29. Lettera della verità
La lettera era lì, sulla scrivania della mia camera. Non capivo perché esitavo a leggerla.
Lì avrei trovato tutte le risposte che volevo.
Per giorni la lasciai lì, senza aver il coraggio di prenderla in mano, quando finalmente mi decisi. Quel sabato mattina la presi nervosamente tra le mani, quasi avessi paura che mi scoppiasse in faccia.
Qualcuno bussò alla porta facendomi sussultare e nascondere la lettera dietro la schiena, proprio mentre mio padre apriva la porta.
«Tesoro, sto sistemando le tubature del bagno, cerca di non usare l'acqua, okay?» mi avvertì.
«Papà, perché non fai fare ad un vero idraulico?» chiesi inarcando un sopracciglio.
«Perché tuo padre può.» commentò facendo una faccia buffa.
Risi divertita.
Mio padre chiuse la porta dietro di sé canticchiando, pronto ad andare ad eseguire un lavoro di cui non era capace.
La mamma, quella mattina, era stata chiamata a lavoro e senza di lei, papà diventava incontrollabile.
Sospirai e mi concentrai nuovamente sulla lettera.
L'avevo stropicciata leggermente ma era ancora tutta intera.
Aprii la busta e scoprii, con mia immensa delusione, che il contenuto della lettera era la cosa più scioccante che avessi mai letto.
Mi aspettavo di tutto, proprio tutto, ma non quello.
Cara Sophie,
Sono tuo nonno.
Come avrai capito questa non è la lettera con tutte le risposte di Benjamin Icarous Thompson che ti aspettavi.
L'uomo in questione è stato ricatturato dopo la fuga e non ha mai avuto la possibilità di scrivertela, ma in compenso la B.L.C. ha ottenuto utili informazioni per scopi personali.
Mi dispiace che tu abbia faticato per niente, ma ti prometto, che a tempo debito, saprai ogni cosa, anzi capirai ogni cosa e ci sosterrai.
Sono consapevole che tu abbia capito di avere un ruolo importante in questa causa anche se non hai ben chiaro il perché, ma ti prego di fidarti di me, di noi, perché tutto quello che ti diciamo lo facciamo per il tuo bene.
Sei ancora troppo giovane per capire.
Con affetto,
Christopher Barker
Accartocciai la lettera e la scagliai nel punto più lontano della stanza, gridando di rabbia.
Calciai violentemente la mia scrivania in mogano e ovviamente mi feci più male io che il mobile.
In quel momento, anche qualcun altro gridò.
Era mio padre.
Smisi di sibilare e maledire tutto ciò che mi venisse in mente e corsi in bagno.
Trovai l'uomo seduto a terra, fradicio dalla testa ai piedi, davanti buco sul pavimento dal quale zampillava fuori una fontana d'acqua dal tubo scoppiato.
«Ehm... Forse è meglio chiamare un vero idraulico» disse passandosi una mano tra i capelli gocciolanti.
«Che è successo?» esclamai stupita.
«Oh, niente di che. Stavo cercando di aggiustare il tubo ma mi è scoppiato in faccia all'improvviso... Chissà cos'è successo» commentò grattandosi il mento mentre si rialzava.
«Oddio papà!» esclamai esasperata.
Tornai in camera per sistemare il disastro che avevo combinato e mi massaggiai il piede ancora dolorante.
Mentre mi stendevo sul letto pensai che ancora una volta ero rimasta senza risposte.
Il desiderio di sapere e comprendere si faceva sempre più grande.
Non ero mai stata così interessata a qualcosa come in quel periodo.
Sentii l'arrivo dell'idraulico e mio padre parlarci con confidenza.
Era un uomo fin troppo socievole per essere mio padre.
In pochi minuti, sentii mio padre complimentarsi con l'idraulico che aveva finito di sistemare le tubature.
Il tempo che ci impiegò era decisamente breve e mi stupì tanto che prestai attenzione al loro discorso.
«Non sei troppo giovane per essere un idraulico così bravo?» stava dicendo mio padre.
Ma perché deve essere sempre così impiccione? Per colpa sua lo sono anche io.
«Quanti anni hai?» chiese con un tono tremendamente sorpreso.
«Quasi diciotto, sono solo un apprendista che aiuta nei fine settimana, dato che mio cugino lavora lì. Solitamente non agisco da solo, ma il mio capo era occupato.» rispose l'idraulico.
Stranamente, trovai la voce tremendamente familiare.
Incuriosita, uscii dalla mia stanza per sbirciare, giusto per vedere mio padre che stringeva la mano a James.
Mio padre mi notò e così anche il mio presunto rapitore.
«Ehi, Sophie, accompagna questo fenomeno della natura alla porta» esclamò sorridente papà, il quale continuava a dare pacche esagerate alla spalla di James.
I nostri sguardi si incrociarono e sul suo volto comparve un ghigno.
«No», risposi secca e fredda.
Chiusi la porta della mia camera, sbattendola troppo forte e poi la chiusi a chiave.
Scattai verso il comodino e afferrai il telefonino.
Mi tremavano le dita e quasi mi scivolò dalle mani mentre cercavo di chiamare Jo.
Ma seguì la segreteria telefonica.
«Dannazione, Jo.» sibilai.
Mi affrettai a chiamare anche Aiden, ma accadde la stessa cosa.
«Ma dovevate partire in missione proprio ora?» esclamai isterica.
Non avevo altri numeri di emergenza Ignis psicopatico.
«Sophie! Ma che ti prende?» esclamò mio padre scandalizzato oltre la mia porta.
Fantastico, ci si mette anche lui.
«Tranquillo signor Hunter, è tutto a posto, io e sua figlia ci conosciamo, ci siamo incontrati a Yale e diciamo che non andiamo d'amore e d'accordo per ottime ragioni» disse James con tono gioviale.
«Ma davvero? Quale coincidenza! Sei un genio anche tu quindi! É inopportuno se chiedo il motivo?» chiese curioso mio padre.
«Vede sua figlia ha cercato di... Con me... E....»
Spalancai la porta di scatto ed esclamai: «Ma che vai a farneticare!»
Ero rossa in volto, totalmente scandalizzata, incredula, scioccata e spaventata. Troppe emozioni.
Mi avvicinai a grandi passi verso di lui, ignorando lo sguardo stupito di mio padre.
Agguantai la manica della sua giacchetta da idraulico e lo trascinai fuori casa.
«Sophie ma cosa... Comunque, grazie di tutto!» ci gridò mio padre dietro.
«Oh, si figuri signor Hunter. Sono sempre disponibile! Se avrà bisogno in futuro chiami la nostra ditta idraulica!» esclamò di rimando James tranquillamente.
«Oh! In realtà speravo di non averne più bisogno.» ridacchiò mio padre mentre aprivo la porta di casa.
«Spero anche io per lei.» disse lui guardando però me con quel fastidioso sorrisetto.
Lo spinsi fuori e richiusi il portone alle spalle, non prima di aver udito mio padre sospirare in quel modo per dire "adorabili".
Non potevo far credere a mio padre che James potesse essere il mio potenziale ragazzo, perché lui non lo era!
Ma era impazzito del tutto quell'uomo? Come poteva solo pensare che a me potesse interessare... Quello!
Lui è quel tizio inquietante che mi vuole portare alla gogna!
Forse dovrò presentare Aiden ai miei genitori...
«Aiden e gli altri presto saranno qui» lo minacciai prima di perdere il filo dei pensieri ed emozioni. «Quindi non ci provare nemmeno» aggiunsi mettendo una ragionevole distanza tra me e lui. Tenevo una mano dietro la schiena, sulla maniglia, per essere preparata a fuggire all'interno. Anche se non sembrava una soluzione utile, però era l'unica che avevo in mente.
«Provare a far che?» mi chiese con falsa innocenza.
«Non far finta di niente, lo so che è il tuo ennesimo tentativo di rapirmi» dissi.
«Oh! Rapirti, giusto. Ti sei mai chiesta perché dovessi farlo?» mi chiese appoggiandosi con una spalla alla ringhiera. Mi guardava da sotto, essendo ai piedi delle scale, in su, ma sembrava ugualmente avere la situazione in mano e sotto controllo. Come se fosse lui quello in vantaggio.
«Per portarmi dal tuo capo e farmi uccidere.» dissi.
James rise.
«Certo, lei incarica uno dei suoi guerrieri migliori solo per rapire una ragazzina imbranata.» commentò sarcastico.
«Mi sembra plausibile. Ed è pure plausibile il fatto che si sia fatta un viaggetto in Europa. La tua morte non deve essere così importante se può aspettare. Perché perdere tanto il mio tempo prezioso?» aggiunse.
Ci avevo pensato anche io. Ed era il motivo principale per la quale continuavo a cercare da sola risposte.
«Allora cosa vuole da me?» chiesi.
Il sorrisetto di James si fece più largo.
«Sai, ho pensato che fosse più divertente se fossi stata tu a venire con me di tua spontanea volontà. Pensa a che faccia farebbe Ryder quando lo scoprirà. Dato che ho così tanto tempo ho pensato che rapirti subito non sarebbe stato divertente e poi non saprei dove tenerti.»
«Io non vado da nessuna parte con te.» sibilai.
Ma non c'è qualcuno della B.L.C. qui fuori? Qualcuno lo vede?
«Dammi il tempo di convincerti. Se non ci riuscirò tornerò ad usare la forza bruta. Ci stai?» chiese salendo gli scalini.
Mi appiattii alla porta.
«No! Se ti do la possibilità di avvicinarti a me lo sfrutterai per rapirmi!» dissi risoluta.
«Nemmeno se ti giuro che oggi non ti rapirò sicuro? Oggi lascerò a te la scelta.» disse sollevando le sopracciglia.
Per qualche strano motivo... Mi sembrava sincero.
«Dai, Mia. L'altra volta mi sembravi molto assetata di informazioni e io ti ho promesso che te le avrei date. Cos'è cambiato? Perché adesso mi vuoi evitare a tutti i costi? Non sei curiosa di sapere cosa posso dirti?» insistette.
«Come posso sapere che tu non stia mentendo? E che non mentirai?» sussurrai tenendo lo sguardo fisso nel suo.
«Con queste» fece scivolare dalla tasca interna della giacca delle manette di metallo con una gemma rossa incastonata nel mezzo. Penzolavano tra le sue dita come un gioiello di bigiotteria.
«Cos'è?» chiesi.
«Manette della verità»
«Stai scherzando.»
«Okay, non si chiamano proprio così. Credo che il vero nome sia "Reveliometro", nome squallido, lo so, ma è questa la loro funzione. Le ho prese in prestito l'ultima volta che sono stato alla Base 1» disse semplicemente come se stesse parlando del tempo.
«Prese in prestito, eh?» chiesi per aiutarlo a rivedere la sua scelta delle parole. «Sequestrato?» ritentò con quell'espressione falsamente innocente.
«Rubato. Come il Flash» ringhiai.
«Che brutta parola, non mi si addice» corrucciò la fronte.
Sembrava che stesse prendendo sul serio questa conversazione.
Davvero sto parlando con James Sharp fuori da casa mia con tanta leggerezza?
«E rapitore? Pallone gonfiato? Assassino?» continuai infuriata dal suo atteggiamento tranquillo.
«Ehi, chi ti dice che io abbia ucciso qualcuno?» mi guardò con un sopracciglio alzato, offeso. «Il fatto che i tuoi amichetti della B.L.C. ammazzino chiunque non li vada a genio non vuol dire che lo stesso valga per me» affermò stringendosi nelle spalle.
«Mi stai dicendo che non hai mai ucciso nessuno?» chiesi stupita.
«Perché tu l'hai fatto?» replicò candidamente.
Era una bugia. Sicuramente era una bugia. Era impossibile che non avesse ucciso nessuno. Lui era il Luogotenente di Susan Blackwood. Faceva parte dei cattivi.
«No, ma io sono una Popolana! Non una Ignis psicopatica» esclamai.
«Tu non sei una Popolana. E comunque non ho bisogno di uccidere per vincere o per eliminare i miei avversari» sorrise.
Mi accorsi che quando sorrideva gli compariva una fossetta sulla guancia sinistra.
Perché me ne sono accorta?
Quando stavo per chiedergli cosa intendesse, partì la suoneria del mio telefono. "In the end" dei Black Veil Brides sparò a tutto volume. Temporeggiai perché sapevo già chi fosse.
Era giunto di nuovo il momento di decidere.
Il mio cuore batteva troppo forte per l'agitazione e la tensione e sentivo le rotelle del mio cervello ruotare all'impazzata.
James mi fece un cenno, incitandomi a rispondere.
«Mi hai chiamato?» chiese Jo dall'altro capo del telefono, ovviamente, senza salutare.
Guardai James che in quel momento giocherellava con una fiammella tra le dita come per dire sì, gioco con il fuoco, il rischio è il mio mestiere.
Lui mi aveva promesso di raccontarmi tutto. Mi aveva promesso le risposte che avevo cercato per tanto tempo. Le risposte per la quale avevo rischiato un sacco. Ma era il nemico.
Cosa devo fare?
Fidarmi della persona che potrebbe incendiare casa mia con uno schiocco di dita? O evitarla saggiamente proteggendomi?
«Sì, è che...» balbettai.
«Che hai? Sei strana» disse sospettosa la mia amica.
Aveva notato immediatamente che qualcosa non andasse. Se fossi stata meno agitata avrei trovato inquietante il suo modo di comprendermi al solo variare della mia tonalità vocale.
«Niente, volevo solo un po' di compagnia» dissi vaga.
«Allora vengo da te. Tanto qui ho finito.»
«NO!» esclamai troppo in fretta.
«Come no?» chiese confusa.
«Non sono più in casa» sparai.
Non era del tutto una bugia, in quel momento effettivamente non ero in casa.
Dov'era finita la mia straordinaria capacità di mentire?
Perché ero così agitata? Oh, per James. Giusto.
«Ah, okay, guarda che se mi nascondi qualcosa io lo scoprirò» mi minacciò come era solita fare.
«Oh, che paura» dissi con tono piatto e attaccai in fretta. E con quell'azione avevo preso la mia decisione la quale poteva benissimo rappresentare la mia condanna.
Speravo solo che fosse la scelta migliore per me.
Mi rivolsi nuovamente a James che non sorrideva più.
«Come sta?» mi chiese senza guardarmi, con mia grande sorpresa.
«Meglio» risposi, anche se non sapevo se si riferisse alla salute fisica o alla parte emotiva di Jo.
«Allora? Proviamo queste manette della verità?» chiesi per smorzare quella tensione. Prima facevo quella cosa. Prima mi liberavo di James e raccontavo tutto a Aiden e gli altri.
«Vuoi stare qui? Davanti a casa tua? Dove passa qualcuno ogni due secondi? O preferisci un luogo dove puoi sederti?» propose James aprendosi nuovamente in un sorriso.
«Con te non vado da nessuna parte» affermai.
«Allora entriamo in casa e preparati a fidarti di me» ghignò.
Alzai gli occhi al cielo e riaprii la porta, consapevole di star facendo entrare un lupo in casa.
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