38. Incubo nero

Dolore... Tanto dolore... Uno strillo acuto mi venne strappato dalla gola.

«Fermatevi! Fermate tutto! Cristo, Sophie!» gridò disperato qualcuno.

Tutto prese a tremare. Le pareti crollavano sotto una forza che mi vibrava dentro.

Sentivo forti esplosioni incontrollate.

Sentivo odore di bruciato e... No, io ero le esplosioni e il fuoco. Ero la terra tremante, ero l'elettricità. Io ero distruzione.

E poi c'era quella voce. Qualcuno che mi chiamava. Qualcuno che mi supplicava di fermarmi.

Mi svegliai con il batticuore e le lacrime agli occhi.

Mi toccai le tempie con entrambe le mani, dove prima sentivo pulsare quel dolore inaudito, sentendole bagnate dal mio sudore.

Il sogno era ancora vivido nella mia mente.

«Era solo un sogno» dissi. Ma sembrava così reale.
Solo pronunciare quelle parole mi fece prudere la gola, talmente secca che mi fece pensare di aver urlato tanto nel sonno.

Il cuore batteva ancora forte sotto il mio palmo scivolato sul petto ma, cercando di ricordare il sogno, realizzai che i dettagli stavano già scivolando via, lasciando solo una scia di brutte sensazioni.

Cercai di ricordare cosa mi avesse turbato, perché sentivo fosse importante.

Frustrata lanciai un grido e qualche secondo più tardi qualcuno prese a bussare violentemente alla porta, zittendomi.

«Quella stupida storia non può essere vera... E io non sono nella camera 069.» dissi tra me e me per rassicurarmi.

«Chi è?» chiesi alzando la voce.

«Sono io, Aiden.» rispose quasi agitato.

Lanciai uno sguardo sulla sveglia digitale sopra il comodino a fianco.

4:15

Accanto ad esso c'era un pulsante automatico che mi permetteva di aprire la porta.

Aiden avanzò velocemente nel buio della mia camera, illuminato spettralmente solamente dalle luci al neon del corridoio.

Accesi la lampada.

«Che succede?» chiese preoccupato. «Stavi urlando» si spiegò.

Non seppi che rispondere e rimasi a fissarlo perplessa e attonita.

Probabilmente interpretò male il silenzio perché si affrettò ad aggiungere: «Dormo nella stanza infondo al corridoio. Stavo ritornando da uno spuntino notturno.»

Non risposi.

«Quindi... È tutto a posto.» mormorò a disagio.

«Un brutto sogno» cercai di tranquillizzarlo con un sorriso.

«Vuoi compagnia?» chiese sedendosi sul bordo del mio letto. Allungò una mano per sistemarmi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Sembrava esitante come se non sopportasse l'idea di lasciarmi sola con i miei incubi.

«No, tutto a posto» dissi imbarazzata dalla sua proposta.

Poi mi scostai da lui nervosa, ricordandomi della serata e dei Ribelli.

Non mi ero scordata quella macabra scena e non avevo accettato o scusato quelli dell'Élite.

Pensavo di aver paura di questo loro lato oscuro, ma non era così. Più che altro ero rattristata e non volevo pensarci. Per questo facevo finta che non fosse successo niente.

Però essere stata sfiorata da Aiden in quel modo, mi aveva portato tutto alla mente e mi rendeva restia a stargli accanto.

Uno strano rumore interruppe il silenzio imbarazzante. I miei occhi cercarono i suoi, luminosi nonostante il buio.

Sembrava un lamento. Accompagnato ad esso, c'era un bussare incessante sulla parete che collegava alla stanza accanto.

«È la stanza 069.» commentò Aiden.

Mi passò un brivido lungo la schiena.

«Mai sentito la storia del...»

«Stephen ha già parlato.» lo anticipai.

Aiden ridacchiò.

«È questa storia di fantasmi che non ti ha fatto dormire? Possiamo andare assieme a controllare. Ti garantisco che è una stanza normalissima.» si offrì il ragazzo allungandomi una mano.

Non avevo paura e non volevo nemmeno andare a caccia di fantasmi. Ma sapevo che non mi sarei riaddormentata tanto in fretta, così accettai l'offerta. Però non accettai la sua mano.

Aiden se la rimise in tasca fingendo indifferenza.

Con addosso solo una maglietta e dei pantaloni della tuta presi in prestito, seguii Aiden a piedi nudi verso il corridoio.

Aiden andò a recuperare il pass per aprire.

Il pavimento era freddo sotto i miei piedi, ma la temperatura all'interno della Base era tiepida e costante.

Il ragazzo ritornò e aprì la porta.

Sembrava una stanza come le altre, non aveva nulla di particolare.

«Il problema del bussare alla parete è il piede mancante dell'armadio.» disse Aiden avvicinandosi all'armadietto.

Traballava e l'aria che cambiava attraverso la presa d'aria mandava il mobile a sbattere contro il muro.

Aiden non ci mise molto ad individuare anche l'altro problema, dopo che aveva gironzolato per la stanza.

«Questa camera non viene usata da tempo e i meccanismi tecnici hanno qualche problema. Questo provoca un particolare stridio che lo fa sembrare ad un lamento.» commentò avvicinandosi nuovamente alla porta. Accese la luce e chiuse la porta. Questa provocò il lamento che avevo udito prima.

«Essendo accanto alla tua stanza il meccanismo attraversa la tua parete. Per questo si sente tanto da te.» spiegò

«Ma se abbiamo sentito quel rumore significa che qualcuno è entrato o è uscito da questa stanza.» commentai.

Io e Aiden ci guardammo di nuovo intanto che la consapevolezza di ciò che avevo detto entrava nella nostra testa.

«Ma io ho preso la chiave dal box... Nessuno avrebbe avuto tempo di entrare o uscire e rimetterla a posto.» mormorò Aiden.

Mi avvicinai alla porta e provai ad uscire ma quella non si aprì.

«Mi apri la porta?» gli chiesi.

«È automatica dall'interno.» replicò lui distratto mentre aggiustava l'armadio infilando sotto il piede alcuni fogli presi dalla scrivania.

«Ehm, no.» dissi seccata bussando alla porta per fargli vedere.

Aiden si avvicinò e provò ad aprirla con il pass. poi andò vicino al letto dove c'erano i comandi a distanza, ma quelli erano spenti.

«Forse è difettosa.» commentò il ragazzo accarezzandosi il mento.

«Allora chiama qualcuno.»

«Non ho il telefono e il pannello non funziona.» replicò.

«È quindi? Che si fa?» chiesi iniziando a innervosirmi.

«Ogni mattina passa un addetto e il suo robot per pulire le stanze. Usciremo di qui. E anche se non fosse, uno dei ragazzi ci verrà a cercare non trovandoci nelle nostre stanze.» fece il ragazzo.

«Significa che dovremo dormire qui?» chiesi guardandomi attorno.

«Ti ho già dimostrato che non ci sono fantasmi, no?»

«Non ho paura dei fantasmi.» dissi buttandomi a letto imbarazzata.

«È per la storia dei Ribelli morti, non è così? Ne avevamo già parlato...» iniziò affiancandomi.

Non risposi.

«Lo sai che a te non faremmo mai del male, vero? Non ci devi temere.» aggiunse.

«Non ho paura di voi.» ammisi.

«Solo che... È sbagliato. Lo so, sono Ribelli, ma è proprio necessario ucciderli?» dissi stringendo le lenzuola nel pugno.

«Tornerebbero. Imprigionarli non serve e non ha senso è solo...» si interruppe.

«Uno spreco di spazio e cibo?» commentai freddamente e inespressiva.

Aiden non replicò.

«Però non sei sconvolta. Sei rassegnata. Qualsiasi persona scapperebbe, urlerebbe e griderebbe. Sarebbe terrorizzata da noi. Tu no. Resti con noi nonostante tu non sia d'accordo su queste azioni.» mi fece notare.

Non dissi niente.

«Hai paura di me, ora?» chiese guardandomi negli occhi.

Scossi la testa.

Aiden sorrise, entrò nel letto con me e mi abbracciò facendo appoggiare la mia testa sulla sua clavicola.

Mi irrigidii imbarazzata, ma non mi mossi da lì.

«Sono una che fa un sacco di brutti sogni.» lo avvertii.

«Dormi, caccerò via io i tuoi incubi».

***

Mi è sempre piaciuto svegliarmi con la luce del sole, ma svegliarsi accanto al dio del sole era molto meglio.

All'inizio ci misi un po' per ricordarmi cosa fosse accaduto la notte prima, ovvero tutte le mie pare mentali di essere a letto con un dio greco, ma poi ricordai e sorrisi.

Avevo acceso le luci e mi ero messa a fissarlo intensamente, cercando di cogliere ogni dettaglio come farebbe un artista. Anche se la mia capacità di disegnare eguagliava quella di un bambino dell'asilo, ovvero un cerchio e cinque stanghe per rappresentare un essere umano.

Aiden aveva delle ciglia molto lunghe, di un biondo più scuro rispetto ai suoi capelli. I suoi lineamenti erano molto duri e netti, rendendo il suo volto più regale. Le sue labbra avevano un'aria soffice e delicata. Sembrava un essere scolpito da uno scultore famoso.

Ma è vero questo ragazzo?

«Mi sembra di averti già detto che se fissi una persona così tanto potresti metterla a disagio» parlò tutto ad un tratto con gli occhi ancora chiusi, facendomi sobbalzare.

Ne dischiuse uno, sempre di un blu intenso come l'oceano, e sorrise.

Rossa in volto indietreggiai di colpo facendomi cadere dal letto insieme ad Aiden che si era sporto nel tentativo di afferrarmi.

Finimmo a terra in un groviglio di gambe coperta e braccia e proprio in quel momento qualcuno aprì la porta dall'esterno.

Seth si stagliava sulla soglia della porta e ci localizzò con il suo sguardo affilato.

«Non è come sembra.» farfugliai cercando di liberarmi dalle coperte.

«Vi ho trovati, quindi fatevi trovare anche voi tra un quarto d'ora al jet. Torniamo a San Francisco.» disse impassibile. Poi se ne andò lasciando la porta aperta.

Aiden scoppiò a ridere divertito.

«Chissà cosa avrà pensato» affermò rimettendosi a sedere.

«Già, chissà...» commentai sperando che non sarebbe andato a raccontarlo a Jo.

Ero immersa nei miei pensieri quando mi accorsi che Aiden mi stava ancora guardando.

«Che c'è?» chiesi temendo di avere segni di bava sul mento.

«Perché sembri sempre così irraggiungibile?» sussurrò lui fissandomi negli occhi.

«Vorrei sapere cosa pensi, talvolta. Vorrei capirti.» la sua dichiarazione mi tolse il fiato, stupendomi. Mi toccò la tempia con le sue dita. Chiusi gli occhi.

«È meglio che andiamo prima che la porta si chiudi di nuovo.» dissi staccandomi da lui, senza osare guardarlo.

«Ah, già. Andiamo.»

***

Non mi avevano nemmeno fatta entrare alla Base che Jo si era premurata di accompagnarmi fin davanti casa mia. E non solo, siccome aveva da fare mi aveva pure lasciata da sola dopo.

Almeno sembrava restia a farlo. Però il suono acuto e insistente del suo orologio da polso faceva sembrare i suoi affari piuttosto urgenti.

Era sabato mattina e sapevo che in casa c'era solo mia madre.

Mio padre non poteva nemmeno difendermi dalla sfuriata di sua moglie.

Mi tremavano le gambe alla sola idea.

«Accidenti, forse è meglio non entrare ora.»

Mi voltai e attraversai il cortile a passo veloce, poi una mano mi coprì il volto.

Un odore dolciastro mi invase le narici e mi appannò gli occhi.

Sul punto di perdere conoscenza vidi il mio aggressore e mi accorsi di una cosa.

Lo conoscevo.

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