Capitolo XIX (R)
Quattro notti dopo, la voce tornò alla sua cantilena abituale. Arrivai a credere di essermi inventata quella frase senza senso: "Il blu è una buona scelta". Non c'era nulla nella base di quel colore, era tutto grigio, bianco o nero, una scatola di metallo monocolore.
Le giornate proseguirono a passo di scalate, alcune piacevoli altre molto meno. Dopo gradevoli ore in compagnia di Oscar e William – occasionalmente qualche alleato del nostro gruppo – era difficile sopravvivere alla compagnia di tutti i Positivi e le urla di Osborne. L'allenatore era schiacciato dalla pressione degli organizzatori, riusciva solo a sgridarci e urlare più del solito. Secondo lui se avessi affrontato la prova avremmo tutti fallito, aggiungendo con il suo pensiero pessimistico altra brace al fuoco che già ci divorava. Era l'ultima settimana del mese, per precisare mancavano solo tre giorni alla sua fine, e della Terza Prova non c'erano ancora tracce. Sapevamo tutti che potevano decidere di farcela svolgere anche l'ultimissimo giorno, senza l'obbligo di avvertirci, ma la situazione iniziava ad essere insostenibile. Sapevamo anche che, oltre quei giorni, l'attesa non poteva protrarsi: una delle leggi dell'Elezione imponeva una prova per ogni mese.
Ricordarlo non bastava ad alleviare le nostre pene.
Il terzultimo giorno era cominciato molto male. Per la fretta di scendere dalla parete durante l'allenamento singolo con Oscar, ero scivolata durante il balzo e le cinghie di sicurezza si erano incastrate. Ero rimasta appesa a testa in giù finché non era riuscito a sbloccarle. Ero sopravvissuta all'ennesima figuraccia davanti al soldato Bauwens, ma per compensare mi era tornata la paura della discesa. Ora che conoscevo la sensazione di chi viene appeso a testa in giù, non volevo assolutamente ripeterla. Conoscendo la brutalità delle prove, si sarebbe avverata la mia ipotesi sul chi-butta-giù-più-candidati e con le mie scarse abilità sarei rimasta appesa in quel modo fino al termine della prova, con il sangue che scivolava verso il cervello provando ad uccidermi. Di nuovo. Sempre ammesso che ci avrebbero lasciato le cinghie e non volessero farci volare direttamente sul pavimento.
Quando Alexa, durante gli allenamenti pomeridiani, iniziò a farmi pressioni perché salissi per prima, la calma che mi ero imposta da quando le coppie erano state formate iniziò a vacillare.
«Io non vi metto mai fretta» le avevo risposto con una buona dose di acidume. «Sei libera di andare prima di me se hai tanta fretta di allenarti».
Alexa, quel giorno, era dell'umore perfetto per una discussione. «Ma guarda, la ragazza ha del carattere! Credevo sapessi solo farti picchiare».
«Cosa?» esclamai, lasciando cadere le cinghie. Alexa aveva fatto un passo avanti, pronta a portare la discussione su di un altro livello, qualcuno la intercettò prima e si frappose. Non Oscar, non l'allenatore Osborne, ma proprio quella statua di sale di Esral Rivas.
«Smettila» l'ammonì. Per uno che non aveva detto una parola a nessuna delle due per un mese, si era intromesso con troppa leggerezza. In mia difesa, poi...
«Ma allora parli?!» stridette Alexa.
«Come tutti» rispose lui, senza il minimo accenno ad un cambiamento umorale. Iniziavo a sospettare che non avesse emozioni di alcun genere, o che la faccia gli fosse rimasta paralizzata in quel modo.
Lei emise una specie di verso strozzato, a metà tra l'insoddisfazione e la rabbia. «Non apri bocca per tutto il tempo e decidi di farlo ora per questa... qui» terminò squadrandomi da capo a piedi. Non so cos'avesse quel giorno ma sembrava avercela proprio con me.
Esral le si avvicinò con fare ostile, l'espressione noncurante in netto contrasto con ciò che chiunque avrebbe visto: un concorrente che ne minacciava un altro. «Parlo quando voglio e quando è necessario. Tu invece dovresti imparare a farlo di meno». Si chinò per raccogliere le cinghie di cui mi ero sbarazzata, prima di allacciarsele mi chiese se volessi ancora andare. Scossi il capo e lui si preparò alla scalata. Esral aveva finito, ma Alexa non era ancora soddisfatta di come quella conversazione era terminata.
«Ehi! Nessuno può dirmi cosa posso o non possa dire!» esclamò, afferrandolo per una spalla. Esral la scrollò con un movimento rapido, senza dargli neppure il tempo di farsi toccare. I due si erano appena sfiorati, ma tanto era bastato perché le labbra del ragazzo assumessero un'innaturale curva all'ingiù. In maniera minimale aveva espresso tutto il suo disappunto. «Non l'ho fatto, il mio era un consiglio. Ora invece ti dirò quello che non mi piace sentire e vedere, e se sarai abbastanza intelligente questo consiglio invece lo seguirai: insinuazioni meschine come quella mi disturbano, le persone come te m'infastidiscono e, soprattutto, quello che hai fatto per arrivare al primo posto mi fa arrabbiare. E credimi, non mi vuoi vedermi arrabbiato».
In un primo momento Alexa rimase ammutolita, come me era bastita dall'eccessivo parlare di Esral, poi però, rielaborando ciò che aveva detto, scoppio in una grossa risata isterica. Cercò di salvarsi la faccia propinandogli qualche avvertimento, ma si vedeva che la minaccia l'aveva scossa. Oscar se n'era rimasto buono fino a quel momento, le braccia incrociate al petto e l'attenzione rivolta ad Esral. Lui credeva che non fosse una minaccia per noi, per il momento sembrava essere così ma solo perché tra me e Alexa detestava più lei e il suo primo posto. Parlando si era tradito, lasciando che capissi qualcosina di lui: oltre ad odiare i primi in classifica per quello che avevano fatto, non gradiva le battute sceme sulla parte oscura dell'Elezione. Quelle che, praticamente, erano all'ordine del giorno tra i candidati.
Esral nascondeva della moralità sotto quell'inespressione, forse voluta, che però si consumava nella sua intenzione di vendicarsi in qualunque modo.
Prima che Alexa dicesse qualcos'altro di irreparabile, Oscar mandò Esral sulla parete e si piazzò tra di noi come un muro umano. Dopo quell'episodio tornammo tutti a contemplare il silenzio, fino alla fine degli allenamenti. Riunita con William alla mensa, spiegai quanto accaduto per filo e per segno. Stranamente Maximilian e Josef erano dei nostri, super interessati all'argomento. Gli altri erano sparsi per mensa a chiacchierare con i nemici.
«Quindi ti ha difesa, così, all'improvviso?» indagò Josef.
«Non mi ha proprio difesa, ha solo colto l'occasione per spaventare la prima in classifica» spiegai.
«È la prima mossa che fanno da quando gli allenamenti con il nuovo gruppo sono cominciati. La prova si sta avvicinando e questo potrebbe essere un segnale, forse stanno per fare la loro mossa. Se la prova non è domani sarà il giorno dopo, abbiamo finito il tempo e vogliono iniziare a spaventarci» ipotizzava William, sezionando le polpettine al sugo nel suo vassoio.
«Iniziano i guai...» brontolò Maximilian, chiaramente stufo quanto me di tutti quei complotti.
«Non fatevi impressionare, qualunque cosa dicano» suggerì il biondino. «Ehvena, tu fai attenzione a entrambi. Anche quel Pel-Di-Carota potrebbe avere in mente la stessa strategia e aver chiesto ai suoi seguaci di metterla in atto. Io tra lui e Brunuas sto diventando matto!» William perse pe un attimo la calma, infilzando una polpetta come a voler uccidere uno dei due. Chissà quale volto aveva visto in quel pezzo di carne unto... «Se hanno deciso di farci fare la prova l'ultimo giorno avranno ancora domani a disposizione per mettere in pratica la loro tattica, ci vuole molto poco per mettere in crisi qualcuno e noi siamo tutti già abbastanza agitati per via della prova».
Agitati era un eufemismo. La nostra era un'ossessione, per i gruppi, i complotti e le scalate. L'Elezione ci stava facendo perdere la ragione un poco alla volta, non dovevo meravigliarmi se sentivo la voce e frasi senza senso.
Mentre William e Maximilian parlavano di altri complotti, Josef mi si avvicinò per farmi un'offerta unica. «Se hai problemi ti posso aiutare io» disse.
Non era una persona proprio sgradevole, poteva dirsi un ragazzo nella norma, solo non mi piacevano le attenzioni che mi riservava. «Mhm... Grazie» mi limitai a rispondere.
Osborne aveva pensato nei dettagli anche le postazioni dei gruppi durante gli allenamenti, piazzando William dall'altra parte della stanza e lasciandomi vicino allo spogliatoio con solo il gruppo di Josef accanto. C'era la distanza di sicurezza, ma pochi passi e i nostri gruppi potevano mescolarsi. In realtà il suo aiuto non mi serviva, non avrei più lasciato che le provocazioni di Alexa mi scalfissero e, anche nel caso, c'era Oscar ad aiutarmi.
L'indomani, dopo un normale risveglio, capimmo tutti che la prova era stata fissata per quello successivo. Questo significava consapevolezza dell'arrivo della prova, maggiore stress, peggiore rendimento e un altro incremento degli allenamenti. Come ultima lezione, Oscar mi chiese di aspettare che William si fosse svegliato per insegnare a entrambi un trucchetto. Mi arrabbiai con lui per avercelo nascosto fino a quel momento, ma poi realizzai che non si trattava di qualcosa che ci avrebbe salvato la pelle durante la prova. In realtà erano dei consigli ufficiosi su come lui si sarebbe mosso sulle pareti, per non parlare di un ripasso delle norma di sicurezza e delle tecniche di base che mi fece sentire come il primo giorno: spaventata e inesperta. Erano settimane che ci lavoravamo, eppure ogni ora equivaleva a un passo indietro nelle tecniche. Ad un certo punto Oscar mi chiese di smettere.
Avevo toccato la cima della parete ed ero scesa senza problemi, forse un po' più lenta delle volte precedenti. «Sei andata bene, ora direi di smetterla».
«Ho rallentato... ancora» ansimai.
«Continuerai a farlo se ti ostini a scalare. Hai bisogno di un po' di riposo, ti ho già insegnato tutto quello che ti serve sapere, ti farai solo male continuando anche oggi. I muscoli devono pur riposare ogni tanto» mi rimproverò il mio insegnante.
«Non sono sicura che basterà» protestai. Avevo il terrore che qualcosa peggiore di Paterson mi avrebbe colpita durante la prova, facendomi sentire nuovamente debole e inerme come un fuscello. Per la prova precedente avevo avuto la siringa come seconda opzione, mentre questa volta ero davvero senza difese.
«Hai fatto un ottimo lavoro, ora hai bisogno di riposarti per superare la prova» mi consolò. «Questo basterà sicuramente».
Sapevo che stava mentendo solo per farmi sentire un po' meglio, che in realtà ero a mala pena sufficiente nelle scalate. Se la prova fosse stata più complessa di una semplice scalata, allora potevo dirmi fuori dai giochi. Se non fossi stata così impegnata a preoccuparmi per la mia incolumità, avrei potuto gioire per la mia imminente partenza.
«Farai un'ultima scalata questo pomeriggio, gli allenamenti in gruppo non puoi saltarli. Per il resto del tempo ti voglio fuori dalle palestre, intesi?»
Annuii sconfitta, quando s'impuntavano sia lui che William erano irremovibili. Spesso si mettevano d'accordo solo per farmi fare quello che volevano. Quei due erano molto simili: entrambi sempre allegri, amichevoli, gentili, Oscar era forse un po' più maturo di William. Il tempo speso nella Base era migliorato grazie a loro due, al punto da chiedermi come sarebbe andata se mi fossi avvicinata a William da subito. Me l'ero domandato molte volte e la conclusione era sempre la stessa: mi sarei risparmiata un sacco di brutti momenti lasciando che mi fosse amico. Alla fine avevo ceduto, ero tornata in camera per far finta di riposarmi. Non mi fidavo più a girare da sola per la Base, Shawn poteva comparire da ogni angolo e io non volevo assolutamente vederlo. Ci rimasi fino a che William non bussò alla mia porta, lo vidi allenarsi un po' per poi ricevere la stessa predica da Oscar. La differenza di prestazione tra me e il biondino era abissale, se si sentiva in difficoltà allora io potevo solo arrendermi.
«Vi voglio lontani dalla parete» ci ordinò Oscar.
«Sì, Signore» rispondemmo noi in coro. Non fu felice della beffa ma sopravvisse, per noi, invece, tener fede alla parola data fu molto più difficile. Ce ne restammo in disparte, a osservare i candidati che si allenavano fino allo sfinimento. Inizialmente reprimemmo a vicenda l'istinto di unirci a loro, ma poi capimmo perché Oscar avesse insistito tanto: si stavano sfinendo ancor prima dell'arrivo della prova. Non tutti, qualcuno aveva deciso di prendersi una pausa e non presentarsi alle scalate supplementari. Maximilian, ad esempio, come Pel-Di-Carota, Adele, Esral e quel buon'annulla di Derek. Chi per stupidità, chi per strategia, si sarebbe presentato solo agli allenamenti obbligatori. A pranzo ci giunse notizia, da Foma e Detrar, dei tentativi degli ex candidati del Quarto Gruppo di spaventare quelli nelle classifiche più alte con stupidi giochetti psicologici. Lo stesso mucchietto di parole che Esral aveva usato su Alexa, e lo stesso che Iruwa stava usando con Quiana da un po'. Per settimane l'avevamo vista poco, se n'era rimasta sempre in compagnia di Shawn o ad allenarsi a sola. Lei sì che aveva bisogno di continuare a scalare e, sebbene non avrebbe dovuto, vedere il suo stato disastroso mi faceva sentire molto meglio.
La pausa servì a farmi eseguire gli esercizi pomeridiano più serenamente. Esral non provò a mettermi pressione, ci pensò Alexa al suo posto con qualche pesante battuta sulla mia lentezza. Mi feci scivolare i suoi insulti addosso, non avrei dato a lei e Shawn una seconda soddisfazione. Lui, dopo settimane, era tornato a lanciare le sue occhiate al nostro gruppo, come a voler controllarci. Sperava in un mio crollo mentale, che non sarebbe avvenuto quel giorno. Non lì, non davanti a loro. Mi sarei data pena dopo cena, chiusa nella mia stanza con la sola deprimente prospettiva della prova e le scosse. E così feci. Immaginai di tutto, nel peggior modo possibile. Fu una liberazione a dire il vero, figurando il peggio del peggio l'indomani non mi sarei più sorpresa di niente e avrei affrontato a mente libera ogni spiegazione. Almeno era ciò in cui speravo.
Mi lasciai trasportare infine dalle scosse, sperando in un aiuto morale significativo.
«Ehvena» sussurrò la voce.
Bastava quel suono ormai familiare a tranquillizzarmi, a cancellare le ansie vissute da sveglia. Un po' meno calmante fu quell'insolita sensazione di venir rivoltata come un calzino, una nausea che partiva dalla testa e si espandeva fino allo stomaco, senza possibilità di muovermi. Un brutto déjà-vu che ogni volta mi lasciava il segno.
«Ehvena» chiamò ancora. «Ehvena, ascolta».
La nausea si fece più intesa, finché non si concentrò sulle tempie come un comune mal di testa. Un'emicrania fatta di ronzii, suoni sordi e ripetitivi.
«Il blu» ripeté a voce ancora più bassa e criptica. «Il blu è una buona scelta».
• • • • •
Fui percossa da scossoni finché le mura dei miei sogni non si sgretolarono. Una voce, non quella voce, femminile e familiare, mi chiamava con affanno. Riemersa nella realtà, il volto della mia Assistente, incorniciato da un'aura di apprensione, mi fissava dall'alto.
«Mi spiace svegliarti così bruscamente, ma devi prepararti» disse rammaricata.
Mi misi a sedere, gli occhi ancora appiccicati dal sonno e l'emicrania pulsante nelle tempie.
«È oggi non è vero?» chiesi, sbattendo ripetutamente le palpebre per cacciar via ogni traccia delle sensazioni notturne. Per la prima volta era rimaste sotto una flebile traccia. Asia annuì, nonostante non mi servissero le conferme. «Potrebbero anche iniziare più tardi...» brontolai, alzandomi.
«Sono le 11.00» disse lei, controllando sul suo palmare.
«Come?» sbiancai io. Non mi ero mai alzata così tardi da quando ero arrivata alla Base Alpha.
«Hanno detto che inizierete tutti insieme, come nella Seconda Prova. Ci hanno espressamente chiesto di lasciarvi dormire, di disturbarvi passate le undici. Devo portarti nell'hangar Atlas per gli annunci pre-prova, svolgerete tutto nel primo piano sotterraneo quindi ripasserete per l'ascensore» spiegò, aiutandomi nelle faccende mattiniere. Mi passò un asciugamano mentre mi sciacquavo il viso, preparò la divisa dopo avermi porto la colazione, una brioche e del succo concentrato. Fece il suo lavoro di Assistente, continuando sempre a spiegare. «So che starete nella stanza degli addestramenti intensivi, ma non so proprio dirti cos'hanno preparato. Ci lavorando da settimane».
«Per questo sono così in ritardo?» domandai a bocca piena.
«Non hanno avuto problemi, se è questo che pensi. Lo hanno programmato, come tutto il resto. Pensa che non volevano che ci avvicinassimo, per questo non mi hai vista».
«Sono spregevoli» mormorai.
Asia mi passò le scarpe, chiaramente da arrampicata. La divisa era attillata e favoriva gli ampi gesti della scalata. Erano tutti chiari avvertimenti su ciò che mi aspettava. «È ancora presto per dirlo» disse con un cenno.
Già, potevano ancora essere peggiori di quel che pensavo.
Arrivammo nell'hangar Atlas come un gregge di pecore obbedienti, guidate dal pastore Benedikt in testa alla lunga fila. Avevano sgomberato uno spazio nel mezzo solo per noi, aggiungendo un piccolo rialzo per il vecchio signore che si era preso l'ingrato compito di introdurre la prova. Non era un militare, non sembrava neppure un Osservatore o un Responsabile. Aveva una folta barba bianca, capelli albini e occhiali neri che ne nascondevano gli occhi incorniciati dalle rughe. Due Latori lo fiancheggiavano con la classica postura intimidatoria: mano destra sul cinturino dell'arma e la sinistra lasciata a riposo. Non so cosa si aspettassero da noi, tutta quella teatralità serviva a poco viste le restrizioni che già subivamo e la paura pressante per le prove.
«Quello è Ochkers» s'illuminò William al mio fianco.
«Chi?»
«Uno dei ricercatori più famoso di Pheroes. Possibile che tu non lo conosca?» mi sgridò.
«Io il mio tempo lo passo in cucina, tra i fornelli senza televisione, ricordi?»
«Quello cieco!» esclamò piano.
«Ahh! Sì, lo conosco. Non è una specie di consigliere ufficioso dei Rappresentanti? È sempre al loro fianco durante le apparizioni».
«Sì. Chissà che vorrà dirci, i Rappresentanti non lo avevo inserito tra il personale dell'Elezione. È una specie di esterno» continuò a spiegarmi, sezionandolo con lo sguardo.
Ochkers era immobile sulla scaletta, muoveva il capo come se ci stesse scrutando. Se non mi fossi ricordata della sua cecità avrei detto che ci vedeva benissimo.
«Come sai tante cose?»
William sbuffò. «A differenza tua ho visto tutti gli speciali sull'Elezione».
Feci una smorfia di disgusto. Quei programmi erano tra le cose che aveva volutamente ignorato e che, in ogni caso, non sentivo il bisogno di sapere. Tanto c'era William per quello.
Il Comandante Benedikt fischiò, richiamandoci all'ordine. Ochkers tossì alcune volte, come per annunciarci l'inizio del discorso. «Concorrenti, siete stati riuniti oggi per svolgere la Terza Prova prevista dall'Elezione. Sono stato chiamato dai Rappresentanti appositamente per ricordarvi qual è il motivo per cui svolgere questa prova, così come le prossime due, ma confido nel fatto che tutti già lo sappiate. Voglio invece incoraggiarvi a dare il meglio di voi stessi, a test iniziato. La nazione ha bisogno sì, di forza, resistenza, intelligenza e dedizione, ma anche di persone volenterose, uomini e donne comuni che si sacrifichino per gli altri. Sarò franco con voi: le prossime prove saranno dure, ma solo per chi non possiede quella volontà» ascoltarlo era fonte di ispirazione per gli altri, io mi sentivo sempre più nel torto. Chi non aveva la volontà di sacrificarsi per il popolo avrebbe svolto le prove con fatica. Questo era il mio destino, perché la volontà di sacrificarmi non ce l'avevo affatto, anzi, cercavo un modo disperato per salvare me stessa. «Alla luce delle precedenti prove e quella che starete per affrontare, vorrei riformulare le mie precedenti affermazioni: c'è bisogno sì, di qualcuno che voglia sacrificarsi per il nostro Stato, ma anche qualcuno che sappia infischiarsene».
Il modo in cui il suo sguardo non poteva posarsi su nessuno in particolare, teneva i sospiri di tutti stetti sospesi. Sacrificarsi ma sapersene infischiare. Era la prima cosa sensata che sentivo dire da quando i cancelli della Base si erano chiusi, nonché la più dissennata. Poteva davvero un Rappresentante infischiarsi del nostro Stato? Oppure era dei concorrenti che parlava. Noi potevamo ancora disinteressarci?
Ochkers abbandonò la sua postazione, lasciando spazio ad un Responsabile che tornò subito alle convenzioni elettorali. «La prova si terrà all'interno delle sale di addestramento avanzate. In altre parole, una salata ologrammatica. In maniera molto simile ai vostri allenamenti, dovrete scalare la parete proposta e premere un pulsante per superarla. Non sarà una competizione a limite di tempo, la prossima classifica verrà stilata con i candidati che saranno riusciti a completare, o ci andranno vicinissimi, il percorso stabilito. Avrete a disposizione un'attrezzatura di base, oltre all'uniforme: caschi, guanti e protezioni, nonché cinghie di sicurezza testate e valutate. Tutto rientra nelle norme di equità dell'Elezione, l'esito della prova dipenderà dalle vostre sole forze».
Tirai un sospiro di sollievo. Nessuna brutale gara contro il Quarto Gruppo, solo io e una parete come negli allenamenti. Posso farcela, pensai d'un tratto ottimista.
«Ricordate: il fatto che sia una sala ologrammatica non necessariamente fa sì che ciò che la compone sia esso stesso un ologramma» aggiunse come ultima cosa.
La porta secondaria dell'hangar si aprì e venimmo tutti spinti nuovamente verso la fauci fameliche dell'ascensore, diretti nel sottosuolo della Base.
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