45. La quiete prima della tempesta

«Signor Hunter?» chiamò il dottore uscendo con la cartella medica.

«Sì, sono io» confermò mio padre preoccupato, dopo esser scattato in piedi come una molla.

«Lei come sta?» chiese.

«Sta bene ha avuto solo un calo di zuccheri, fra un po' può tornare a casa» dichiarò semplicemente.

«Sua moglie soffre di alto stress, deve aver lavorato veramente molto. Sarebbe utile se prendesse dei giorni di riposo per rilassarsi. La troppa fatica è controproducente.» disse l'uomo in camice bianco.

Mio padre continuava ad annuire e ascoltarlo attentamente, anche se ero certa che non stesse capendo niente, troppo preso dalla preoccupazione per sua moglie.

Io tirai un sospiro di sollievo. In qualche modo pensavo fosse avvenuto a causa mia lo svenimento della mamma.

Lasciai che papà entrasse da solo a vedere la mamma. Per via dei sensi di colpa, avevo paura di vederla, ma cercai di non darlo a vedere a papà.

Mio padre non protestò e lasciò che mi allontanassi fuori dalla sala d'attesa.

Uscii dal pronto soccorso e mi diressi verso l'atrio principale dell'ospedale, quando vidi un distributore automatico e mi diressi lì.

Puntai ad una merendina anonima e rovistai tra le tasche della felpa alla ricerca di una monetina superstite.

Ne trovai alcune e cercai di infilarle nella fessura, ma le mie dita mi tremarono e la monetina scivolò a terra con un tintinnio.

«Accidenti!» sibilai raccogliendola infastidita.

Alla seconda volta il tentativo andò a buon fine.

Pigiai sui numeri illuminati e attesi che quella cadesse, ma la merendina che desideravo si bloccò e non scese più.

«Diamine!» sibilai di nuovo infastidita e con i nervi a fior di pelle.

Presi a tempestare di pugni e a tirare calci al vetro della macchinetta, cercando di far cadere quella stupida ed inutile merendina. Ma era ostica.

Continuai nel mio violento intento, ma qualcuno mi prese per il polso, fermandomi e obbligandomi a voltare verso di lui.

«Ehi, ehi! Così lo spacchi» disse Aiden apparendo dal nulla.

Si avvicinò alla macchinetta e bussò delicatamente il vetro.

La merendina cadde, lui la recuperò e me la diede con un sorriso gentile sulle labbra.

Ma ormai mi era passata la voglia di mangiarla.

In quel momento avevo solo voglia di lanciare quella stupida merendina il più lontano possibile, o magari bruciarla.

Ero arrabbiata con la merendina, ero arrabbiata con qualsiasi cosa, con qualsiasi persona... Ma soprattutto, ero arrabbiata con me stessa.

Faticavo a resistermi arrabbiata ed irritata com'ero. Ero così nervosa che qualunque cosa avrebbe acceso la mia miccia e mi avrebbe fatto saltare in aria.

E quella miccia arrivò.

«Aid?» lo chiamò una voce melodiosa prima che potessi ringraziare il ragazzo per la merendina.

«Aylen, sono qui» disse lui continuando a guardarmi, come a controllare che non riprendessi a prendere a pugni la macchinetta.

«Oh, eccovi qui» disse Aylen allegra facendo capolino da dietro l'angolo e portandosi al fianco di Aiden.

Per qualche ragione la sua presenza mi irritava parecchio.

Se non le stavo simpatica nemmeno io, allora non lo dava a vedere, perché Aylen continuava a sorridermi.

«E lei cosa ci fa qui?» chiesi con voce un po' troppo dura.

«Sophie!» mi rimproverò Aiden.

Ci fu un'esplosione dietro di me, facendomi fare un salto in avanti per lo spavento.

Voltandomi, mi trovai tutte le bottigliette della macchinetta scoppiate e il vetro con una grande crepa, disegnata come una ragnatela.

Guardai Aiden incredula, stupita che si fosse incavolato tanto solo per il mio tono di voce che avevo adottato con la sua ex. Tra l'altro, senza nemmeno farlo apposta.

Ero io quella incavolata per quella sua reazione eccessiva.

Nonostante fossi arrabbiata, ero certa che l'espressione sul mio volto non lo desse a vedere. Ero certa di esser entrata in modalità insensibile.

Aiden fissava anche lui la crepa sulla macchinetta e anche lui aveva un'espressione indecifrabile.

«Non è niente» disse Aylen appoggiando una mano sul braccio del ragazzo, come per calmarlo.

Mi sorrise nuovamente, il che mi diede ancora più fastidio.

Non sopportavo la sua dolce allegria, la sua gentilezza e la sua disponibilità.

Mentre il mio mondo andava a rotoli, ecco che spuntava lei con il suo caldo sorriso, sbattendomi in faccia la sua perfezione e il suo ottimismo, e la sua affinità con Aiden non aiutava certo a farmela piacere. In più, i loro nomi suonavano così simili da darmi ulteriori motivi di fastidio.

«Sì, scusa» mormorai, cercando di suonare mortificata dal mio comportamento.

Ovviamente fallii.

Non riuscendo più a sopportare lo sguardo di quei due, me ne andai senza salutare.

In quel momento volevo solo crogiolarmi nel mio umore nero e nei miei sensi di colpa, oltre che riflettere sul da farsi.

Aiden mi seguì, lasciando Aylen indietro.

Volevo fare una battuta cattiva su di loro, ma chiesi solamente: «Che ci fai qui, Aiden?»

«La rete delle nuove guardie ci ha informato delle condizioni di tua madre e così sono corso qui a vedere come stavi.» spiegò.

«Portandoti dietro la tua bella ex?» chiesi senza riuscire a trattenere la frecciatina.

«Era con me in una ricerca. Eravamo di passaggio prima di tornare alla Base.» mi disse affiancandomi.

Ma lei non doveva essere a Boston?

«Inoltre, devo parlarti... Prima che incontri tuo nonno» mi disse.

Mi fermai di botto, obbligandolo a fare lo stesso.

Poi mi voltai verso di lui e lo baciai sulle labbra con slancio.

Inizialmente era stupito, ma poi il suo corpo si rilassò stringendomi a lui ed esercitando una certa pressione alla base della mia schiena, in modo da avvicinarmi ancora di più a lui.

Approfondii il bacio, lasciando che il formicolio sulla pelle mi distraesse dal caos che c'era dentro la mia testa. Ma non funzionò.

Anche in quel momento il mio cervello stava cercando di combattere i sensi di colpa, la rabbia, la frustrazione, ma allo stesso tempo cercava di collegare tutti i pezzi disseminati dal giorno in cui James Sharp mi rubò la bici.

Quando mi staccai da lui, sussurrò: «E questo per cos'era?» chiese ansimando con l'eccitazione che gli luccicava negli occhi blu.

«Volevo farlo.» diedi una sbirciata alle spalle di Aiden, verso Aylen che ci aveva raggiunti, trovandola imbarazzata e nervosa. Non ci stava nemmeno guardando.

«Aid, ho bisogno di spazio in questo momento, okay? Qualunque cosa tu voglia dire me la dirai la prossima volta, quando la tempesta nella mia mente si sarà calmata» gli sussurrai dolcemente, mettendogli le mani sul petto.

«Ma... Devo dirti che...» insistette lui in difficoltà.

«Per favore» lo interruppi guardandolo fisso nei suoi meravigliosi occhi blu.

Lui mi restituì lo sguardo. Le sue ciglia d'oro scuro tremavano dall'indecisione, ma alla fine mi rispose con un deluso:

«Okay».

***

Girai per tutto l'ospedale senza meta, e solo dopo che fui avvertita che la mamma poteva uscire dall'ospedale, lì raggiunsi verso l'uscita.

Di Aiden e Aylen nessuna traccia, e a me andava bene così.

«Sicura di stare bene?» chiesi a mia madre mentre stavamo attraversando il parcheggio dell'ospedale di San Francisco per raggiungere la nostra auto.

«Sì, cara, sono solo svenuta per amor del cielo! E, tesoro, non ho bisogno che mi sostieni riesco a camminare da sola» disse poi lei rivolta a mio padre che, a giudicare dallo sguardo preoccupato, temeva che sarebbe potuta crollare da un momento all'altro.

Mio padre la guardò testardamente e da esso, mia madre capì che era inutile contestare.

«Mi dispiace mamma» le dissi mortificata.

«E per cosa?» chiese mia madre stupita della mia reazione.

«Ti ho forzata a ricordare cose che non volevi...» commentai abbassando lo sguardo.

«Guarda che tu non c'entri niente. Sono io che mi carico sempre di troppo lavoro. Forse dovrei chiedere un po' di ferie.» commentò scherzosamente mia madre.

Eravamo ormai giunti davanti alla nostra macchine e mio padre prese le chiavi.

«Esatto! E magari le chiederò anche io, così partiamo tutti e tre in vacanza! Non vi ho detto nulla perché volevo farvi una sorpresa, ma ho racimolato abbastanza soldi per fare un bel viaggetto!» commentò mio padre orgoglioso appoggiandosi con una spalla alla portiera dell'auto, atteggiandosi allo splendido della situazione.

Mi strappò un sorriso dalle labbra e anche a quelle di mia madre.

«Ma davvero?» chiese scettica mia madre, però, sempre estremamente divertita. «e come avresti fatto, di grazia? Dato che sono io a tenere i conti in famiglia?»

Mio padre gonfiò il petto e trascinò sua moglie a sé facendomi alzare gli occhi al cielo.

«Il mio amore per la mia famiglia mi ha fatto risparmiare qualcosina e imparare ad evitare sprechi inutili, oltre ad un piccolo secondo lavoretto...» ci disse.

«Per questo volevi riparare tutto da solo ogni volta che si rompeva qualcosa in casa?» mi intromisi divertita.

«Anche... Però devo ammettere che lo facevo anche per impressionare mia moglie...» ammise lui stringendo i fianchi di mia madre.

«Silas Hunter, sei un uomo pieno di risorse.» disse mamma appoggiando le mani sul petto di papà e guardandolo negli occhi.

«Ti amo»

«Ti amo più io»

Distolsi lo sguardo imbarazzata mentre i miei si baciavano.

Ma dovevano essere per forza così sdolcinati? Anche nel parcheggio dell'ospedale?

Prevedevo già l'arrivo di un fratellino. Già, in quell'esatto momento percepivo già il suo concepimento.

Sentendo qualcuno correre verso di noi ci voltammo, rivelando una donna con in tuta dall'aria agitata e quasi folle.

«Salite! Presto, presto!» esclamò la donna con il fiato corto.

«Amber? Che ci fai qui?» esclamai sconvolta quando la riconobbi.

L'ultima volta che l'avevo vista era stata portata via dalla B.L.C.

«Non c'è tempo, muovetevi!» ripeté lei agitata guardandosi attorno.

«Chi sei tu?» chiese papà sconvolto «Ma... Io ti conosco» aggiunse in un sussurro che le fece sgranare gli occhi.

Amber parve sorpresa dalla presenza di mio padre.

«Sono laggiù» urlò qualcuno in lontananza.

Amber si riprese dallo shock e guardandosi indietro mi spinse verso la macchina.

«Stanno arrivando, non c'è più tempo salite, svelti!» ci incitò.

Non feci domande e anche se mio padre sembrava sul punto di protestare, riuscii a convincerlo a salire.

Mia madre ci seguì anche lei senza dire niente. La guardai per capire come si sentisse, ma la sua espressione era indecifrabile. Non sembrava né spaventata, né confusa, ma probabilmente stava reprimendo tutto come me.

Amber si mise al posto di guida, io nel sedile anteriore e i miei salirono dietro.

«Chiavi» ordinò.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top