Capitolo XXVII (R)

Non era più così facile vivere in quel carcere isolato dal mondo, una realtà a se stante che ancora non comprendevo a fondo. Non lo era mai sta ma ora che sapevo di essere la prossima in lista per il Penitenziario, il mio morale si era perso in non so quale dei tanti livelli sotterranei.

Dopo un brevissimo tour alla riscoperta delle palestre della Base Militare, il Comandante Benedikt ci aveva costretti a guardare tutti gli allenamenti dei cadetti per farci un'idea di ciò che avremmo dovuto svolgere giornalmente da lì alla Quinta Prova. Di norma una giornata all'insegna del duro lavoro altrui mi avrebbe sollevata, ma i dubbi e le paure nati dopo il colloquio erano state intensificate dal ritorno improvviso della voce.

Un mese di silenzio non l'aveva cambiata molto: sempre amorevole, melodica, un sibilo di vento caldo che mitigava il mio stato di ansia continuo. A colpirmi erano sempre le sue parole. Dopo mesi passati a sussurrare il mio nome e un solo aiuto, preziosissimo, ricevuto allo scoccare della Terza Prova, la voce si era sempre contornata di mistero con i suoi soliloqui notturni. Eppure, quella notte non mancò di chiarezza.

«Ehvena» fiatò. «Vorrei, un giorno, scusarmi per i loro modi. Vedo troppa inquietudine in te, molta più di quanto ce ne sia stata dall'inizio dell'Elezione. E determinazione, così tanta e per così tanti motivi... Come il primo giorno.»

Se avessi avuto, anche solo per quella notte, il controllo del mio corpo, sarei rabbrividita tanto da farmi rizzare le punte dei capelli. Ma le scosse paralizzanti rendevano il mio un corpo estraneo alla coscienza, inspiegabilmente sempre attiva. Neppure il cuore recepiva i segnali che la testa vanamente gli inviava, sempre così calmo e regolare quando invece avrebbe dovuto pulsarmi in gola.

«So che per te è difficile ma se potessi, vorrei vederti svolgere l'ultima prova al meglio. Addestrati, non saltare mai gli allenamenti, chiedi aiuto se ne hai bisogno. La prova sarà molto più dura delle altre.»

Era un avvertimento? Un consiglio? Un altro indizio? Si sarebbe mai fatto vedere, solo per scusarsi al loro posto? Perché, poi, avrebbe mai dovuto farlo? Non lo sapevo e, forse, mai lo avrei saputo. A chiunque appartenesse la voce che mi perseguitava nel sonno non sembrava interessato a torturarmi come gli altri organizzatori. Per questo motivo credergli mi veniva più semplice, anche se proprio la sua natura ignota e così insolitamente benevola lo avrebbe dovuto rendere più sospetto. A volte, dubitavo ancora che esistesse un volto aldilà della voce. L'intera Elezione sembrava un sogno, un ricordo, un'illusione: la monotonia ti risucchiava, assopiva la mente e ti rendeva inerme, tutto spezzato delle prove adrenaliniche e il dolore, alla lunga quasi rinvigorente. La voce era come una medicina, un tranquillante iniettato al momento giunto.

A salvarmi da tutte le incognite e le stranezze c'erano solo William e Asia. Dopo l'ordine di Tremblay, tutti gli Assistenti si erano trasferiti alla Base e avevano occupato le stanze svuotate dai candidati nel corso delle prove. Asia aveva perseguitato il Militare Nuyen, l'incaricato dello smistamento delle camere, per ore, prorompendo costantemente nel suo ufficio nascosto nel primo piano sotterraneo. Quell'uomo doveva essersi spaventato tanto da riservarle non una stanza nel mio stesso corridoio, ma proprio quella accanto alla mia, appartenuta una concorrente di nome Tania Wrodduk che in quattro mesi avevo incrociato a malapena. Era sconcertante come avessi vissuto sotto lo stesso tetto di altri duecento concorrenti e la maggio parte di loro mi fossero sconosciuti. Ora la mia Assistente era davvero a un passo da me e forse gli organizzatori avrebbero dovuto renderlo possibile già a inizio competizione.

Nora si trovava su di un altro corridoio rispetto a quello di William, ma questo perché quel corridoio era ancora completamente occupato. Altri, invece, erano deserti. In gara erano rimaste solo tre classifiche: Positivi, Effettivi e Qualificati. Ogni classifica comprendeva un massimo di quindici concorrente, perciò in totale eravamo quarantacinque, sfalsati in maniera difforme tra donne e uomini. L'ultima prova serviva proprio ad eliminare i candidati in eccesso. Il numero di superstiti aldilà dell'ultima prova lo conoscevano solo i Rappresentanti, ma tutti sapevamo che sarebbe stato un gruppo a parità di genere. Probabilmente non molti, terminata l'ultima prova l'obbligatorietà che ci legava all'Elezione sarebbe finalmente cessata, dando modo a chi non era interessato, se rimasto miracolosamente in gara, di annunciare la ritirata. Alcune Elezioni si erano svolte con solo cinque coppie a concorrere; una, la più memorabile, ne aveva viste solamente due. Per la maggior parte venivano svolte con numeri di coppie dalle sedici alle due. E qui di concorrenti interessati ce ne erano ancora a sufficienza.

Io mi sarei sentita la persona più fortunata dell'Isola se in grado di potermi lasciare alle spalle quel luogo senza alcuna complicazione. Tutto dipendeva dalla mia ultima impresa per conto dell'Elezione, che già sapevo sarebbe stata un disastro.

Dopo i primi tre giorni di allenamento autonomo William e gran parte dei concorrenti rimasti sentirono il bisogno di ridurre drasticamente le loro schede di allenamento. William rimandò solamente l'orario di inizio, per poter oziare qualche ora in più a letto senza scosse a tramortirlo. Quel ragazzo era un vero pigrone, lo capii solo in quelle settimane di semilibertà, e le scosse degli ultimi mesi lo avevano davvero disturbato. Io, che non riuscivo mai a svegliarmi dopo l'alba se non a costo di orribili mal di testa, ero costretta a darmi da fare. Gli avvertimenti della voce erano stati limpidi: addestrati, non saltare gli allenamenti, chiedi aiuto se ne hai bisogno. L'aiuto lo avevo; l'aspirante Latore Oscar si era reso nuovamente disponibile per guidare sia me che William. Oltre la mia Assistente, era l'unico a portare un'uniforme di cui mi fidassi. Inoltre, era lui ad avermi salvata dalle grinfie di Paterson, ad essersi sorbito il mio lungo piagnisteo e ad avermi dato una mano durante la Terza e Quarta Prova, per quel che gli era stato possibile. Al termine dell'Elezione, se ne avessi avuto ancora la facoltà, gli avrei preparato un'intera cena. Era un bravo ragazzo, dedito alla sua scelta di diventare un Latore e alla vita condotta nella Base Alpha. Aveva quella serietà posata che al povero William mancava del tutto, e un senso dell'umorismo che combaciava perfettamente con il suo. Se fosse stato un concorrente invece di un duo saremmo stati un trio, loro tutte risate e battute e io musi lunghi e pessimo umore. Un umore che diventava sempre più nero.

I giorni si altalenavano ad orribili sbalzi temporali: gli allentamenti apparivano eterni e sfiancanti, come le ore di studio casuale che Asia mi aveva programmato; dovevo essere preparata sul piano fisico e mentale, così si era fatta recapitare libri sulla storia dell'isola e le sue Elezioni per inculcarmi altro noiosissimo sapere su quella odiosa competizione. E poi c'erano i momenti allegri, quelli in cui ci trovavamo alla mensa e al nostro tavolo si univano anche Maximilian, Opal, Josef e spesso Quiana. Quella ragazza la digerivo sempre a metà, dopo che Aderline l'aveva nominata durante il colloquio non riuscii più a risponderle senza che un filo di irritazione mi pizzicasse le corde vocali. Il più delle volte passavamo momenti all'insegna di risate e scherzetti con il cibo sempre più insipido della mensa, ci confrontavamo sugli allenamenti e ci davamo tutti tante arie per come li svolgevamo; il tempo ci scivolava di mano e in un batter d'occhio stavamo nuovamente tutti faticando.

Maximilian un giorno decise di dare un nome a quella trappola temporale, definendola "La maledizione della Base Alpha". Oscar, che il più delle volte sedeva con noi anziché con i suoi compagni, ci spiegò che per loro era la stessa cosa. Anzi, da quando l'Elezione era cominciata la maledizione si era come attenuata. Sconvolgendo loro gli allenamenti, le pause e i turni, avevano l'illusione di star ricevendo più libertà. Noi, al contrario, ne avevamo sempre meno. Per quanto gli allenamenti fossero liberi, la presenza assidua degli Assistenti non ci permetteva di sgarrare. A meno che non fossimo Shawn O'belion. Lui e il suo Assistente – un umo che si aggirava per la Base come un fantasma, sempre sfuggente e impossibile da incrociare, non si videro per settimane. Fu Quiana, durante uno dei nostri ritrovi, a lasciarsi sfuggire le loro costanti visite all'archivio del secondo piano sotterraneo. Una sorta di biblioteca per candidati in cui trovare ogni genere di informazione sugli Scriblet, le Piattaforme Omicron, la struttura della Base Alpha e il suo funzionamento. Insomma, Pel-Di-Carota, con l'approvazione del suo Assistente, passava le giornate leggendo materiale ufficiale invece che studiando casualmente come noi altri. Naturalmente Benedikt aveva dato la sua approvazione, altrimenti non avrebbe mai potuto metterci piede.

Quell'uomo veniva spesso a controllarci. Passava rapido tra le palestre, senza mai rivolgere parola a nessuno, ma c'era sempre e ovunque. I Rappresentanti, invece, c'erano sempre meno. In realtà non li vedemmo più dal giorno dell'ultima classifica, intenti a occuparsi di cose forse ben più importanti della competizione che avrebbe trovato i loro successori. Una di queste doveva di certo essere la pioggia.

A una settimana e mezza di distanza dalla lettura delle classifiche, il cielo iniziò a ingrigirsi e presto vedemmo piccole gocce di acqua cadere indisturbate. Un tamburellare lieve che inumidì l'aria e diffuse uno sgradevole odore di ferro e terra arsa per tutta la base. Era un evento seccante e allo stesso tempo affascinante da osservare, un velo di acqua sottile che avvolgeva tutto ciò che c'era tra cielo e terra, ti bagnava e ti faceva scivolare quando decidevi di uscire. I militari riuscirono a destreggiarsi, noi candidati no.

La pioggia in quel periodo dell'anno era rara ma ancora di più lo era poterla vedere così da vicino: la barriera serviva a tenerla lontano dall'Isola per garantire tranquillità a tutti gli abitanti. Dopo la GG, il clima del pianeta aveva subito un cambiamento drastico portando mesi e mesi di ingiurie da parte della pioggia. Monsoni, tsunami, diluvi incessanti... ogni tentativo dei primi fondatori di ricominciare erano andati perduti a causa di quella stessa acqua. Non c'era stata altra scelta se non quella di erigere la barriera, depurando le acque vicine, e costruire la cupola. C'erano volute due Ere perché tutto fosse pronto, due Ere perché la gente potesse vivere nel nostro stesso agio, sempre sicura e asciutta.

Solo ventisette per creare lo Stato Unitario Pacifista per cui stavo concorrendo.

Una mattina mi ritrovai a vagare per la base, incapace di dormire e di svegliarmi del tutto. Non ero abbastanza stanca da crollare in un nuovo sonno, pensieri poco rasserenanti iniziarono a frullarmi in testa e il rumore della pioggia riuscì a restituirmi tranquillità. Fu allora che lo vidi passare, quel fantasma rossiccio che non voleva saperne di staccarsi da me. Non appena smettevo di angustiarmi per la nostra spinosa situazione, eccolo lì che tornava a tormentarmi. E questa volta fui partecipe delle sue vere intenzioni: ero seduta davanti alla porta basculante dell'hangar quando, lui si fermò sotto la pioggerella a fissarmi. Capito chi fossi non cercò di evitarmi, preferì sfilami accanto con tanta disinvoltura da mandarmi in bestia. Si sgrullò di dosso la pioggia e pensai che, raggiunto il suo obiettivo di irritarmi, stesse per tornarsene in stanza. Invece, mi si sedette accanto e con mio estremo stupore si chiuse in un silenzio quasi impudente.

Mi imposi la stessa silenziosità, non volevo essere sempre io a iniziare il discorso. Dal mio ultimo, fallimentare tentativo avevo deciso di lasciarmi O'belion e la sua storia alle spalle, così da proseguire verso la Quinta Prova preoccupandomi solo del mio futuro. Un futuro fin troppo incerto. Pel-Di-Carota doveva averlo capito già da tempo, per questo era tornato a tormentarmi. Aveva già provato a buttarmi fuori dalla competizione, ora che mi trovavo sul filo del rasoio non gli restava che gongolare.

«È rara la pioggia» affermò criptico. Aspettai che aggiungesse altro, magari un arguto e irritante paragone sulla pioggia e i miei fallimenti, e quando non arrivò ne rimasi davvero delusa. Saperlo intenzionato a tormentarmi era meglio di non conoscere affatto le sue intenzioni.

«Cosa vuoi?»

«Da te? Nulla» rispose. Un sorrisetto affiorò nello stesso istante, la curva dolce, quasi nostalgica, lo fece apparire... diverso. I capelli umidi di pioggia mi ricordarono la nostra ultima conversazione: noi due da soli, vicini e per questo sempre più lontani. L'unica differenza stava nel suo atteggiamento, così anormale. Dal punto di vista di chiunque potevano apparire delle normalità, ma per Shawn era tutto molto più complicato.

«Allora perché sei qui?»

«Perché, ti infastidisco?» Il sorrisetto rimase dov'era, dandogli un'aria insolitamente rilassata e amichevole.

«Mi infastidisce il tuo atteggiamento. Ti sei già dimenticato della nostra ultima chiacchierata? Hai dichiarato di non esse mio amico e di non volere rispondere alle mie domande. Sei stato molto chiaro.»

«Ricordo benissimo. Però sappi che non devo esserti amico per sedermi qui» aggiunse, l'espressione immutata. «E tu non devi ogni volta chiedermi cose a cui sai che non risponderò. Ogni tanto possiamo anche stare seduti nella stessa stanza e guardare la pioggia cadere.»

«Cosa?»

«Te li ricordi quei lunghi silenzi Vèna? Le ore passate in stanza senza dire niente a fare poche insulse cose... Era piacevole. Lo è ancora

Mi voltai completamente verso di lui, non credevo alle mie orecchie perciò feci il possibile per imprimere quel momento sulle mie palpebre. «Ora ti senti nostalgico? Ora che siamo a un passo dall'ultima prova obbligatoria? Le giornate chiuso in quell'archivio devono averti fatto male.»

«Non è ora che la nostalgia è riaffiorata, Vèna. Ma hai ragione, stando lì sotto mi sono accorto di una cosa...»

La sua pausa mi lasciò sul bordo di un fossato, la paura di cadere e l'ardente desiderio di lasciarmi scivolare nel vuoto si mescolarono con la stessa intensità con cui speravo continuasse. Ma per dirmi cosa? Cosa volevo sentirgli dire così disperatamente da quando lo avevo rivisto?

«Avremmo sprecato molto meno tempo usando quei silenzi invece delle parole.»

«Lo so già di aver sprecato un sacco di parole inutili con te» dissi.

Il suo sorriso si allargò, rendendo me ancora più perplessa. «Perché io no? L'importante è non lasciarci alle spalle solo quelle. Di brutti ricordi ne abbiamo a sufficienza, non spariranno ma almeno questa volta potremo dirci addio come si deve.»

«Addio?» gli feci eco. Sapevo che non poteva essere di così buon umore senza una ragione valida, sapevo che non si sarebbe mai avvicinato a me in quel modo senza uno scopo definito. Per lui quello era il nostro addio, e voleva renderlo migliore dell'ultimo. «Sei incredibile...» sibilai, ricolma di rabbia. Ma di cosa mi stupivo ancora?

«Non prenderla nel modo sbagliato, Vèna. Voglio solo migliorare la nostra situazione regalandoti qualcosa che allora non hai avuto.»

«Per causa tua!» esplosi rizzandomi in piedi. L'indice accusatorio già puntato su di lui. «Bastava poco perché ci risparmiassimo tutto questo, e ora basta poco per rimettere le cose a posto ma tu continui a fare di tutto perché niente cambi. E io sono stufa marcia di correrti dietro!»

«Lo so, non ti ho reso le cose facili nonostante tutto il resto.» Con un ampio gesto indicò tutto l'insieme che componeva l'Elezione: fatica, dubbi, prove, scosse, odio, rancore... Nulla però era paragonabile a lui. «Sta per finire tutto, io ho già concluso la mia parte. Sei stata brava Vèna, ora lascia che ti lodi un po'.»

L'ultima affermazione fece scattare in me qualcosa. Era un primitivo desiderio di arrecare dolore che avrebbe fatto impallidire tutta Pheroes. Solo lui poteva annullare la razionalità di qualcuno e farlo retrocedere a uno stato animale in cui l'unica cosa che contava era affermare la propria supremazia. Dopo quattro mesi alla mercé della più grande competizione del nostro mondo, c'era voluto Pel-Di-Carota con le sue continue scintille perché scoccasse in me la vera fiamma della rivalità. Un fiammata così corposa da non poter essere più spenta. Lui aveva giocato con me fin dal principio, ogni momento, azione, parola era servito solo a questa sua uscita di scena traboccante di magnanimità e comprensione. Avrei dovuto lasciare che mi lodasse per come mi ero fatta abbindolare? Per aver così disperatamente desiderato delle semplici scuse e un piccolo gesto che mi ricordasse la nostra amicizia, quando lui in realtà aveva sempre desiderato porre rimedio a quell'addio?

Tirai indietro l'indice, osservando la sua espressione beata da un'angolazione tutta nuova: non c'era dolcezza in quella curva, solo meschinità e strafottenza. In lui non c'era rimasta una briciola del mio amico d'infanzia, la malattia lo aveva consumato fino ad estinguerlo. Quello che avevo davanti era solo un candidato all'Elezione, il peggiore tra tutti perché convinto di avere la vittoria stretta nel palmo della sua mano. «Vuoi lodarmi?»

«Ne sono capace anche io» affermò sprezzante.

«Be', fallo quando mi prenderò il primo posto in classifica durante la prossima prova» dichiarai con lo stesso vigore di quando si dichiara guerra ad un nemico.

Shawn si prese qualche istante per scrutarmi, sfogliarmi come un libro dalle pagine sottili e l'inchiostro troppo scuro. Capì cosa mi frullava per la testa con molta facilità e fu allora che quell'aria beata scomparve dal suo volto.

«Non puoi proprio lasciare il passato dov'è?» intonò, d'un tratto supplichevole.

«No, non posso Shawn. Tu me lo devi

«Vèna mi...» deglutì a fatica. «Mi dispiace, va bene? Ma tu non puoi pensare di restare solo per questo. La cucina è il tuo sogno, pensa a quello.»

Ridacchiai incredula. Tutto quel tempo ad aspettare delle scuse ma sentendole riuscii solo ad arrabbiarmi di più. «Credi che se resterò oltre la Quinta Prova sarà per te? Se resto sarà per l'amicizia che mi sono costruita dopo anni per colpa tua. Se resterò sarà per ME!»

«Vèna andiamo non-»

«E SMETTILA DI CHIAMARMI COSÌ!»

Per la prima volta dopo anni esplosi di pura rabbia, le lacrime agli occhi e i muscoli scossi da pizzichi nervosi, tutto aveva un'aria così familiare. Avevo avuto la stessa reazione quando, dopo averlo saputo morto, mio fratello usò quel nomignolo con me.

I suoi occhi verdi era spalancati dallo stupore. Dovetti respirare a fondo prima di riuscire a parlare nuovamente. «Non puoi risolvere tutto chiamandomi così. Tu non sei più quel ragazzo e sentirti pronunciare quel nomignolo è... odioso

Shawn abbassò il capo al pavimento, le spalle ricurve come se un peso enorme lo stesse schiacciando a terra. «Finalmente lo hai detto» mormorò. «Finalmente lo hai detto che mi odi» ripeté più distintamente.

Il fumo di quel rogo di rabbia mi aveva accecata del tutto quando dissi quelle parole. «Tu non immagini nemmeno quanto.»

Mi ritirai per prima, senza aspettarmi una risposta o delle nuove scuse. Senza aspettarmi più nulla da lui, da quel giorno e per tutti quelli a venire.

• • • • •

«Mi sembri molto decisa a superare questa prova» osservò William durante gli allenamenti. «Intendo molto, molto decisa a vincere.»

«Ora è un male?» esalai tra un piegamento e un altro. Dopo la sfuriata mattutina mi ero buttata a capofitto nelle lezioni di Asia e crogiolata nel sudore degli allenamenti con una foga mai vista. Non ero così presa da qualcosa dall'ultima competizione culinaria, quella che vinsi a mane basse dopo notti insonni tra cibo e pentole. «Solo poco tempo fa mi hai fatto una paternale sull'effetto terapeutico che avrebbe avuto sul mio egoismo cronico.»

«È vero, ma non credevo mi saresti stata mai a sentire.»

Mi bloccai a metà piegamento solo per rispondergli. «Quindi dispensi terapie fasulle? Mi assicurerò di far sapere ai tuoi insegnanti di questa mancanza di professionalità.»

«No cara, la terapia è corretta e io sono un futuro medico esemplare. Solo non mi aspettavo che tu l'avresti davvero presa in considerazione. Dimmi... è successo qualcosa?»

«Sono prossima nella lista dei visitatori del Penitenziario, tu che dici?»

«Se è per questo lo siamo tutti. Durante i colloqui hanno minacciato tutti noi, dal primo all'ultimo.»

«Sì ma io ho già dei trascorsi con la Rappresentante e ora anche con uno degli Osservatori. Ho molte più probabilità di te di finire in quel posto, Signor Salvo-La-Vita-Dei-Candidati

«Dovrebbero darmi dei punti extra per quello, sono stato magnifico!» ricordò le sue gesta eroiche tutto esaltato.

«Ringrazia che non ti abbiano buttato fuori insieme agli altri. È stato un gesto avventato.»

«Già, ma almeno dormo sogni sereni di notte. O scosse serene, come preferisci.» Mi fece un sorriso smagliante da orecchio a orecchio. «Secondo me c'è dell'altro, e immagino che questo "altro" abbiamo dei capelli rossi, un carattere da far invidia alla Rappresentante Dena e un inquietante sguardo da vecchio amico manico.»

Lo detestavo quando capiva le cose al volo. Ripresi gli esercizi sperando di evitare le sue domande, con ancora più veemenza di prima. «Non tutto quello che mi succede ha a che fare con lui.»

«Questo è vero, ma oggi a pranzo Pel-Di-Carota non ha neppure tentato di lanciarti mezza occhiata e per uno che in certe cose è immancabile, direi che tra voi è successo qualcosa.»

«Magari ha finalmente smesso con quelle sue manie ossessive, come le chiami tu.»

«Un po' repentino visto che fino a qualche giorno fa era puntualissimo». Alzò le sopracciglia impregnate di sudore con fare ritmico. «Non pretendo che tu mi dica tutto quello che succede tra voi solo perché so... quella cosa, ma almeno prova a non mentirmi quando sai che so già qual'è il problema. A me non sfugge niente, niente!» esclamò sprezzante.

Un asciugamano arrotolato lo colpì sulla tempia un istante dopo, riducendolo a un bambino piagnucoloso. Nora, la sua Assistente e nuova allenatrice personale, si era avvicinata senza che se ne accorgesse e lo aveva colpito con maestria ed eleganza. Più tempo passavo con lei e più l'apprezzavo: era l'unica che riuscisse a mettere in riga quel lavativo di William. Peccato che lei di me non avesse una grande stima. Dopo che William e la sua boccaccia avevano spiattellato tutta la mia pessima condotta all'interno dell'Elezione, che poi Asia aveva riconfermato con grande angoscia, ero diventata il suo modello di fallimento preferito. Ogni volta che doveva sgridarlo, usa me come esempio da non seguire per nessuna ragione al mondo.

«Smettila di chiacchierare e mettiti a lavoro!» gli ordinò subito dopo. «Non devi battere la fiacca a così poco dalla Quinta Prova. Non voglio che diventi come lei!»

«Io però mi starei allenando duramente...» tentai vanamente. Per lei ero come quasi invisibile, mi metteva a fuoco solo quando commettevo degli errori. In un altro contesto lo avrei trovato molto scortese, ma visto il lavoro che svolgeva lo trovai scusabile. Nora si dedicava moltissimo a William, e quel ragazzo era una vera tragedia: dall'inizio del mese l'aspirante carismatico dottore si era rivelato per quel che era realmente, ovvero un procrastinatore di prima categoria.

«Ahia!» piagnucolò ancora massaggiandosi l'orecchio arrossato. «Nora, mi hai visto? Ho un fisico che farebbe invidia ai modelli, non ho bisogno di tutto questo allenamento.»

In risposta dall'Assistente arrivò un altra frustata con l'asciugamano attorcigliato. «Non è una gara di bellezza e non sei qui per rifarti il fisico, devi allenarti per vincere la prova!»

«Smettila di colpirmi, fa male!»

«Ti colpirò fino a quando non capirai qual'è il tuo dovere e la smetterai di battere la fiacca. È in questo punto della competizione che i candidati fanno degli errori che gli costano il posto in classifica.»

«Se lo colpisce ancora finirà con richiedere un consulto medico all'infermeria e salterebbe il resto dell'allenamento» s'intromise Oscar. Spalle dritte, braccia incrociate, la curva delle sopraccigli spinta al limite, la sua era la tipica postura da insegnante frustrato. E il ruolo lo stava interpretando molto bene in quei giorni, aiutandoci a mantenerci in forma con i trucchetti dei militari.

«Il cadetto ha ragione, con i lavativi come te c'è bisogno del pugno di ferro» replicò.

«O asciugamano» li canzonai.

William s'imbronciò. «E da quando sei tu quella spiritosa e io quello ripreso in continuazione? La mia dolce Assistente è diventata una schiaviste e nanetti come lui mi danno ordini. Il mondo sta andando a rotoli...»

Oscar, senza pensarci, gli diete uno scappellotto sulla nuca, qualcosa a metà tra un buffetto amichevole e il richiamo di un istruttore. «Chiamami ancora così e finisci a fare flessioni in faccia alla parete, chiaro?» lo minacciò. «Johns, per te niente più esercizi oggi.»

«Perché? È ancora presto, pensa a lui che da quando siamo arrivati non ha mosso un dito» replicai. La mia rivelazione procurò a William un'altra frustata da parte di Nora.

«Basta così» insistette, afferrandomi un polso stretto alla nuca e sollevandomi con facilità. «Vieni con me, ho altro da farti fare.»

«Bravo il cadetto! Portala via così questo fannullone riuscirà a lavorare» esclamò Nora soddisfatta.

Senza lasciare la presa, Oscar mi trascinò fuori la palestra prima che le repliche di William fossero udibili. Le mie iniziarono solo allora.

«Dove andiamo? Facciamo qualche arrampicata? Devo finire di allenarmi»

Oscar si fermò il tempo necessario per lanciarmi occhiata da capo a piedi, poi afferrò un lembo della mia maglietta e la tirò. «La tua Assistente aveva ragione, hai perso molto peso da quando l'Elezione è iniziata. Hai messo anche muscoli, ma se continui ad allenarti a questi ritmi per tutto il mese finisce che toccherà a me raschiarti da terra a fine prova.»

Mi tastai i fianchi, inaspettatamente ossuti. «Non ho perso poi così tanto...» mormorai.

«Quand'è l'ultima volta che ti sei vista allo specchio?»

Ci dovetti ragionare più del previsto. Il bagno nella mia stanza aveva un piccolo specchio ma io non mi rimiravo mai, nell'ultimo periodo poi, avevo preso l'abitudine di sciacquarmi il viso in tutta fretta e uscire dalla stanza. «Questa mattina» mentii.

Sospirò, la stessa espressione frustrata che aveva assunto poco prima per William. «Ci sono degli stadi che si passano una volta messo piede alla Base Alpha, e valgono per voi quanto noi volontari. La fatica delle matricole è molta, me la ricordo come se fosse ieri. Alcuni non reggo mentre altri ne diventano ossessionati, sono cose che si vedono spesso qui.»

«Vuoi dire che sto diventando una maniaca della fatica?» brontolai esterrefatta. Era vero che dall'ultima discussione con Shawn avevo preso gli allenamenti molto più seriamente, ma questo solo perché non avevo altra scelta. «Mi alleno quanto serve per sopravvivere alla prossima prova.»

«Credere di allenarsi il giusto e sapere quando è ora di finire l'allenamento sono due cose diverse. Te lo dico da persone che ci è già passata anni fa. Hanno già ricoverato quattro concorrenti dall'inizio del mese, puoi biasimarci se ci preoccupiamo?»

«Da quando tu e Asia siete così in confidenza?»

«Dall'istante in cui mi sono offerto di aiutarti la prima volta. E ora seguimi, ci sta aspettando.»

Lo seguii senza fiatare, scoprendo dopo poche svolte che non eravamo affatto diretti nella mia stanza. Dopo aver preso l'ascensore, capii che la destinazione era l'infermeria.

«Non vorrete ricoverarmi, spero» dissi, intravedendo Asia davanti alla porta di servizio.

«No, affatto. Si tratta solo di un controllo, lo stanno facendo a tutte le donne rimaste in gara. Ordini della Rappresentante, lei sa che i vostri bisogni sono differenti da quelli di noi uomini, soprattutto per quelle di voi che sono qui fin dall'inizio. Prima della prova toccherà anche ai maschi, voi per ora avete la precedenza.»

«Ah» esclamai, colpita dalla sua premura e seccata all'idea di dovermi fare visitare. «Immagino che non ci vogliano ancora morti» blaterai sottovoce.

«Non ancora» rispose lui con un sorriso sornione. «Lo spiego io a William dove sei, tranquilla.» Mi fece un saluto militaresco e mi lasciò tra le braccia apprensive di Asia.

Passai il pomeriggio tra bilance, aghi e misuratori di pressione. La dottoressa mi fece diverse domande, la maggior parte riferite alle mestruazioni mensili e possibili anomalie dovute alle scosse notturne. Fortunatamente non avevo avuto di questi problemi da che la routine notturna era cominciata, era stata molto regolare nell'usufruire dei servizi offerti dalla base e ad eccezione dei dolori comuni e spossatezza plausibile potevo dirmi a posto. Non potevo dire altrettanto del mio corpo. L'osservazione di Oscar era esatta, avevo perso molto peso da quando mi ero sottoposta agli allenamenti e le prove non mi avevano aiutata a mantenermi com'ero. Quell'adorabile curva sui miei fianchi era scomparsa, lasciando spazio al solco del bacino; il mento era più affilato e lungo le braccia potevo notare le linee dei muscoli ben definiti. I vestiti che indossavo erano ormai di qualche taglia più grandi, i capelli sempre raccolti e le occhiaie di cui tanto mi vantavo era ormai dei segni indelebili portati dalla stanchezza. Dormivo lo stretto necessario e non erano mai notti tranquille, mi svegliavo troppo presto senza mai riuscire a recuperare il sonno, mi allenavo e mangiavo pessimo cibo. In realtà, specialmente in quegli ultimi giorni, non avevo mangiato poi molto. Non ricordavo neppure l'ultima volta che mi ero rimpinzata fino a stare bene...

La dottoressa lasciò delle direttive alla mia Assistente: doveva farmi mangiare di più, dormire di più e lasciare che mi allenassi per non più di due ore al giorno, esercizi leggeri. Quel che bastava perché non perdessi l'allenamento e non mi piegassi in due per i crampi da risposo.

Nonostante non avessi nulla di così grave da richiedere un internamento, la dottoressa mi assegnò una brandina e mi chiese di restare per tutto il pomeriggio. Asia la prese troppo seriamente, mi fece sdraiare e ne approfittò per farmi studiare altre barbose cose sulla storia dell'Isola. Immagino fosse solo un espediente per assicurarsi che non mi allenassi più per quel giorno. La sua compagnia almeno mi impedì di fissare costantemente il paziente a due letti di distanza da me. La paziente, ad essere precisi. Adele Lebelons, la bionda isterica, la stessa che sembrava intenzionata a scatenare un putiferio solo per colpa della Grande Alleanza, stava tutta rannicchiata sul suo lettino con aria fragile e innocente. Aveva una flebo al braccio che l'infermiere si curò di cambiare ogni ora. Qualunque cosa avesse, stava facendo di tutto pur di non incrociare il mio sguardo.

Ma non era la sola a voler passare il più inosservato possibile. Sul fondo della stanza Esral, uno tra i concorrenti peggiori rimasti in gara, sedeva dando a tutti le spalle. Da quel che riuscii a intravedere aveva una fasciatura tutta intorno alla mano. E ancora, nascosta da una tendina, una ragazza era lì in cura. Tutto ciò che vidi fu una mano ossuta e temprata che sbucava dal camice bianchiccio mentre un'infermiera passava per i controlli. Un ragazzo dormiva beato sulla sua postazione, mentre una ragazza veniva coccolata con una tazza di tè e dei biscotti dal medico. Offrirono una buona fetta di torta alla frutta anche a me. Stare in infermeria conveniva solo per il buon cibo.

All'ora di cena vennero a trovarmi William e Nora. Ahimè, l'aspirante medico era troppo chiassoso per starsene in un posto come quello. La sua Assistente dovette trascinarlo via per la vergogna di vederlo ripreso dagli infermieri. Quando Asia decise che non avrei più avuto tempo per potermi allenare – non che ne avessi alcuna intenzione – decise che potevamo anche ritirarci nelle nostre stanze. Quel giorno, di quelli che vi trovai dentro, fui l'unica ad uscire.

I giorni a venire furono molto più... liberi. Avevo tanto, troppo tempo per pensare a cose che erano già successe o che dovevano ancora succedere. L'assenza della voce mi faceva temere l'avvicinarsi della prova. Ogni sera crollare per le scosse era come buttarsi a capofitto nel vuoto e sperare che a svegliarmi il giorno dopo sul fondo oscuro di quel burrone non fosse proprio la mia Assistente. Recuperai un po' di quel peso perso, un po' di quel sonno mai avuto e mi risparmiai tantissima fatica agli allenamenti, ma nulla di tutto ciò mi rasserenava.

I controlli per i candidati finirono all'inizio della penultima settimana del mese, quella che tutti sapevamo ci avrebbe messo presto faccia a faccia con la Quinta Prova. D'improvviso il tempo sembrava scorrere troppo velocemente e non sapere quando e cosa avremmo affrontata ci rese nervosi e ingestibili.

Poi, una notte, arrivarono i primi avvertimenti: le scosse divennero più intense, più dolorose e più tramortenti. Non subito, ma con un crescendo giornaliero che rese vano il mio periodo di recupero. Erano fastidi e dolori inaccettabili ma sopportabili, finché una notte qualcuno che controllava le scariche del trasmettitore non decise di aggredirmi.

Cominciò come suo solito, con ronzii altalenanti e formicolii sempre più intensi che intorpidivano i muscoli e mi rendevano inerme. Dopo tutto quel tempo potevo dire di averci fatto l'abitudine e mi facevo trovare sempre a letto pronta alla tortura, eppure a quel dolore non avrei mai potuto abituarmi.

La prima scossa mi mozzò il respiro, lacrime uscirono spontanee dagli occhi mentre il collo e si piegava nella speranza di attutire l'impatto.

La seconda mi fece rannicchiare tra le lenzuola, brividi lungo tutto il corpo e un freddo che si insinuava tra le ossa come fossero lame.

La terza, l'ultima per quella notte, riportò il calore al mio corpo e lo fece bruciare di energia. Un dolore rigenerante e sfiancante, qualcosa di mai provato prima.

E infine arrivò lui. La voce sussurrante, non più nell'oscurità, ma in un mondo sfocato che vedevo sbiadire lentamente. Stavo ancora chiudendo le palpebre al vuoto quando la sentii pronunciare queste esatte parole:

«Scegli l'utile, anche se ti è nemico. Tienilo vicino, anche se può ferirti.»

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