54 | promise
Non c'è granché da dire riguardo a cosa abbiamo fatto io e Dean a casa mia, dal momento che la sottoscritta è rimasta per circa quarantacinque minuti con la madre in cucina con l'intento di calmarla e rassicurarla, ché è a pezzi per l'ufficiale addio di mio padre, lasciando nell'arco di quel tempo il mio amico/fidanzato solo. Al termine dei singhiozzi e delle lacrime versate per un uomo che non può essere definito tale, mi indirizzo in camera mia, ove il mio ospite si è addormentato con tanto di bava che cola sul mio letto. Per un secondo provo tenerezza, ma poi il desiderio di svegliarlo coi fiocchi, sostituisce quello precedente. Innanzitutto, metto un piccolo asciugamano sotto la sua testa, di modo tale che non sbavi troppo sul mio cuscino, e per seconda cosa corro giù per le scale alla ricerca di panna montata, uova e altro. Tuttavia, ritornata al piano superiore, Dean riesce a precedermi in questo piccolo piano malefico: mi spaventa così tanto che le uova che tenevo in mano vengono rotte da me e la panna spray invece mi cade sul piede.
"Sofia? Cos'è stato? Tutto okay? Devo salire?" domanda la donna di casa e io mi affretto a risponderle negativamente.
"Stronzo! Ma non stavi dormendo?!" bisbiglio alterata, rivolgendomi a colui che pochi minuti fa aveva una cascata che scendeva dalla bocca.
"Mi sono svegliato con la tua corsa a passi d'elefante, Shakira" mi canzona e io non perdo tempo a tirargli una sberla in modo scherzoso.
"Dammi una mano, testa di cazzo" gli ordino e questo senza spiegazioni mi toglie la maglietta, sporcata anch'essa oltre che al pavimento. Rimango alquanto stupita da questo suo primo passo, dato che fino ad una settimana fa, non avrebbe nemmeno osato sfiorarmi, etichettandomi come una ragazzina.
"C'è mia madre giù, mongolo. Tieni le mani a posto" lo rimprovero, ma mi contraddico saltandogli in braccio per baciarlo, non curante assolutamente delle tre uova spaccate per terra. Ricambia immediatamente il bacio, strizzandomi con una mano una chiappa e facendo cadere con l'altra la mia t-shirt, per usarla come moccio, cui bastone corrisponderebbe in questo caso alla sua gamba – non a qualcos'altro, birichine. Anche se devo ammetterlo: mi sono immaginata la scena, tant'è che interrompo l'esplorazione della sua bocca con la mia lingua per ridere.
"Hai voglia?" mi guarda malizioso e andrei volentieri oltre, ma non vorrei viziarlo troppo con il mio dolcetto. Così, a malavoglia, mi stacco, facendogli intuire la risposta.
"Sono confuso. Mi sei saltata addosso, ma non vuoi...?"
"Esatto" confermo le sue parole, andando a mettermi una felpa per poi abbrancare disgustata la mia maglietta ricoperta di tuorli e albumi, che – seguita in tutto da Dean – vado a buttare direttamente nella spazzatura fuori dal cancello, a disposizione del quartiere. "Non sono solo un buco da riempire, okay?"
"Sì, lo so, tranquilla. Non ti ho mai ritenuta tale" alza le mani in segno di resa e non riesco a spiegarmi neppure io il perché lo abbia appena assalito in questo modo. "Tu mi piaci perché sei molto altro, quanto ti ci vuole a capirlo?"
Resto in silenzio e ancora mi prudono i palmi delle mani per la rabbia, che accidentalmente ho riversato in parte su Dean, il quale non ha nessuna colpa.
"Adesso avrei proprio bisogno di prenderti a pugni in quella palestra" affermo leggermente imbarazzata per i miei sbalzi d'umore che io in primis non comprendo. Lui sorride e mi sposta una ciocca di capelli dietro l'orecchio destro, ponendomi:"Perché mai?"
"Perché sei fastidiosamente dolce."
Ridacchia, fissandosi attorno: il sole ormai è tramontato e, se non fosse per qualche lampione posto a distanze esorbitanti, il mio quartiere sarebbe nel buio più totale. Grazie però all'imminente arrivo della primavera, si sta abbastanza bene, non essendo la lieve brezza che tira né troppo fredda né troppo calda.
"Che ne dici di fare un giro a piedi e parlare?" propone e detto papale papale preferirei stare nel mio letto o sul mio divano a parlare, ma se proprio ci tiene, non mi tocca altro che accettare, con le mie solite condizioni.
"A patto che l'argomento non cada su mio padre o tantomeno mia madre."
"Andiamo, nana" non fa polemica e, intraprendendo la strada verso il parco pubblico, chiacchieriamo come dei semplici e normali amici: io con le mani nella tasca della felpa e lui ogni tanto mi spintona scherzosamente.
"Dimmi qualcosa che non so di te" pretende lui, con un accenno di sfida, come se fosse convinto di sapere ogni mio segreto e caratteristica, da non poter essere più sorpreso.
"So twerkare" dichiaro piena di me e in seguito ad un silenzio di un minuto esatto, mi ferma e si posiziona davanti a me per muovere il fondoschiena, canticchiando in contemporanea Bum bum tam tam di MC Fioti. Scoppio in una risata isterica, colta alla sprovvista da questa sua azione.
"Ai miei tempi era la ragazza che ballava così" interviene il signore Passilongo, un vecchietto prossimo ai sessanta, che conosco essendo uno dei miei vicini e che al momento sta portando a spasso il cane. Dean arrossisce quando realizza di essere stato visto da questo, ma non si fa abbattere, anzi aggiunge:"Sono bravo, vero signore?"
Ma l'altro ridendo, se ne va, frantumando la convinzione di Dean in mille pezzettini, che tento a ricostruire complimentandomi:"Muovi benissimo il culo, Dean-osauro."
"Tocca a te, adesso."
"Tu portami in una discoteca" controbatto, dato che non riesco a ballare senza musica.
"Io, tu e l'alcol non siamo un bel mix" accenna alla meravigliosa notte del compleanno di sua sorella Zoe e della mattina seguente piena di complicazioni – che a me piaciuta parecchio.
"Due di quei che hai nominato sì."
"Io e te?"
"Io e l'alcol, non darti troppe arie" gli faccio l'occhiolino e, avvicinandomi a sé poggiando un braccio sulle mie spalle, mi insulta:"Stronza."
"Solo per te."
"Che onore!"
"Ritornando al discorso di prima: dimmi tu qualcosa che non so di te" lo sfido e la sua risposta mi lascia alquanto spiazzata, avendolo io sempre ritenuto il solito ragazzo con l'incredibile necessità di appagare i propri desideri sin dall'inizio dell'età adolescenziale.
"Ho perso la verginità a diciotto anni."
"Wow, questa non me l'aspettavo. Solitamente i ragazzi la perdono prima."
"Lo so, ma io ero concentrato più sullo studio che sulle ragazze" si giustifica ed è un aspetto ammirevole, ne esistono pochi come lui, la maggioranza dei muniti di pene della mia compagnia al contrario non sa distinguere un aggettivo da un sostantivo.
"Io invece l'ho persa il primo anno delle superiori" mi confido senza vergognarmi minimamente.
"Con Naìm, suppongo."
"Sì" gli do certezza e un pizzico di irritazione è facilmente visibile nella sua sorta di smorfia. Chissà lui con quante è già stato!
"Una volta, mi feci il piercing al capezzolo per un obbligo" prosegue con la rivelazione dei suoi segreti e io non riesco ad immaginarmelo.
"No, ti prego."
"Ero alquanto sexy, ti sarei piaciuto" dice sarcastico toccandosi il capezzolo destro sensualmente, rendendosi ridicolo ma divertente.
"Dubito fortemente."
"Tu hai o avevi qualche piercing nascosto?"
"No no, però qui," dico indicando la mia pelle rovinata sul polso sinistro, "Mi ero fatta tatuare un uccello."
"Che tipo di uccello?"
"Me lo sono fatta rimuovere quindi prova a capirlo tu" lo sprono a spremere le meningi e quando arriva alla conclusione che si trattasse di un pene, evita di commentare.
Avanza a ritmo normale, ma i suoi passi avendo le gambe più lunghe delle mie sono il doppio dei miei, il che mi costringe ad aumentare la mia velocità. Quando oramai siamo in città, mi domanda dal nulla:"Qual è la tua paura più grande, Sofia?"
"Come mai questa domanda?"
"Sei una ragazza forte con un sorriso smagliante sul viso, eppure oggi i tuoi si sono divisi ufficialmente e continui a fingere di stare bene. Quindi, qual è la tua paura più grande, se nemmeno l'idea di continuare a crescere senza un padre ti spaventa?" spiega e nonostante avessi premesso di non discuterne, apprezzo il suo interesse e la sua preoccupazione.
"Gli uomini della mia vita sono sempre arrivati in una maniera e andati via in un'altra. Mio nonno, mio padre e sento di aver perso persino Naìm. Con gli altri maschi della mia compagnia, non mi sono legata mai e anche tu prima o poi sarai solo un bel ricordo nei meandri della mia testa. L'abbandono non è il mio più grande timore, ci sono abituata" faccio le spallucce, rassegnata all'idea che rimarrò zitella assieme a Cheche.
"Non ti credo."
"Non è un mio problema" ridacchio e i suoi occhi si illuminano d'improvviso alla vista di un negozio alle mie spalle, nel marciapiede opposto. Mi afferra per il polso e mi obbliga a seguirlo, fino ad entrare a Tracce di inchiostro, dove mi sono fatta tatuare su tutta la spalla sinistra.
"Vuoi farti un tatuaggio?" pongo, ma non mi prende in considerazione.
"Salve, vorrei farmi tatuare..." e sussurra all'orecchio di Leonardo, un mio conoscente pieno di talento, cosa vorrebbe.
"Avresti dovuto prenotare, a momenti chiudiamo" bofonchia all'altro e poi mi saluta:"Ciao Sofia!"
"Ti pago il doppio" prova Dean a corromperlo, intenzionato a non arrendersi.
"Va bene, accomodati nella stanzetta qui accanto che arrivo" sbuffa Leonardo mentre finisce di disegnare uno schizzo.
"Tu aspettami qui" ordina il pazzo che ha appena preso una decisione senza riflettere, ubbidendo alle parole di quello che reputo un'artista vero e proprio e che ci raggiunge dopo un paio di secondi.
"No, io entro con te. È il tuo primo tatuaggio, voglio vederti piangere" ghigno bastarda e lui con il medio mi manda a puttane. Si scambiano le informazioni necessarie e sebbene fossi venuta lì per vederlo in pena, mi sono distratta per quel che forse sono stati cinque minuti ad ammirare le foto degli innumerevoli tatuaggi fatti ad altre persone.
"Ecco qui, tienilo fino a domani."
"Di già? Che ti sei fatto tatuare, Dean? Un puntino?" lo derido sin da subito, ma mi azzittisco quando mi smentisce.
"Una S."
"Dimmi che sta per Stupidità" mi auguro, non riuscendo neanche solo per un istante a pensare che lui abbia impresso l'iniziale del mio nome sull'anulare.
"Sta per ciò che più adoro al mondo..."
"Sesso" lo interrompo, "Oppure soldi."
"Sofia!"
"Che c'è?"
"Sta per Sofia."
E in quel momento, il mio cuore ha smesso di battere, l'ossigeno ha cominciato ad essere carente e il mio cervello invece si è disconnesso dal mondo reale. Non so come reagire, vorrei soltanto baciarlo e fare l'amore qui, ma l'unica cosa che riesco a fare è correre spedita fuori. Ho bisogno di aria, di capire le mie emozioni e di stare da sola.
"Perché sei scappata via?" chiede Dean, dopo aver pagato e spaventandomi leggermente.
"Perché te lo sei tatuato?" mi volto per fissarlo dritto negli occhi.
"Per farti capire che non me ne andrò mai e che se mai ci dovessimo separare per un periodo, sarò sempre legato a te e ti cercherò a costo di attraversare anche il Pacifico. È una promessa."
Mi accarezza una guancia e chiudo gli occhi, come se, privandomi della vista, possa apprezzare maggiormente il suo dolce tocco. So perfettamente che sarà il mio errore più grande credere a questa promessa impossibile, so perfettamente che finiremo per farci male o allontanarci in un modo o nell'altro, so perfettamente che questo rapporto contorto pieno di insulti, sguardi e sorrisi scambiati finirà per consumarci, ma io voglio conoscere la felicità e lui pare essere la chiave per quel mondo a me ancora sconosciuto. Pertanto agisco precipitosamente come questo idiota che si è fatto disegnare la mia iniziale, e corro in sua compagnia verso casa mia, dove, facendo attenzione a non svegliare mia madre, mi rende sua.
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