Capitolo 19.

Charlotte's pov.


Come previsto dall'infermiera, il Dr. Calah ha firmato le carte per la mia dimissione stamattina, permettendo a me e Jordyn di imbarcarci poche ore dopo.

Non mi aspettavo certamente che avrebbe rischiato a portarmi in aeroporto, ma dalla loro parte probabilmente c'è il fatto che la denuncia della nostra scomparsa non sia ancora arrivata qui. O almeno è quello che ho dedotto io.

E sinceramente questa notizia non mi ha sconvolto, infondo non credo che papà stia pensando che io sia sparita, anzi, probabilmente starà pensando che abbia deciso di partire per qualche vacanza e, la scomparsa di Cheryl e Michel, non potrebbe far altro che alimentare questi suoi pensieri. Così come Bryce, il quale si sarà già impossessato della mia stanza, senza chiedersi minimamente dove io sia finita.

«Ci siamo quasi» mormora Jordyn, risvegliandomi dai miei pensieri.

«Okay» rispondo, continuando a guardare fuori dal finestrino, cercando una qualsiasi distrazione per il dolore e per tutto ciò che mi frulla nella testa in questo momento. 

Dio, mi hanno sparato. 

Mi hanno sparato alla clavicola, provocandomi una grave frattura, che per mia grande fortuna non ha necessitato di un intervento chirurgico, il quale avrebbe richiesto tempi molto più lunghi per il mio completo recupero. Ma questo non cambia il fatto che mi abbiano sparato, e che qui con me ci sia Jordyn, Jordyn riuscite a crederci?

Infondo è vero che ci conosciamo ormai da anni, ma sono davvero sconvolta dal fatto che sia rimasto lui e non Tommy.

Cioè capisco che ora come ora non ci parliamo, stiamo mantenendo le distanze l'un dall'altro dopo che mi ha beccato con quel dannato telefono, ma credevo che la mia vita per lui valesse molto più di questo.

Credevo che iniziassimo ad andare d'accordo, che iniziassimo a conoscerci in modo diverso, in un modo più intimo, e non solo perché siamo andati a letto insieme. Iniziavamo a costruire una sottospecie di amicizia, sì, un'amicizia tra sequestratore e vittima, ma pur sempre un qualcosa. 

Un qualcosa che nonostante mi facesse impazzire per i suoi modi bizzarri, infondo mi piaceva.

Tutto questo perché forse quello a piacermi davvero è proprio Tommy, ma sono troppo orgogliosa per ammetterlo, sono orgogliosa perfino a pensarlo. 

Charlotte, riprenditi.

Sussurro a me stessa, sperando di togliermi dalla testa questi stupidi pensieri. 

«Sono il comandante Klent, volevo solo informarvi che tra meno di due minuti toccheremo il suolo, quindi vi prego di prendere posto» annuncia il capitano. Ha una voce allegra, e sembra essere un uomo soddisfatto della propria vita, o per lo meno dal suo lavoro.

«Allaccia la cintura» ordina il moro seduto dall'altra parte del velivolo, lo guardo senza rispondergli, in modo da fargli capire che in realtà l'ho indossata per tutto il viaggio. E per di più, mi è un po' difficile sganciare e riallacciare una cintura con un braccio totalmente fasciato. Mi limito solo a guardarlo però, sinceramente non sono in vena di chiacchere, neanche con lui, anche se nella mia testa effettivamente alleggiano un sacco di domande. 

Vorrei chiedergli di tutto, di come diavolo gli sia venuto in mente di distruggere così la sua vita, immischiandosi con gente del genere, ma decido di limitarmi a guardarlo.

Osservo la forma perfetta del suo viso, con quella mascella squadrata e quel naso alla francese pronunciato, non mi ero mai soffermata su quanto fosse realmente attraente. D'altro canto l'ho sempre visto come un fratello, nonostante tra noi corrano solo due anni. 

Un rumore stridente di gomme che si scontrano con l'asfalto mi fa sobbalzare, provocandomi una fitta di dolore alla ferita. 

«Cazzo» impreco cercando in qualche modo sollievo provando a tirare a me il braccio. Posso giurare che il capitano Klent mi stava simpatico, ma dopo quest'orribile atterraggio, ha perso ogni mia stima nei suoi confronti.

«Resisti ti prego, manca ancora un po' di strada prima di arrivare a casa».

«Oh a casa? Davvero Jordyn?» sputo perdendo la pazienza. 

«Char, dai, non fare così» mormora voltandosi verso di me, dato che ancora non può alzarsi per via del fatto che le spie delle cinture sono ancora accese.

«Char, adesso sono tornata ad essere Char per te, Jordyn?» ribatto, «Pensi seriamente di starmi riportando a casa? Mi stai riportando in una fottutissima gabbia di matti, pronti a spararmi non appena gli risponderò di no ad un loro fottutissimo ordine» mormoro con la massima calma stavolta, voltandomi anche io verso di lui. 

I nostri occhi si incontrano, e devo dire che i suoi oggi, sono più cupi del solito, non hanno la loro solita tonalità grigia-celeste, ma bensì un colore più scuro, che va quasi sul verde.

«Pensi che io gioisca a tenere prigioniera il sangue del mio sangue? Pensi che non abbia fatto di tutto pur di liberarvi da questa "gabbia di matti"?».

«Beh, questo non è abbastanza Jordyn» puntualizzo, chiudendo il discorso. 

Riporto i miei occhi fuori dal finestrino, pregando che questo affare la smetta di gironzolare per la pista e si decida a fermarsi, così potrò finalmente risentire il vento fra i capelli e l'aria fresca inebriarmi le narici. Ne ho bisogno.

Ed in un batter d'occhio, il velivolo finalmente si ferma, spegnendo finalmente le spie di sicurezza, permettendo al moro di sganciare la cintura per potermi raggiungere. 

Nel momento in cui si siede al mio fianco, senza sganciare anche la mia di cintura, capisco che non abbiamo affatto chiuso l'argomento.

«Charlotte» chiama, in modo che mi giri nuovamente verso di lui, e nonostante non ne abbia la ben che minima voglia, lo faccio. Infondo ho voglia di sentire ciò che ha da dire.

«Ho provato ad aiutarvi innumerevoli volte, beccandomi dei richiami continuamente..» inizia, «Vi ho aiutate a trovare dei vestiti, del cibo, una stanza a testa, lo so che non è il modo in cui ti saresti aspettata una mano da me, ma le cose stanno così. Vorrei che ti abituassi a questa nuova realtà-».

«Che diavolo? Credi che sia questo il modo in cui voglio che mi aiuti?» ringhio guardandolo dritto negli occhi.

«No, ma non vi posso aiutare di nuovo ad andarvene» mormora.

Cosa? E questo che vorrebbe dire?

«In che senso di nuovo?» domando confusa. 

«Credevi davvero di riuscire ad uscire da quella casa senza un aiuto dall'interno?».

«Non capisco..» sussurro passandomi la mano libera tra i capelli arruffati e sporchi più che mai. «Com'è possibile?».

«Una notte vi ho sentite parlane, stavate valutando tutte le opzioni, tra cui quella di provare a mettere KO tutti quanti, e da lì avevo dedotto che avreste lasciato perdere» racconta, «Ma una seconda volta vi ho sentite ancora, avevate la libertà in mano, ma non vi siete mai accorte delle telecamere in ognuna delle vostre stanze».

«Aspetta, questo significa che tu hai visto e sentito tutto?» chiedo sconvolta da questa affermazione. Non posso credere a ciò che sento. 

«Si, so anche di te e di Tommy, ma non è questo il punto. La vostra fortuna è stata che ad occuparsi della sicurezza in tutta la casa ero io. Pensa se qualcun altro avesse sentito i vostri piani, adesso non sareste qui, nessuna di voi, neanche mia sorella» esordisce, mentre posso notare dal suo sguardo che sta pensando a tutte le cose brutte che ci sarebbero potute capitare. 

«Okay, ma non hai comunque fatto abbastanza» sospiro, portando la mia mano verso la sua. 

«Capisco che non puoi, anzi no, non capisco perché non ti rifiuti. Non capisco perché non impedisci a quei figli di puttana di far del male al sangue del tuo sangue. Non capisco perché tu sia finito in mezzo a questa gente. Che stavi cercando Jordyn, un po' di adrenalina?» sbraito, prendendogli la mano.

«Io non capisco, davvero» mormoro infine con un tono di voce più basso, «Ti chiedo solo di cercare un modo per fa sì che stia bene».

«Nessuno le farà dal male, Char, nessuno».

«Promettimelo!» esclamo guardandolo dura.

«Promesso» sorride, avvolgendomi con le braccia, cercando però di evitare di ferirmi.

«Adesso scendiamo, che ci aspettano ancora almeno un altro paio di ore per arrivare» ammette alzandosi, non prima però di aver slacciato la mia cintura, permettendomi finalmente di alzarmi.



Tommy's pov.



«Quando arrivano?» chiede spazientito Sasha, seduto al mio fianco sul sedile del passeggero.

«Dovrebbero essere qui a momenti» informo, continuando a mantenere lo sguardo fisso verso il molo. 

Se avessi saputo che ci avrebbero messo così tanto, sarei andato io stesso a prenderli all'aeroporto, almeno non avrei aspettato così tanto per rivederla.

«Amico, non dirmi che sei nervoso?» indaga il biondo, con un sorrisetto malizioso sulle labbra. «Sono sicuro che continuerà a dartela, nonostante tu l'abbia lasciata con un altro uomo» continua, prendendo un altro tiro dallo spinello.

«Sasha, sta zitto» borbotto guardandolo, «Non mi interessa scoparmela, voglio solo che arrivino così da tornare a casa».

«Se certo, guarda come ti credo» afferma guardandomi torvo.

«Taci».

«Non provi niente per la puttanella vero?».

«No, figurati e non chiamarla più così» rispondo facendo spallucce, riportando lo sguardo verso il molo, al quale sta attraccando lo yatch.

Chissà se mi rivolgerà la parola? Probabilmente non vuole saperne di me, l'ultima volta che abbiamo "parlato" le ho chiaramente detto di volerla morta. 

Invece, io la voglio e basta

Senza mezzi termini, la voglio con me, per me.

Charlotte mi ha stregato. E come unica soluzione il mio cuore sembra suggerirmi di amarla e basta. E' semplice. O meglio, lo sembra, ma non lo è affatto.

«Ecco il mio finocchio preferito» urla Sasha in direzione di Jordyn mentre apre velocemente la portiera per andargli incontro.

Lo vedo correre felice in direzione della sua puttanella, come lo chiama lui, e non appena raggiunto, gli salta addosso come avrei voglia di fare io con lei, che se ne sta in disparte dietro ai due.

La vedo bene devo dire, forse è dimagrita un po', ma niente che non si possa aggiustare con un buon piatto della cucina colombiana di Tobias.

Scendo anche io dall'abitacolo, appoggiandomi al cofano di quest'ultimo, portando l'ennesima sigaretta della giornata alle labbra. Muoio dalla voglia di correrle incontro caricarmela sulle spalle e portarla ovunque, l'importante e stare da soli e poter chiarire in qualche modo.

I nostri occhi si incontrano, si studiano e si rallegrano, o almeno i miei. 

Lei è bellissima.

Ha quella massa di capelli biondi indomabili che le incorniciano quel viso perfetto, è un po' ammaccato, ma pur sempre perfetto.

Ed è come se il tempo si fermasse, tutto va a rallentatore, tutto tranne che il battito del mio cuore, accelerato più che mai, quasi come se volesse uscirmi dal petto. E posso giurare di aver sentito crollare ogni armatura che finora lo proteggeva.

«Oh merda, andiamo» m'interrompe Sasha, che in un attimo è davanti a me, affiancato da Jordyn e da lei.

«Ciao» la saluto con la gola completamente secca e le ginocchia pronte a cedermi.

«Tommy» sibila, alzando le sopracciglia.

Il mio nome non era mai suonato così dolce e sexy detto da nessun altro, e risentire la sua voce è wow. Non riesco neanche a distoglierle gli occhi di dosso, mentre la sigaretta che avevo tra le dita, ormai si sta disintegrando sull'asfalto.

Ha il braccio sinistro completamente fasciato, e l'espressione che ha sul viso mi suggerisce che non se la passa per niente bene, mi immagino che le stia facendo un male cane.

Vorrei chiederle come sta, vorrei poterla aiutare in qualche modo a curare quella ferita, eppure qualcosa mi suggerisce che a farle male non è solo il braccio, ha ferite ben più profonde di cui voglio conoscere la natura. Ferite che ho intenzioni di aiutarla a curare.

«Oh, ti dai una mossa» borbotta il biondo.

«Sasha, mi hai rotto i coglioni, taci» sbraito innervosito, ma ha ragione, non dovremmo farci notare più di tanto da questa gente. 

Meno sanno, meglio è.

«Portala in macchina» ordino a Jordyn, il quale l'afferra per il braccio destro e l'accompagna all'interno del suv, e io li seguo poco dopo.



Charlotte's pov.



Il viaggio verso la mia nuova dimora non è poi così lungo, sicuramente niente paragonato al volo in aereo e il passaggio con lo yatch da un'isola ad un'altra.

Arriviamo davanti ad un'enorme villa dal design classico e sofisticato, molto simile alla mia casa ideale, anche se ho dei coinquilini bizzarri ed assai pericolosi, ma questi sono solo dettagli.

Jordyn mi apre la portiera e successivamente mi aiuta a scendere dalla macchina. I miei piedi, che calzano un paio di convers, atterrano sul brecciolino, il quale stride sotto al peso del mio corpo. 

Mi guardo intorno, e come nella casa precedente, anche qui siamo totalmente circondati dal verde, almeno nella parte anteriore della casa. 

«Charlotte» chiama Tommy, volendo attirare la mia attenzione, non sapendo che non ha bisogno neanche di dovermi rivolgere la parola per farlo. 

La sua sola presenza attira la mia attenzione.

«Voglio vedere Cheryl e Michel» ammetto voltandomi verso il mio compagno di viaggio, ignorando completamente il moro. Non ho tempo da perdere con lui ora. 

«Certo, ti stanno aspettando» sorride. Mi fa segno di seguirlo, ed è quello che faccio. 

Lo seguo lungo il vialetto, dove altre macchine di lusso sono parcheggiate in una grande piazzola che si estende davanti alla porta d'ingresso. Quest'ultima è già aperta, e proprio sulla soglia ad aspettarci c'è la persona che più amo, dopo Sasha ovviamente.

«Tobias» saluto.

«Come stai?» domanda e posso constatare che sembri realmente preoccupato.

«Meglio, grazie» sibilo, sperando che questa "conversazione" si tronchi seduta stante.

«Vieni, ti stanno aspettando, sia i tuoi farmaci che le.. Beh, loro» indica con il pollice la stanza dietro di lui, che altro non è che il salotto. 

Faccio qualche passo avanti, allontanandomi dalla sua imponente stazza, e finalmente le vedo, intente ad apparecchiare la tavola in attesa del mio arrivo. 

«Hey» richiamo, avvicinandomi all'ampio open space. 

«Oddio, stai bene? Che ti è successo? Eravamo così preoccupate per te, Charlotte, rispondimi, stai bene?» farfuglia Cheryl, non appena mi stringe forte a sé, non accorgendosi del male che mi sta facendo.

«Mi fai male» sussurro, stringendola con il braccio sano. 

«Scusami cazzo, scusami, oddio» biascica in preda al panico allontanandosi subito da me, in modo da potersi portare le mani fra i capelli e disperarsi come farebbe un'attrice che cerca di vincere l'Oscar. Non fraintendetemi, lo so che è preoccupata e molto logorroica, ma è Cheryl. 

E questa sua reazione, come al solito esagerata, non può che farmi sorridere, e in un certo senso mi sento a casa.

«Ciao tesoro» saluto Michel, che fin ora si era limitata a starsene in disparte con le guance totalmente rigate dalle lacrime e le mani a nascondersi le labbra, in modo che io non vedessi la sua brutta espressione quando piange. 

Mi avvicino a lei, che è praticamente inerme, e la stringo a me come posso. «Sto bene» le sussurro tra i capelli, mentre la tengo stretta a me. 

Non sono mai stata una tipa da abbracci e da effusioni amorose, ma ne hanno bisogno, e forse anche io stessa ho bisogno di contatto fisico. 

Restiamo per qualche minuto in quella stessa posizione, con Cheryl che si è aggiunta a noi e stavolta cerca di far maggiore attenzione a non toccare la mia spalla dolorante. Restiamo unite in una specie di abbraccio, sincronizzando i battiti cardiaci, il respiro e i pensieri. 

Rilassandoci finalmente dopo tutto quello che abbiamo vissuto quella sera.


***



E' passata qualche settimana dal mio ritorno e le cose sembrano essere totalmente diverse. In quest'ultimo periodo, sembriamo essere diventanti quasi una specie di "famiglia" e, mi vergogno a dire questo, ma ricorda molto com'era la mia di famiglia, prima della scomparsa della mamma.

Questo branco di selvaggi infondo ha un cuore e, mi dispiace che ci sia voluta la morte di uno di loro per permetterci di conoscerli davvero.

Carlos, la persona più gentile all'interno di questo gruppo, non c'è l'ha fatta. Quel ragazzo è stato l'unico tra loro che fosse riuscito a guadagnare la nostra completa fiducia e il nostro rispetto. L'unico, a parte Jordyn, che si fosse sempre preoccupato di come stessimo, l'unico che ci abbia mai davvero rivolto la parola.

Il dolore per la sua morte inaspettata, ha reso le cose un po' più facile per tutti in quanto anche noi, pur conoscendolo a malapena, ne abbiamo sofferto molto. 

Lui era sempre stato gentile.  

Era sempre pronto a rispondere e a preoccuparsi di qualsiasi esigenza della quale sentissimo il bisogno. 

Come quando, poco dopo una settimana circa dal nostro arrivo in questa malata "famiglia", a Michel venne il ciclo e si ritrovò completamente nella merda in quanto, all'interno di quella casa non c'era neanche un misero assorbente, figuriamoci un tampax.

Per fortuna in suo soccorso, accorse Carlos, con quel suo fisico muscoloso, senza nessun tatuaggio, e gli occhi di quel verde che ti penetravano la pelle. Si offrì di andarle a prendere qualsiasi cosa avesse bisogno al supermercato distante chilometri da noi. 

E due ore più tardi, tornò con uno scaffale intero di assorbenti di ogni tipo, questo perché aveva detto che tutte le confezioni erano uguali e dato che si era ritrovato ad avere l'imbarazzo della scelta, decise di prendere una confezione di ogni tipo.

«In questo modo non potevo sbagliare» si giustificò, alzando le spalle ed aprendo le mani verso di noi che ridevano sotto i baffi. 

Ed era giusta quella giustificazione, infondo solo noi donne sappiamo realmente cosa vogliamo. Fu quel giorno, in quello stesso istante, che capì l'animo gentile e totalmente innocente di quello splendido ragazzo. 

Lui sì che era una brava persona, forse la migliore, perfino di noi ragazze, eppure gli è stata riservata la morte.

Ed ora a ripensarci, le lacrime tornano a riempire i miei occhi, ma decido di non lasciarmi sopraffare da tutte le emozioni dell'ultimo periodo e di pensare ad altro.

La frattura alla clavicola fa tremendamente male, e sono così grata all'inventore degli antidolorifici che me lo sposerei se ancora fosse in vita.

Non faccio che ingozzarmi di farmaci contro il dolore, dato che tra non molto dovrò iniziare a fare fisioterapia, ma prima la frattura deve guarire completamente e questo mi causa un dolore allucinante.

Nonostante questo però, nonostante io sia sotto medicinali, mi sono decisa a scolarmi una bella e fresca Corona.

Mentre prendo un altro sorso della mia birra, continuo a guardare le onde che baciano la sabbia morbida, toccando finalmente la terra ferma, per trasformarsi in schiuma e poi ritrarsi di nuovo in mare. 

La salsedine e l'inconfondibile odore di pesce avariato investono il mio olfatto, ma infondo non mi dispiace più di tanto.

La brezza marina questa sera è particolarmente rilassante, soprattutto sembra impegnarsi a far riaffiorare in me cose alle quali, momentaneamente, non vorrei pensare.

Cose delle quali mi devo immediatamente occupare, in modo da poter finalmente essere libera di vivere la mia vita. 

Libera di poter fare qualsiasi cosa io voglia, senza il pensiero costante di aver qualche punto in sospeso.

I miei occhi, tornano nuovamente sulla bottiglia in vetro che ho tra le mani, la mia Corona è praticamente finita e nonostante abbia voglia di berne un'altra, non ho la minima voglia di rientrare in quell'enorme casa.

Che devo dire, è la più bella che abbia mai visto e per di più è abnorme, ancor più grande della prima in cui abbiamo vissuto, quando eravamo in Messico. Si estende su ben tre piani, più il seminterrato. Al piano terra, non appena attraversi la porta d'ingresso, ti immergi in un ampio spazio giorno, dotato di un ampissimo open space, con la cucina ad isola che si affaccia sia sul salotto che, sulla sala da pranzo. Andando avanti, verso le scale, al cui fianco c'è un lungo e luminoso corridoio, si trovano diverse camere, adibite ad ufficio, biblioteca, sala tv e palestra privata che si affaccia direttamente al giardino attraverso le enormi porte finestre in vetro.

Al primo piano invece, si trovano la maggior parte delle stanze, tra cui la mia, ognuna con il proprio bagno privato, tranne alcune dei ragazzi che devono condividere quello di servizio. 

Al terzo, o meglio, nella mansarda, ci sono altre due stanze, che sono rispettivamente di Tobias e Tommy. 

Dalla mia stanza è possibile vedere l'enorme giardino, con una grande piscina, il quale si suddivide in diversi spazi, dedicati alla conversazione, al ricevere gli ospiti, al barbecue della domenica, come se poi ci sarà un momento in cui veramente useremo tutto questo. E poi, oltre al giardino, si estende la spiaggia, con tanto di pontile su cui è attraccato, oltre a piccole imbarcazioni, anche l'enorme e lussuoso yacht su cui sono arrivato sull'isola. 

Devo dire che non ci vanno piano con le spese, ma come potrebbero, guadagnano milioni di dollari ogni ora del giorno. 

Decido di ritornare a concentrarmi sull'orizzonte, verso quell'infinito e immenso cielo di un colore scuro, ornato da tante piccole stelle lucenti, in quanto saranno quasi le due di notte.

Ancora una volta vengo colpita da quante cose ancora non sappiamo dell'universo. 

Sono ormai passati miliardi di anni da quando è nata la terra, che sia a causa del Big Bang o per il poderoso tocco di Dio, ma sono miliardi di anni che ammiriamo un cielo che non sappiamo neanche di cosa sia composto. 

E a volte è inevitabile chiedermi, se realmente esiste un paradiso, se davvero esiste l'inferno, se davvero esiste un purgatorio, dove le anime che hanno qualche speranza di essere recuperate possono redimersi ed essere perdonate da un Dio, per il quale si sono fratturati le ginocchia ogni singola domenica della loro vita. 

Se così fosse, se esistesse davvero un paradiso, un inferno e un purgatorio, credo che la vita non farebbe così schifo. 

Se così fosse credo che ognuno di noi avrebbe la possibilità di diventare ciò e chi vuole essere. Avrebbe la possibilità di possedere qualsiasi cosa esso voglia. 

Ma non esiste niente di tutto questo. 

Nonostante sia cresciuta con la costante presenza dei regali di mio padre, non posso che essergli ingrata, perché riempiendomi di regali, non ha fatto che aumentare le mie aspettative che la vita ci regalasse tutto ciò che abbiamo sempre desiderato. 

Non ho mai capito davvero cosa voglia dire guadagnarsi qualcosa con il proprio sudore sulla fronte, con le mani incallite e la schiena distrutta.

Non ho mai provato la sensazione di frustrazione, nel sapere di dover tornare in una casa che a lungo andare non so se continuerà ad essere mia. Non ho mai dovuto pensare alle bollette, alla spesa, al cibo che metto sotto ai denti. 

Non ho mai avuto tutte queste preoccupazioni nella mia vita, e non fraintendetemi, non è che le voglia vivere, ma credo che se fossi capitata in una famiglia diversa, saprei amministrare i miei guadagni, saprei che quando vado al centro commerciale, non devo sperperare tutti i soldi che voglio. Mi porrei dei budget, dei limiti, cose di cui non conosco neanche l'esistenza.

Credo di potermi considerare una sottospecie di regina, seduta sul proprio trono ad aspettare che siano gli altri a fare il lavoro sporco per soddisfare ogni mio desiderio. 

Ma non voglio più essere questo tipo di persona. 

Ho un chiaro obiettivo e questo non lo cederò a nessun altro. 

Questo lavoro mi appartiene. 

Quella testa di cazzo mi dovrà pregare di permettere che sia qualcun'altro a fargli ciò che ho intenzione di fare con le mie mani di porcellana. 

Nessuno si dovrà azzardare a toccare la mia preda, nessuno.

«A che pensi?» mi interrompe qualcuno, comparendo alle mie spalle. Risvegliandomi dai miei pensieri e spaventandomi a morte. 

«Lasciami stare» sussurro, riconoscendo la sua voce e voltandomi appena verso di lui. E' bello ed attraente come suo solito racchiuso in un paio di pantaloncini da basket e una felpa.

«Okay ma, mi siederò comunque qui» afferma, indicando la distesa di sabbia bianca della spiaggia. 

«Okay» dico, riportando il mio sguardo sull'immenso cielo blu e sulle sue infinte stelle.



Spazio autrice.  🌺



Buonasera.
Eccomi qui, non sono sparita, solo che le cose da fare sono talmente tante che a volte non ho il tempo fisico per scrivere e dedicarmi totalmente a voi.
In questi mesi siete aumentati davvero tanto e questo non può che rallegrarmi.
Volevo dirvi immensamente grazie per tutti voi che nonostante i miei pochi aggiornamenti, continuano comunque a seguirmi.

Kiss kiss.
Nicole.

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