Capitolo 20.

Charlotte's pov.






I miei pensieri continuano a navigare e ad interrogarsi sull'esistenza dell'uomo sulla terra. 

Sul reale motivo per cui ognuno di noi vive la propria vita. 

Sull'obiettivo che abbiamo per una vita intera, che ad ogni modo sappiamo già che verrà infranto dalla morte, che incomberà su ognuno di noi, strappandoci dai nostri cari come se niente fosse.

Infondo sappiamo tutti che è ciò che il futuro ci riserva, a chi prima e a chi dopo. Ancora prima di nascere è l'unica certezza che abbiamo, e probabilmente l'unica che ci accompagnerà per il resto della vita.

«Stai bene?» indaga Tommy, continuando a fissarmi. 

«Sì» rispondo, non degnandolo neanche di uno sguardo. 

«Sicura?».

«No» ammetto, fissando il vuoto.

«Ne vuoi parlare?» chiede in un sussurro, sfiorando appena la mia spalla coperta dalla felpa che avevo preso in prestito a Jordyn, in quanto a vestiti, siamo veramente al limite.

Cosa dovrei dirgli? 

Che qualcuno, che so bene chi sia, quattordici anni fa ha strappato dalla mia vita la donna che mi avrebbe dato tutto l'amore che mi è sempre mancato? 

Dovrei raccontargli quanto mi manca sentirmi amata da qualcuno che darebbe la vita per me? 

Che i sensi di colpa mi stanno divorando come se fossero dei piccoli demoni, che lentamente mordicchiano i miei organi, i miei tessuti, e che lentamente divorano ogni parte di me? 

Che odio quel bastardo e che gli strapperei i coglioni se dovessi finalmente trovarlo? 

Dovrei davvero incasinare la sua vita, con la complessa rete di disastri di cui è composta la mia

«No» rispondo semplicemente, voltandomi verso di lui e sorridendogli appena.

«So che.. non sono sicuramente il tipo di ascoltatore ideale ma, se dovesse servirti qualcosa, puoi parlarne con me» propone in un sussurro.

«Grazie, ma sai, mi hai trascinato in tutta questa merda..» dico, cercando di fargli capire, che non gli racconterò mai i miei problemi, ma dato il suo sguardo da cane bastonato cerco di rimediare, «Ma grazie mille, apprezzo davvero il tuo gesto» sorrido ancora. 

«Oh, beh, non c'è di che». 

«Ne hai un'altra?» chiedo indicando la birra che ha tra le mani.

«Mi spiace, ma se vuoi puoi prendere questa» offre. 

«No, non preoccuparti» cerco di rifiutare.

«Dai insisto, prendila» dice, porgendomi la Corona.

«Va bene, inutile che finga di non averne bisogno» farfuglio, portando la bottiglia alle labbra, per sorseggiarne poi il contenuto giallastro.

«Con sale e lime, come piace a me» dichiaro, non appena ingoio. 

«Finalmente una informazione in più sui tuoi gusti» esordisce regalandomi un sorriso a trentadue denti. 

«Non sapevo ne fossi alla ricerca» ammetto. 

«Beh, non è certamente un segreto il fatto che tu mi piaccia» dichiara incrociando i suoi occhi nei miei. 

«Direi che non sei molto bravo a giocare a nascondino» ironizzo, mentre il mio stomaco va in subbuglio. 

Mi ha appena dichiarato apertamente che gli piaccio.

Lui continua a sorridere, mentre il silenzio piomba nuovamente tra di noi e il mio sguardo torna sull'orizzonte. 

«Ti piace qui?». 

«Sicuramente preferisco il mio appartamento a Manhattan, ma non è male» farfuglio, rannicchiando le gambe contro al petto a causa di un improvviso brivido di freddo, causato probabilmente dalla leggera brezza marina.

Infondo chi si lamenterebbe di stare in un'isola praticamente deserta, se non per qualche mercatino e questa immensa casa, con tanto di giardino e piscina, e una spiaggia a pochi chilometri con tanto di un piccolo porto per un costoso yacht e delle piccole imbarcazioni per poter raggiungere l'isola maggiore di quest'arcipelago dove poter rifornirci di cibo e di tutto ciò che ci serve?

Come vestiti ad esempio, quelli ci servono con estrema urgenza.

E in più sono un ostaggio, anche se inizio a sentirmi quasi parte della loro famiglia.

Dio, Charlotte no!

«Non hai tutti i torti. Ma hai tutta un'intera isola a disposizione, meglio che un triste appartamento a Manhattan». 

«Stai dicendo che il mio appartamento è triste?» domando sorridendo, in modo che capisca il tono scherzoso che voglio dare a questo discorso.

«Non ho mai avuto il piacere di visitarlo, ma dubito possa esserlo» ammicca.

«Hai ragione, è splendido e molto luminoso» dico, ricordandomi casa. 

Una casa che è, in realtà, vuota e stracolma di niente, in quanto ci ho vissuto poco più di qualche settimana e per modo di dire, perché era più il tempo che passavo in ospedale che quello che passavo effettivamente là dentro.

«Cosa vorresti sapere?» domando, ritornando al fatto che vorrebbe conoscere qualcosa in più su di me e anche per distrarmi, dato che la mia mente mi stava già portando ai ricordi del mio posto di lavoro e la clavicola mi sta mandando impulsi dolorosi.

«Non lo so, cosa ti piace?».

Potrei rispondergli che adoravo passare il mio tempo libero a sparare al poligono di tiro, ma non svelerò questa carta molto a breve, anzi, non penso proprio di dirglielo. Mai.

«Il mio lavoro mi piaceva davvero tanto» affermo nostalgica, senza nessun tipo di rancore verso di lui.

«A proposito di questo, ti devo ancora le mie più sentite scuse, davvero. Non avrei mai voluto che si arrivasse a questo» annaspa, con un tono di voce più basso, come per farmi capire che è realmente dispiaciuto dell'accaduto.

«Dentro di me so che non l'hai fatto di proposito, non sapevi si trattasse di me, ma questo non significa comunque che faccia meno male» osservo, cercando di fargli capire che ci sono rimasta veramente male.

«Posso immaginare, infondo solo studiare medicina, immagino richieda un grande impegno, poi arrivare a fare la specializzazione e infine, perdere il lavoro per colpa di uno stronzo che doveva pensare a proteggersi il culo, mi sembra abbastanza dura» ammette.

«Lo è» confermo, giocherellando con la sabbia tra di noi.

Stranamente, per la prima volta da quando ci siamo incontrati stiamo avendo una semplice e normale conversazione come gli adulti che siamo.

Non stiamo facendo sesso, non ci stiamo urlando contro l'odio che proviamo l'uno nei confronti dell'altro, ma bensì parliamo dei nostri interessi personali. 

«Tu invece, perché fai tutto questo?» gli chiedo indicando la casa alle mie spalle, sperando sia sincero con me.

«Cercavo l'adrenalina» risponde sincero, sorprendendomi.

«E questo è il miglior modo che hai trovato per procurartela?» ammicco.

«No, in realtà era l'esercito». 

«E allora cosa ci fai qui?» continuo, cercando di farlo aprire.

«Sono stato cacciato» risponde rabbuiandosi e abbassando lo sguardo sulle sue mani che continuano ad accarezzarsi l'un con l'altra.

«Perché? Se posso chiedere» biascico.

«Non credo tu voglia sapere la risposta» mormora, riportando il suo sguardo su di me.

«Oh, non sai da quanto l'aspettassi» sussurro, mentre doveva essere solo un mio pensiero, che sarebbe dovuto rimanere nella mia testa.

«Cosa?».

«Niente scusami. Mi piacerebbe saperlo se non è un problema per te» insisto, portando i miei occhi su di lui, che sembra essere davvero nervoso all'idea di dover parlare di qualcosa, che deduco, non sia affatto bello raccontare.

«Non sono ancora pronto a parlarne» sospira grattandosi il retro del collo, come chiaro segno d'imbarazzo. 

«Okay» dico un po' delusa. 

«Come vi siete conosciuti tutti voi?» chiedo incuriosita, prima che calasse di nuovo un silenzio alquanto imbarazzante.

Tommy ride leggermente, scuotendo la testa da un lato all'altro, come a rammentarsi gli inizi dei loro rapporti. 

«Se proprio vuoi saperlo, non è una storia da due minuti» afferma scherzoso.

«Non so se ci hai fatto caso, ma non ho molto sonno ed ho abbastanza tempo» sorrido verso di lui, incrociando finalmente i nostri sguardi.

Inizialmente, restiamo entrambi imbambolati a fissarci, ma poco dopo, decido io stessa di distogliere lo sguardo, prima che tutta questa situazione arrivi dove non deve.

E così inizia a raccontare un po' la storia di questi sciagurati, partendo proprio dalla recente scomparsa di Carlos, che lui conosceva fin da piccolo, essendo cresciuti nello stesso quartiere a Londra. 

Mi raccontò di quanto facesse schifo il quartiere dove erano cresciuti, in quanto entrambe le loro famiglie non erano state più di tanto fortunate. Per la maggior parte della sua adolescenza infatti, ha dovuto lavorare, per potersi permettere di continuare a frequentare la scuola del quartiere.

«Carlos, è da sempre stato quello positivo. Quello con la battuta sempre pronta. Pronto a farti morire dalle risate, nel momento peggiore» racconta nostalgico. 

«Carlos ed io, siamo cresciuti insieme, nel bene e nel male – prende una piccola pausa, portando lo sguardo nuovamente sulle mani – fino a quando non sono scappato» dichiara, continuando a non rivolgermi lo sguardo. Io, al contrario suo, continuo a tenere fissi i miei occhi su di lui e sui movimenti involontari che compie il suo corpo, sempre più curiosa, riguardo alla sua vita.

«Dove?» chiedo con curiosità, portando nuovamente la bottiglia a bagnarmi le labbra.

«Mi sono arruolato. Avevo solo sedici anni e l'ho fatto sotto falso nome, con dei documenti che appartenevano ad un mio lontano parente» continua. 

«Poi sono partito alla volta della prima missione, in Siria, dove ero un semplice soldato alle prime armi, che era appena uscito dall'addestramento militare e che a malapena aveva la mira per sparare ad un oggetto inanimato» aggiunge. 

«E Carlos, come vi site ritrovati alla fine?». 

«Aspetta, con calma ci arriverò» risponde interrompendomi, e prima ancora che riesca ad aggiungere altro continua il suo racconto.

«La prima missione si concluse, ma io non avevo un posto dove tornare, cioè, casa mia ormai non mi apparteneva più, in quanto Summer era partita per l'università, e con i miei non volevo avere niente a che fare. - S'interrompe, per guardarmi appena, per poi riprendere la bottiglia dalle mie mani e prenderne un abbondante sorso. - Così chiesi un trasferimento al generale, che mi trasferì poco dopo nella squadriglia comandata da Tobias» sogghigna ridendo appena. 

«All'inizio, l'ho odiato con tutto me stesso, in quanto ero l'ultimo arrivato e per di più, facevo parte dell'esercito inglese e non di quello americano, ma grazie alla collaborazione di entrambi i paesi per distruggere la guerra contro i siriani, il mio trasferimento fu possibile. E visto che ero lo straniero, all'interno della base dovevo svolgere i lavori più luridi ed umilianti, fino al giorno in cui mi ribellai a tutto questo» biascica.

«Dopo alcuni mesi, durante la notte, ho iniziato a sparare colpi in area nel bel mezzo della base, mentre tutti dormivano, in modo da spaventarli. Tutti corsero giù dalle proprie brande e si raggrupparono intorno a me, pronti a spararmi. Credimi, so che era pericoloso, ma dovevo fare qualcosa per guadagnare il loro rispetto, così, iniziai a fischiare come uno psicopatico verso la tenda di uno dei soldati semplici, il quale mi aveva aiutato a catturare il braccio destro della guerriglia irachena».

«E poi?» chiedo, continuando a ficcare il naso.

«Gli mostrai la preda, da cui poi ricavarono molte informazioni sulla guerriglia, e grazie alla quale riuscirono a catturare Azar Rajabian, un lurido verme, a cui piaceva mutilare le donne e che era ricercato per plurimi omicidi dall'FBI. Lo consegnarono e poco dopo arrivò per me una promozione. E nonostante non fosse l'obiettivo principale, dimostrai di che pasta ero fatto, e riuscì nel mio intento». 

«Come siete arrivati ad essere quello che siete?».

«Semplicemente ci siamo alleati dopo che ci avevano congedati» risponde e sinceramente, questa sua risposta non soddisfa affatto le mie aspettative, ma non mi viene in mente qualcos'altro da chiedergli per farmi raccontare altro. 

«E' così che ho avuto modo di ricontattare Carlos. Era rimasto esattamente quello che era quando me ne andai, nonostante fossero passati tre anni. Mi accolse a braccia aperte, con un sorriso da un orecchio a quell'altro».

«E toglimi la curiosità, come ci siete finiti poi negli Stati Uniti?» indago ulteriormente.

«Tobias, era un colonnello dei Seals, forza armata dell'esercito Americano. Quindi doveva avere per forza sede negli Stati Uniti, nonostante fosse colombiano. Ti dico tutto questo, perché l'iniziazione di questo "cartel" è stata proprio di Tobias, di conseguenza, abbiamo dovuto adattarci tutti noi e io, stupido e coglione, ho trascinato Carlos in tutta questa merda, portandolo dritto alla tomba».

«Non credo che tu gli abbia puntato una pistola alla tempia per farlo venire con te» alza lo sguardo su di me. «Quindi, non devi sentirti così in colpa per tutto questo. So che fa male, ma non è colpa tua» cerco di consolarlo. 

E infondo, credo seriamente che non debba sentirsi in colpa, infondo Carlos era un ragazzo intelligente, e sapeva i rischi di questo mestiere ancor prima di dovercisi lanciare a capofitto, quindi Tommy non ha nessuna colpa. Forse in cuor suo, il suo senso di colpa deriva dal fatto di non aver potuto fare niente per salvarlo o per recuperare il suo corpo, in modo da dargli una degna sepoltura. 

«Non è così invece..» sussurra a malapena.

«Io li devo la vita. Quel proiettile che probabilmente l'ha colpito, era indirizzato verso di me» e a questa sua frase, piena di dolore, mi sorgono dei dubbi.

Perché avrebbero dovuto colpire lui e non Carlos? 

«Perché dici questo?» indago.

«Perché con quei bastardi ho dei conti in sospeso» conclude. 

Quali conti? 

Perché dovrebbe avere qualcosa in sospeso con quelli che sono i loro acerrimi nemici? 

Che significa tutto questo?

«Ma adesso basta parlare di me» borbotta, scuotendo leggermente la testa. 

Cazzo.

«Va bene» affermo delusa. «Adesso dovrò far fronte con tutte queste nuove informazioni che ho su di te» continuo.

«Spero di non averti scioccata» sogghigna in tono scherzoso, anche se dal suo sguardo direi che è alquanto serio.

«Ho visto e sentito di peggio» annuncio, riportando alla memoria i miei brutti ricordi.

Ricordi di un'infanzia, formata da sangue, violenza e morte. 

Un'infanzia che in questo momento, vorrei dimenticare. 

Così iniziamo a parlare di cose a caso, come della palestra, al piano terra, super attrezzata, che ancora non ha avuto modo di provare. Poi invece divaghiamo, e torniamo a parlare del mio appartamento a New York, finché le cose non diventano un po' più intime.

«Sai di essere bellissima?» mormora, non distaccando i suoi occhi marroni dai miei. 

Un sorriso spontaneo si installa sulle mie labbra, rendendo le mie iridi ancora più luminose.

Il suo corpo, lentamente si avvicina al mio, come se fosse pronto a divorarmi, proprio qui, dove chiunque all'interno della casa potrebbe vederci.

Le sue mani, leggermente sporche di sabbia, sfiorano la pelle della mia guancia accarezzandola appena, per poi finire sulla ciocca di capelli che è sfuggita dalla mia coda bassa e posizionarla dietro all'orecchio.

I polpastrelli delle sue dita finiscono sulle mie labbra, che al loro leggero tocco, si schiudono pronte ad accoglierle senza nessun timore.

I nostri corpi si avvicinano ulteriormente, pronti a toccarsi ancora, a divorarsi, a consumarsi.

I nostri occhi si incontrano, le nostre labbra si cercano, i nostri istinti si desiderano. 

«Baciami Tommy» sussurro impulsiva, mentre un brivido di freddo attraversa la mia schiena. Un pungente imbarazzo si abbatte in me subito dopo aver pronunciato quella frase.

Sento le mie guance andare a fuoco, mentre le mani tremano leggermente dal nervoso.

Tommy non se lo fa certamente ripetere due volte e inizia un lento avvicinamento al mio corpo, non molto distante dal suo. 

Poggiare le sue labbra sulle mie non fu la prima cosa che fece, anzi, sembrava voler rendere romantico e dolce quel momento. 

Portò così le sue mani sulla mia vita, afferrando la mia carne dolcemente, in modo da portarmi a cavalcioni sulle sue gambe, restando la massima attenzione a non ferirmi ulteriormente alla clavicola.

E per l'ennesima volta, mi trovo su di lui, a stretto contatto con il suo corpo muscoloso, e che sembro desiderare ogni giorno con più ardore.

Mentre i nostri occhi non sembrano voler smettere di studiarsi a vicenda, la mia mano finisce sul suo petto, ferma, senza tentare di allontanarlo o di accarezzarlo, semplicemente se ne sta lì a sentire il battito accelerato del suo cuore. Esattamente come il mio. 

«E' davvero quello che vuoi?» domanda serio, appoggiando la fronte alla mia, mantenendo il contatto visivo. 

«Fallo» ordino frettolosa, prima che questo momento venga rovinato dalla mia testa confusa che cerca di mantenermi lontana dai possibili sentimenti che sembra io stia iniziando a provare per lui. 

E mi costa un sacco ammetterlo. 

La mia testa potrebbe scoppiare ogni volta che penso a Tommy e alle sensazioni che anche il suo starmi vicino mi provocano. Ed ogni volta che siamo da soli, finiamo per andare a letto insieme, come se non potessimo resistere l'uno all'altro, e tutto questo mi confonde. 

Confonde la mia anima sporca che non riesce a capire a chi o a cosa appartenga quella luce che vede infondo al tunnel. 

Tommy sembra sia la luce nella mia vita piena d'oscurità. 

E mentre sono troppo intenta a calmare il disastro che ho in testa, lui continua a fissarmi, non volendo decidersi a posare finalmente le sue labbra sulle mie. E sinceramente lo capisco, non faccio che rifiutarlo dalla prima volta che mi rivolse la parola, ed ora all'improvviso, sembro aver cambiato completamente idea, e capisco che questo possa averlo destabilizzato. 

Destabilizza completamente anche me, che mi ero ripromessa di non cascarci più da quando siamo stati insieme nella precedente casa. 

Ad ogni modo sembro decidermi finalmente, alzo leggermente la testa, allontanandomi di poco da lui e dal suo respiro costante che mi arrivava dritto sul mento. Porto la mia mano sulla sua guancia e mi decido io stessa a portare le mie labbra sulle sue. 

La sua bocca è morbida e calda, e non ci mette molto a chiedere il consenso per poter esplorare la mia. 

Le nostre lingue iniziarono a danzare incontrollate, si scontrano e danno il via ad una sorta di brividi carichi di erotismo che arrivano dritti al mio basso ventre, buttando più benzina su un fuoco già abbastanza doloso.

Delle rapide e confuse sensazioni si fanno spazio in me, mentre cerco di controllare tutte le mie forze e le mie energie in quel bacio intenso e ricco di passione, di desiderio, di lussuria. 

Nessuno era mai riuscito a conquistarmi come sta facendo lui. 

Le sue labbra pressate sulle mie, fanno terribilmente bagnare le mie mutandine, che invece che stoffa di pizzo, adesso direi che si siano trasformare in un ammasso di liquidi vaginali. 

Forse dovremmo rientrare prima che le cose diventino più bollenti. Non fraintendetemi, fare sesso sulla spiaggia è uno dei miei desideri più sconci e sporchi, ma non con certi spettatori che potrebbero gustarsi la scena dalle finestre delle loro stanze. 

Tommy sembra leggermi nel pensiero e si stacca da me, un piccolo lamento lascia le mie labbra incontrollate. I miei occhi sono chiusi, e ancora una volta ci troviamo uno contro la fronte dell'altro, mentre tentiamo di riprendere fiato. 

Restiamo così per qualche secondo, finché non si decide a spostare il mio corpo al suo fianco, in modo da potersi alzare. 

«Dai vieni» dice, porgendomi la sua mano sporca di sabbia, in modo da aiutarmi ad alzarmi. 

La affermo decisa, ma mentre mi tira su, lascia la mia mano, e finisco col battere il culo sulla sabbia che sembra essere diventata improvvisamente di pietra. 

«Sei uno stronzo» borbotto, mente lui scoppia in una fragorosa risata. E pochi secondi dopo, invece che farmi accecare dall'incazzatura per avermi fatta cadere, mi concentro su di lui e sull'espressione di relax che ha in viso. 

Non l'avevo mai visto ridere, con quella sua dentatura perfetta e la mascella che si contrae leggermente. 

Il suono che emana la sua bocca è quasi angelico, e non so per quale stupida ragione, ma anche io inizio a ridere come una pazza. 

E per una volta concentro i miei pensieri sul fatto che lui, nonostante sia uno stronzo, trovi sempre un modo per farmi rilassare, che sia con il sesso o con una semplice risata. 

Per una volta, non lo vedo come un sequestratore, ma come l'uomo che è, in tutta la sua giovane bellezza. 

Guardandolo bene in viso, ha un accenno di barba che a malapena si vede, sicuramente sarà la ricrescita da stamattina, ma devo dire che gli sta da Dio. Mentre le sue labbra sono spalancate in un enorme sorriso, delle piccole rughe si formano agli angoli delle labbra, mentre piccole borse si formano sotto agli occhi, che hanno uno strano luccichio.

Tommy è radioso, ed è capace di trasmettere questa sua felicità senza fare nessuno sforzo. 

La sua mano finisce nuovamente sulla mia, e adesso prima di tirami nuovamente su, mi assicuro che la presa sia salda. 

Finalmente mi decido ad alzarmi, spingendo leggermente sulle caviglie. 

Tra una risata e l'altra mi fa salire sulla sua schiena, in modo da portarmi in casa in braccio, facendo però la massima attenzione al braccio ferito. Io dal canto mio, non rinuncio all'offerta e gli salto letteralmente addosso e per una volta vestita. 

Percorre con passo svelto il resto di spiaggia che ci separa dal giardino della casa, raccontandomi delle barzellette che non fanno per niente ridere, ma scoppio comunque in una risata incontrollata a causa delle espressioni che fa mentre le dice. 

«Okay, questa non era per niente divertente» borbotto scoppiando ancora una volta a ridere, mentre l'unica cosa che vorrei fare è portare una mano sulla fronte e ruotare gli occhi al cielo per l'incredulità. O per la sua stupidità.

«Aspetta, ne ho un'altra» afferma a pochi passi dalla porta d'ingresso.

«Okay, ma questa è l'ultima» lo avverto, mentre asciugo una lacrima in procinto di lasciare la base. 

«Come stanno le scarpe ad un pittore?» mi domanda, aprendo la porta. 

«Non saprei e non lo voglio sapere» dico, non riuscendo a controllarmi. 

«Li calzano a pennello» aggiunge. Rido ancora, stavolta scendendo dalle sue spalle, perché potrei far cadere entrambi. 

Mi fermo dietro la porta e mi ci appoggio con tutte le forze, mentre vado in iper ventilazione a causa delle risate che mi ha provocato. 

Sapevo fosse una persona divertente, un ragazzo dalle mille risorse, ma quel che più mi sorprende è che pochi minuti fa ero sull'orlo di una crisi di pianto, pronta a deprimermi ancora per la vita di merda che sono costretta a vivere ogni giorno. Poco dopo arriva lui con nonchalance e mi racconta del suo passato, poi gli chiedo di baciarmi e lo fa senza nessun tipo di esitazione, ma il punto è che mi ha fatto stare fottutamente bene. 

Non pensavo che chiedendogli di baciarmi mi sarei sentita così. 

Non dico di sentirmi innamorata persa di lui, ma non mi è certamente indifferente come ho sempre pensato fino ad ora. 

Forse è arrivato il momento di ammetterlo a me stessa, lui mi piace, mi fa stare bene e oltretutto, riesce a farmi ridere come una cretina, cosa che non in molti riescono a fare. 

Infondo Tommy è capace di strapparmi un sorriso anche involontario, a volte non si sforza neanche, eppure, io mi ritrovo a pensare a lui ed a non rendermi conto di avere un sorriso a trentadue denti stampato in faccia. 

Calmo la mia frenetica risata e mi dirigo verso la cucina, apro l'anta del frigorifero alla ricerca di una bottiglietta d'acqua, che però non trovo, in alternativa, afferro una caraffa di spremuta e ne verso un quantitativo sufficiente in un bicchiere di vetro.

Tommy mi imita, raggiungendomi sull'isola in cucina, e da quest'ultima afferra una banana che si affretta a sbucciare, per poi divorarla in pochi secondi. Io non faccio che guardarlo divertita. 

E' veramente un bel uomo.  

Adesso che siamo uno difronte all'altro, in questa enorme cucina, con tanto di luci soffuse, in quanto la maggior parte dei nostri "coinquilini" già dormono, l'imbarazzo sembra tornare tra di noi. 

Finisco in fretta il mio succo, e ripongo il bicchiere sporco nel lavello.

«Beh, io vado a letto» mormoro, strusciando la mano sulla stoffa leggera di questi orribili pantaloni della tuta sempre di Jordyn.

«Buonanotte» continuo e, non sapevo cosa diavolo fare, mi appresto a passargli accanto e a cercare di raggiungere le scale, ma ancora prima di poter anche solo aggirare l'isola, lui afferra il mio polso e mi tira verso di lui.

«Non così in fretta» farfuglia sul mio collo, stringendomi a sé.

I nostri corpi sono a pochi millimetri di distanza, mentre mi guarda dall'alto verso il basso con quel suo fare misterioso e indecifrabile. 

Lo guardo negli occhi e cerco di captare le sue reali intenzioni, anche se so già dove andremo a parare. 

«Che vuoi?» chiedo socchiudendo gli occhi a due fessure, cercando di non fargli intravedere il desiderio che ho di lui, del suo corpo, del suo cazzo. 

«Lo vuoi davvero sapere?» sussurra, portando le sue labbra sul mio lobo, mordicchiandolo appena. «Perché potresti pentirtene» continua, posando un leggero bacio sul punto sensibile del mio collo.

Un brivido di eccitazione attraversa il mio intero corpo.

Vibrazioni di energia positiva, sembrano entrare nelle mie vene e farsi spazio tra le mie cosce e ancora una volta, senza che neanche si sforzi, la mia vagina si contrae, rilasciando una piccola quantità di umori sulle mie mutandine. 

«Che intenzioni hai Thomas?» biascico con tono sensuale.

«Voglio scoparti» sussurra ancora fissando i suoi occhi nei miei.


Spazio autrice. 🌺

Buon Natale! 🎄
Ecco qui il mio regalo, che con un piccolo e lieve ritardo è giunto a destinazione.
Mi dispiace dovermi sempre scusare per questi aggiornamenti, che avvengono ogni morte di papa, ma realmente sono oberata di impegni e di studio.
Sapete che aggiornerò appena mi sarà possibili.
Lasciate pure qualche stellina e fatemi sapere chene pensate di sti due.

Kiss kiss.
Nicole.

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