Capitolo 3-Abbracciamo il passato, per un quieto futuro

«Vince.»
Una voce brillante lo fece destare dal dormiveglia. Aprì lentamente un occhio, poi si alzò reggendosi sui gomiti.
Sulla poltrona davanti al letto era seduta a gambe incrociate una donna. Leggeva una rivista scientifica.

Non ho mai tenuto in casa giornali di quel tipo.
Pensò subito Vince. Poi si stropicciò gli occhi e alzò lo sguardo.
Lei aveva interrotto la sua lettura per osservare il ragazzo e mentre lo faceva, si sistemava il colletto della camicia beige, che le avvolgeva il collo fin sotto il mento.
Questa volta era vestita in modo ancora più stravagante.
Una gonna simile a quella portata il giorno del primo incontro con Vince le nascondeva le gambe fino alle caviglie, dove s'intrecciavano i lacci mogano delle scarpe.
Quel vestiario non andava di moda da almeno novant'anni, eppure la donna lo portava con talmente tanta disinvoltura da sembrare attuale.
La ragazza si ritoccò con una forcina che teneva in tasca lo chignon, dal quale cadevano morbide e compatte piccole ciocche di capelli scarlatti.
Vince rimase qualche attimo a osservarla confuso, poi chiese soltanto:
«Come ha fatto ad entrare in casa mia?»

A quel punto la giovane riprese tra le mani il giornale, sfogliò qualche pagina e i suoi occhi cristallini s'illuminarono.
«Lei apprezza le scienze? Io le trovo tutte egualmente affascinanti.»

Cosa?

Vince la guardò con occhi sbarrati, poi si sedette sul letto. Ora erano uno speculare all'altra.
«Cosa, cosa significa? È un altro dei suoi indizi? Era lei che mi ha telefonato, ieri, vero?» esclamò il ragazzo confuso.

«Sì, ero io, certamente. Vorrei solo avvisarla che prima o poi mi stancherò di scriverle tutti quei bigliettini. Pensavo che si sarebbe convinto a partire già leggendo il primo. Invece proprio non si fida! Sono dovuta venire qui di persona, solo perché lei è un uomo troppo sospettoso» affermò la donna con un granello di arroganza.

«È una specie di scherzo? Lei mi sta seguendo da giorni, mi manda del cibo e... e quei cazzo di bigliettini! Lei, lei è inquietante!» sbottò Vince, gesticolando furiosamente mentre parlava.

La ragazza posò la rivista, poi si alzò repentina dalla poltrona, dirigendosi verso la cucina. Vince si sporse dalla porta per vedere meglio e la osservò prendere tra le mani un vinile.

«The Works, dei Queen. Le piace la musica moderna, vedo. Io preferisco il Jazz. Sa, la Fitzgerald, Sinatra, King Cole» spiegò la giovane, rimirando la copertina del disco e accarezzandola delicatamente.

«Lullaby of birdland
That's what I
Always hear, when you sigh
Never in my wordland
could there ways to repeal
in a phrase, how I feel» intonò poi, sorridendo appena, per quanto la sua personalità irremovibile glielo permettesse.

«Lullaby Of Birdland. È la mia preferita.» continuò, tornando verso la camera da letto. Rimase ferma sulla soglia.

Vince per un instante ignorò l'assurdità della situazione e si fermò a immaginare la donna intenta ad ascoltare un vecchio vinile, magari in una giornata uggiosa e magari con una rivista scientifica tra le mani, lasciando da parte il suo lato più serioso e canticchiando qualche brano vintage.
Non capiva ancora se tutto ciò fosse divertente o inquietante, forse entrambi.

«Lei proprio non mi ascolta, vero? Non saprò mai come ha fatto a entrare in casa mia. Ma domani avviserò la polizia, dirò che mi sta seguendo da giorni e che ha violato la mia proprietà privata» dichiarò Vince cercando di essere il più convincente possibile.

Aspettava una risposta, una minaccia, conoscendo l'interlocutore addirittura una frase senza senso o un cambio di argomento. Ma la donna si limitò ad annuire lievemente e poi, con tono monotono, affermare:
«Va bene.»

«Va bene?» ripetè incredulo Vince, facendosi scappare una risata amara.

La sconosciuta si limitò ad annuire nuovamente, poi afferrò la rivista appoggiata sul comò e si diresse verso la cucina. Scomparve dietro all'angolo cottura, ma i tacchetti dei suoi stivali che colpivano leggermente il pavimento erano ancora udibili. In quel momento Vince sentì aprire la porta d'ingresso, per poi richiudersi poco dopo.
Il ragazzo si distese di nuovo, voltò il capo e notò qualcosa sul comodino.
Un biglietto.

Questo è l'ultimo che le scrivo.
Si decida.

Quella mattina Vince si era alzato con addosso un'implacabile strana sensazione.
D'istinto, appena sveglio, aveva rivolto lo sguardo dove avrebbe dovuto esserci il biglietto, lasciato la notte prima dalla donna. Eppure il comò era vuoto e quel pezzo di carta sembrava sparito.
Verso le sette Vince era sceso a ritirare la posta. Nella cassetta c'era solo una lettera, pallida e con su scritto il nome del ragazzo a caratteri spessi ed elaborati.
Vince l'aprì.

Gentile Signore,
Le si comunica che è stato invitato al Gala di Autunno di Fostemoon, una splendida cittadina nei pressi di Sevierville, in Tennessee.
Se lei, caro signore, si è chiesto perché avremmo dovuto invitarla, è semplice:
Ogni anno, nel mese di novembre, si celebra questa festa dedicata agli stranieri, e quest'autunno abbiamo scelto, insieme ad altre persone, proprio lei!
Il Gala si terrà il ventiquattro di novembre, alle ore 18.40.
Ecco a seguire l'indirizzo:
12- Blue Drive, 135
Piano quinto, terza porta a destra.
Allegata è presente una piccola cartina con le informazioni necessarie per raggiungerci.

L'aspettiamo!

Recitava l'invito.

Di nuovo quell'indirizzo.

Il ragazzo guardò la busta che conteneva la lettera e notò, scritta in alto a sinistra, una piccolissima frase.

Abbracciamo il passato, per un quieto futuro.

Vince, a lavoro, quel giorno non si era presentato.
Aveva fatto i bagagli la mattina presto, dopo essere rimasto sdraiato sul divano almeno un'ora, ascoltando vinili, pensando sul da farsi. Poi si era alzato e aveva iniziato a prendere dei vestiti dai cassetti e piegarli velocemente. Prese l'unico abito elegante in suo possesso, uno smoking grigio scuro.
Sul tavolo, aveva lasciato un biglietto per la madre.
Alle nove e un quarto, quando già i raggi dorati entravano in casa attraverso le fessure delle serrande, Vince aveva preso l'ascensore, che si era bloccata al quarto piano. Era rimasto venti minuti lì dentro, prima che ricominciasse a scendere.
Si era recato in stazione e aveva comprato il biglietto diretto per Sevierville. Da lì avrebbe preso un taxi.

Ora Vince si trovava seduto su un sedile della seconda classe, in treno. Davanti a lui c'erano un ragazzo che ascoltava la musica dalla sua VSH e una madre con figlio.
Il bambino urlava. Urlava da quando era salito.
Vince mise la mano in tasca e prese il biglietto degli indirizzi.
Cercava di memorizzarli, in caso avesse perso il foglietto.
Il ragazzo pensò al perché quella gente avesse scelto di invitare proprio lui.
Forse era solamente uno stupido scherzo.
Ma lui voleva sapere, voleva rivedere la donna, almeno per ricevere spiegazioni.
Non avrebbe sopportato di rimanere col dubbio, il suo carattere curioso glielo avrebbe impedito.
Vince osservò ancora il biglietto, poi distolse lo sguardo e prese a osservare il panorama di interminabili campi di cereali.

«Siamo in arrivo a Sevierville.»

La voce del conducente lo svegliò, Vince recuperò velocemente le sue cose e si affrettò a scendere.
Uscito dalla stazione fermò il primo taxi disponibile.

«Dove deve andare?» chiese sovrappensiero il conducente.
Vince estrasse dalla tasca del giubbotto l'invito.

«Fostemoon» disse il ragazzo.

«Fostemoon?» ripetè l'altro.

Vince lo guardò confuso, poi prese la cartina con le indicazioni e la passò al tassista.
Lui la osservò svogliato per qualche attimo, poi affermò:

«Questa cartina è sbagliata. Da qui in poi,» dichiarò indicando un punto vicino al paese,« è tutta foresta.»

Il ragazzo riprese in mano la mappa, poi esclamò:
«Non può portarmi fin qui? Fino al punto dove inizia il bosco? Da lì proseguo da solo.»

L'uomo lo guardò sospettoso, come a chiedersi perché Vince volesse tanto andare in quel posto.
«Va bene, allora» disse infine il conducente.

Si erano fermati davanti a una quercia ricolma di foglie aranciate, Vince aveva pagato e si era avviato subito nella direzione suggerita dalla cartina.

Un paese che nessuno conosceva.

Possibile che fosse così disperso nella radura da essere quasi dimenticato?

Vince percorse almeno cinque o sei chilometri immerso nel bosco più profondo, prima di intravedere tra gli spessi rami delle conifere un fascio denso di fumo candido.

Il ragazzo tagliò prendendo un percorso scosceso e innervato di radici, quando sentì qualcosa scricchiolargli sotto alla scarpa.
Un guscio d'uovo era sminuzzato in mezzo al sentiero. Vince alzò lo sguardo e notò una cornacchia dentro al proprio nido, ricolmo di ovetti verdastri.

Il giovane restò un attimo a osservare l'animale, poi continuò a camminare.
Si fece spazio tra i rovi spogli di more, scavalcò un breve ruscello e all'improvviso, davanti a lui la visuale si fece più aperta e i raggi solari rigidi di novembre lo investirono subito.
Il ragazzo vide che la sorgente del fumo era il comignolo di un'abitazione dai tratti vittoriani.
Vince spostò lo sguardo e notò un cartello laddove iniziava il paesino.
Si avvicinò all'insegna, poi lesse tra sé e sé:

Fostemoon
750 abitanti

Abbracciamo il passato, per un quieto futuro.

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