21. Il lupo nel gregge

«Noah Jackson» disse lui sedendosi accanto a me e allungando una mano amichevolmente.

Ma gli occhi sarcastici tradivano quella farsa.

«Sophie Hunter.» stetti al gioco. Ma non gliela strinsi.

Abbassai immediatamente lo sguardo, fingendo di essere particolarmente interessata a degli appunti sul quaderno.

«Dimmi una cosa. Le lezioni qui sono sempre così noiose?» mi chiese con un sussurro, piegandosi verso di me.

Gli scoccai appena un'occhiata senza mai rispondergli.

Intanto avevo afferrato il mio telefono e inviato diversi messaggi a Jo con chiare richieste d'aiuto.

Appena terminò la lezione fuggii fuori dall'aula più in fretta che potevo, guardandomi ripetutamente indietro.

Ma James non mi stava seguendo.

Mi rinchiusi in bagno e chiamai Jo nuovamente, ma partì la segreteria telefonica come per tutte le vacanze invernali.

«Andiamo Jo!» sibilai.

Continuai a chiamare ma dall'altro capo del telefono non c'era nessuno.

Non sapevo che fare.

James si era presentato addirittura a scuola.

Non c'erano né Jo, né Aiden e ciò gli dava campo libero per rapirmi e portarmi dalla pazzoide Blackwood per farmi uccidere.

Oppure l'avrebbe fatto lui.

Oppure era qui solo per darmi le mie risposte come aveva detto.

Era ingenuo da parte mia pensarlo... Eppure... Scossi la testa.

Durante le vacanze ci avevo pensato. Il mio era stato un grosso errore. La B.L.C. stava facendo di tutto per proteggermi dai Ribelli e io stavo complicando le cose buttandomi in braccio al nemico.

Avevo rischiato grosso l'ultima volta a seguire il ragazzo. Non potevo essere così poco responsabile.

Avrei dovuto dire ad Aiden che James era a San Francisco e lui non sarebbe mai partito.

James era il malvagio, non potevo assolutamente passare del tempo con lui. O fidarmi di ciò che diceva.

Il mio problema stava nel fatto che in sua presenza, non mi sentivo affatto minacciata ed ero convinta di poterci ragionare.

La campanella suonò di nuovo, ricordandomi che sarei dovuta tornare in classe.

«Maledizione.» sibilai.

Appena usciti dalla porta venni trascinata via da qualcuno.

Cercai di gridare ma mi teneva una mano sulla bocca.

Venni inghiottita dall'oscurità e sentii una porta chiudersi dietro di me.

Poi si accese una luce bassa e tremolante e la presa su di me si allentò.

«Shhhh calmati Sophie. Sono io.» sentii dire da Eric.

Mi voltai di scatto e lo aggredii.

«Ma sei impazzito? Vuoi farmi prendere un colpo?» esclamai.

«No! Voglio solo che mi dedichi del tempo... Perché a me piaci veramente, Sophie. Voglio che ci ripensi.» disse lui afferrandomi le spalle.

«E pensi che sequestrare la mia persona sia una soluzione? Idiota, fammi uscire!» sibilai.

Ma Eric non accennava a muoversi.

«Ti prego, Sophie. Non farmi questo.» mormorò lui avvicinandosi a me.

Indietreggiai, urtando qualcosa.

Mi spostai giusto in tempo per evitare le varie scope che cadevano una dopo l'altra.

Lo sgabuzzino era piccolo. Non sapevo dove andare.

«Ascolta Eric. Le cose stanno così. A me interessa un altro e non posso accettare ciò che provi per me.» dissi fissando una delle scope.

In caso il ragazzo avesse perso le staffe avrei saputo come difendermi.

Guardando nuovamente Eric, sembrava disperato a tal punto.

Non sapevo se avrebbe mai commesso quel genere d'azione, ma avevo visto abbastanza serie TV e film da poterlo sospettare.

Eric avanzò di un passo e io indietreggiai.

«Dai, saltale addosso. Prenditela con la forza. È questo che vuoi, vero?» disse una voce.

Nessuno dei due si era accorto che la porta si era aperta e sulla soglia c'era James appoggiato tranquillamente a braccia e gambe incrociate.

«Tu che cosa vuoi?» sibilò Eric voltandosi di scatto, l'espressione colpevole sul volto.

«Da te? Niente. Stavo solo assistendo ad una scena patetica, non mi sembra contro la legge. Non che a me interessi.» affermò con noncuranza guardandosi le unghie.

«Vattene. E fatti gli affari tuoi, nuovo arrivato.» esclamò Eric a pugni stretti.

«Potrei andarmene, ma potrei avvertire per sbaglio qualche insegnante. Sai com'è, stavo passando tranquillamente per il corridoio deserto, cercando di capire come possa esistere un essere meraviglioso come me su un pianeta tanto scadente, quando la tua voce mi ha disturbato. Credo che avendo tu attentato al mio udito e alla miei pensieri filosofici, renda automaticamente questo affare mio. Dico bene?» disse fissando Eric con un ghigno e uno sguardo lupesco.

Eric strinse i denti e serrò i pugni lungo i fianchi, tremante di rabbia.

«Ah ah, fossi in te non lo farei. Sai bene di essere nel torto...» sussurrò James con malvagia derisione.

Eric scattò verso di lui, senza dare il tempo a James di muovere un solo muscolo, ma invece di colpirlo, si fece spazio dandogli una spallata e uscì di scena.

Il silenzio calò tra noi due e la lampadina tremolò appena.

James non mi guardava. Ma se ne stava sulla soglia della porta a braccia conserte in silenzio.

«Non pretenderai mica dei ringraziamenti.» esclamai.

James alzò lo sguardo curioso.

«Avevo tutto perfettamente sotto controllo.» dissi.

«Ne sono certo.» affermò lui.

«Dico sul serio!» insistetti.

«Anche io.» James mi voltò le spalle e si apprestò ad allontanarsi.

«Aspetta!» lo chiamai.

Lui tornò indietro, mi spinse dentro e si chiuse la porta alle spalle.

Mi ritrovai con le mani appoggiate sul suo petto e fissare il suo volto da una distanza ravvicinata.

La lampadina scelse un brutto momento per fulminarsi.

Mi staccai spingendolo con forza, con il volto caldo e il cuore che batteva ad una velocità surreale.

«Che stai facendo?» chiesi con tono tremante.

Avevo paura. Ne ero sicura. Non poteva essere altro che paura.

«Ci sono dei professori. Non vuoi farti beccare fuori dalla classe, vero Mia?» sentii dire la sua voce sarcastica.

Si sentì uno schiocco di dita e su una mano del ragazzo comparve una fiamma che ci illuminò entrambi.

«Paura del buio?» sussurrò.

«Figurati. Non ho paura di niente. E di certo non di te.» sibilai cercando di sembrare coraggiosa.

«Non mi riferivo a te. Ma a quel topino accanto alla tuo piede.»

Colta alla sprovvista feci un salto e strillai spaventata, finché la risata derisoria del ragazzo con si fece spazio nella mia comprensione.

«Sei un imbecille di prima categoria.» ringhiai.

«Ho sentito di peggio. Ma ora ti dispiace staccarti dalla mia maglietta? Sai l'ho stirata stamattina.» affermò con un ghigno di scherno.

Il mio sguardo si abbassò sulle mie mani appigliate al suo petto, le quali quasi gli stavano strappando la maglietta di dosso.

Lasciai la presa immediatamente.

Mi sentivo imbarazzata e umiliata.

Misi più distanza possibile tra me e lui.

La campanella suonò e sentimmo entrambi gli schiamazzi degli studenti.

«Lasciami uscire. Non giova a nessuno dei due rimanere chiusi qui dentro.» affermai.

«Ma io non ti sto obbligando con la forza a rimanere qui.

Sei tu che vuoi tanto passare il tempo assieme a me.

La porta non è chiusa a chiave. Puoi uscire quando vuoi.» il suo sorriso brillò tra le sue fiamme.

Strinsi i pugni e lo superai abbassando la maniglia.

Aveva detto la verità, la porta si apriva.

«Ora, spero che nessuno pensi male quando ci vedranno uscire insieme dallo sgabuzzino. Tu tutta disordinata e io con questa maglietta un tempo stirata.» lo sentii fiatarmi accanto all'orecchio.

Arrossii al pensiero e la mia mano richiuse la porta.

«Qual è il tuo piano?» sibilai.

«Nessuno. Te l'ho detto, sei libera di uscire quando vuoi.»

Ero decisa a dirgliene quattro ma le voci all'esterno mutarono.

Da semplici chiacchiericci si sommarono in strilletti euforici e sussurri stupiti.

Stava succedendo qualcosa di raro e particolare.

Senza badare agli altri uscii, curiosa di capire.

Nessuno badò alla ragazza appena uscita dallo sgabuzzino, troppo presi da una fonte di interesse differente, quindi nessuno notò la sparizione di James Sharp.

Infatti, due secondi dopo mi voltai, senza trovarlo dietro di me o nel corridoio.

Decisi di seguire la folla, finché non giunsi all'entrata tra vari spintoni.

Una lunga limousine scura dai vetri oscurati era ferma davanti alla scuola in tutta la sua lunghezza ed eleganze.

Una presenza anomala nella mondanità del luogo.

Un uomo in giacca e cravatta nera teneva un cartellone sul petto con scritto il mio nome: Sophie Hunter.

Quando notai che sui cerchioni delle ruote c'era il marchio della B.L.C. capii.

Poi mi chiesi perché un'organizzazione segreta non avesse un po' più di discrezione.

Avanzai verso l'auto in silenzio sotto gli sguardi pressanti della gente.

Non mi voltai mai indietro.

L'uomo del cartellone aprì la portiera per me e io vi entrai.

Dentro era bianco. Tutto bianco.

Tranne che per l'uomo seduto dentro in divisa nera.

Aveva i capelli castani tagliati corti e gli occhiali da sole che si tolse in mia presenza, mostrando altro castano.

Era un uomo sui trent'anni, ben curato e con la barba rasata perfettamente.

Mi porse una mano.

«Io sono Eldon Fullen. Capo delle guardie della Base5 e momentaneamente anche Direttore in assenza di Mr. Steel.» si presentò mentre mi stritolava la mano.

Quando la lasciò cercai di massaggiarmela senza che se ne accorgesse.

«Sophie Hunter. Ma questo lo sai.» dissi.

Lui annuì.

«Perché tutta questa scena?» chiesi.

«Siamo qui per raddoppiarti la protezione. Dal momento che siamo venuti a sapere che la squadra d'Élite non è più rientrata dopo il termine dell'operazione.»

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