9
Il passato
«Si, siamo tornate indietro a recuperare Matthew, che si era perso nella città. Scusateci se non vi abbiamo avvisato subito, ma non ci abbiamo pensato.» mentì Ashley, sostenendo ciò che avevamo concordato prima di entrare in biblioteca.
Avevamo tardato il rientro per passare dall'ottico e comprare le lenti colorate, come ci aveva consigliato Matthew, e poi ci eravamo dirette velocemente nel luogo dove avevamo lasciato le nostre amiche.
«La prossima volta, lascia un messaggio. Almeno so che non siete sparite chissà dove. Mi fate preoccupare, ragazze!» ribadì Rebecca a malincuore.
«Scusaci davvero.» fu quello che le dissi, mentre la stringevo in un forte abbraccio. «Non è successo niente, stai tranquilla.»
Era successo tutt'altro che niente quel giorno, eppure dovetti mentirle. Odiavo farlo, ma a quel punto ero legata ad un vincolo di parola degli Elemen che non potevo assolutissimamente infrangere. La domanda che mi posi, era quindi: sarei mai riuscita a continuare quella amicizia con dei segreti da nascondere? Ci speravo, ma forse la speranza non sarebbe bastata a sufficienza.
Prendemmo il treno per ritornare a casa e, quando ognuno raggiunse il proprio portone, ci salutammo con un cenno di mano. Non so come mai, ma fu come un triste addio il nostro saluto. Forse perché il tempo iniziava a trascorre troppo lentamente da permetterci di rivedere abbastanza presto.
Varcai la soglia dell'ingresso, posai lo zaino e la giacchetta sul divano e mi diressi in cucina dove mi aspettava mio papà. Eravamo soltanto io e lui ed era arrivato quindi il momento che tanto temevo: quello del confronto.
«Ciao papà.» dissi, appena vacai la soglia della porta. Mi sedetti nel mio posto a tavola e aspettai che mio padre finisse la telefonata, con cui era impegnato.
Quel giorno indossava la sua divisa ordinaria da carabiniere: era nera, e composta da una giacca con controspalline fermate da un bottone dorato; i pantaloni, con il loro semplice taglio classico, si mostravano con la banda rossa mentre la camicia bianca completava l'uniforme con la cravatta nera, i guanti di pelle e le scarpe basse altrettanto nere.
«Si certo, sarà fatto. Arrivederci.» disse come ultima frase per finire la conversazione.
Dopo aver riattaccato, mio padre mi rivolse la sua attenzione: mi salutò e mi servì il pranzo.
«Allora, com'è andata oggi a scuola?» mi chiese, mentre iniziava a consumare il pasto con i primi bocconi.
«Insomma, penso bene. I professori hanno già iniziato a spiegare, purtroppo, e con i compagni tutto per il meglio.» risposi, ricapitolandogli in breve la mattinata scolastica, mentre, con la forchetta, infilzavo la pietanza della giornata.
A tavola, nella mia famiglia era d'obbligo la comunicazione. Era un momento di condivisione delle proprie giornate e dei propri pensieri. Spesso poteva capitare di partecipare ad una lezione di storia, ad un libero sfogo o a dei lunghi dibattiti.
«Bene bene. Vedi di impegnarti a scuola, mi raccomando, come tutti gli altri anni.»
«Certo papà, figurati se butto al vento tutti gli anni di studio che ho fatto.»
«Sai, ci si mette poco a vacillare e cadere. Stai crescendo e la tua età è proprio quella dove spesso si commettono gli sbagli.» mi raccomandò.
«Lo so, lo so, me lo ripeti così tante volte...» lasciai la frase in sospeso. Me lo teneva presente continuamente, quasi diventasse il mio tormento o la mia nuova filosofia di vita. «Perché hai questo costante timore che io possa commettere degli errori? Fin ad ora non ne ho fatti e, se li dovessi commettere, sarebbe normalissimo, no?» chiesi, sconcertata dal comportamento di mio padre.
Restammo entrambi in silenzio, per qualche momento, poi spezzai quella tensione che si era creata: «Vorrei chiederti una cosa, papà.» presi un lungo respiro, poi proseguii. «So che questa non è la prima volta che ti chiedo una cosa simile ma le scorse volte mi sembra che tu abbia risposto con superficialità. Una volta per tutte, vorrei che lo facessi con una vera risposta: chi eri prima di conoscere mamma?»
«Milena...Ma perché sei sempre stata così testarda sul conoscere il mio passato? Non è niente di cui vale la pena raccontare. Te lo assicuro.»
«Dimmelo comunque, ti prego, papà. Voglio saperlo da te.» dissi, finendo con quelle parole a cui avevo meditato tanto, per fargli capire che io sapevo. Sapevo la verità e volevo che fosse lui a raccontarmela.
«È complicato...Te lo spiegherò quando sarai più grande.»
«Ma io sono grande! Quando me lo dirai se non adesso, che ne hai l'occasione?»
«Davvero, non insistere.»
Stava cercando di imporsi con la sua autorevolezza da genitore, ma non mi arresi: «So che hai dei segreti ed è arrivata l'ora di svelarmeli, se non vuoi che inizi anch'io ad averne con te.»
A quella frase, mio padre si rassegnò. Si passò una mano fra i capelli e poi si alzò da tavola con uno sguardo indecifrabile. Forse avevo osato troppo ma era un mio diritto sapere.
«Aspettami qui, arrivo subito.» disse, per poi sparire dopo l'uscio della porta. Cosa voleva fare? Lo scoprii solo dopo qualche minuto, che trascorse come un'infinità di tempo.
Mio padre arrivò con un piccolo baule in mano, uno di legno intarsiato con delle volute e delle foglie d'acanto che ricordava molto la biblioteca della scuola Luddington. Era uno scrigno bellissimo, che mio padre aprì appena lo pose dinanzi al mio sguardo. All'interno c'erano varie fotografie, delle boccettine in vetro e alcuni documenti.
La mia attenzione, tra tutti quegli oggetti, si rivolse solamente alla fotografia riposta in cima alla pila di scartoffie. Era una fotografia vecchia, di parecchi anni, che ritraeva mio padre quando era adolescente insieme ad un gruppo di altri ragazzi. Tra questi, individuai un viso familiare, quello di Carlos, che guardava con intesa quello di mio padre. Probabilmente erano stati amici per lungo tempo.
Tastai con i polpastrelli quella carta sgualcita ed ingiallita. Sapeva tanto di ricordi e di passato.
«Quindi, conoscevi Carlos?» chiesi a mio padre, ponendogli la fotografia mentre mi appoggiavo allo schienale della sedia. Mi sembrava un buon punto di inizio.
«Si.» fece un piccolo sorriso all'affiorare di quel frammento del suo passato. «Eravamo come fratelli...ci conoscevamo da quando avevo sei anni. Siamo cresciuti insieme e abbiamo affrontato la nostra adolescenza insieme.»
Sorrisi. Era bello vederlo raccontare del suo passato, soprattutto perché lo rendeva così felice.
«Com'è stato scoprire di avere il dono elementale?» gli chiesi curiosa.
«All'inizio non era affatto facile, soprattutto perché più passava il tempo e più i nostri poteri crescevano. Non riuscivamo a controllarci, specialmente io che spesso scatenavo involontariamente dei gravi disastri, dopo aver provato a reprimere la mia natura. Era difficile tener nascosto quello che eravamo e presto ci rendemmo conto che serviva un posto con ragazzi come noi. Viaggiammo e scoprimmo molte congreghe di persone, che sviluppavano i loro poteri in posti isolati e nascosti dagli sguardi della gente normale.» mi rispose lui.
Non avevo avuto idea, fino a quel momento, quanto potesse essere difficoltosa una vita del genere, senza l'aiuto di ciò che mio padre aveva costruito. Tenere segreta la propria natura sarebbe stato faticoso per chiunque senza una guida.
«Tutti noi Elemen avevamo bisogno di un posto per noi: creavamo scompiglio e panico ovunque andassimo. Ci serviva una casa e la trovammo solo quando io e Carlos ci dirigemmo in Australia dove incontrammo gli Antichi.» continuò. «Erano gente millenaria, che riusciva a tenersi in vita mutando, di notte, la propria forma in alberi. Il loro scopo era quello di trovare qualcun'altro che riuscisse a custodire i segreti e i doni che il nostro Creatore aveva lasciato.»
«Sono proprio loro? Hai conosciuto gli Antichi di persona? Davvero?» chiesi io totalmente stupita. «E che cosa successe?» ero troppo curiosa della risposta, dopo questo racconto quasi surreale.
«Loro trovarono in me ciò che cercavano da tempo ed io, con il loro aiuto, riuscii a far sorgere il luogo dove ora tutti i ragazzi possono recarsi per sviluppare i loro poteri: una scuola e una casa dove rifugiarsi.»
Non sapevo proprio cosa dire, né descrivere le mie emozioni in quel momento: ero unicamente presa dall'eccitazione di quelle meravigliose notizie sul passato di mio padre.
«È fantastico quello che hai fatto, papà. Io, proprio oggi, ho potuto vedere quello che hai creato con i tuoi sacrifici e con la tua dedizione per quello che sei, per quello siamo. Non capisco però perché hai lasciato tutto ciò per cui hai lavorato anni.»
Un'espressione nostalgica e sofferente apparve sul suo volto, poi disse: «È successa una cosa, Milena, molto spiacevole, che fino ad ora non ho mai raccontato a nessuno.».
Fece una breve pausa di riflessione, poi proseguì quello che voleva dirmi: «Erano scomparse tre ragazze nella scuola e per mesi le cercai, ma invano. Ricevetti poi una lettera che minacciava la scomparsa di altri ragazzi, se non mi sarei dimesso come preside. L'autore della lettera era un certo WM, ma non riuscii mai a scoprire chi fosse: mi aveva dato delle istruzioni chiare, tuttavia continuai a cercare il posto dove fossero le tre ragazze scomparse.
Erano tenute nascoste, in condizioni miserevoli, nei sotterranei sotto l'osservatorio della scuola. Le salvai ma in quel luogo trovai, non solo le ragazze, ma anche una stanza che conteneva progetti di chi cospirava contro di me. Pensai di aver avuto la meglio ma mi sbagliai. In una notte, mentre dormivo, la mia camera si riempì di uno strano gas, che per poco non mi soffocò. Decisi di andarmene allora, scappando da quella situazione che non potevo risolvere. Tutti credettero che fossi morto, persino Carlos che mi pianse a lungo.»
Per un momento restammo entrambi in silenzio, persi nei propri pensieri. Non riuscivo proprio ad immaginare la fine che avrebbe fatto mio padre, se non se ne fosse andato.
«Cosa hai fatto dopo?» chiesi scandendo lentamente le parole, con una espressione inquieta sul volto.
«Sono andato a vivere in Italia, dove avevo dei lontani parenti: ho iniziato una vita nuova in cui utilizzavo il mio dono per aiutare le persone nella loro sicurezza. Sono entrato a far parte delle forze dell'ordine italiane e poi, quando riuscii a stabilirmi definitivamente in una casa, incontrai tua madre.»
«E la scuola? Quale fine aveva fatto? Non eri preoccupato per quello che avevi lasciato?»
«Certo, ancora oggi mi chiedo se la scelta che ho fatto è stata quella giusta. Probabilmente no, ma non avevo nessun'altra opzione...» mi rispose con tono abbattuto.
Questo sicuramente non lo credevo da mio padre. Pensavo fosse un uomo che lottasse per ciò che aveva, che non si arrendesse mai e che affrontasse i problemi a testa alta superando gli ostacoli della vita, proprio come voleva che io facessi. Poteva restare e combattere per proteggere ciò che aveva creato ma non glielo dissi.
Forse, la persona che lo aveva minacciato, si trovava ancora a piede libero ed era la stessa responsabile della scomparsa e dell'omicidio di Tommy. Sicuramente mio padre aveva sbagliato a smettere di lottare per tutti i sacrifici che aveva fatto ma, visto il suo pentimento e il suo rammarico, non avrei fatto bene a dirgli di ciò che avevo scoperto. Lo avrebbe fatto sentire in colpa e non era affatto mia intenzione. Decisi perciò di non dirgli nulla, almeno per il momento avrei cercato di scoprire di più insieme a Matthew, con cui quella sera avrei chattato per andare avanti con le indagini.
«Mi spiace averti sottratto da quel che sei veramente, sin da quando eri bambina, ma l'ho fatto solo per il tuo bene. Lo capisci, vero?» mi chiese mio padre.
«Certo, perché non dovrei? È terribile quello che hai passato.» gli dissi, per poi stringerlo in un abbraccio. Finalmente avevo avuto le risposte che volevo ed avevo conosciuto un lato di mio padre, che fino a quel momento non avevo mai visto.
Quando ci svincolammo l'uno dalle braccia dell'altro, gli chiesi un'ultima cosa: «Posso andare alla scuola? Mi trovo veramente bene lì ed ho già stretto delle amicizie e sarebbe un vero peccato lasciare tutto...»
«No, Milena, non voglio trovarti nelle medesime condizioni in cui ho trovato quelle tre ragazze a cui ho dovuto salvare la vita.»
«Ma ho il diritto di frequentare quella scuola! Ho il diritto di frequentare la scuola, che ha creato mio padre! Fa parte di me. Rendimi felice facendomi scoprire la bellezza del mondo di cui apparteniamo.»
«Ti ho già detto di no, non si discute.» disse lui, con tono fermo.
Ero ferita da quella risposta, non potevo credere che mio padre mi privasse la mia natura. Pensavo avrebbe capito il significato della scuola per me, ma infondo lo comprendevo: aveva paura che il suo più terribile incubo si realizzasse, quello in cui vivevo il suo stesso passato.
Dopo avergli dato un bacio sulla guancia, per dimostrargli quanto gli volevo bene nonostante quella decisione, iniziai a sparecchiare la tavola e, dopo aver pulito anche i piatti, salii le scale di casa per arrivare alla mia camera da letto.
Per tutto il pomeriggio studiai ma, quando il sole sparì dietro l'orizzonte, presi dalla tasca il fogliettino che avevo conservato nella tasca dei pantaloni. Registrai in rubrica il numero di cellulare di Matthew e poi mandai un messaggio.
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