23. Skyler la rossa

«Fai silenzio! O ci scopriranno» mi rimproverò Skyler.

«Ma se sono a miglia di distanza! Dovremmo muoverci o li perderemo» protestai.

«Cretina! Sono Imperium della terra! Sentono le vibrazioni come me! Io sto cercando di confonderli ma non è facile con i tuoi passi da elefante! E poi inciampi ogni cinque metri! Hai l'equilibrio di un bradipo su una palla.» mi sgridò, gli occhi grigi ridotti a due fessure.

Arrossii per la vergogna e distolsi lo sguardo, senza aver intenzione di scusarmi in alcun modo.

Avevamo lasciato l'auto rubata all'inizio di un sentiero di uno degli infiniti boschi dello Stato di Washington e ci stavamo inoltrando a piedi, rispettando la distanza di sicurezza con il gruppo prescelto.

Inseguirli era stato molto complicato, fortunatamente eravamo riuscite a salire sul loro stesso aereo, ma sfortunatamente ci avevamo messo più tempo del previsto e questo voleva dire che Jo e Seth erano rimasti più tempo con gli Ignis psicopatici.

Durante il viaggio, Skyler mi aveva detto che Aiden era rimasto di guardia, per accertarsi che non torcessero nemmeno un capello ai nostri amici che tenevano sotto stretta sorveglianza.

Un minimo gesto falso e loro sarebbero andati.

Non riuscivo ancora a capacitarmi della situazione. Non potevano avvertire la polizia perché avremmo messo a rischio il segreto della B.L.C. e non potevamo agire al meglio per paura che qualche Popolano assistesse per sbaglio a qualcosa di troppo grande e incontenibile.

«Si sono fermati. Perché si sono fermati?!» si chiese Skyler fermandosi.

Si chinò sul terreno e appoggiò entrambe le mani, chiudendo gli occhi.

La fissai mentre ascoltava il suo elemento.

«Si stanno accampando?!» realizzò spalancandoli. «Seth e Jo sono stati rapiti e loro si accampano?!» bisbigliò scandalizzata.

Ero scioccata anche io.

Avrei voluto raggiungerli e dirgliene quattro ma se l'avessi fatto, mi avrebbero rimandato indietro. E non me lo potevo permettere.

«Dovremmo fare lo stesso...» provai a suggerire giusto per dire qualcosa.

«Si ma noi non ci siamo portate dietro niente» mi fece notare lei.

«Uh, questo è vero, cosa può offrirci la natura?»

Mi guardai attorno, vedendo solo alberi nudi dai rami spettrali. Emanavano tristezza e solitudine e sembravano dirmi che avevo fallito a prescindere.

«Perché lo chiedi a me?» chiese la ragazza seccata.

«Non dovresti essere una sottospecie di esperta?» affermai riferendomi ai suoi poteri
«Mi spiace deluderti ma c'è una bella differenza tra controllare la terra e le piante.» e la conversazione si chiuse così.

Rimanemmo sedute, appoggiate contro l'albero con solo una bottiglietta d'acqua ciascuna, messe nel mio zaino prima che partissimo.

La ragazza faceva capire chiaramente che non aveva nessuna voglia di parlare con me.

Litigare tutto il tempo con Skyler non avrebbe portato a nulla.

Forse era giunto il momento di chiedere una tregua, o meglio, giungere alla radice del problema e farmi detestare di meno. Infondo mi aveva detto che non mi odiava.

«Sei una ragazza molto forte, ti invidio sai?» le dissi guardandola. «Affronti le persone a testa alta e non sembra interessarti cosa pensano gli altri di te.» le dissi.

«Anche tu, non è così?» replicò mentre giocherellava con un ciuffo di capelli rossi raccolti nella coda alta.

«Io?»

«Insomma, da quello che è emerso dai rapporti di Joanne... Mi è parso di vederti così. Sembra che la vita Popolana sia una noia mortale per te.» disse.

«Già, ma forse questo è troppo grande per una come me.» ridacchiai facendole capire che quella situazione mi terrorizzava.

E mentre lei la affrontava coraggiosamente io stavo facendo di tutto per trattenere le mie emozioni. Paura in primo piano.

«Non sono forte. Sono solo una persona che ha sofferto... Come tutti gli Imperium» disse sovrappensiero.

«Come fai a dirlo? Aiden... Aiden mi ha detto della tua famiglia...» Alle mie parole la ragazza si irrigidì di colpo.

«Sei qui. A lottare per i tuoi amici nonostante quello che ti è successo. Io non so che avrei fatto al tuo posto. Sei leale e coraggiosa da quello che ho potuto vedere» le sorrisi.

«Non affibbiarmi aggettivi che non mi merito.» rispose brusca.

«Scusa... Volevo solo farti un complimento» mi difesi.

«Non mi conosci abbastanza da potermi giudicare» disse lei freddamente.

La guardai, cercando di scorgere la persona oltre quel muro di rabbia.

«Allora fa in modo che ti possa conoscere. Tu sai tutto di me. Come tutti gli Imperium, del resto. Ma io non so niente di te. Di voi. Raccontami la tua storia.» la incitai gentilmente come se cercassi di dar da mangiare ad un animale selvatico.

Volevo che si fidasse di me come io mi fidavo di lei, nonostante l'inizio spiacevole.

«Non sono obbligata a farlo» affermò puntando lo sguardo sui suoi piedi. Le sue dita erano allacciate davanti a lei, strette le una alle altre come nodi marinai.

«È vero, non sei obbligata a farlo» concordai.
Poi l'attesi.

Dopo un minuto di silenzio Skyler tirò un sospiro e iniziò a parlare.

«Ricordo... Ricordo tutto alla perfezione, ogni morte è come incisa nella mia memoria... Indelebile» cominciò. La sua voce era chiara e distante come se stesse raccontando la storia di qualcun altro.

Skyler

Sono Skyler More, figlia di Carolina ed Ethan More entrambi scienziati della B.L.C. Sorella gemella di Samantha More.
Siamo nate alla Base 7, Miami.
Come tutti i figli degli scienziati, venimmo cresciute e preparate come Iniziate destinate a diventare Imperium in un futuro prossimo.
Ci era stato insegnato, fin da piccole, che ciò rappresentava un onore.
Gli allenamenti erano duri, anche perché avevamo già iniziato in tenera età, alla ricerca dell'equilibrio che ci avrebbe permesso di accogliere al meglio l'Element.
Ma a me non importava. C'era mia sorella con me e, finché eravamo insieme, nulla per me sarebbe stato troppo duro e difficile.
Ero una bambina intelligente e molto abile, gli insegnanti non facevano altro che complimentarsi con me. Il mio equilibrio tra mente e corpo venne raggiunto molto precocemente a differenza degli altri Iniziati.
Avevo iniziato ad allenarmi a cinque anni e a nove ero già pronta per l'Operazione.
Anche mia sorella diceva di essere pronta e insisteva ad essere sottoposta all'Operazione con me. Perché noi facevamo sempre tutto insieme.
Ma fu presto chiaro che così non fu.
Diversi giorni dopo l'Operazione, mentre io manifestavo i miei poteri sulla terra, Samatha si stava indebolendo sempre più.
Il suo corpo rigettava l'Element e ciò la fece ammalare.
Procedettero quasi subito all'Estrazione, quell'operazione che eliminava l'Element prima che venisse assorbito dal sistema umano.
L'Estrazione ebbe successo, ma lasciò la mia gemella debole e cagionevole di salute.
Nonostante ciò lei non si abbatté mai.
Mi diceva che se anche non potesse essere un Imperium come me poteva diventare una scienziata come i nostri genitori.
E fu quella la strada che prese.
Da quel momento io e Samantha prendemmo due strade differenti.
Gli allenamenti mi tenevano impegnata e gli studi occupavano lei. Iniziammo pure a dormire in stanze separate e, nonostante fossimo nella stessa Base, ci vedevamo veramente poco e la cosa mi fece soffrire tanto che non riuscii più a primeggiare tra gli Iniziati.
I miei risultati peggioravano e le valutazioni calavano e tutto ciò aggiungeva ancora più frustrazione in me.
«Quando diventerai Senior avrai più libertà» mi assicurò Samantha una sera.
Le risposi solo con un cenno stanco.
Stavamo cenando assieme in mensa e ci trovavamo all'angolo.
Solitamente gli Iniziati pranzavano da parte, in gruppo e isolati dagli altri ragazzi.
Vi era una sorta di divisione nella Base.
Non era una regola scritta, però, ciò non impediva ai membri della B.L.C. di guardare con occhi curiosi e di disapprovazione le due ragazzine identiche con divise differenti che si estraniavano dagli altri.
Ma non mi importava, avevo praticamente solo quei momenti con mia sorella.
«Come stanno mamma e papà?» le chiesi.
«Lavorano a qualche altra cura sperimentale.» commentò mia sorella annoiata con un'alzata di spalle.
«Mi sono proposta di aiutarli, ma non mi vogliono far entrare nei laboratori finché non avrò ottenuto un'attestato»
«Mi sembra sensato» commentai divertita ottenendo una linguaccia da lei.
Ridemmo in intimità di noi stesse. Adoravo veramente quei momenti così familiari.
«Ehi, e se facessimo cambio?» chiese ad un tratto Samantha.
«Scambio?» chiesi.
«Sì! Io faccio uno dei tuoi corsi e tu vai a trovare mamma e papà fingendo di essere me!» esclamò lei sempre più entusiasta.
Ma io non ne ero affatto convinta.
Adoravo l'idea di poter passare più tempo con i miei genitori, ma Sam non sarebbe mai riuscita a gestire uno dei miei allenamenti. E non sapevo come dirglielo.
«Dai Sky! Non seguirò uno dei tuoi corsi fisici. Fai anche scultura no?»
«Con il controllo sull'elemento della terra» precisai.
«Allora i corsi di logica elementare!» insistette lei.
Alla fine mi pregò così tanto che accettai.
Così ci appartammo in bagno e ci scambiammo gli abiti, per poi uscire e prendere strade diverse.

Appena entrai nel laboratorio in cui lavoravano i miei genitori grazie al badge di mia sorella, mi aprii in un sorriso emozionato.
Volevo fare una sorpresa ai miei genitori.
Però non riuscii a trovarli, così chiesi a qualche loro collega se sapessero dove si trovassero.
«Oh, Samantha... Tuo padre si è sentito male e tua madre l'ha accompagnato in infermeria. Ha probabilmente lavorato troppo negli ultimi tempi.» replicò l'uomo in camice bianco.
«La ringrazio dottore» dissi il più educatamente possibile prima di lasciarlo al suo lavoro.
Iniziai a preoccuparmi, così in corridoio accelerai il passo.
Avevo questa brutta sensazione che mi attanagliava allo stomaco.
«Mamma!» la chiamai quando la trovai ad aspettare fuori dall'infermeria.
«Skyler?» chiese lei confusa riconoscendomi all'istante.
«È successo qualcosa a papà?» chiesi preoccupata prima che potesse chiedermi il motivo per la quale mi trovavo lì.
Mia madre si avvicinò a me e con un sorriso forzato mi disse:«Andrà tutto bene, non preoccuparti.»

Le ultime parole famose.

«Okay okay, non sono Skyler, mi avete beccata! Ma ora smettetela di trascinarmi! So camminare da sola!» sbuffò Samantha mentre veniva spinta nella sala d'attesa.
Quando notò gli sguardi miei e di nostra madre la sua espressione cambiò.
Comprese subito che c'era qualcosa che non andava.
Mio padre però le sorrise, sorrise nonostante la notizia che ci aveva appena dato.
La guardia che aveva portato Samantha lasciò la presa e se ne andò in silenzio, mentre la mia gemella si avvicinava piano piano, come spaventata.
«Che sta succedendo?» chiese.
Andai da lei e la abbracciai, cercando conforto che non avrei mai avuto.
Iniziai a piangere e anche lei, anche se non sapeva esattamente cosa stesse succedendo. Semplicemente pianse con me.
«Cerco una cura per questa malattia da anni, ragazze. Non datemi per spacciato!.» scherzò mio padre.
«Allora è vero. Sei malato, papà?» chiese Sam andando ad abbracciare nostro padre.
A consolare lei ci volle molto di più.
L'avevo sempre saputo. Nonostante lei fosse la mia forza, era sempre stata quella più fragile e sensibile.

I giorni passarono e mio padre usciva sempre meno dal letto. Le sue condizioni peggiorarono tanto che ci tolsero l'assegnazione alla Base.
Loro vennero trasferiti in una casa fuori dalla Sede.
Mia madre dovette lavorare il doppio per poter dare a mio padre l'opportunità di curarsi alla Base 7.
Facevano pressioni anche su di me e mia sorella.
All'epoca pensavo che più mi fossi impegnata, più mio padre avrebbe avuto la possibilità di guarire.

Poi un giorno mi avvertirono che sarei dovuta partire per la Base 3. Come accadeva per ogni Iniziato "pronto" per completare il percorso junior bisognava perfezionare il controllo sul proprio elemento e, per farlo, ogni Iniziato veniva mandato in una delle quattro Basi specifiche: quelli del fuoco alla Base 2 a New Orleans; dell'aria alla Base 8; dell'acqua alla Base 4 a Cleveland, infine, della terra, alla Base 3 a Cincinnati.
Sapevo che gli unici che per la formazione non studiavano in quelle basi erano i quattro prescelti per l'Élite, la squadra Senior più forte della generazione.
Però, se durante gli studi alle quattro basi degli elementi il Dirigente avesse ritenuto opportuno ci sarebbe potuto essere un inserimento nella squadra. Ovviamente anche i primi prescelti potevano allo stesso modo perdere il loro privilegio di entrare nell'Élite.
Ma a me non interessava, l'unica cosa che mi importava era finire il mio percorso il più in fretta possibile e tornare alla Miami per stare accanto a mio padre.

La Base 3 era sotterranea e come tale era molto favorevole agli Imperium di terra. Non c'era posto più adatto per esercitare quel potere.

Seth era un Imperium della terra molto bravo, anche se non abbastanza per essere stato scelto a far parte dell'Élite. Però, girava voce tra gli Iniziati che fosse esattamente quello il suo obbiettivo.
Scoprii che Seth non era un tipo solitario. In realtà non era lui che si isolava dagli altri Iniziati, semplicemente emanava un'aura da "lasciami in pace" e per questo fino a quel momento l'avevo sempre visto solo.
C'era anche da dire che non era di molte parole, era un po' sadico e aveva una faccia da cattivo, però era insolitamente bendisposto e altruista nel profondo.
Quando tornai dalla mia famiglia dopo mesi di autorizzazione mi permisi di invitare anche lui.
E lui accettò.
In qualche modo eravamo diventati amici. Un'insolita coppia di amici.
Ad un certo punto divenimmo i due che eccellevano maggiormente tra gli Iniziati, anche migliori di quelli più grandi di noi.
Non competevamo tra noi poiché i nostri stili erano troppo diversi tra loro per poter essere paragonati.

Quando mio padre morì, io non ero accanto a lui. Ero con Seth ed ero felicissima di averlo battuto in una sfida ufficiale.
Arrivò la Direttrice Tania McFingers in persona a darmi la notizia.
Ebbi il permesso di tornare a Miami. Feci tutto il viaggio in uno stato catatonico.
Arrivai appena in tempo per il funerale.
Quel giorno pioveva e al cimitero c'erano tante persone che non conoscevo.
Tutti facevano le condoglianze alla nostra famiglia ma io, mia sorella e mia madre eravamo tutte troppo assenti per rispondere in modo appropriato.
Mio padre aveva collaborato fino agli ultimi istanti della sua vita in una cura che non avrebbe mai preso e che, nonostante ciò, non era giunto ad un completamento. 
La B.L.C. aveva creato strumenti capaci di cancellare la memoria, pomate che rigeneravano la pelle bruciata, integratori energetici miracolosi e non erano riusciti a trovare una cura per mio padre.
Samantha era convinta che i test a cui era stato sottoposto mio padre con i prototipi avessero peggiorato la situazione. Era arrabbiata, scontrosa e profondamente addolorata.
Non riusciva ad accettare la situazione e sembrava che nemmeno mia madre lo facesse.
Quando le chiesi cosa ne pensasse lei non seppe come reagire.
Le si rigavano solamente le guance ricoperte di lentiggini.
Anche io stavo male. La morte di mio padre mi stava logorando il cuore e il senso di colpa per non essere stato vicino a lui nei suoi ultimi istanti mi stava distruggendo l'anima. Anche io, come Samantha, avevo bisogno di tenermi occupata. Al contrario di lei che inveiva contro la B.L.C., però, volli sostenere mia madre e far calmare la mia gemella. Sapevo razionalmente che non avrebbero visto di buon occhio quel comportamento.
Portai la mia gemella alla Base 3, in modo che cambiasse aria ma sembrò che la cosa non le facesse bene.
La sua salute di per sé cagionevole e indebolita ulteriormente dall'estrazione dell'Element si fece sentire.
Finiva spesso in infermeria per un motivo o l'altro e iniziai presto a preoccuparmi.
«Sto bene!» si ostinava sempre di dire e per dimostrarmelo si mise in piedi e camminò fino alla porta dell'infermeria.
«Forse è meglio che resti ancora un po' qui...» provai a dirle.
Samantha alzò gli occhi al cielo.
«Passo così tanto tempo qui dentro che tanto vale trasferirmici direttamente, non credi?» commentò seccata.
La porta scosse di lato e si aprì mostrando Seth.
Samantha fece un balzo indietro per lo spavento.
«Sky, dobbiamo andare.» mi fece notare.
Sospirai e raggiunsi mia sorella.
«Precedimi, vi raggiungo subito.» gli dissi.
«Senti, oggi andiamo di pattuglia con alcuni Senior, per favore, resta qui» dissi poi rivolta a lei.
«Dove andate?» chiese lei.
«Sembra che in città girino alcuni Ribelli. Forse sono qui per spiarci. Non dovrebbe essere pericoloso considerando che la zona è sgomberata dalle Guardie, quindi non preoccuparti, va bene?» la rassicurai.
«Farai coppia con Seth per la pattuglia?» mi chiese lei curiosa.
Le sorrisi.
«Se sei interessata a lui rinuncia. Ha una cotta per la sua amica al Centro. È una delle prescelte dell'Élite. La chiama ancora anche se molto meno rispetto a prima...»
Samantha non rispose, però mi sorrise.
Dovevo capirlo da quel sorriso che aveva qualcosa in mente.

Di solito la prima missione di un'Iniziato è quella che riguardava l'esame per diventare Senior. In quell'esame decidevano le squadre e i mentori che avrebbero fatto da veci.
Però, era usuale che gli insegnanti portassero in giro gli Iniziati per abituarli all'ambiente. Solitamente le guardie Imperium garantivano la sicurezza prima che gli Iniziati potessero partecipare.
Dr. Lee non voleva farci scovare un Ribelle, bensì, egli voleva mostrarci che una persona qualsiasi lasciava delle tracce di riconoscimento e ogni Imperium della terra capace sarebbe dovuto essere in grado di individuarli.
Eravamo in squadre fatte da coppie e io ero con Seth. Ci mettevano spesso assieme per via della complementarietà dei nostri poteri.
In quel lavoro di percezione ero decisamente più brava di lui.
Ci fu un momento in cui ci dividemmo e io non riuscivo più a trovarlo.
Mi ero persa nella città e non sapevo dove andarlo a cercare.
Mi ricordai delle direttive del Dr. Lee e provai ad usare la percezione a mio favore.
Riconoscere una persona dal terreno era un'arte che richiedeva molta sensibilità al tatto.
Ogni persona al mondo era dotato di una combinazione passo, peso, altezza, pressione differente e saper riconoscere questa variante era quasi impossibile... Tranne che per gli Imperium di terra dotati.
E io quel giorno riconobbi il passo fermo e sicuro di Seth e quello inconfondibile di mia sorella.
Mi affrettai a raggiungerli proprio mentre percepii altro.
Non compresi subito perché il passo di quella persona attirò la mia attenzione quindi pensai di ignorarlo e concentrarmi sul trovare mia sorella.
Si era sicuramente finta di essere me di nuovo e stava facendo qualcosa di avventato.

Trovai mia sorella e Seth circondati da alcuni Ribelli ed ero pronta a precipitarmi per aiutarli che Samantha mi notò.
«Scappa, Sky!» esclamò lei.
Il suo gesto, però, portò l'attenzione di quei quattro Ribelli su di me.
Ero spaventata e li vedevo sfocati. Non riuscivo a capacitarmi di loro. Li vedevo grossi, enormi e pericolosi.
Rimasi paralizzata dalla paura mentre lo guardavo senza riconoscerli come esseri umani.
Seth sfruttò l'effetto distrazione per evocare un muro di terra che si frapponesse tra me, mia sorella e lui da loro. I Popolani intorno urlarono creando una caotica confusione.
Seth non perse tempo, prese mia sorella per il polso e diede a me una spinta alla schiena per incitarmi a fuggire.
Allora i miei piedi iniziarono a muoversi e seguirono il ragazzo.
I Ribelli non erano stati rallentati dal muro o dai Popolani spaventati e ci stavano già alle calcagna.
Correvo più che potevo e non avevo quasi più fiato quando percepii qualcosa alle mie spalle.
Nonostante fossi più allenata, allenata soprattutto a ciò, i miei riflessi non furono veloci quanti quelli di Sam.
Accadde tutto in un attimo: Sam si bloccò in modo da frapporsi tra me e l'attacco; la presa di Seth sul suo polso era scivolata e io rimasi ad occhi sgranati mentre un uomo calava le enormi braccia unite dalle dita intrecciate in testa a mia sorella.
Lei cadde a terra pesantemente e il rumore che fece non mi scioccò tanto da bloccarmi.
Se non fosse stato per Seth non saprei che fine avrei fatto.
Il resto fu tutto un caos incomprensibile.
Arrivarono il dottor Lee e gli altri, accompagnati da delle guardie.
Presero i Ribelli e li portarono via. Ma io ero rimasta paralizzata a fissare mia sorella a terra.
Qualcuno arrivò per soccorrerla, ma io non riuscii a reagire nemmeno a quello.
Vedevo solo la pelle pallida di Samantha, i suoi occhi chiusi e le sue braccia a penzoloni, così fragili e inermi.
«Riprenditi Skyler!» esclamò Seth scuotendomi per le spalle e con uno sguardo da brivido.
Lo feci. Mi tuffai immediatamente verso mia sorella mentre i soccorsi erano su di lei. 

Fu come con mio padre. Rimasi fuori ad aspettare in ansia e piena di preoccupazioni. Ma quella volta avevo un telefono stretto tra le mani, con la paura di avvertire nostra madre.
Non era passato nemmeno un mese dalla morte di papà e lei sicuramente non si era ancora ripresa.
Non potevo dirle di Samantha.
E poi era colpa mia.
Io l'avevo invitata alla mia Base.
Io l'avevo trascurata.
Io l'avevo istigata a seguirmi.
Io non ero stata attenta.
Io avevo la responsabilità di prendermi cura di lei.
Io. Io. Io. Solo io.
Le mie braccia e gambe tremavano e le lacrime scorrevano lungo le guance.
Facevo fatica a respirare e anche tenere in mano il telefono mi risultava difficile.
Appena il primo dottore uscì dalla sala operatoria mi precipitai verso di lei.
«Ho avvertito tua madre.» fu la prima cosa che mi disse.
«Lei come sta?» chiesi invece alla donna che si stava togliendo la mascherina.
«Non...»
«È mia sorella, ti prego!» le dissi con il cuore in gola.
«Mi spiace, cara. Le sue condizioni sono gravi... Non penso che si sveglierà presto» mi disse.

Rimasi accanto a mia sorella in coma per un tempo che mi sembrò interminabile, quando in realtà si trattava solo di qualche settimana, il tempo perché potesse stabilizzarsi.
Venne trasferita di nuovo a Miami in modo che mia madre potesse occuparsi di lei.

Nel frattempo mi impegnai al massimo per poter entrare nell'Élite.
Arrivò finalmente il momento della grande missione che ci avrebbe permesso di dar prova di noi stessi.
Io e Seth venimmo mandati a Vancouver e lì incontrammo due membri degli Iniziati prescelti per l'Élite.
Ci avevano affidato la stessa missione e non ci voleva un genio per capire che volevano solo vedere come lavoravamo assieme.
Lei era una ragazza molto carina dai capelli scuri e gli occhi altrettanto che però emanavano una lucentezza e un'intensità che non riuscivo a collocare.
E poi sembrava conoscere Seth.
Solo quando si guardarono compresi che lei era Joanne Sharp la migliore amica di Seth dai suoi tempi alla Base1.
Ergo, mi stette subito antipatica.
Atteggiamento strafottente, arrogante e saputello.
Non capirò mai se è effettivamente capace di pensare prima di agire o meno.
E poi è un Imperium dell'aria e io, per qualche strano caso comico del destino, non andavo d'accordo con nessuno di loro.
Poi c'era lui.
Aiden Ryder era in assoluto il ragazzo più bello che avessi mai visto. Così bello da risultare accecante.
Ci misi un po' ad avere il coraggio di guardarlo anche solo in faccia.
E poi emanava quell'aura da leader perfetto e il ero così ammaliata.

Dopo quella missione a Vancouver ci nominarono come i quattro membri dell'Élite.
Gli altri due ragazzi scelti inizialmente si unirono ad un'altra squadra.
Loro non ce l'avevano fatta mentre io e Seth sì.
Non potevo esserne più felice ed orgogliosa di me stessa.
La cotta per Aiden passò in fretta. Una volta conosciuto meglio e tolto dalla visione mistica risultava più umano.
I rapporti con Joanne invece non miglioravano mai ma la cosa non mi interessa molto.
Però, ci rispettavamo a vicenda.
Eravamo compagne.
Seth rimaneva la persona più vicina ad un fratello che avessi in quel momento e non potevo non tifare per lui e Joanne.
Essere Élite comportava avere molti vantaggi e ciò mi permise di ottenere il permesso di mandare mia sorella alla Base1 dove stavano sperimentando delle nuove cure sulla ricostruzione celebrale.
Ottenni il permesso e mia sorella era pronta per essere trasferita, ma il giorno prima della partenza ebbe una ricaduta.
Io non c'ero.
Mi dissero solo che non ce l'aveva fatta.
La notizia mi sconvolse meno di quanto pensassi. Forse perché sapevo che non si sarebbe più svegliata e l'avevo già creduta morta. Ma ciò non mi impedì di star male lo stesso.
Stavo malissimo. Il dolore che mi portavo nel cuore era come un suono acuto che mi faceva sanguinare dentro.
Volevo solo diventare insensibile a quel dolore e mi sfiancavo nello studio e negli allenamenti per potermi esaurire.
Volevo essere troppo stanca anche solo per provare qualcosa.

Poi morì anche mia madre.
Negli ultimi tempi l'avevo vista poco anche perché ogni volta che ci incontravamo aveva sempre quello sguardo assente.
Mi guardava come se non fossi davanti a me e mi feriva più di quanto non dessi a vedere.
Temevo quello sguardo vacuo così tanto che non avevo mai voglia di andarla a trovare quando potevo.

Diego Santos era stata la mia salvezza, l'isola accogliente per una ragazza naufragata nel mare della depressione.
Mi sentivo così male che ad un certo punto non provai più nulla.
Stavo iniziando a convincermi che non meritassi di volere bene a qualcuno perché se ciò accadesse quel qualcuno mi sarebbe stato portato via.
Deposero mia madre nella fossa.
Dentro non c'era alcun corpo, perché era stato bruciato, e, in quel momento, le sue ceneri si trovavano nel vaso di ceramica che avevo in mano.
Ma quelle non erano lei.
Quello che era stato lei se n'è andato per sempre, e viveva solo nei ricordi delle persone che l'avevano conosciuta e amata.
Ma col tempo anche quelli sarebbero svaniti. Anche i miei sarebbero svaniti. Mi era già difficile ricordare il suo caldo sorriso.
La parte debole di me voleva autoimporsi il Flash, per dimenticare tutto, lei, Sam e papà. Ma cosa sarebbe stato di loro se anche io li avessi dimenticati?
Ombre anonime passavano accanto a me, mormorando inutili condoglianze, ma io non li ascoltavo, cercavo ancora l'eco di coloro che avevo perso.
«Sky... Mi dispiace tanto» riconobbi quella voce, era Aiden.
Avevo sempre riconosciuto nella voce di Aiden un ruolo autoritario da ascoltare, per cui dare retta. Era il mio leader e come tale ascoltavo tutto ciò che diceva.
Ma in quel momento mi sembrava come tutti gli altri, qualcuno che provava pena per me, qualcuno che si scusava per la mia tragedia, che non capiva come mi sentivo, qualcuno con una voce vuota ed inutile.
Cosa ci trovavo di speciale in quegli occhi blu?
Perché mi emozionavo appena lo vedevo? Come facevo?
Perché in quel momento non ero più capace di provare niente di niente?
Non riuscii nemmeno a ringraziarlo per le sue futili condoglianze.
Mi voltai e mi allontanai da lui. Da qualsiasi essere vivente.
«Hey!» mi chiamò qualcuno spaventandomi.
Il vaso scivolò dalle mie mani e cadde per terra frantumandosi in tanti pezzettini, lasciando che il vento si portasse via l'essenza di mia madre.
«Oh, mierda. Ho ucciso tua madre» esclamò il ragazzo davanti a me in totale panico.
«Mia madre è già morta» riuscii a rispondere.
«Mierda, mierda, mierda» continuò a ripetere buttandosi a terra, cercando di raccogliere ciò che era rimasto. Tirò fuori un fazzoletto di stoffa e raccolse le ceneri di mia madre con cura, poi me lo porse piegato.
Era una scena surreale, lui inginocchiato davanti a me con le braccia che mi tendevano i resti di mamma.
Forse sarebbe stata comica la scena.
Forse avrei dovuto arrabbiarmi.
Ma rimasi senza emozioni.
«Dios, scusa se ho fatto cadere tua madre. Forse ci siamo persi un braccio o... Mierda, scusa»
«Smettila di scusarti.» ordinai impassibile. Lui sgranò gli occhi scuri ma tacque immediatamente.
«Immagino le vada bene essere liberata nell'aria di Miami. È casa sua dopottutto» dissi aprendo la stoffa e lasciando che il vento se la portasse via.
Non aveva senso legarsi alle sue ceneri. Non sarebbe stata più lei in ogni caso.
«Te lo ripulisco da mia madre e poi te lo restituisco» dissi con tono piatto riferendomi al fazzoletto.
«No. No. Tienilo» rispose.
Lo guardai accigliata poi lui si affrettò ad aggiungere
«Non che mi faccia schifo tua madre. Cioé le ceneri... Insomma, non per infierire sul fatto che è morta... Oh, sto zitto che è meglio» commentò balbettando.
Mi sarei dovuta offendere, una parte di me lo sapeva e ne era consapevole.
Quel ragazzo non aveva un minimo di tatto nei miei confronti o sembrava non saperne avere e aveva stupidamente fatto perdere ciò che rimaneva di mia madre.
Ma mi importava davvero?
Odiavo essere compatita e non mi interessava ciò che rimaneva di mia madre, il ricordo costante della sua morte.
Preferivo ricordarmela bella, intelligente e sorridente che un cumulo di polvere grigia.
«Chi sei?» gli chiesi.
Lui parve sorpreso che avessi risposto alla sua domanda però rispose ugualmente:«Diego Santos. New Orleans, Base 2. Sono qui in visita.» rispose.
«Non sei di qui»
«Mio padre non era di qui. È spagnolo di nascita però ha vissuto per un periodo a Miami. Poi è andato in Messico e ha conosciuto mia madre. Storia romantica la loro.» disse sorridendo.
Questo spiegava il suo bell'aspetto da pirata dei mari: capelli neri, pelle olivastra ma di una sfumatura scura che lo rendeva... Affascinante, e due occhi scuri e intensi.
Sembrava avesse uno o due anni più di me, ma probabilmente, come la maggior parte dei ragazzi, aveva il cervello di un undicenne.
«Oh! Dios! Non è carino parlare dei miei genitori dato che i tuoi sono morti, vero? Soprattutto considerando che siamo al funerale di tua ma... Non dovevo esplicitare nemmeno questo, non è così?» si batté una mano sulla fronte.
«Io sono...» provai a presentarmi mentre lui scuoteva la testa.
«Sì, lo so, Skyler More, la figlia della defun...» si bloccò rendendosi conto di essere stato nuovamente indiscreto.
«Devo proprio smetterla. Comunque se ti può consolare anche mia madre è morta.» disse con uno sguardo serio.
Lo fissai.
Lui mi fissò.
«Okay, forse non ti consola.» si corresse sorridendo imbarazzato.
Per uno strano motivo mi piaceva.
Era un po'imbranato e aveva l'aria di uno dolce e gentile; quel tipo di persona con cui non ci si poteva arrabbiare; quel tipo di persona talmente buona che avrebbe riempito anche un cuore ormai vuoto e fragile come il mio.
E quello fu l'errore di giudizio più grave che commisi in vita mia.

Rimasi a Miami per altri due mesi nella casa che era appartenuta ai miei genitori.
In quel periodo alla Base 7, passai tutto il tempo a disposizione con Diego.
Gli altri non avevano il coraggio di avvicinarsi a me perché li mettevo a disagio e gli adulti non mi imponevano niente, non allenamenti obbligatori o corsi...
Mi trattavano tutti con i guanti.
Ero libera di fare ciò che più mi aggradava. Sarebbe stato deprimente se non avessi avuto lui al mio fianco.
Lui non era come gli altri, non si lasciava intimidire dalla mia tragedia, era sempre lì, pronto a sostenermi. Fu inevitabile che mi innamorassi.

«Domani devo tornare alla Base 5. È lì che sta la mia squadra, l'Élite.» gli dissi abbassando lo sguardo sulle nostre gambe intrecciate.
Mi sarebbero mancati quei momenti con lui, per questo volevo confessarmi quella sera.
Prima che ci separassimo e prima che si dimenticasse di me.
Non ci saremmo più visti così facilmente e non sapevo nemmeno se lui lo volesse o meno. 
«Voglio venire con te» disse.
Alzai lo sguardo per guardarlo e lui si avvicinò all'improvviso.
Piegò la testa e toccò delicatamente le mie labbra con le sue.
«Vengo con te.» ripeté quando si staccò.
«Non devi ritornare alla Base2?» gli chiesi senza fiato..
«Io voglio stare dove stai tu» e poi continuammo a baciarci.
Fu il mio primo bacio.

Non sapevo come avesse ottenuto il permesso di trasferirsi alla Base 5 con me, ma non mi importava.
Aiden, Seth e Joanne dovevano essere le persone di cui mi fidavo di più al mondo, quelle persone che avrei dovuto mettere prima di me, ma Diego non permetteva che ciò accadesse.
Vedevo solo lui, volevo stare solo con lui, mi bastava solo lui.
Mi allontanai molto dagli altri Élite e la cosa creò qualche problema nel funzionamento della squadra.
Diego era sempre molto interessato sugli esisti delle mie missioni e mi faceva un sacco di domande sulla Base1, Mr. Steel o i membri dell'Élite.
All'inizio, pensavo fosse solo curioso, mi faceva sempre un sacco di domande anche sui sistemi di sicurezza e su quanto potessi accedervi io con il mio pass grazie al mio status di Élite.
Molte volte non sapevo come rispondergli quindi verte volte mi spingevo anche a scoprire cosa potessi fare, a cercare risposte da dargli.
Ma poi un giorno sentii qualcosa che quasi mi uccise.
Ero in attesa in camera sua per fargli una sorpresa ma poi sentii la sua voce oltre la porta. Sembrava agitato.
Qualcosa mi spinse a nascondermi dietro la tenda.
«Sì, te l'ho detto.» sussurrava.
Diedi una sbirciata mentre Diego entrava in camera e camminava avanti e indietro con il telefono in mano.
«È in Alaska! No, non sospettano di niente. La B.L.C. è spacciata, con queste informazioni Susan avrà un quadro migliore della situazione. Va bene. Ciao» attaccò poi si voltò e si bloccò davanti alla mia vista. «Skyler...» mormorò con il suo bellissimo accento.
Scivolai fuori dalla mia tenda e avanzai a passo sconnessi e gli occhi sgranati dallo sconvolgimento.
«Tu sei... Tu sei un Ribelle» balbettai, incapace di accettare veramente questo fatto.
«Sky, lasciami spiegare...» disse avvicinandosi a me.
«Allora fallo.» dissi con tono duro.
Lui sgranò sorpreso gli occhi, ma poi addolcì lo sguardo e mi prese per le spalle.
«Sky. È vero. Lo ero. Ma da quando ti ho conosciuto ho abbandonato. Continuo a chiamarli per non farlo sospettare di niente. Credimi se ti dico che ti amo e che ho lasciato tutto per te.» mi pregò.
Ovviamente decisi di credergli. Volevo credergli come non avevo mai voluto nulla.
Ero proprio una stupida.

«Andiamo al Centro?» chiese Diego.
«Sì! Non ci sono mai stata» esclamai entusiasta.
Aiden mi sorrise. Sembra a felice per me che mi fossi ripresa dalle mie tragedie.
«Perché tutto questo entusiasmo?» chiese bruscamente Joanne, smorzando tutta la mia allegria.
A Joanne Sharp Diego non era mai piaciuto e non faceva nulla per nasconderlo.
«Sai è la Base principale, la migliore» dissi.
«Non è poi un granché. Fidati» commentò scoccando un'occhiataccia a Diego.

«Dov'è Diego?» chiesi quando mi girai dopo aver provato il famoso percorso ad ostacoli.
Prima che qualcuno potesse rispondermi suonò l'allarme intrusi.
La stanza in cui era conservata il Flash era stata violata.
Mentre correvamo mi sentivo ritorcere lo stomaco per via di una brutta sensazione che non riuscivo proprio a levarmi. Lo sentivo già da quando eravamo atterrati nel bunker ed eravamo scesi dal jet.
Il lungo corridoio era disseminato da guardie svenute in fondo ad esso ve ne erano tre o quattro che trattenevano un ragazzo. Il mio ragazzo.
Era stato colto in fragrante nel tentativo di rubare il Flash.
Spintonai le guardie davanti a me e mi ritrovai davanti a lui, a fissarlo, in ginocchio come uno schifoso verme traditore.
«Sky, ti prego! Di tu qualcosa!» esclamò disperato.
Riuscii solo a scuotere la testa disgustata e soprattutto delusa.
«Sky, io ti amo! Risparmiami! Cambierò per te» disse abbracciandomi pietosamente le gambe.
Mi scorllai dalla sua presa e indietreggiai di un passo.
Come tutti i membri della B.L.C., tenevo sempre armi nascoste tra gli indumenti, sfilai una lama dalla cintura dei pantaloni.
«Mi disgusti» e gliela conficcai nel cuore, senza smettere di guardarlo negli occhi, i quali, si spalancarono per lo stupore.
Le sue mani raggiunsero le mie e le avvolsero nel suo sangue sporco.
Dopo tutta la pietà che gli altri mi hanno mostrato, io ne ero privata.
Ma la morte di quel ragazzo mi avrebbe pesato per sempre.
Però, se tornassi indietro nel tempo, lo rifarei, perché era la cosa giusta da fare.

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