3
Un nuovo mondo
Non sapevo esattamente che ore fossero quando, ripresa dallo stordimento, l'uomo dal camice bianco venne a prendermi. Mi disse di non fare domande fino a quando non avremmo raggiunto la biblioteca. Sicuramente immaginava quanto io fossi confusa in quel momento ma era necessario attendere per le risposte che cercavo. Il ragazzo timido, che aveva nominato le mie origini misteriose, aveva suscitato in me non solo incredulità ma anche interesse. Cosa poteva avere di speciale la mia nascita? Cosa non mi era stato raccontato o piuttosto nascosto?
Attraversammo il corridoio, di cui il pavimento era fatto da lastre di marmo bianco e le pareti di carta da parati rossa, e raggiungemmo presto una grande porta con due battenti di legno. Quando la varcammo, vidi l'inimmaginabile: una mastodontica sala in stile gotico, che pensai fungeva da atrio, era rivestita d'oro. Nel soffitto, costituito da arcate a sesto acuto, c'erano dei bellissimi affreschi che ritraevano il diluvio universale e la crocifissione di Cristo mentre, ai lati della sala, c'erano le finestre trifore che erano mosaici di vetro colorato raffiguranti il fuoco, l'acqua, il soffio del vento, la terra e forse qualcos'altro sulla natura. Era davvero uno spettacolo, e fu per quello che desiderai molto di poter restare ancora in quella specie di paradiso per gli amanti dell'arte, ma invano.
L'uomo, che mi stava conducendo alla biblioteca, non badava granché a me, che lo seguivo, bensì era immerso nei suoi pensieri. A me non restava altro che guardarmi intorno stando attenta a non perderlo di vista. Quell'uomo aveva un'aria stanca, lo si notava dal suo passo pesante e dai suoi occhi spenti, tuttavia la sua bocca, rivolta all'insù in un sorriso, mi faceva pensare che fosse anche appagato da una buona notizia.
Dopo quella sala, ce ne fu un'altra più piccolina, altrettanto bella, e poi raggiungemmo finalmente la biblioteca. È dire poco che mi emozionai nel vedere tutta quella miriade di scaffali che partiva dal basso e si prolungava in altezza in un salone di almeno una cinquantina di metri quadri. Oltre ai libri, era meraviglioso il design del legno, intarsiato nelle librerie, a forma di foglia d'acanto e varie volute.
Avrei voluto soffermarmi a leggere i nomi dei titoli per tutto il pomeriggio ma la curiosità sul mio passato era ancor più grande.
L'uomo, prima di parlare, decise di sedersi in una comoda poltrona e mi invitò di fare lo stesso nel sofà accanto. Prese poi una pipa e finalmente iniziò: «Allora Milena, vedo dai tuoi occhi che questo posto ti incanta. Anche a me piace tanto, non c'è posto più bello per chi adora leggere, non trovi?»
«Si, è davvero stupendo qui ma, non solo la biblioteca, anche tutto il complesso. Non ho mai visto qualcosa di così bello in vita mia. Che posto è questo?» domandai curiosa.
«Ci troviamo semplicemente in una scuola, solo che è per ragazzi speciali. Tu sei una di quei ragazzi e avresti dovuto fare l'esame di ammissione fra qualche giorno.»
«Speciali in senso di prodigio, giusto? Non avevo alcuna idea che si potesse entrare in scuole simili senza alcuna domanda di ammissione, insomma...» Ero sorpresa dalla notizia ma, dall'espressione dell'uomo che mi stava parlando, sembrava sbagliato esserlo. Non avevo avuto il tempo di esprimere il mio stupore ed entusiasmo che fui interrotta.
«No, Milena. Sono sicuro che tu sia una bravissima studentessa ma non è quello che intendevo. Io parlo di una specialità diversa, che si eredita dal sangue dei propri antenati.» mi disse l'uomo con tono quieto. Che cosa intendeva dire?
L'arrivo della famiglia Hyde sarebbe stato l'ultimo dei miei pensieri. Infatti, la cosa più normale che mi stesse capitando era proprio l'arrivo dei nuovi vicini che, nonostante poteva essere anch'esso un gran mistero, non era paragonabile a quello che mi stava capitando.
L'uomo, fece una pausa per inspirare il fumo, mentre io restavo in silenzio, in attesa che continuasse. «Millenni fa i nostri predecessori, che furono cinque, avevano chiesto al Creatore di poter controllare gli elementi che hanno formato il mondo, ed essi furono accontentati in cambio di tre cose: lealtà verso la giustizia, segretezza dei privilegi divini e... rispetto di ciò che è stato creato. Dopo un giuramento, essi potettero vantare di un potere immenso, e diverso l'uno dall'altro: il primo riuscì a controllare il tempo meteorologico e ad originare nuove fonti d'acqua; il secondo ottenne invece il potere di scatenare fenomeni geologici di grande scala; il terzo potette manipolare il tempo cronologico e spostare, compattando l'aria, gli oggetti più disparati; il quarto fu padrone della luce, del calore e della distruzione con il potere del fuoco; mentre l'ultimo ebbe la capacità di donare l'essenza vitale. Essi dettero origine alle generazioni degli Elemen, che anche dopo secoli mantenevano, come d'accordo, le tre promesse degli antichi.»
Elemen, Mi ripetei nella testa, quella strana parola che aveva nominato anche quella vecchietta del vicolo. L'uomo si soffermò, appoggiò i gomiti sulle ginocchia, e posò il proprio mento sulle mani in attesa di qualche mio commento.
«Lei mi sta dicendo che faccio parte di una delle generazioni di cui ha parlato? Che ho dei poteri magici con cui far levitare gli oggetti o incendiare le foreste? Non è possibile, mi spiace ma non credo in queste cose e, anche fosse, penso che lei abbia sbagliato persona. Se, come dice lei, è vero che questo dono è ereditario, da chi lo avrei preso?»
Appresi dalla sua risposta che, anni fa, fu proprio mio padre a fondare la scuola per i giovani Elemen. Per ignote ragioni, decise di dimettersi dopo qualche anno dal suo incarico di preside e poi cancellò ogni traccia di sé. L'uomo dal camice bianco mi spiegò che, fino al momento della mia comparsa, non potevano avere alcuna idea che esistesse una figlia e che, quella figlia che gli somigliava tanto, fossi io. Molti supponevano che fosse morto. Detto ciò, io rimasi allibita, con lo stupore sul viso ed impaziente ancora di sapere dell'altro. Mi sembrava tutto così estraneo dalla realtà in cui vivevo, eppure non così irreale come immaginavo. Mio padre non parlava mai del suo passato, non sapevo niente sulla sua adolescenza ma soltanto dei momenti che iniziavano dall'incontro con mia madre. Il periodo che non aveva mai raccontato poteva essere proprio quello di cui ero venuta a conoscenza.
«Em... e la Prova? Quella di cui parlavano prima i suoi colleghi? Cos'è?» chiesi. Non avrei potuto fare chiarezza nella mia mente senza sapere tutte le risposte alle domande che mi ero posta.
«Non sarei autorizzato a parlarne, ma, dato le circostanze, te lo dirò. Sei riuscita oltretutto ad oltrepassare le barriere della scuola, prova di chi sei e dei tuoi straordinari poteri. La Prova serve per l'ammissione all'istituto, ed è anche un esame che serve per capire quali sono le tue attitudini agli elementi. Consiste infatti nell'utilizzare i tuoi poteri per liberarti da una stanza chiusa a chiave. Una volta superata, ti sarà consentito l'accesso alla scuola e all'istruzione per imparare al meglio ad utilizzare il tuo dono che solitamente si manifesta proprio alla tua età.» disse l'uomo che terminò la frase proprio quando qualcuno entrò nella stanza. Era la donna dai capelli rossi che voleva avvisarci che era il momento di andare.
Avrei voluto sapere dell'altro, ad esempio sapere chi fosse quella donna nel vicolo, tuttavia mi venne in mente che sarei tornata in quel posto pochi giorni dopo.
Mentre ci alzammo, mi ricordai di non sapere nemmeno un nome di coloro che mi avevano soccorsa ed informato del mio passato. Fu così che lo chiesi subito dopo: «Prima di andarmene vorrei sapere i vostri nomi.»
L'uomo disfò la mia curiosità frettolosamente: «Il mio Carlos, il suo Adele. Adesso però sbrighiamoci che abbiamo solo una decina di minuti.»
Dopo due battiti di ciglia, ci ritrovammo davanti ad un portale di teletrasporto, con le sembianze di un muro vecchio e ricoperto d'edera. Per ritornare da dove ero venuta, dovevo attraversarlo. Un dubbio però mi assaliva: qualcuno non si era posto delle domande su dove fossi finita fino adesso?
Provarono a rassicurarmi. Mi dissero di stare tranquilla perché era stato creato un loop temporale per fare in modo di tenermi lì senza alcun problema, ma fui un po' scettica. Forse perché di "magia" ne avevo vista ancora poca.
Feci un passo verso il muro, mi volta indietro per rivedere i volti di Carlos e Adele un'ultima volta, poi attraversai il portale: fu come immergersi in una vasca d'acqua gelida. Mi ritrovai nuovamente nel vicolo abbandonato e, nell'arco di due minuti, vidi la chioma voluminosa e riccia di Ashley che arrivò, insieme a Matthew, con animo preoccupato.
«Milena, che ci fai qui? Siamo usciti dalla gelateria e abbiamo notato che eri sparita!» disse la mia migliore amica, a cui naturalmente avevo fatto prendere un gran spavento. Mi abbracciò forte, ma non sapevo che raccontarle. Non ero capace di trovare scuse da sostituire alla verità e, per mia fortuna, intervenne Matthew che riuscì, con un abile battuta, a salvarmi da quella situazione.
Li convinsi successivamente di essermi allontanata soltanto per una telefonata e dopodiché ci dirigemmo verso la via dei negozi, senza badare a quanto fosse convincente il mio alibi. Passeggiammo soltanto per un quarto d'ora: si era fatta l'ora di pranzo e ognuno doveva ritornare a casa propria. Ci salutammo ed intraprendemmo le nostre strade. La mia era la stessa di Matthew e perciò ci ritrovammo a passare ancora qualche momento insieme, ma quella volta da soli.
Incominciò lui a parlare: «Allora, cos'è successo veramente? Eri strana quando ti siamo venuti incontro.»
«Te l'ho detto. Mi ha telefonato una persona e mi son dovuta allontanare, tutto qua.» ripetendogli la medesima bugia che gli avevo già detto. Aveva visto qualcosa nel vicolo? Sperai di no con tutto il mio cuore perché non sarei riuscita e non avrei potuto spiegare niente degli avvenimenti successi.
Matthew si fece tutto ad un tratto serio, rallentò il passo e poi si fermò davanti a me guardandomi negli occhi. «Penso che tu stia mentendo. O non era una semplice telefonata, o è successo qualcos'altro. Non mi hai dato l'impressione di una ragazza che si intrufola nei viali per una cosa da niente.»
«Mi crederesti se ti dicessi che era un assistente della mia linea telefonica? Lo sai, a volte sono insistenti sulle proposte che devono fare ai clienti.» e lo dissi con ironia, per provare a distrarlo dall'argomento e fargli spuntare una risata.
«Davvero?» mi fece uno sguardo accigliato e poi spuntò un sorriso sul suo volto. Scuotendo il capo, disse: «Ok, non dirmelo. Non insisterò perché altrimenti potresti inventarti l'inverosimile.»
Ero indecisa se dirgli la verità. Mi misi una ciocca di capelli dietro l'orecchio e poi ripresi a camminare. Stetti in silenzio per un po', a pensare con quale argomento potessimo cambiare conversazione, Dopodiché mi venne in mente il trasloco: «A proposito, i mobili della casa sono arrivati?» chiesi, con lo sguardo rivolto ai sassolini sulla strada che stavamo percorrendo.
«Non ancora, arriveranno questo pomeriggio. Potresti venire quando avranno finito di sistemarli, se vuoi.» mi comunicò Matthew.
«Verrò un altro giorno. Oggi pomeriggio ho un impegno, però grazie per l'invito.» dissi.
Giungemmo dinanzi le nostre abitazioni, ed arrivò perciò l'ora dividerci. Ci rivolgemmo un saluto ed entrai in casa: i miei genitori mi stavano aspettando per consumare il pranzo.
Li salutai baciandoli sulla guancia e mi sedetti a tavola. Mia madre, che era un'ottima cuoca, aveva preparato un pranzetto squisito.
Qualche ora più tardi, mi ritrovai in camera mia, distesa sul letto, con il volto rivolto al soffitto e la musica ad alto volume nelle cuffie. Avevo molto a cui pensare. Innanzi tutto, quel giorno avevo scoperto di essere una Elemen, e che anche mio padre lo era. Non sapevo esattamente il motivo per cui mi abbia nascosto una cosa così importante ma, conoscendo il mio babbo, potetti solo immaginare che lo avesse fatto per una buona ragione. Nonostante tutto, desideravo andare in quella scuola e perciò decisi, per il momento, di non dirgli niente. Volevo scoprire chi fossi davvero, dopo anni che ne ero stata all'oscuro.
Riprodussi dal telefono la mia canzone preferita -Dusk Till Dawn di Zayn e Sia-, ed iniziai ad ascoltarla. Mi rievocò ricordi del passato, sepolti nella mia mente, che temevo riaffiorassero.
Mio fratello maggiore mi spingeva dall'altalena. Io bambina con il sorriso sulle labbra che mi divertivo da matti. Mi spingeva ed io arrivavo in alto. In alto fino a toccare il ramo dell'ulivo difronte a me. Per me, era come toccare il cielo con le dita, per poi ritornare indietro come se cadessi nel vuoto, ma consapevole del mio fratellone che era pronto a prendermi con le sue braccia.
Era da mesi che non mi scriveva: non avevo alcuna notizia di lui, e quello mi frustrava. Era lontano chilometri, e non potevo vederlo né sentirlo come una volta. Le lacrime sgorgarono dai miei occhi e dovetti assolutamente smettere di ascoltare quella canzone, prima di non riuscire a fermarmi. Tolsi immediatamente le cuffie e misi in pausa la musica. Mio fratello era la persona più importante della mia vita: gli raccontavo i miei segreti, le mie paure, i miei folli piani e ciò che desideravo essere... era sempre stato al mio fianco e avrebbe fatto di tutto per me. Era l'unica persona a rendermi davvero felice, tuttavia mi lasciò sola. Scomparse nel nulla, come la luce di una lampadina rotta. Pensavo che non gli avessi mai detto abbastanza ti voglio bene, pensavo di non aver trascorso mai abbastanza tempo con lui.
Le gocce del pianto scivolarono giù per tutto il mio viso e, nel momento in cui si staccarono, fluttuarono nell'aria. Presero la forma di piccole sfere: era la mia prima e vera volta in cui utilizzavo i miei poteri. Era strabiliante, soprattutto perché l'avevo fatto io. Ebbi il momento di ammirarle per pochi secondi perché caddero all'udire di alcune parole che provenivano dal muro alle mie spalle.
«Matthew, ne sei proprio sicuro?» disse una ragazza che dedussi fosse Clara.
«Credimi, era nel vicolo che conduceva ai dormitori della scuola. Non è stato un caso, ne sono sicuro.» disse il fratello.
Appoggiai la testa contro il muro per sentire meglio. Stavano parlando della mia breve visita all'istituto? Ma come potevano sapere?
«In tal caso, potrebbe essere come noi. Hai provato a leggerle nel pensiero?» disse Clara.
«Ci ho provato ma sembra abbia delle barriere mentali. Non riesco nemmeno a percepire le sue emozioni.» rispose Matthew. «Non posso sapere niente. Niente se non da lei stessa.»
Seguì un momento di silenzio. Poi ripresero a parlare.
«Ti conviene allora aspettare: quando verranno ammesse le matricole vedrai se sarà una di loro. Mantieni le distanze fino a quel giorno perché non puoi rischiare, fratellino, di dirle di essere un Elemen, nel caso non lo fosse. Ieri, per la prima volta ti ho visto molto pensieroso, ma non credevo fosse per Milena fino ad oggi.» disse Clara che mi aveva completamente sorpresa con le sue parole.
«Hai ragione, non devo essere così imprudente. Cercherò...» e Matthew si interruppe all'udire di una voce che io riuscii a sentire a stenti.
Dopo qualche secondo, mi sembrò che la conversazione fosse terminata. Percepii il rumore dei passi allontanarsi.
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