7. Popolana
La mattina dopo faticai ad alzarmi, nonostante la sveglia continuasse a suonare.
Quella notte niente sogni strani. Forse avrei dovuto tenere un diario su di essi, magari la mia coscienza mi voleva dire qualcosa.
Solitamente, riuscivo a svegliarmi facilmente anche dopo una nottata passata a leggere, ma quella mattina avrei voluto rimanere sotto le coperte per sempre.
La sveglia suonò di nuovo e mio padre venne a bussare alla porta e la testa di capelli castani di Silas Hunter sbucò da dietro.
«Tutto okay, tesoro?» mi chiese mio padre.
Annuii.
«Ora arrivo, voglio solo evitare il test di biologia» scherzai.
«Ti basta chiedere e dico subito a tua madre che sei malata» disse atteggiandosi ad eroe della situazione. Risi.
«No, grazie papà, è tutto okay» dissi tirandomi su a sedere. Gli sorrisi. Lui si avvicinò e mi baciò la testa.
«Allora sarà meglio che ti sbrighi, principessa» affermò prima di uscire.
«Papà?» lo richiamai prima che uscisse, puntando i suoi occhi blu su di me.
«Smettila di chiamarmi con questi nomignoli, ti prego». Lui se la rise e uscì, chiudendosi la porta alle spalle. Repressi un brivido per la corrente che tirò.
Dopo essermi sistemata a dovere, vestita, truccata e aver mangiato con i miei genitori, mi fiondai in garage, ricordando solo in quel momento che la mia bici era andata perduta.
I miei genitori erano ormai partiti per il lavoro e io ero rimasta a piedi. Dannazione. Per essere una madre iperprotettiva, era ingiusto che mi mandasse a scuola in bici. Mi andava anche bene che mi prendesse una macchina tutta per me, dato che avevo la patente da sei mesi.
E invece mi dovevo fare quel tratto a piedi.
Forse potevo gridare e magari qualche Imperium che mi controllava sarebbe intervenuto in mio soccorso portandomi a scuola. Poteva essere Aiden. Ah, no, lui era partito per Miami, probabilmente era già in viaggio. Forse se gridavo sarebbero sbucati anche i Ribelli.
Fino a quel momento, avevo conosciuto solo James. James Sharp. Ma dovevano esserci veramente molti Ribelli, da come ne parlavano.
Mi ritrovai a chiedermi perché la Blackwood avesse scelto proprio lui, tra tutti i suoi seguaci.
E poi era il solo che mi cercava?
O aveva mandato altri?
Scherzare dei miei possibili aguzzini era quasi divertente. Forse finché non fossi stata veramente in pericolo di vita, non avrei mai avuto paura. Inoltre, trovavo improbabile che la B.L.C. sarebbe venuta in mio soccorso con un grido.
Non era credibile che mi controllassero anche in quel momento, sarebbe stata violazione di privacy, no?
Senza rendermene conto, avevo già raggiunto la metropolitana, notai che il posto in cui solitamente ancoravo la mia bici era stata occupata da un'altra, molto simile alla mia.
Scesi le scale in fretta e passai tra la massa di gente, stringendo le spalline dello zaino.
In quel momento mi guardai intorno.
Una qualsiasi di quelle persone poteva essere un Ribelle. Poteva vedermi, riconoscermi e buttare tra i binari prima che la metro si fermasse.
Mi sto decisamente facendo troppi film mentali.
Mi misi le cuffie alle orecchie e decisi di affogarmi nella voce di qualche cantante della playlist del mio telefono.
Arrivò la metro e nessuno mi buttò sotto. Ovviamente non trovai posto e dovetti rimanere in piedi.
Ad un certo punto mi ritrovai a fissare il mio riflesso e quello delle altre persone dal riflesso delle porte. E lo notai. Qualcuno mi stava fissando. Quel qualcuno mi stava anche sorridendo.
Mi voltai di scatto ma la metro si era fermata e le porte si erano aperte. La gente fluiva fuori, liquidi, che scorrevano verso la loro noiosità quotidiana. Mentre a me batteva forte il cuore ed ero sorda della musica alle cuffie.
Le porte si chiusero e la metro ripartì.
Ritornai a guardare il mio riflesso dalle parte opposta, ma questa volta, mi restituiva solo il mio sguardo spaventato. Non c'era più quello di James Sharp.
***
Forse mi ero sbagliata. Forse ero troppo paranoica, per questo, avevo creduto di vederlo. In realtà non era lui.
Jo non era al solito posto ad aspettarmi, così entrai a scuola da sola. Appena varcai la soglia sentii qualcuno ridermi dietro. Mi voltai infastidita verso le quattro oche che mi avevano derisa per motivi ignoti.
«Che avete da ridere, galline?» scattai, non essendo proprio dell'umore giusto. Poi mi resi conto dell'errore che avevo commesso. Mi ero sbagliata e le avevo chiamate galline, al posto di oche.
Tina, la capogruppo fece un passo verso di me, guardandomi come se fossi uno scarafaggio.
«Non ti credere chissà chi, Hunter. Sappiamo tutti che sei solo una codarda che si nasconde dietro l'ombra della Sharp. Fai sempre il viso d'angioletto davanti a tutti, ma in realtà sei la peggiore» mi sibilò contro.
Le quattro oche ce l'avevano sempre con le ragazze sole. Ne prendevano di mira una e la insultavano per bene. Affondavano altre, in modo che il loro ego potesse rimanere a galla.
Non mi erano mai piaciute e non avevo mai fatto finta del contrario.
Solitamente le ignoravo, ma talvolta non riuscivo a passare sopra alle loro ingiustizie, così intervenivo.
Purtroppo, dopo alcuni episodi ripetuti, non solo coloro che avevo salvato mi evitavano per timore nei loro confronti, ma loro mi avevano presa in particolare antipatia.
Però, in presenza di Jo, non avevano mai il coraggio di infastidirmi, era come se avessero paura di lei.
Ma in quel momento Jo non c'era e avrebbero colto la palla al balzo.
Dovevo ammettere che anche io facevo la mia parte, replicavo alle loro provocazioni come una bambina infantile.
«Se non fosse Jo a trattenermi non avreste più un volto in cui specchiarvi» dissi regalando loro un finto sorriso gentile.
«Tu ti dai troppe arie! Se non stai attenta ti daremo una bella lezione!» intervenne Rona con voce stridula e facendo ondeggiare i suoi ondulati capelli scuri.
«Peccato che non abbia niente da imparare da delle zucche vuote» assunsi un'aria dispiaciuta che avrebbe irritato chiunque. Sapevo di essere odiosa ed era come se le istigassi ad attaccarmi.
Rona fece un passo minaccioso verso di me e alzò la mano, pronta a colpirmi, ma venne fermata come previsto dal dirigente scolastico.
«Ehi, tu! Che intenzioni hai!» esclamò avvicinandosi, cercai di trattenermi dallo sfoderare un sorriso sadico. Rimproverò le quattro oche, parlando di indisciplina e dell'incorrettezza di affrontare in quattro una persona sola.
Ricevettero una bella strigliata e io delle rassicurazioni non necessarie, ma mi limitai a sorridere ed annuire educatamente.
Dopo che il dirigente scolastico se ne andò, mi voltai per andarmene, mentre Tina mi mimava con le labbra "sei morta".
Io sospirai:«Che disgrazia che fosse passato proprio in quel momento. Mi ha portato via un sacco di tempo, sono in ritardo per la lezione di storia. Vi saluto ragazze» regalai loro un'altro ampio sorriso e me ne andai soddisfatta.
La scuola era una noia mortale per me. Era solo una normalissima scuola senza particolari problemi o avvenimenti.
Nei libri, la vita di un protagonista era sempre piena di eventi, mentre la mia era un'interminabile routine noiosa. Anche i compagni erano sempre gli stessi, banali e privi di attrattiva.
Persino le materie scolastiche erano una noia mortale. Non avevo mai avuto problemi a scuola e la mia media impeccabile non era mai stata intaccata.
Le risposte mi venivano sempre facili ed immediate, mi bastava solo leggere una volta gli argomenti per saperli esporli, come se li avessi già studiati in passato.
Non avevo mai sentito nemmeno l'ansia dei test. Ma ciò non significava che mi piacesse stare sui libri scolastici e prepararmi ad essi.
Il quartetto di oche non mi dava mai alcuna soddisfazione, erano incapaci e superficiali.
Quasi desideravo di avere delle vere stronze che mi bullizzassero per rendere la mia vita scolastica meno piatta.
Non avevo vita sociale, per via di mia madre, e Jo era sempre stata il mio unico punto di fuga reale.
Scappare di casa o bigiare a scuola, erano semplicemente i miei capricci per fuggire dalla vita noiosa in cui ero incastrata.
Mi sentivo da tutta la vita in gabbia e desideravo da sempre perdermi in un'avventura unica degna di una protagonista di un romanzo fantasy.
Per questo leggere è sempre stata una delle mie passioni. Leggere è una fuga dalla realtà, e un'immissione in una vita alternativa piena di emozioni varie.
Mentre pensavo a tutto ciò, Jo comparve al mio fianco. Aveva saltato le ore del mattino e in quel momento si trovava nuovamente appiccicata a me.
«Pensavo mi avessi abbandonata» affermai con voce piatta mentre davo un morso al mio panino.
«Salutavo il mio ragazzo. Dopotutto non lo vedrò per un po'» affermò tranquillamente incrociando le gambe.
Eravamo sedute sulle scalinate del cortile della scuola, a consumare la pausa pranzo.
«Quindi Aiden è partito» dissi. Il mondo di Jo mi affascinava, anche se a quanto pareva anche io c'entravo, dato che ero nipote del capo. Era dal giorno precedente che volevo riempirla di domande a scuola, volevo conoscere ogni dettaglio. Tutto ciò mi elettrizzava così tanto che dimenticai che quella mattina mi era sembrato di vedere il fratello assassino della mia migliore amica.
Jo mi guardò con curiosità poi confermò: «Già, è partito.»
Non mi piaceva il modo in cui mi stava guardando la ragazza, sembrava mi scrutasse.
«Perché mi fissi?» chiesi infastidita, lei alzò le spalle come per dire "niente di importante", poi diede un morso alla sua focaccia.
«Comunque, non farmi domande sulla B.L.C. a scuola. Qui devi fingere che sia tutto okay. Non ne possiamo parlare, è vietato, potrebbero esserci orecchie di troppo.» mi precedette togliendomi tutto l'entusiasmo.
E io come faccio a saziare i miei dubbi?
Non volevo creare problemi a Jo, quindi mi limitai ad annuire sconsolata. Ma a fine pranzo non resistetti, così mi sfuggì un unica domanda, che non era neppure tra le primarie: «Ma i senior possono viaggiare da una base all'altra quando vogliono? E le spese? Chi le paga?» Poi mi tappai la bocca con entrambe le mani. Jo sospirò e alzò gli occhi al cielo.
«Lo sapevo che non avresti resistito più di due secondi» mormorò affranta «Sì, le squadre senior sono quelle che viaggiano di più da una base all'altra. Loro riempiono i buchi e noi dell'Élite siamo quelli che viaggiano di più in assoluto, essendo i più forti. Le spese ovviamente, sono tutte a carico della B.L.C. Ma ogni membro, Imperium o intellettuale, possiede un fondo fiduciario alla quale può attingere. Quelli dei Senior sono principalmente occupati dai loro Mentori, mentre gli Iniziati sono solo dei mantenuti» mi disse professionalmente guardandosi attorno con circospezione.
Sorrisi affascinata. La B.L.C. era così maledettamente organizzata, incredibile e misteriosa.
«Figo! Quindi quanto guadagni?» Jo sbuffò «Dipende dalle mie prestazioni e dalle missioni autorizzate. Con te sto guadagnando un sacco, comunque» mi fece un sorriso obliquo che mi fece credere che stesse solo scherzando.
Giungemmo davanti ai nostri armadietti, fortunatamente vicini. Aprii il mio con il codice datomi a inizio anno e iniziai a riporre i libri all'interno. In quel momento sentii lo schiamazzo del gruppo di football. Mi irrigidii inorridita e ficcai la testa nell'armadio.
«Dimmi quando sono passati» sibilai a Jo. La ragazza alzò un sopracciglio ma non chiese nulla.
Guardandomi indietro, notai Eric White passare, stava chiacchierando con qualcuno e fortunatamente non mi notò. Quando le loro voci furono lontane tirai un sospiro di sollievo e chiusi l'anta e Eric era lì a fissarmi con i suoi occhi castani. Mi voltai di scatto verso Jo, scambiandoci occhiate piene di battute.
"Ti avevo detto di avvertirmi quando erano passati tutti!" sgranai gli occhi.
"Infatti non ti ho detto niente!" Fece lo stesso ma scosse leggermente la testa.
"Traditrice" inarcai le sopracciglie.
"Idiota" lei alzò gli occhi al cielo.
«Ciao, Sophie» mi salutò il ragazzo incrociando le braccia al petto, sorridendomi.
«Eric» mormorai. Eric White poteva benissimo essere considerato il ragazzo più popolare della San Francisco High. Era carino, capelli biondi e occhi di un caldo castano chiaro, un viso con dei bei tratti decisi e un fisico allenato.
Il motivo per la quale ero decisa ad evitarlo? All'inizio dell'anno scolastico non so come, era riuscito a convincermi ad aiutarlo a conquistare Jo. A quei tempi, l'ho trovata un'idea geniale. O semplicemente avevo trovato un compito difficile da fare che avrebbe spezzato la mia monotonia. Ma ormai conoscevo l'esistenza di Seth Frost.
«Vado in classe» annunciò Jo con voce piatta allontanandosi e lasciandomi sola con Eric. Il ragazzo la seguì con lo sguardo finché non fu a portata di vista.
Sospirai:«Eric, lo so che fino all'altro ieri ti ho detto che ci stavo lavorando... »
«Ma?» chiese lui impaziente avvicinandosi curiosamente a me. Non mi piaceva rovinare l'entusiasmo delle persone o in generale essere l'artefice di mali.
Ma dovevo avvertirlo, altrimenti si sarebbe dato false speranze.
Ero proprio una pessima persona, promettere qualcosa e poi ritirarmi.
«Vedi, ieri sono venuta a scoprire che... Jo è fidanzata con un ragazzo che vive dalle sue parti... Io non lo sapevo solo perché lei non me l'ha voluto dire... Sai, cose che le donne amano fare» iniziai a dire gesticolando parecchio mentre il ragazzo alzava un sopracciglio.
«Quindi? Mi stai dicendo che devo rinunciare e che non ho speranze?» mi chiese. Non sembrava particolarmente dispiaciuto o scioccato. Ma forse non aveva ancora accettato il fatto. Ripensai a Seth e a come Jo lo guardava. Poi dissi a Eric in modo schietto e diretto:«No. Nessuna speranza» strinsi le labbra. Forse ero stata troppo schietta.
«Senti, almeno adesso lo sai!» esclamai con entusiasmo forzato dandogli una pacca sulla spalla. «Hai tante ragazze che ti sbavano dietro e ce la farai benissimo a conquistarne una» affermai ottimista e sorridendogli. «Allora ciao» dissi in fretta prima di superarlo e scappare da lui. Ma lui mi fermò tirandomi per la spallina dello zaino.
Sospirai rassegnata e tornai a guardarlo. Eric mi sorrise. Un sorriso sinistro che non prometteva nulla di buono.
«Una promessa è una promessa, Hunter» mi disse. «mi devi una ragazza» aggiunse.
«Te la devo cercare io?» chiesi disperata. Non conoscevo bene nessuno della scuola. Andavo d'accordo con molte persone, ma non avevo amiche da presentargli. Jo era l'unica che frequentavo anche fuori dagli orari prestabiliti.
Gli altri erano tutti conoscenti.
Sapevo che mi sarei messa nei guai con questa maledetta promessa, perché ho accettato?
«A tal proposito, avrei un'idea migliore» mi disse sorridendo. Ma a quel punto la campanella mi salvò e potei finalmente salutarlo e scappare.
Speravo solo di poterlo evitare per sempre.
Mentre entravo nell'aula del professor Stiles che mi guardò disapprovando il ritardo, colsi un movimento fuori dalla finestra. Ma guardando meglio non c'era nulla. Solo qualche albero piantato nel cortile, le siepi, l'asfalto e dietro tutto, l'altra ala della scuola. Non c'era nessuno. Non mi ero accorta di essere ancora bloccata sulla soglia finché il professore non mi rimproverò.
Nonostante fossi una studentessa modello, il professore di trigonometria non aveva una preferenza nei miei confronti come altri insegnanti invece avevano. Era una cosa che apprezzavo, ma che mi infastidiva allo stesso tempo.
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