44. Domande senza risposta

Cercai di impedire che tutto ciò accadesse, ma due braccia mi bloccarono e una voce perentoria mi ordinò di calmarmi.

Mi voltai verso la fonte e cercai di spiegare all'uomo davanti a me che Amber era innocente e che non era una Ribelle.

L'uomo che mi aveva bloccato cercò di calmarmi.

«Miss Hunter, non si deve agitare.»

«Cosa le farete?» chiesi spaventata e disperata voltandomi verso di lui. Era Eldon Fullen. Il capo delle guardie.

Spalancai gli occhi mentre lui mi diceva: «Verrà portata alla Base di Philadelphia, dove le attenderà ciò che gli spetta.»

Avevo le orecchie ovattate.

Un milione di risposte mi arrivarono tutte in un momento. I fili spezzati si ricongiunsero, le tessere andarono al loro posto.

Eldon Fullen era l'uomo che mi aveva fatta svenire davanti a casa. E probabilmente era anche colui che mi aveva seppellita viva.

Non ci si poteva fidare della B.L.C., James aveva ragione.

Amber diceva la verità.

Mi voltai verso la donna che stava per venire trascinata via, totalmente disperata.

Lei invece mi sorrise, tranquilla e con l'espressione gentile. Mimò con le labbra solo una parola: «Chiedi.»

Poi venne trascinata via.

***

Venni scortata alla Base dove rimasi rigorosamente in silenzio, tranquilla e fingendo che non fosse accaduto nulla.

Jo mi aspettava all'entrata, con espressione preoccupata.

Probabilmente era stufa di farmi da badante ogni volta che mi succedeva qualcosa.

Mi sentivo come un cane che continuava a scappare di casa e riportato indietro, con Jo che mi faceva da dogsitter.

«Ho sentito che hai avuto a che fare con una Ribelle. Mi spiace...»

«L'ho cercata io.» replicai impassibile. «Ai miei occhi era della B.L.C.» affermai senza far trasparire alcuna emozione.

Vidi Fullen allontanarsi e fare un cenno a Jo.

Jo sembrava combattuta per qualcosa, ma non le chiesi il motivo.

Era mattina presto e c'era già qualcuno che girava per la Base.

Avevo dormito pochissimo ma non mi ero mai sentita più attiva.

Jo mi propose di andare a mangiare qualcosa per colazione e io non rifiutai.

Sembrava che la mia amica si stesse preparando per dirmi qualcosa ma non sapesse da dove iniziare.

Non le facilitai le cose, semplicemente attesi.

Ma dopo qualche altra conversazione caduta sul banale, decisi di rompere io quella finta favola in cui mi aveva messa.

«Hai mai sentito parlare di "Nox"?» le chiesi prendendo con l'indice lo zuccherino che era caduto sul piatto dalla mia brioche.

«Sì, ma è solo una leggenda inventata dai deboli che pensavano di essere trascurati alla B.L.C. e che erano troppo codardi per tradirci passando ai Ribelli.» mi liquidò Jo in fretta.

Per qualche strano motivo sentivo che quelle parole erano vere. Lei non sapeva nulla di questo presunto "Nox".

«Piuttosto, fra un po' è il 31 gennaio. Il tuo compleanno! Dovremmo fare una festa in grande. Magari alla B.L.C.» cambiò di nuovo argomento. Gli occhi della mia amica erano luminosi e pieni di entusiasmo, come se si fosse trattato di una festa per il suo di compleanno. Ma io avevo tutt'altro per la testa che uno stupido party a mio nome.

«Non voglio festeggiare il mio compleanno.» la interruppi fin troppo bruscamente, trascinandola nuovamente a terra.

Jo mi guardò stupita.

«Cosa c'è a Philadelphia? Da come ne parlano tutti è una Base differente. Perché?» le chiesi ancora. 

«Ma che te ne frega tutto ad un tratto? Che ti ha inculcato in testa quella donna?» esclamò di rimando alterandosi.

«Lei non mi ha inculcato niente. Sono cose che ho sempre voluto sapere.» le dissi cercando di non perdere le staffe come lei.

«Cosa vuoi che sia? È una prigione. È una prigione dove teniamo i criminali più pericolosi e importanti, Imperium Ribelli per la maggior parte dei casi. Per questo non ci piace parlarne. È un posto pieno di brutta gente.» replicò schifata. Non poteva essere tutto lì, ci doveva essere qualcos'altro.

«Una prigione... Sai una cosa? Ho notato che ci sono veramente molte guardie e davvero molti Imperium, molti di più rispetto agli scienziati. È insolito che un ente benefico quale la B.L.C. abbia bisogno di tante guardie. Non dovrebbero esserci più menti invece che braccia?» chiesi fingendo ancora una volta noncuranza.

«Non è ovvio? È per via di Susan Blackwood. Abbiamo bisogno di difenderci da lei.» rispose prontamente Jo.

«Ma è ridicolo.» risi sarcastica. «praticamente la B.L.C. esiste per lei.» il mio tono di voce arrivava ad essere sprezzante e Jo se ne accorse. Mi guardò attentamente, come a valutare cosa dovesse dire per tenermi buona.

«La B.L.C. non esiste per Susan Blackwood. È nata con lo scopo di migliorare l'umanità e il mondo. Persegue la mente e il progresso.» disse soppesando le parole.

«È nata così, ma ciò non vuol dire che sia rimasta così. Ho visto cose fantastiche che non vengono condivise con il resto dell'umanità, ma anche terribili e del tutto incontrollate»

«Non so cosa ti abbia detto quella donna, ma la B.L.C. non è marcia come pensi.» sbottò la mia amica lasciando cadere briciole di croissant ovunque.

«Allora dimostramelo. Dimmi cosa fanno realmente a Philadelphia, perché sono certa che non me la racconti giusta. Tutti sembrano temere quel luogo e sono certa che non sia per i criminali che vi abitano. Gli Imperium non hanno paura dei criminali.» dissi.

Jo sostenne il mio sguardo e sembrò vacillare.

«Se non è per quello che potrebbero fare i criminali... Allora potrebbe essere quello che fanno a loro?» iniziai a spaventarmi e mi immaginai scenari terribili su Amber.

Jo continuava a soppesare le mie parole senza spiccicare parola.

«Senti, sembra che tu non mi voglia credere, allora che ne dici se organizziamo un bel tour delle Basi? Avevamo già intenzione di proportelo. Così potrai vedere con i tuoi occhi quel che è la nostra organizzazione.

Ovviamente, io, Aiden e il resto della squadra Élite ti staremo accanto per proteggerti.» propose.

«Ho sentito che mi nominavate.» Aiden comparve al nostro fianco appoggiando la sua tazza di cappuccino e si fece spazio tra noi.

«Le hai detto della visita guidata?» chiese di buon umore.

«Già.»

«Non voglio fare una visita guidata dove mi farete vedere quel che volete farmi vedere.» sbottai.

Il sorriso sul volto di Jo svanì. Forse perché era convinta di avermi incastrata e sapere che non mi lasciavo più corrompere non rientrava nei suoi piani. Quella reazione mi diede fastidio.

«Volete sapere perché non mi fido?» dissi alzandomi e sbattendo le mani sul tavolo, stupendo sia Aiden che Jo. Non sapevo se fossero realmente stupiti o fingessero. Non sapevo nemmeno se mi convenisse dir loro la mia opinione. Ma ero troppo arrabbiata per ragionare bene su tutte le possibilità. Volevo solo sbattere in faccia loro il torto.

«Eldon Fullen. Il capo delle guardie. È stato lui a farmi svenire e seppellirmi sottoterra. Me lo ricordo.» dichiarai ad alta voce facendo girare un po' di gente nella sala ristoro.

«Abbassa la voce! Che hai da urlare?» sibilò Jo tirandomi per la manica della felpa.

«Parliamone con calma, Sof. È un'accusa grossa, lo sai?» disse invece Aiden guardandomi serio.

Sembrava veramente interessato. Forse non lo sapeva.

Guardai Jo: stupita e irritata. Forse nemmeno lei lo sapeva.

«Dico sul serio. Lo ricordo bene ora che l'ho rivisto. È lui.» affermai seria. Dalle loro facce capii che non mi credevano e io mi irritai e frustrai ancora di più.

«Sof, è possibile che quella donna ti abbia influenzato tanto da farti credere di aver visto il capitano Fullen.» iniziò Aiden con tono apprensivo.

«No!» sbottai. «Volete sapere che mi ha detto? Che mi avete preso la memoria e riempita di spazzatura! Ecco cosa!» sibilai con tutta la rabbia e il veleno che avevo in corpo.

Le mie parole erano piene di risentimento e delusione. Non mi capacitavo di come riuscissi ancora a rimanere seduta con loro a parlare e basta, quando avevo voglia di scuotere entrambi violentemente e prendere a calci e pugni qualsiasi cosa mi fosse capitata a tiro.

I due ragazzi spalancarono gli occhi dallo stupore in contemporanea. Poi si guardarono, senza reagire in qualche modo.

Temevo che mi avrebbero data della pazza visionaria e non l'avrei sopportato.

Non dissi loro del mio sogno su James, per qualche motivo, volevo tenerlo per me.

«Jo!» esclamai verso la mia amica prima che potesse parlare.

«Mi avevi promesso di essere sincera! Dimmi se ciò che mi ha detto Amber è vero» anche alle mie orecchie la mia voce suonò così tremante e piagnucolante che mi feci pena da sola.

Fu un'eternità il silenzio che ne seguì, ma poi lei annuì suo malgrado.

Un peso nel petto si sollevò, ma altri lo stavano ancora schiacciando. «Spiegami perché non sono un Imperium allora» le ordinai.

Sospettavo la risposta, ma avevo bisogno che me lo dicessero loro, chiaro e tondo. E ovviamente non lo fecero.

Jo guardò nuovamente Aiden che ricambiò con un leggero scuotere della testa.

«Non credo tocchi a me spiegarti tutto... Meglio che ne parli con tuo nonno» disse allora Jo.

«Lui mi mentirebbe ancora» dissi, anche se lo avevo detto più per timore. Nel mio sogno-ricordo lui era...

«No, non lo farà. Questa volta ti dirà tutto, gli abbiamo riferito l'incidente con Amber e ci ha ordinato di riportarti in Alaska. Sta tornando anche lui dall'Europa per parlarti.» mi rivelò a quel punto Aiden.

«Quando?» chiesi stupita. Quando aspettavano a dirmelo? Me l'avrebbero detto se non li avessi messi alle strette?

«Quando vuoi» replicò il ragazzo con la schiena dritta e guardandomi come il soldato che era.

«Poi cosa succederà?» chiesi iniziando a tremare. Non avevo intenzione di tirarmi indietro, però il mio cuore batteva veramente forte e avevo paura. Non sapevo nemmeno io di cosa di preciso.

«Questo dipende da te.» rispose Jo.

Nel profondo sapevo che ero ancora in tempo per tornare indietro, per essere normale, tornare dai miei genitori e riprendere la scuola facendo finta di niente, rientrando in quella routine che mi aveva sempre annoiata. Ma ovviamente non lo feci.

«Prima voglio parlare con mia madre» dissi con decisione.

«Certo» Jo annuì comprensiva.

La fissai a lungo e pensai che ci fosse qualcosa che non quadrava

«Tu mi seguirai, non è vero?»

«Ti ho promesso che non ti mentirò più, quindi sì, verrò con te.»

«Perché dovresti? Ci sono già gli Imperium appostati fuori casa mia. Stalker di prima qualità che al momento giusto ti tramortiscono e seppelliscono viva. Non scappo» affermai sarcastica e risentita.

«Ma scoppi» replicò lei cercando di mascherare eccitazione, preoccupazione e quello che mi sembrava orgoglio.

«Che intendi dire?»

«Non ricordi?» fece lei guardando Aiden che inarcò un sopracciglio.

«Odio questa domanda. Ovvio che non ricordo! Mi hanno sottoposta al Flash!» esclamai esasperata e irritata. Ogni volta che ci pensavo mi prudevano le mani.

Lei scosse la testa: «No, parlavo di questa mattina, alle porte della Base»

Mi stupii.

«Perché cos'è successo?»

«Il cancello è di titanio, Sophie, per non parlare del sistema di sicurezza elettrificato che si attiva quando un estraneo si avvicina troppo. Poi gli alberi attorno sradicati...»

«Quindi?» chiesi perplessa.

«Beh, hai distrutto quasi tutta l'entrata al viale. Saresti dovuta venire fulminata, eppure sei viva e hai causato più danni di qualsiasi Ribelle» rispose lei con ovvietà.

«Cosa? E come avrei fatto?» chiesi stupita.

Lo sapevo. Lo sapevo. Lo sapevo! Eppure, non ci credevo ancora.

Jo sospirò.

«Te lo spiegherà Mr. Barker» Jo si alzò per uscire.

«Ehi! Non puoi lanciarmi la pallina e riprendertela!» le urlai dietro, ma la ragazza se n'era già andata.

Guardai furiosa verso Aiden in cerca di spiegazioni. Perché non me lo dicevano chiaro e tondo? Volevo che me lo dicessero ad alta voce.

«Sappiamo tutti e due che hai capito.» mi disse il ragazzo.

«Allora dimmelo.» ordinai chinandomi verso di lui. Lo dissi dritto negli occhi blu, con sfida.

«Non tocca a me farlo.» mi disse irritandomi, a voce così bassa che mi toccò avvicinarmi ancora di più.

«Ma c'è una cosa che non ti abbiamo detto. Tuo nonno non è tornato per te, ma perché ha seguito Susan Blackwood che è tornata pure lei. Quindi... È molto probabile che ora il Geminus ritorni molto più attivo ora che la sua padrona è qui.» mi avvisò.

Le sue parole non mi spaventarono.

Mi ritirai sulla sedia sospirando.

Era inutile continuare con Jo e Aiden.

Mi restava solo parlare chiaro con l'uomo dietro a tutto, ovvero mio nonno.

Ma prima volevo chiarire le cose anche con mia madre. Volevo accertarmi che lei non sapesse veramente niente di Nonno Barker.

Finii la colazione assieme ad Aiden e mi preparai a tornare a casa.

«Senti, Sof, ci sarebbe un'altra cosa che dovresti sapere.» iniziò Aiden mentre uscivamo dalla sala ristoro.

«Cosa?» chiesi temendo già il peggio.

Lui mi guardò a lungo mentre io attendevo piena di aspettative.

«Ti accompagniamo anche questa volta io e la mia squadra.» disse sorridendomi.

Pensai che non fosse quella la cosa che mi volesse dire. Dopotutto era scontata che l'avrebbero fatto.

***

«Ehi mamma?» la chiamai.

Ero arrivata a casa stanca morta e avevo dormito per il resto della giornata. Alla sera, mia madre non era tornata e dovetti attendere la mattina dopo per parlarle.

Mio padre era ancora a letto e lei stava facendo i pancake. Era il momento perfetto.

«Mhmm?» mugugnò.

«Volevo parlarti» iniziai.

Mia madre mi dava la schiena, se mi avesse vista in faccia si sarebbe preoccupata.

«Parla allora» disse semplicemente.

Vada come vada.

«Mi racconti dei nonni? E del tuo rapporto con loro?» chiesi cercando di suonare naturale e non una che ci aveva rimuginato sopra un giorno intero.

Mia madre si bloccò all'improvviso e spense i fornelli.

«Perché chiedi questo?» si voltò verso de me e mi raggiunse sedendosi sulla sedia accanto alla mia. Mi guardò seria.

«Io mamma non so niente di te... So solo che sei nata in Messico; che hai frequentato la Marcey Academy di San Francisco; che hai incontrato papà durante una vacanza alle isole dei Caraibi e te ne sei follemente innamorata; hai iniziato a studiare economia, ma hai mollato tutto perché eri rimasta incinta di me; papà ovviamente ti ha chiesto di sposarlo ma fu costretto a partire perché faceva parte dei marines... Lo vedevi oramai solo due volte l'anno, talvolta nemmeno quelli; ti sei fatta carico di me da sola, lavorando come cameriera al ristorante in fondo alla strada e studiando in contemporanea, finché quattro anni fa papà non ha mollato tutto diventando insegnante di educazione fisica. E ora sei una super mamma che lavora come contabile» conclusi. «La tua sintesi della mia vita è stata impeccabile, cara» commentò lei.

«Sì ma non so niente di te, non so nemmeno qual è il tuo colore preferito, perché odi la musica e.... » e se sei ancora la donna che eri stata.

«E credo che sapere dei nonni mi aiuterebbe di più a capire te e di conseguenza capire anche me» finii.

«Hai una crisi d'identità? Devo procurarti uno psichiatra?» scherzò mia madre puntandomi il dito contro la fronte ed esercitandoci su una leggera pressione.

Alzai gli occhi al cielo.

«Primo, lo psichiatra è per le persone da manicomio, semmai psicologo e, secondo, non ho una crisi d'identità voglio solo... Capire» dissi.

Mia madre mi guardò e sospirò: «Lo sai... I tuoi nonni sono morti in un incidente d'auto quando avevo la tua età e comunque non avevo mai avuto un buon rapporto con loro.» mia madre si girò verso i fornelli.

«A dire la verità, non ricordo molto bene quel periodo. La mia vita in pratica è iniziata con tuo padre.» ammise.

Proprio come io non ho ricordi chiari della mia infanzia... Anche tu mamma vedi le cose sfocate?

«Mia madre... Mi ha amata tanto. Lo so che mi ha amata. Ricordo che quando ero più piccola mi cantava sempre meravigliose canzoni prima di dormire...» scosse la testa. I suoi occhi si fecero distanti.

Ad un tratto, si portò le dita sulle tempie.

«Mamma? Tutto bene?» chiesi appoggiandole una mano sulla spalla.

«Tutto a posto, Sofficina. Mi spiace, ma non so che altro dirti dei miei genitori. Non sapevo nemmeno se si amassero.» sospirò sempre tenendo le dita sulle tempie.

D'un tratto, mi venne un'idea per chiarirmi alcune idee.

«Che aspetto avevano? Non hai loro foto.» chiesi.

Mia madre mi guardò, poi sospirò.

«Tuo nonno aveva i nostri occhi. Un'eredità dei Barker e i capelli color cannella. Il volto squadrato e severo, anche se riusciva a sfoggiare sorrisi che incantavano tutti quando voleva ottenere qualcosa. Un po' come te. Tua nonna era bionda con gli occhi castani e il sorriso gentile.» rispose in fretta.

«Bionda?» chiesi inarcando un sopracciglio.

«Bionda.» ripeté sicura mia madre.

«Ma tu hai i capelli neri.» feci notare.

Mia madre rimase impassibile.

«A volte la genetica è strana. Ma sono certa che mia madre fosse bionda.» disse.

«E come si chiamava?» chiesi.

«Eleanor Barker. Il suo cognome da nubile era Storm.» Il nome coincide con quello nominato da Ary. E il cognome da nubile è lo stesso della Sandy Storm che Jo adora tanto... Siamo imparentate con lei? Perché Jo non me l'ha fatto notare, lei che ci tiene sempre a precisare tutto? Se incontrassi questa Sandy, potrei ottenere qualche informazione in più?

«Perdonami, tesoro, ma mi è venuto il mal di testa... È meglio se...» la vidi barcollare e socchiudere gli occhi.

«Mamma...» la chiamai mentre tentava di alzarsi sulle sue malferme gambe.

Mi guardò e con un'espressione triste disse: «Vorrei tanto che tu non volessi tutto ciò.»

E poi svenne.

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