Capitolo XXIV (R)
Sotto le note assordanti dell'allarme, le porte metalliche iniziarono a muoversi. Con un rumore a stantuffo la cabina in cui mi trovavo si aprì, lasciando che vedessi l'ambientazione ideata per la Quarta Prova.
Un immenso percorso d'imponenti pareti metalliche si ergeva davanti ai miei occhi increduli. I primi bersagli erano visibili anche dalla postazione di partenza, incastrati tra le pareti dedaliche che si inabissavano sul fondo della sala. Portai lo sguardo verso la postazione degli Osservatori, non trovando altro che un semplice muro. La finestra dalla quale ci stavano sbirciando prima che la tuta si attivasse, non era più lì. Al suo posto c'era solo una densa colata di cemento, come se qualcuno l'avesse murata mentre non potevamo guardare.
Doveva essere parte della prova. La comparsa improvvisa di quel percorso dipendeva senza dubbio dalla strana reazione avuta dopo l'inizio. Le scosse erano state diverse dalle solite, non provenivano dal trasmettitore ma dai rigonfiamenti della tuta. Una tuta che con tutto quel calore sprigionato sembrava essersi fusa alla mia pelle.
Smisi per un attimo di fami domande e iniziai a muovermi verso i primi bersagli. Fin dal primo passo capii che c'era qualcosa di diverso nel mio corpo: mi sentivo molto più pesante. Anche l'arma aveva duplicato il suo peso, diventando una zavorra grossa quanto le mie braccia. La tuta non si era incollata semplicemente addosso, ma mi stava anche comprimendo verso il suolo come una camicia di piombo. Raggiunsi il primo robovettore fisso, segnalato con uno strano alone verde lampeggiante, compiendo ampie falcate. In quelle condizioni non potevo sperare di correre, se ne avessi avuto bisogno.
Mi misi stentatamente in posizione e sparai il primo colpo, aggiungendo subito dieci punti al contatore impiantato sul polso. La mira automatica compensava la fatica dei movimenti, che non mi stavano facilitando affatto il lavoro. Colpire i bersagli mobili, qualche metro più avanti, non fu più un problema per me. Anche compiendo quegli irritanti movimenti meccanici zigzaganti, con il fucile bastava avere una presa salda perché il mirino catturasse automaticamente la preda al mio posto. Tutta un'altra storia rispetto alla Queenser. Ci penavano già gli organizzatori a complicarmi la vita, con la strana tuta, la gravità alterata e l'apparizione quasi magica di quelle inquietanti pareti.
Per muovermi all'interno del percorso bastava un lungo respiro, grosse falcate trascinate e qualche semplice colpo. Una sequenza che dovevo ripetere per tutto il tempo. A causa di ciò, ci misi un po' prima di ripulire il corridoio iniziale senza incontrare altri candidati. Una fortuna che sapevo non poteva durare in eterno. In uno scontro il mio fucile avrebbe avuto la meglio contro una Queenser, ma nei movimenti loro erano certamente più liberi di me. Ero stata così felice dopo aver ricevuto il fucile, da essermi dimenticata che l'Elezione, oltre a dare un vantaggio a chi ne aveva bisogno, sapeva anche come toglierlo se troppo. La nostra mira era troppo perfetta, appesantendoci e rallentandoci chi aveva una Queenser riequilibrava i difetti dell'arma. Nelle altre prove non erano stati così minuziosi e questo, probabilmente, dipendeva dall'avvicinarsi dell'ultima prova obbligatoria.
Colpii tutti i bersagli che trovavo lungo il cammino, ricoperti dell'inconfondibile alone verdastro. Il gioco divenne più difficile quando quelli mobili iniziarono ad attivarsi al mio solo passaggio, ronzandomi attorno come degli insetti. Alcuni di loro avevano un colore diverso, giallastro, e per colpirli dovevo mettermi in ginocchio, puntare e solo dopo colpire. Mi aiutava a controllare il contraccolpo ed evitare colpi a vuoto, anche se rialzarsi era stancante. Tutta la fatica venne ripagata quando scoprii che avevano un valore più alto rispetto a quelli verdi. Potevo guadagnare il doppio dei punti con un colpo.
Dal terzo corridoio a seguire, si aggiunsero anche dei bersagli bluastri. Durante la Terza Prova il blu era stato un colore salvifico, ma non lo fu altrettanto per quella prova. Dopo averne colpiti un paio ravvicinati, scoprii a malincuore che il mio punteggio non era affatto salito, anzi, mi vennero scalati dei punti. Dei 300 guadagnati ripulendo i primi corridoio, me ne vennero scalati trenta per ciascun colpo inferto ai blu. Non potevo considerarlo neppure un male, rispetto a tutto ciò che avevo patito durante le prove precedenti.
Continuai a mantenermi sulla sinistra, per evitare di andare incontro con Opal, che era stata piazzata nella postazione affianco alla mia. Come per la scalata, trabocchetti non mancarono: i bersagli alonati di viola riflettevano il colpo inferto come uno scudo a specchio. Dovetti rotolare con tutta la forza che avevo in corpo per evitare di venir colpita dalla mia stessa arma. Non sapevo cosa poteva succedere una volta colpito qualcuno – durante gli allenamenti la zona semplicemente si addormentava – e con gli altri candidati in giro per la sala non avrei tardato a scoprirlo.
Quando comparvero dei bersagli arancioni, persi completamente la voglia di provare a colpirli. Mi limitai a prendere di mira i verdi e i galli, accumulando pochi punti ma buoni.
I robovettori aumentavano all'avanzare nei corridoio, posizionati sempre più distanti per accrescere la difficoltà. Ma i bersagli non erano l'unica cosa nascosta tra quelle pareti: blocchi di cemento erano disseminati ovunque. Dei ripari, nascondigli, scudi, le loro utilità erano infinite se alle calcagna avevi un gruppo di concorrenti armati e pronti a tutto.
Mi rannicchiai dietro uno di questi per prendere la mira su due robovettori galleggianti. Preparai un doppio colpo, ma solo uno andò a buon fine. Entrambi i robovettori si disattivarono, ma uno non per mia mano. Dal fondo del corridoio vidi sbucare la bocca di un fucile e abbassai istintivamente. Allungai il collo per scrutarlo da dietro il mio nascondiglio, la tuta sprigionava un alone rosso.
Il rosso era il colore del divieto, ma le regole della società valevano poco nell'Elezione, quasi niente nelle prove. Prima della prova ci avevano detto di colpire tutti i bersagli colorati, e il rosso restava pur sempre un colore. La mia teoria dei bersagli umani iniziava a concretizzarsi, e la situazione stava rapidamente evolvendo in uno di quegl'incubi incontrollabili che solo l'Elezione poteva scatenare. Da cavie eravamo diventati dei bersagli.
Mantenni la posizione e ne seguii i movimenti con l'arma pronta a sparare.
«Avanti...» sussurrai quando si avvicinò all'imbocco di un altro corridoio «Allontanati».
Non volevo colpire nessuno. Al solo pensiero le mani iniziavano a tremare, e non si trattava di un tremore naturale come durante gli allenamenti.
Quando svoltò finalmente l'angolo, svanendo oltre i blocchi, tirai un sospiro di sollievo. Ricominciai a camminare con più cautela, preoccupandomi non più dei bersagli ma di chi potevo incontrare. Se potevo vedere i candidati segnati in rosso, allora loro potevano fare lo stesso con me. Ero un lampeggiante dal valore sconosciuto.
Un rumore lontano iniziava a distinguersi. Spari, passi, anche delle voci. Cercai di ricordarmi la disposizione dei candidati. Sulla destra c'era Opal, dall'altra parte uno del Quarto Gruppo. Lui lo avevo superato, ma all'interno di quel labirinto le posizioni si stavano mescolando velocemente. Da un momento all'altro avrei visto sbucare Maximilian, che ricordavo essere stato messo nella mia stessa posizione, solo nel versante opposto della sala.
Scagliai un'altra occhiata dove prima c'era la finestra con gli Osservatori. Intravedevo appena la parete per via delle alte lastre che tracciavano il percorso. Ero certa che fossero ancora tutti lì, accalcati per spiare le nostre mosse come fosse un gioco. Anche se in qualche modo erano riusciti a mascherarlo, quel punto di vedetta era al suo posto.
Strinsi la presa intorno al fucile e al grilletto. Era molto più rassicurante averlo tra le mani una volta scattatala la sirena d'inizio, rispetto agli allenamenti. Forse perché era diventata una certezza per la mia sopravvivenza, mentre prima mi aggrappavo ancora alla speranza che la prova fosse diversa.
È un bene, pensai d'un tratto sollevata, che William non si trovi nel mio gruppo.
E anche Shawn. Non ero certa di riuscire a sparargli. Puntagli l'arma addosso, insultarlo, schiaffeggiarlo, quelle cose potevo farle. Ma colpirlo, colpirli tutti... Non era nelle mie capacità. Mi ero già sporcata le mani durante la Seconda Prova, non lo avrei rifatto di nuovo.
Uno sparo più vicino e mi voltai di soprassalto. Il corridoio in cui mi trovavo era libero, ma non ancora per molto. Sfilai davanti una coppie di robovettori e l'idea di colpirli non mi sfiorò minimamente. Volevo solamente trovarmi un buon nascondiglio e restarci finché la prova non fosse finita. Poi mi venne un'idea: se non avessi disattivato i robovettori qualcuno sarebbe sicuramente passato di lì per racimolare punti, trovandomi. Per tenerli alla larga decisi di colpii tutti i bersagli, anche quelli che sottraevano o riflettevano punti, rendendo il corridoio inutile per tutti i concorrenti in arrivo. Feci altrettanto con quello successivo, poi mi nascosi dietro una coppia di blocchi all'angolo tra i due. In quel modo potevo tenere d'occhio entrambe le direzioni e avere sotto tiro chiunque provasse ad avvicinarsi.
Pochi minuti di attesa divennero una vita; il cuore pulsante in gola, l'arma carica pronta a mietere vittime, la stanchezza che mi prosciugava inesorabilmente le energie. Sperai con tutta me stessa che nessuno si avvicinasse, e che nessun Responsabile s'intromettesse come nella Terza Prova, quando mi spinsero ad accelerare. La Quarta Prova non aveva limite di tempo, e questo era vera sfortuna. Potevo restare lì minuti, oppure ore. Alla fine sarei stata costretta a confrontarmi con qualcuno e a soffrire sotto il colpo di una di quelle armi.
Ma fino ad allora, sarei rimasta nascosta.
Quando i colpi aumentarono e le voci si distinsero dietro alla parete in cui mi ero nascosta, realizzai qualcosa di ben peggiore delle armi e del percorso improvvisamente apparso: si erano formate delle alleanze. Le persone che sentivo erano un gruppo, e non si stavano sparando a vicenda. Non riconoscendone le voci, immaginai si trattasse di una piccola coalizione del Quarto Gruppo.
Con orrore, ricordai a me stessa che il Quarto Gruppo era in vantaggio numerico rispetto a noi altri sparsi nelle classifiche.
Un altro colpo, sparato proprio dietro al mio nascondiglio. «Colpito!» esultò uno di loro. Sporgendomi potevo vedere sbucare le gambe del concorrente oltre i blocchi. «Altri 500 punti! Sì! Troviamoli tutti!»
Trattenni un verso di disgusto. Un concorrente in quella prova valeva 500 punti. Da cavie eravamo diventati bersagli, poi dei numeri da collezione per vincere.
Il ragazzo a terra si mosse, in preda alle convulsioni. Trattenni il fiato quando spararono un secondo colpo, poi un altro, finché non si mosse più.
«1500 punti!» gracchiò ancora.
Uno di loro si sporse per setacciare il corridoio. La mia strategia funzionò, vedendo i robovettori disattivati decisero di passare da un'altra parte per dare la caccia ad altri concorrenti. Inizialmente pensai di restare nascosta e sperare che nessuno passasse mai di lì, ma l'idea di potermela cavare con tanta semplicità era così sciocca da dover essere demolita.
Uno del gruppo tornò improvvisamente indietro, iniziando a colpire tutti i blocchi del corridoio. Con mia orrida sorpresa, dopo una raffica di spari questo si sgretolò in tanti frammenti e scomparve, risucchiato dal pavimento.
Senza più la certezza di un riparo, scappai prima di venir scovata. Svoltai l'angolo in tutta fretta, ansimando per lo sforzo alla quale mi stavo sottoponendo. Neppure una vita di allenamenti con Osborne potevano bastare per abituare qualcuno ad una vita in quella tuta.
Scappai da quel concorrente, dimenticando che oltre la svolta successiva c'era il resto del suo gruppo ad aspettarmi. Sentii il primo colpo partire e, poco dopo, vidi il lampo investirmi. Ruzzolai subito a terra, strisciando verso il blocco difensivo. Il braccio sinistro era stato colpito e il dolore mi riempì gli occhi di lacrime. L'arto ricadeva inerme lungo il corpo, quasi non mi appartenesse, era in preda a tremori convulsivi che mi iniettavano lo stesso dolore paralizzante provocato dalle frane nella Terza Prova.
Il gruppo prese a sparare al blocco, tentando di distruggerlo. Avevo i minuti contati, poi anche il resto del corpo avrebbe seguito il braccio. Restando acquattata, provai a strisciare rapidamente tra i blocchi, con il risultato di venir colpita di striscio anche ad una gamba. No si addormentò, ma il dolore smosse tutti i nervi fasciati dalla tuta.
I concorrenti sparavano ad ogni blocco in vista, demolendoli lentamente uno ad uno. Ero circondata, ferita e stanca. Da una parte c'era un gruppo di concorrenti senza scrupoli, dall'altra un solo candidato armato ad attendermi. Non riuscivo ad arrendermi all'idea di venir colpita fino a diventare un sacco di carne paralizzato, decisi che affrontarne uno era meglio di cinque. Riuscii a retrocedere fino a vedere il membro del gruppo rimasto solo. Stava far scomparire l'ultimo blocco, così decisi di sorprenderlo.
Balzai in avanti con le poche energie che mi restavano, mi avvicinai tenendolo sotto tiro. Nel vedermi, fece un piccolo balzo. «Fammi passare e non ti sparerò» dissi.
Dai capelli ramati potei ricordarmi il suo nome: Hakob Geghard. Era uno dei pochi nomi che ero stata in grado di ricordare fin dalla prima prova, solo grazie al rosso ramato dei suoi capelli. Era diverso da quello di Shawn, che invece era una tonalità naturale e rarissima dallo scoppio della Grande Guerra.
Hakob non si fece abbindolare, tenne il fucile saldamente tra le mani, la bocca metallica rivolta al pavimento, aspettando solo il momento giusto per potermi attaccare. Non avevo tempo per occuparmi di lui, il resto del gruppo si stava avvicinando. Ruotai verso la parte sicura, e orma vuota, del corridoio, minacciandolo con il fucile sostenuto dalla mia sola forza di volontà. Lo avevo incastrato sotto il braccio buono, sperando di poterlo sostenere abbastanza a lungo da poter scappare.
Quando raggiunsi la posizione che desideravo iniziai ad indietreggiare. Hakob mosse il fucile e io ripresi ad avvertirlo. «Fallo e ti sparo!».
Ma non lo avrei fatto, questo era poco ma sicuro. A mala pena riuscivo a sostenere il fucile, qualunque colpo avessi sferrato non poteva andare a segno neppure con la mira perfetta del P0K-C2. Ciò che riuscii a fare bene fu mentire per poter voltare l'angolo prima di venir investita dai suoi colpi. Perché, a differenza mia, lui non si fece problemi a spararmi, o a inseguirmi.
Presto oltre Hakob anche il resto del gruppo mi stette alle calcagna. I punti che potevo procurargli erano troppi perché lasciassero stare. Mi addentrai alla cieca nel cuore della struttura, cercando di seminarli tra i corridoi e i blocchi distruttibili. Riuscii ad allontanarmi abbastanza per scovarmi un nascondiglio provvisorio tra dei blocchi ancora integri.
I corridoi che avevo superato, svoltando quasi sempre nella direzione opposta da cui ero partita, non erano ancora stati toccati. Gli altri concorrenti non ci erano ancora arrivati e questo significava solo che, presto, ne sarebbero arrivati altri. Nella peggiore delle ipotesi, quella che di solito si presentava come la più veritiera, tutti i membri del Quarto Gruppo che si trovavano lì, in quel momento, si erano accordati per togliere ogni chance di vincita alle classifiche più in alto. Avrei scommesso il mio fucile che il gruppo del giorno prima aveva avuto il nostro stesso problema. Dalla loro dichiarazione di guerra, era il primo vero tentativo di metterci fuori gioco.
Non mi importava perdere la prova e venir rimandata a casa, mi disturbava essere braccata in un labirinto di lastre metalliche, mentre gli Osservatori ci spiavano da una postazione murata, con una strana tuta cucita addosso e delle armi che sparavano raggi paralizzanti ed estremamente dolorosi. No, non mi importava di perdere, ma volevo farlo provando meno dolore possibile. E a giudicare dal mio braccio, ancora fuori uso, non ci stavo riuscendo.
Ripresi fiato per qualche istante prima di ricominciare a muovermi, incastrata tra due blocchi quadrati. Avevo perso di vista il gruppo e loro sembravano aver fatto altrettanto con me, ma questo non rendeva la situazione meno pericolosa. Attorcigliai con grande sforzo la fascia del fucile intorno alla spalla, comprimendo il manico sotto l'incavatura dell'ascella. Così facendo riuscii a tenerlo fermo, anche se il braccio che lo sosteneva era provato dal peso eccessivo dell'arma. Anche il resto del corpo lo era, al punto che respirare diventò quasi doloroso. Di qualsiasi cosa fosse fatta quella tuta, e in qualunque modo funzionasse, era diventato il più grande ostacolo nella prova. Peggiore persino dei concorrenti armati.
Prima di venir nuovamente colta alla sprovvista, ripresi a camminare. Il braccio colpito era come un pendaglio sfuso, ciondolava a ogni falcata e tribolava insieme ai muscoli delle gambe che si sforzavano di sorreggere il resto del corpo. Ero ricoperta di sudore, sentivo le gocce scivolare dalla fronte e scorrere solleticando fino al collo. Erano fastidiose, ma non avevo più arti in grado di occuparsene.
Sparai a tutti i robovettori gialli e verdi che incontrai lungo il cammino. Non per i punti, ma per allenarmi a difendermi in quelle condizioni così patetiche. L'automaticità dell'arma era punto a mio favore e dopo aver imparato a domare il tremore dovuto alla fatica e allo stress, potevo dirmi nuovamente in gioco. Senza volere avevo accresciuto anche il mio punteggio, salvandomi, forse, da quell'astioso Quarto Gruppo.
Loro, più di chiunque altro nell'Elezione, non avevano dimenticato il giorno in cui erano diventati delle cavie. A distanza di mesi, pur abbandonando l'ultima classifica, erano riusciti ad avere la vendetta che tanto desideravano, tramutandoci tutti in bersagli dal valore più alto in gioco. Ed era solo merito dell'Elezione, che gli aveva offerto la possibilità su di un vassoio d'argento.
Una coincidenza che Shawn avrebbe definito una "pianificazione perfetta".
Potevo immaginare la sua espressione seccata nello scoprire il tiro mancino inferto dall'ultima classifica, come quella sconvolta di William. Con la loro pazienza erano riusciti quasi a raggirarci tutti, lasciando che passassero in secondo piano. La tranquillità mostrata da Brunuas, Iruwa ed Esral doveva essere sufficientemente allarmante da rafforzare le nostre alleanze, invece ci aveva portati quasi a scioglierle. Dire che avevamo fatto tutti il loro gioco era un eufemismo. Nel primo gruppo dovevano essere tutti furiosi.
Con un ultimo colpo svuotai il corridoio in cui mi trovavo dai suoi bersagli. Volevo risparmiare le energie per la corsa, quando i prossimi concorrenti mi avrebbero dato la caccia, così feci diverse pause tra i blocchi quadrangolari. Al tatto erano solidi, come pietre levigate, ma dopo una pioggia di colpi si sfaldavano al suolo. Erano la copia meno letale dei massi utilizzati per le frane nella Terza Prova. Distruggendoli guadagnavamo un supplemento di circa 10 punti, variabili a seconda della dimensione. E ce ne volevano parecchi, di colpi.
La pacchia finì quando degli spari partirono in lontananza, smorzati dalle grida di dolore di un altro concorrente. Pochi istanti dopo, vidi qualcuno sfrecciare. Mi rimisi subito in posizione, muovendomi il più velocemente possibile nella direzione opposta.
Feci soli due passi con la schiena voltata all'imbocco del corridoio, e subito il rumore inconfondibile dei componenti metallici della Queenser mi fecero sobbalzare. Un membro dei Qualificati mi puntava l'arma contro, il luccichio nel suo sguardo diceva che mi avrebbe sparato. Anche io avevo l'arma rivolta verso di lui, la precisione del mio fucile era l'unica cosa che gli impediva di premere il grilletto seduta stante. Se la sua arma si fosse inceppata, il mio colpo lo avrebbe scagliato a terra. Niente, in quel momento, mi impediva di colpirlo e scappare, eppure, ancora una volta, non volevo farlo. Quando pensavo che sparare fosse facile e necessario, ripensavo a Lusyelle e Jefferson, alla Seconda Prova, e mi ricordavo di com'era stato seguire gli ordini dettati dai Responsabili.
Non ero più disposta a sopportarlo, a vedere le stesse facce tutti i giorni per un ultimo mese. I volti di chi avevo sfidato e sconfitto scavalcando le leggi di vita su cui avevo basato la mia esistenza, tutto per poterle preservare una volta arrivata alla carica.
Qualcuno doveva avermi letto nel pensiero, perché un colpo alle spalle del ragazzo lo fece cadere a terra privo di sensi. Oltre il suo corpo tremante, un cespuglio di ricci umidi si stava avvicinando.
«Andiamo» disse Maximilian, ansimando.
Inizialmente mi chiesi perché non mi avesse sparato, poi vidi una coppia di candidati svoltare l'angolo e capii. Contro il Quarto Gruppo bisognava ricostruire la vecchia alleanza.
Prendemmo a correre lungo i corridoi, schivando i blocchi integri. Insieme. «Da questa parte, ci sono Josef e Opal» mi avvertì.
Lo seguii senza fare domande. Con un gruppo di ragazzi armati a inseguirmi, decisi di riporre in quel groviglio di ricci un po' di fiducia e trovare il mio William Born interiore.
Due corridoio più avanti recuperammo Josef e Opal. L'impressione avuta la sera prima si rivelò giusta, Opal era brava con la Queenser. Non sapevo il suo punteggio di allenamento, ma bastò a mettere al tappeto uno degli inseguitori. Gli altri due continuarono a seguirci, mentre ci addentravamo sempre di più tra i corridoi.
«Cosa... succede» ansimai a Josef, mentre Maximilian e Opal ci coprivano.
«Ci hanno teso un'imboscata, poco dopo l'inizio» spiegò. Si voltò per sparare un colpo, poi ricaricò. «Anche Tenia e Clovis, e sono dei Qualificati».
Un lampo squarciò lo spazio tra me e Josef, sfiorandomi il braccio buono e costringendomi a buttarmi dietro a blocco. Il colpo era partito da davanti, dove un trio di candidati si era piazzato a mo' di barricata. Come topi in trappola ci nascondemmo tutti dietro quei pochi blocchi difensivi, in attesa di vederli sgretolarsi sotto i colpi dei nostri avversari.
«EHVENA» gridò Opal d'improvviso. «Sei tu quella con il fucile! Usalo!»
Lei e Maximilian erano rimasti indietro, anche loro nascosti. Continuavano a sparare con le loro Queenser, ricevendo contraccolpi dai loro P0K-C2. Quelli davanti, pronti a friggere me e Josef, avevano delle semplici Queenser.
«SPARA DANNAZIONE» urlò Opal.
In quel momento respiravo a malapena, la morsa della tuta si stava stringendo e il braccio che sosteneva il fucile si contraeva sotto l'effetto del colpo. Josef mi lanciò un'occhiata impietosita dal suo nascondiglio. Dovevo avere davvero un brutto aspetto per spingerlo a guardarmi in quel modo.
«È fuori uso!» le rispose lui per me.
E lo ero davvero. I concorrenti avanzavano velocemente, i blocchi si disfacevano e qualche colpo arrivò troppo vicino. Ripetuto da un robovettore a specchio, Josef venne preso in pieno. Dopo fu il turno di Maximilian, e anche io venni colpita a una gamba. Rintontita dal dolore, potei solo ascoltare i colpi decisivi che conclusero la prova di Opal.
Per qualche istante venni inghiottita nella morsa silenziosa della notte, quelle ormai prive della voce. Un rumore raccapricciante, come di denti che digrignavano, seguito dal click-click di un grilletto. Sapevo cosa stava per accadere, e l'essere così intontita aiutò ad attenuare il dolore scaturito da quei colpi che qualcuno sparò senza la minima esitazione.
La Quarta Prova era finita nel buio, senza gloria e in un mare di dolore. Ma almeno una cosa andava ricordata: di tutti quelli che mi avevano seguita, nessuno era caduto per mano della mia arma.
E speravo che tutti gli Osservatori lo avessero notato.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top