ora passiamo alle immagini che ho disegnato per questo capitolo.
Zach
Opal
Loro... Questa immagine credo sia molto significativa per loro... E mi sono tremendamente rattristata quando l'ho realizzata.
Il prossimo capitolo non ha ancora un titolo, non penso che vi anticiperò altri titoli... Buon Anno Nuovo.
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