Capitolo I (R)

«Secondo le leggi pattuite alla creazione dello Stato di Phērœs — attualmente alla 27ª Era Elettorale, dopo la ripresa dalla Grande Guerra (GG) del 2044 — i candidati alla carica di Rappresentante della Nazione, per provare il loro valore, dovranno prevalere in una serie di prove comuni dimostrando nel corso delle stesse di possedere le seguenti indispensabili qualità:
- Resistenza
- Forza
- Obiettività
- Intraprendenza
- Intelligenza
- Razionalità
- Dedizione
- Umanità
I Rappresentanti saranno due, di sesso opposto, e collaboreranno con lo Stato per rendere prospera l'Isola.
Non dovranno avere meno di diciotto anni, né più di trenta. Saranno in salute, quindi privi di malformazioni fisiche, tare genetiche e patologie psichiche di qualunque genere. I loro figli non avranno alcun diritto di successione alla carica.
Ogni Elezione si presenterà con modalità differenti dalle precedenti e lo svolgimento delle prove rimarrà inaccessibile a chiunque non faccia parte dell'équipe o del gruppo dei partecipanti; esse si svolgeranno, come da recente consuetudine, nella Base Militare Alpha.
Ogni cittadino ritenuto idoneo in base ai requisiti citati è obbligato, secondo il Codice Elettorale, a partecipare alle prime cinque prove, salvo in caso di una precoce eliminazione. Al termine delle stesse sarà possibile abbandonare spontaneamente la competizione in visione dell'articolo 2 del Codice Elettorale.
Al completamento delle suddette prove obbligatorie si svolgeranno le Elezioni Popolari, tenute con turno unico e mirato alla scelta della coppia ritenuta maggiormente adatta per il ruolo...» Questo era quello che il telegiornale locale trasmetteva di prima mattina, durante le settimane antecedenti l'Elezione Nazionale. Ogni canale era monopolizzato dalla propaganda elettorale e dai giornalisti che reiteravano la stessa descrizione dell'evento.

Tutta quella attenzione mediatica che metteva in fermento la popolazione, si verificava regolarmente ogni quarant'anni. La mia fortuna, o sfortuna a seconda del punto di vista, era essere presente alla nuova Elezione e, per via di una legge secolare, essere persino costretta a partecipare. Erano passati appena cinque giorni da quando ci era stata annunciata la leva obbligatoria e io, Ehvena Johns, stavo per avere l'immenso onore di contribuire alla forgiatura di un futuro prospero e pacifico per la nostra Nazione.

La mia famiglia, i miei vicini, tutte le persone che conoscevo da quando ero nata, erano elettrizzate all'idea di assistere all'Ascesa di quelli che, secondo l'antica tradizione di Phērœs, da semplici cittadini potevano guadagnare il titolo di Rappresentanti, prendendo parte al governo dell'isola come portavoce della gente.

Solo io ero incapace di unirmi al tripudio.

L'idea di diventare la Rappresentante del nostro Stato — assieme a uno sconosciuto — non mi entusiasmava, così come l'idea di passare cinque mesi partecipando forzatamente alle prime misteriose prove, da cui il popolo era sempre stato estraniato con il suo beneplacito.

Quella fatidica mattina dovetti dirigermi in gran fretta all'ospedale della mia città per sottopormi ai test di idoneità. Ricevere un buon responso nelle valutazioni cliniche iniziali era sinonimo di aggiudicarsi un posto nel gruppo dei candidati ufficiali. Chi malauguratamente non si presentava, riceveva nell'immediato un richiamo formale dal Concilio di Giustizia: una delle secolari figure che componevano il nostro Stato, assieme ai Latori di Pace e i Rappresentati.

Arrivammo di buon ora, ma al di fuori dell'ospedale la fila si estendeva a perdita d'occhio. Fu mia madre ad accompagnarmi. Lei era l'unica persona in grado di rassicurarmi, persino quando l'evento in questione era avvolto dalla più totale segretezza. Per quanto si mostrasse rilassata, ero certa che fosse in ansia quanto me all'idea di vedere il mio nome tra quello candidati idonei. Nonostante la partecipazione fosse obbligatoria, gli standard dell'Elezione erano così rigidi che in media solo il 45% dei partecipanti erano ritenuti all'altezza.

Per quanto avessi domandato in giro, nessuno sapeva dirmi quale genere di prove avrebbero affrontato i candidati. Nessuno conosceva i metodi di valutazione, nemmeno quelli risalenti alle precedenti Elezioni. Circolavano molte congetture, tra cui l'idea infondata che potessero avere a che fare con la bellezza, l'intelligenza e la ricchezza. Di certo il futuro dell'isola non poteva basarsi su degli aspetti così futili, ma nel caso mi fossi sbagliata, altri avrebbero avuto modo di farsi valere al mio posto. Apparire non era una delle mie priorità. Ero solo una ragazza dai tratti ordinari, che andava fiera di quelle che molti avrebbero definito delle "imperfezioni"; le perenni occhiaie, i capelli bruni raccolti e poco curati, la pelle macchiata da piccole cicatrici, era tutto dovuto alla mia passione per la cucina. Una prova della mia costante dedizione.

Conoscevo persone molto più adatte di me a partecipare a una competizione di quel genere. Ne era un esempio Lusyelle Doboise, mia compagna di classe nel corso di Arti Culinarie Avanzate, di lì poco distante. Era perfetta, con quei suoi capelli lunghi, del colore dell'argento, lisci e acconciati sempre con particolare cura; pelle rosea e immacolata nonostante coltivassimo la stessa passione, occhi che risplendevano delle più svariate sfumature dell'oceano. Non mi dispiaceva essere considerata una ragazza comune, nel non calamitare costantemente lo sguardo altrui: detestavo trovarmi al centro dell'attenzione. Eppure avevo una dote che mi ci poneva più spesso di quanto volessi, e non soltanto perché era il vanto continuo di mio padre. La cucina era l'unica cosa che mi appagava davvero e mi riusciva quasi alla perfezione. Non a caso avevo scelto la scuola culinaria più rinomata della capitale di Phērœs, Callitna. Infatti, nonostante cercassi di non darlo troppo a vedere, ero la migliore del corso, sia a livello pratico che teorico. Rabbrividii all'idea che la mia migliore qualità potesse in qualche modo assicurarmi un posto tra i partecipanti. Per quanto l'intera faccenda mi potesse incuriosire, non avevo voglia di passare cinque mesi così lontano da casa e da ciò che più al mondo amavo fare.

Accanto a noi c'era la fila maschile, nella quale scorsi parecchi volti a me noti. Il primo fra tutti fu quello di Jefferson Ghilmore, idolo vivente della scuola, nonché primo ammiratore in assoluto di Lusyelle, seguito dai gemelli McMorrow — Ethan e Svevo — e il loro cugino dal bizzarro accento arcadiano, Dennis.

Senza contare le basi militari agli estremi opposti dell'isola, in totale avevamo più di una dozzina di dialetti, quasi uno per ogni regione. Questi erano tutti rimasugli delle lingue dei vecchi continenti, mescolati all'idioma universale di Phērœs: un misto unico che dopo la GG aveva permesso ai popoli sopravvissuti di accordarsi.

«Tesoro, tranquillizzati» disse mia madre, accarezzandomi teneramente un braccio. Sembrava voler tranquillizzare se stessa, anziché me. Avrei voluto dirle quanto poco ci tenessi a iscrivermi, quanto fossi terrorizzata all'idea di sottopormi a quei test e scoprire il responso. Però riversare su di lei le mie angosce non avrebbe portato a niente. Non era lei a decidere, ma lo Stato.

«Certo mamma». Le sorrisi con accondiscendenza.

Per intrattenermi — vista la lunga attesa — iniziai a ricambiare il gioco di sguardi lanciati dai candidati, i quali a loro volta mi scandagliavano facendomi sentire come sotto esame. Nessuno sembrava essere realmente interessato a un primo confronto.
Un po' come me del resto.

Mi ritrovai presto nel bel mezzo di un guarda-e-fuggi che coinvolse tutti i presenti. Passai lo sguardo da un volto all'altro, senza mai fermarmi. Tutto pur di non pensare a ciò che mi stava attendendo all'interno. Finii così con l'incappare in due particolari occhi, verdi e lucenti, che sostenevano inaspettatamente il mio sguardo. A differenza delle fugaci occhiate che avevo brevemente colto, quegli occhi mi stavano realmente osservando.

Erano di un ragazzo dai capelli rossastri, una combinazione difficile da poter ignorare. Lo colsi in flagrante ma lui non reagì in alcun modo, si ostinò solo a sostenere il mio sguardo, ormai dubbioso. Non lo conoscevo, come la maggior parte delle persone riunite in quel luogo, ma di lui mi incuriosì particolarmente l'espressione — oltre al raro colore di capelli — che oscillava dallo stupore al sospetto. Socchiuse le palpebre, come per scrutarmi meglio. Mi sentii quasi offesa, non sembrava rivolgersi a caso: era me che puntava. Posi fine a quella sfida silenziosa voltandomi altrove, ma la sensazione delle sue occhiate persisteva ancora sulla mia schiena, provocandomi un brivido glaciale che alla lunga mi fece accapponare la pelle. Non riuscii più a rilassarmi, nonostante, dopo parecchi minuti, avesse deciso finalmente di intrattenersi con altro.

Io e mia madre passammo più di un paio di ore in coda. Quando potemmo finalmente entrare all'interno, fui colta alla sprovvista da una nuova e interminabile fila, suddivisa a sua volta — sotto richiesta del personale addetto — in ben tre diramazioni. Tutte terminavano nei centri di smistamento, composti da quattro cabine per fila, in cui le segretarie indirizzavano gli iscritti verso le apposite stanze.

Il pavimento in marmo rifletteva le figure di tutti i presenti, creando delle macchie scure e poco uniformi che ondeggiavano in maniera scomposta. Osservare i loro spostamenti diventò estremamente interessante, soprattutto quando gli schermi affissi alle pareti furono accesi, lasciando che l'ormai familiare mantra dei giornalisti risuonasse incontrastato nella stanza.

La seconda parte dell'attesa durò molto di più, tant'è che arrivare davanti alla cabina della segretaria fu un'impresa davvero ardua. Una volta lì, fui presa in contropiede da una sfilza di domande biascicate da una donna dall'aria rozza e svogliata, che masticava maleducatamente una gomma.

«Sei qui per l'Elezione, giusto?» disse in modo retorico, dopo avermi strappato di mano il tesserino riconoscitivo e cercato nel database, con una voce prettamente nasale e fastidiosamente acuta. Io annuii, osservandole le unghie laccate di un accecante rosa shocking, che facevano pendant con il rossetto semi sbafato. «Metti una firma qui, qui, qui, e anche qui.» Indicò i vari punti sparsi lungo tre pagine di testo, con una rapidità tale da confondermi momentaneamente.

«Signora, lei invece può aspettare fuori, sua figlia deve sottoporsi a vari controlli»

Lanciò uno sguardo di sdegno a mia madre, chiaramente in crisi sul da farsi. «Forza, sloggi» le intimò facendole anche uno scortese gesto con la mano. Proprio non capii cosa trattenne mia madre dallo sbraitarle contro.

«Tu» mi indicò con l'indice «Va in fondo al corridoio, gira un paio di volte ed entra nella sala con il cartello rosso» annunciò, porgendomi una pila di fogli e strappandomi di mano il modulo compilato.
Il suo comportamento non era affatto professionale.

Rimasi frastornata dal gesto, mentre mia madre era pronta a esplodere.

«Muoviti, blocchi la fila» concluse archiviando il mio nome tra gli iscritti, e indicando la sfilza di ragazzi alle mie spalle. Era davvero estesa, ma non era certamente un buon motivo per liquidare qualcuno in quel modo.

Mia madre non si risparmiò un'occhiata severa verso la segretaria, che non la colse perché impegnata a riversare la sua acidità su un'altra ignara vittima. Dopo aver borbottato tra sé e sé — ancora seccata dalla faccenda — si ridestò, tornando a preoccuparsi per me. Riluttante, mi salutò con velata apprensione prima di dirigersi verso la sala d'aspetto. Le rivolsi un sorriso incerto, provando — per quel che mi riusciva — di tranquillizzarla a mia volta. Dopodiché mi allontanai con passo rapido seguendo le informazioni generiche e sicuramente poco attendibili della donna, prima che questa decidesse di inveire di nuovo su di me, arrivando in fine dinanzi al cartello rosso.

Sopra vi era la scritta Controlli per Partecipanti.

Prima di poter entrare — accorgendomene con estremo rammarico — dovetti aspettare che terminassero le visite le ragazze in coda. Nell'attesa del mio turno ripensai all'espressione di mia madre e iniziai a dispiacermi per lei. Ero certa che sarebbe stata entusiasta all'idea di assistere ai molti complimenti che i medici le avrebbero fatto per la mia perfetta salute, distraendosi per qualche istante da ciò che la turbava. Per mia fortuna dovette farne a meno, risparmiandomi un grande imbarazzo. Era ridicolo che una ragazza di diciannove anni dovesse farsi accompagnare dalla madre per una visita. Ma per come era fatta, avrebbe tenuto il broncio fino al calar del sole.

Alla fine l'attesa durò meno del previsto e quando fu il mio turno entrai nella sala a capo chino. Odiavo i medici, i loro modi di fare mi intimorivano. Sapevo però che la visita non era nulla di preoccupante, si trattava solo di un controllo di routine, nel caso sorgesse qualche imprevisto: lo Stato era già in possesso di ogni mia scheda sanitaria.

Non tutti sull'isola potevano permettersi un controllo mensile ospedaliero, come invece poteva la mia famiglia, per questo era stata indetta la Giornata Nazionale della Sanità, riproposta ogni tre mesi dallo Stato, in cui le visite erano gratuite anche se non specialistiche. Era una delle leggi emanate dalla nostra attuale Rappresentante, Dena Engineer, e garantiva controlli sanitari regolari a ogni cittadino. Questo genere di normative, istituite anche da altri Rappresentanti nel pieno della loro carica, nel corso degli anni avevano avuto ripercussioni dirette sull'aspettativa di vita della popolazione, che aveva visto un sostanziale aumento. Tanto che la durata media di vita si aggirava intorno ai centocinque anni e la maggiore età si raggiungeva a venticinque.

Quando entrai il dottore non disse una parola, mi fece solo un breve cenno, ma intuii subito di dover posare la risma di fogli sulla scrivania. Dopodiché iniziò frettolosamente la visita. Nonostante tenessi molto alla mia salute, presi a fantasticare sulla possibilità che il medico scovasse qualche genere di malanno, così non avrei più avuto accesso all'Elezione.

Il responso però non fu una sorpresa. Il medico scrisse a caratteri cubitali su un cartellino giallo, le frasi:

PERMESSO DI AVANZAMENTO
REFERTO ESAME SANITARIO DI BASE: IDONEO

Appose un timbro con il simbolo dello Stato sul cartellino e mi diede delle nuove indicazioni per la sala successiva.
Per un attimo avevo creduto che fosse finita lì.
Assorta in un misto di delusione e soddisfazione, mi trascinai esitante verso la seconda stanza. Lì, dopo una nuova e lunga fila, venni infilata in un macchinario di ultima generazione, di cui solo gli ospedali più rinomati erano in possesso e, naturalmente, l'ospedale della capitale era tra questi.
Mi fecero tre tipi differenti di lastre, che al termine della visita mi consegnarono. La dottoressa che mi aveva visitata appuntò su di un altro cartellino giallo la scritta:

PERMESSO DI AVANZAMENTO
REFERTO ESAME SANITARIO INTERMEDIO: IDONEO

Passai così alle due sale successive, dove feci nuove e interminabili code. Venni sottoposta a varie visite specialistiche, per poi ricevere nuovi cartellini su cui vi era scritto:

PERMESSO DI AVANZAMENTO
REFERTO ESAME SANITARIO AVANZATO: IDONEO

Con tutti quei responsi positivi le possibilità che non fossi inserita tra i partecipanti erano pari a zero.
Arrivata nell'ultima sala in programma — questa volta già al corrente delle modalità di controllo grazie alla soffiata di alcune ragazze — venni sottoposta a una serie di quesiti di livello personale e mi fu impiantato un trasmettitore sottocutaneo nella zona cervicale. Quest'ultimo mi provocò una chiazza violacea, gonfia ed estremamente dolorosa. Faticavo nel compiere anche il più semplice dei movimenti. Una seccatura visto che mancava un'ultima tappa per completare il giro, nella quale avrei ricevuto il via libera per il ritiro dell'attestato di partecipazione.
L'ultimo cartellino che ricevetti fu di colore verde, insieme a un codice da conservare fino all'inizio delle prove. Sul cartellino c'era scritto:

STATUS DEL CANDIDATO:
AMMESSO

Presi tutto con mano tremante e uscii dalla stanza senza proferir parola. Era ufficiale: avrei partecipato all'Elezione.
Arrivai da mia madre stremata. Ero piena di cartelle con i responsi delle visite e di foglietti colorati. Nonostante avesse ancora un'aria offesa, mi fece i complimenti per la riuscita, trovando anche il tempo di vantarsi con una donna che aspettava ancora la figlia prima di passare a ritirare l'attestato.
Tornammo a casa tardissimo, nonostante ci fossimo recate all'ospedale di buon ora. Cenammo e feci una descrizione completa della giornata alla mia famiglia per la sola felicità di mia madre. Mia sorella Giudy, la più piccola — dieci anni — si mise a gridare di gioia e a esultare. Mio fratello maggiore, Clarke — venti anni, purtroppo recluso su di una sedia a rotelle — trovò il modo di deridermi con quella sua solita punta di affetto fraterno, quella che puntualmente impediva a ogni nostro battibecco di degenerare. Aveva perso la gamba sinistra a causa di un incidente stradale, perciò era esentato dalla leva obbligatoria. Era meschino da parte mia anche solo pensarlo, ma per un attimo fui invidiosa di lui.
Mio padre, invece, mi fece solo i complimenti più sinceri, non nascondendo il timore e la rabbia che provava: non voleva lasciarmi sola e allo sbando, spedita tra altri mille candidati così lontano da casa.

Appena ne ebbi l'occasione mi rintanai nel mio angolo di paradiso: la cucina. Per scaricare la tensione accumulata, presi gli avanzi della cena e inizia a riflettere su come utilizzarli. Non avevo il permesso di usare gli ingredienti della casa per le mie esercitazioni notturne – mia madre credeva che fosse uno spreco – così mi accontentavo dei rimasugli della cena. Lavorare su dei piatti già cotti era complicato, ma le idee non mi erano mai mancate.
Eccetto quel giorno.
Non riuscivo a concentrarmi su nient'altro che l'Elezione.
Ci era stata concessa una settimana libera prima della partenza per la base militare. Soli sette giorni, da poter trascorrere in tranquillità, circondata dalla mia famiglia, prima di essere costretta ad affrontare le prove per cinque lunghi mesi.
La pila di cartelle era riposta sul tavolo della cucina come un'ultima tortura visiva dopo la massacrante giornata. A causa della presenza di quei cartellini colorati, per la prima volta nella mia vita mi scoprii incapace di cucinare. Maneggiare il cibo senza provare quell'inconfondibile scintilla di passione che per anni mi aveva guidata, era per me il peggiore dei tormenti. Tanto valeva rimuginare tutta la sera sull'Elezione.
Trovavo ingiusto obbligare qualcuno a partecipare a una competizione di quel calibro. Non che importasse a qualcuno cosa pensassi: era il governo a imporlo, non mi restava che ubbidire.
Afferrai la pila di responsi, sistemando in ordine i cartellini colorati. Più riflettevo, più la situazione diventava meno chiara. Nessuno era a conoscenza delle modalità impostate per lo svolgimento delle prove e, ancor peggio, a nessuno sembrava importare. Tutto si riduceva a pettegolezzi di quartiere. Tra quelle dicerie, però, ce n'era una su cui continuavo ad arrovellarmi: si vociferava che nella sede delle prove, le regole imposte dallo Stato non venissero applicate. Il solo pensiero mi parve assurdo. Quel territorio era uno dei punti più isolati di tutta Phērœs, un luogo normalmente inaccessibile a chiunque, abitato solo dalla forza militare dell'isola. Era situato in prossimità della barriera che proteggeva la Nazione dalle intemperie ambientali causate dalla Grande Guerra, una struttura eretta nei primi anni di governo dell'attuale Rappresentante maschile: Esodo Tremblay.

Mi portai le mani al collo ancora indolenzito, gemendo per il dolore. Il trasmettitore pulsava sotto uno strato di pelle rigonfia. Preoccupata, sistemai alla bell'e meglio il ciarpame sparso sulla tavola e corsi a cercare uno specchio. Il collo era ricoperto da una macchia scura, in alcuni punti persino sanguinolente. Accantonai in un angolo della mia mente i dubbi riguardanti l'Elezione almeno fino al mattino seguente. Avevo altro di cui occuparmi: riuscire ad addormentarsi in quello stato sarebbe stata una vera impresa.

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