3. Profumo di biscotti e perfidi inganni
"Io adoro solo l'oscurità e le ombre, dove posso essere solo coi miei pensieri. Io sono discendente di un'antica famiglia. Il tempo è un abisso, profondo come lunghe, infinite notti. I secoli vengono e vanno, non avere la capacità d'invecchiare è terribile. La morte non è il peggio, ci sono cose molto più orribili della morte. Riesce a immaginarlo? Durare attraverso i secoli, sperimentando ogni giorno le stesse futili cose."
Nosferatu - Il principe della notte
✟
Quando Ayar apre gli occhi, l'unica cosa che vede è il buio. Non sa dove si trova e ha l'impressione che qualcosa la stia schiacciando verso il basso, soffocando. Cerca di agitare le braccia e le gambe e si rende conto che ogni movimento le viene impedito dalla terra che si sposta ed entra fastidiosa nel naso.
Trattiene il fiato e chiude gli occhi pieni di polvere, il cuore inizia a battere forsennato dentro la gabbia toracica. I ricordi dei suoi ultimi istanti da viva tornano a galla, nuotano come meduse sulla superficie dell'acqua.
Edvin l'ha uccisa.
E poi l'ha seppellita.
Ma lei non è morta, e ora si ritrova chissà dove, sotto un cumulo di terra pressata.
Agita le braccia con più forza, scava verso l'alto mentre i granelli le si infilano sotto le unghie e le graffiano fastidiosi le dita. Si aggrappa con tutte le sue forze alla certezza che dev'esserci una via d'uscita, ci crede per davvero. Non può essere finita.
Il tempo sembra dilatarsi e non scorrere davvero. Rimane a lungo incastrata, nel tentativo disperato e misero di tirarsi su e uscire all'aria aperta, respirare. Si sente affogare, i polmoni pieni di sassi, la pelle scorticata e il corpo sporco. Ha quasi smesso di crederci quando la punta delle sue dita si scontra con l'ultima porzione di terra e viene investita dal freddo del mondo al di sopra.
Fa un ultimo sforzo e si spinge su con le gambe, rotolando fuori. Il vento le scompiglia i capelli e le trascina via di dosso i residui di terriccio più consistenti che costellano i vestiti.
Non riesce a crederci.
Edvin ha bevuto il suo sangue e poi l'ha uccisa e seppellita sotto terra, e lei è riuscita a risorgere e sbucare fuori dalla sua tomba.
Non sa dove si trova, ha freddo ed è ridotta in una condizione pessima.
Se qualcuno la trova è la fine.
Non deve farsi scoprire, nessuno deve venire a conoscenza di ciò che è successo.
Dovrebbe pensare a cercare riparo, ma l'unico pensiero che la ossessiona è Edvin.
L'ha uccisa e Ayar è arrabbiata tanto che si conficca le unghie nei palmi e vorrebbe averlo di fronte a sé per fargli male allo stesso modo, replicare quel dolore che sente. L'ha tradita, imbrogliata, non ha tenuto fede al loro patto e l'ha messa in una situazione scomoda.
Si guarda intorno, ma non vede niente. Non sa dove andare, ma non può rimanere lì ferma, quindi decide di avanzare nel buio e cercare di arrivare da qualche parte. Ha perso la strada di casa e non ha niente con sé. Si rovista nelle tasche ed esala un sospiro sollevato quando trova la chiave della sua piccola abitazione, ma non ha alcuna idea di come tornarci.
Sospira. Lo farà a pezzi.
Ayar ci crede davvero mentre avanza nel buio e si chiede se stia percorrendo la strada giusta, poi però va a sbattere contro qualcosa – qualcuno.
Alza gli occhi verso il suo aguzzino, colui che le ha rubato il sangue e poi l'ha tradita, ha spezzato il legame che aveva iniziato a formarsi e l'ha abbandonata sotto strati di terra come se la sua vita non avesse alcun valore. O almeno è sicura che si tratti di lui, tuttavia rimane pietrificata quando nota che non è Edvin, ma l'altra persona che era in casa.
Gli occhi sono gocce di arsenico che brillano, uno spettacolo che le blocca il fiato dopo momenti di agonia e orrore. Lo osserva con meraviglia, poi apre appena le labbra per dire qualcosa.
«Mi ha uccisa.»
Un'accusa che ancora brucia dentro di lei, non riesce a dimenticarlo. Può ancora sentire il suono dell'osso del collo che si spezza, le forze che l'abbandonano del tutto, e poi il buio e il sapore di morte in bocca.
«Lo ha fatto perché non vuole che tu soffra, Ayar. Nessuno di noi lo vuole.»
Lui è enigmatico, circondato da un mistero che sembra inspiegabile. C'è qualcosa di amorfo nascosto da qualche parte, un difetto che non riesce a trovare, eppure alcuni suoi tratti la disturbano.
Quelle parole sembrano rimbombarle in testa per un po', c'è un elemento stonato che non riesce a percepire, non subito. Poi ricorda.
Non gli ha mai detto il suo nome. «Come fai a sapere come mi chiamo? Perché io non conosco il tuo? Io mi ricordo di te.»
«Mi sono preso cura di te, tanto tempo fa.»
Ayar inclina il capo nella solita posizione concentrata, pensierosa. Un ago rovente le trapassa il cranio, ma non risorge dalle ceneri alcun ricordo. È tutto andato perso.
«Perché l'ho dimenticato?», chiede allora Ayar.
«Perché il sistema non vuole che lo ricordi, ma possiamo lavorarci.»
«Come?»
È un vulcano di domande inestinguibile.
«Hai mai sentito parlare di ipnosi? È una pratica molto vecchia e non viene più usata ai giorni nostri, è considerata dannosa poiché porta l'individuo a rivivere dei momenti della sua vita che ha imprigionato dentro di sé, ma che sono rimasti a lungo silenti.»
Ayar scuote il capo. «Tu puoi farmi ricordare?»
L'altro annuisce. «Non sarà immediato, dovremo farlo un po' alla volta.»
«Va bene», Ayar non ha bisogno di pensarci due volte. «Quindi tu sei un... come si chiama? Ipnotista? Pensavo vi foste estinti.»
«Ipnotista e ipnologo», spiega con pazienza.
«Qual è la differenza?»
«Per farla breve, l'ipnotista pratica l'ipnosi, l'ipnologo la studia. Ma non c'è al mondo un ipnotista che non sia a sua volta anche ipnologo, la pratica ha bisogno della teoria e viceversa.»
Ayar sa che non è una buona idea, sa che è pericoloso, ma non può voltare le spalle ai suoi ricordi, alle memorie che le hanno strappato. Ha bisogno di capire chi ha di fronte a sé e perché le dà tutte quelle attenzioni.
E soprattutto ha bisogno di rivedere Edvin e fargliela pagare per averla imbrogliata e ferita.
Vuole ancora il suo sangue. Vuole prenderselo con la forza e non chiedergli perdono per il dolore e i tagli.
Mentre Ayar si perde nei suoi pensieri omicidi, Kilian le dice il suo nome e si presenta con fare tranquillo e voce pacata. Ha sempre la stessa inclinatura monocorde, a tratti un lamento.
Camminano per un po', Kilian ha un torcia e illumina appena il buio. Devono salire una scala e solo allora sbucano di nuovo fra le mura della casa piena d'arte che ha visto prima di venire seppellita.
«Non voglio morire di nuovo», lo avverte con un sibilo, e Kilian accenna una risata che si spegne in fretta.
«Cercherò di evitare che accada di nuovo.»
«Perché sono tornata in vita?», chiede, curiosa di conoscere la soluzione a quella domanda. È sicura di essere morta per davvero.
«Credo sia il virus a esserne responsabile. Non puoi morire con il sangue di Edvin in circolo, eri in ottima forma quando lui ti ha ucciso.»
«Non ricordo neppure chi mi ha infettata», sospira Ayar. È stanca di quelle lacune costanti, quei buchi nel cervello che le impediscono di ricostruire alcune parti della sua esistenza. Per questo le viene così semplice fidarsi di lui. Le sta offrendo ciò che desidera da quando ha cominciato a conservare nuove memorie.
«Forse è proprio da lì che dobbiamo iniziare, allora.»
Kilian apre la porta del suo studio, il luogo in cui le ha detto che lavora e trascorre le sue giornate. Ayar cerca di captare informazioni quando entra in quello spazio privato e si guarda intorno. Ci sono due poltrone e un divano a destra della stanza, una scrivania ordinata con meticolosa attenzione dal lato opposto.
Kilian raggiunge una delle poltrone e la invita a prendere posto di fronte a lui.
Ayar si agita a disagio sulla sua postazione e si domanda che cosa succederà adesso. I suoi occhi vengono catturati dal dipinto appeso sul divano, spicca con i suoi dettagli sul resto. Una donna è intenta a decapitare un uomo con una scimitarra, una serva regge il cesto nel quale andrà conservata.
Ayar assottiglia le palpebre per guardarlo meglio, affascinata.
«È l'episodio biblico della decapitazione di Oloferne da parte di Giuditta. Che cosa ti turba?»
Ayar sente il respiro imprigionato in gola, il cervello che fatica a ragionare. «Perché tieni qui un quadro così cruento?»
Le labbra di Kilian sembrano stirarsi in un sorriso, ma è trattenuto e celato ancora fra le pieghe del volto. «I dettagli di quest'opera sono molteplici. Guarda Giuditta, esegue il suo compito con aria riluttante, quasi pare allontanarsi dal corpo di Oloferne con impresso sul viso l'orrore più puro, non sembra convinta di volerlo fare per davvero. La serva è vecchia, in contrasto con la figura di Giuditta, ne esalta la bellezza enfatizzando i loro contrasti. E poi c'è Oloferne, che ha lo sguardo vitreo, vuoto. Lui è come se fosse già morto, ma non puoi saperlo, non ne hai la certezza assoluta perché la tensione muscolare dimostra tutt'altro, è un mistero a cui non riusciremo mai a dare risposta.»
«Questo è il significato del quadro, ma che cosa significa per te?», chiede Ayar, sperando che quella domanda non sembri troppo personale.
Kilian la guarda e Ayar ha i brividi. Non è più sicura di ciò che devono fare, non sa a che cosa sta andando incontro – di nuovo. La sua vita è scossa da innumerevoli decisioni improvvise.
«Vedi, Ayar, questo quadro non è una semplice opera. È uno schermo, in realtà, ed è in grado di risalire al quadro più vicino a te, non a me. Quindi dovresti chiederti cosa significa per te, perché l'opera cambia in continuazione. Ammetto che non potrei possederlo... ma insomma, nulla di ciò che troverai fra queste mura dovrebbe stare qui», mormora con aria cupa, lo sguardo veleno perso lontano, non sembra più vederla.
Poi torna con le pupille su di lei e constata che ama vedere quell'aria terrorizzata, l'orrore che richiama il quadro stesso raffigurato sul viso di chi lo guarda.
Ayar si sente sprofondare, come se stesse affogando nella poltrona e non avesse alcun modo per risalire dall'abisso. Cerca di respirare piano, di non mostrare quanto le sue parole l'abbiano scossa. «Probabilmente è perché sono arrabbiata», dice quindi, giustificandosi; è come se con quell'opera l'avesse colta con le mani nel sacco, è come osservarla mentre si disfa di un corpo di cui si è nutrita con cattiveria e sadismo.
«E quindi quello che vorresti decapitare è Edvin?», sorride Kilian, «Devo avvertirlo di fare attenzione alla testa, allora.»
Ayar ride, quelle parole riescono ad ammorbidire il nodo che le stritola lo stomaco. «Già, posso essere pericolosa.»
Non mente, anche se sembra solo che stia facendo dell'ironia.
«Sì, lo so», commenta Kilian, e Ayar si chiede se sappia davvero di cos'è capace o lo dica tanto per dire. In ogni caso non ha il tempo di porgli quella domanda, perché Kilian prosegue. «D'accordo, possiamo cominciare», si alza in piedi. Le sue dita corrono su una scatola di fiammiferi, gratta l'estremità rossa contro il fianco del contenitore e una piccola fiamma s'incendia sul bastoncino, la usa per accendere due candele che iniziano subito a sprigionare un dolce odore di vaniglia.
Poi Kilian raggiunge la scrivania, apre un cassetto e sembra rovistarvi all'interno per prendere qualcosa. Quando torna da Ayar e avvicina la poltrona, piazzandosi di fronte al suo viso, lei può vedere che si tratta di uno strano orologio circolare rinchiuso in una gabbia d'argento e intagliato di dettagli dalle linee morbide e tondeggianti. Quando Kilian lo apre, Ayar può sentire le lancette cominciare a ticchettare con un ritmo monotono, lento, sempre uguale. Quasi un lamento, un suono penetrante che le si infila nel cervello e le rende le palpebre un po' più pesanti.
«Sappi che non ti addormenterai, né perderai coscienza, non è questo ciò che deve fare l'ipnosi. Non sei sotto il mio incantesimo, né tantomeno sei sotto il mio controllo. Sei libera di fare ogni scelta e possiamo fermarci quando vuoi, basta che tu mi dica che vuoi smettere e ti farò tornare indietro.»
Kilian le illustra quei dettagli e Ayar si sente meno spaventata.
«Seguilo con lo sguardo», le ordina con tono basso e controllato, la sua voce è quasi un soffio che si perde nel silenzio interrotto solo dal ticchettio costante.
Ayar guarda il centro dell'orologio e lo vede oscillare a sinistra e a destra, sinistra e destra, di nuovo sinistra e destra; il volto di Kilian ora si è sfocato e amalgamato con lo sfondo che diventa una macchia dominata dal buio.
«Le tue palpebre sono pesanti, così pesanti che hai bisogno di chiuderle, e puoi farlo, puoi riposare e lasciarti andare», ora la voce di Kilian sembra distante, quasi irraggiungibile.
Ayar chiude gli occhi e le sembra di non sentire più il corpo fisico: i suoi muscoli, la pelle e le ossa paiono non essere più ciò che la compone. Ora è solo fumo, nebbia nel buio assoluto. Viene cullata dalla voce di Kilian che le sussurra istruzioni che quasi perdono senso. È talmente rilassata che non riesce più a percepirsi e a sentire il solito dolore opprimente, quello che l'accompagna da tutta la vita.
Ayar si sente bene, ed è una sensazione nuova e bellissima, tanto che non vorrebbe mai più risvegliarsi. Vorrebbe rimanere intrappolata in quell'abbraccio tiepido.
«Le lancette dell'orologio funzionano al contrario, volano all'indietro, sfrecciano nel tuo passato e tu lo vedi scorrere, sono immagini che ti scivolano fra le dita e che perdi, ricordi confusi di una vita che ti appartiene e che puoi riscoprire. Vuoi andare avanti, Ayar?»
Ayar non si rende conto di poter parlare finché Kilian non le pone quella domanda. «Sì», soffia, anche se non lo vede, anche se non c'è nessun orologio e non sa dove lui sia finito. La mente si è svuotata di ogni paranoia, ogni pensiero superfluo, e non c'è nient'altro che il buio, il silenzio interrotto solo dai sospiri.
«Allora devi tornare indietro, cerca nella mente il tuo primo ricordo, il primo in assoluto che conservi. E parlamene, anche se è solo un'immagine, anche se è confusa. Non aver timore di esplorarlo, non può farti male. Puoi uscire quando vuoi.»
Ayar viene cullata dalle sue parole fino a sprofondare ancora nel buio, si sente fluttuare in un nulla eterno e inconsistente. Le sembra di essere ingabbiata in un tunnel oscuro, vede la luce e sente che si sta spingendo con la mente in quella direzione, finché non viene investita dal bianco. Fa fatica a mettere a fuoco, a guardarsi intorno. Poi lo vede: è un giardino pieno di fiori, pieno di rose.
Le sembra di essere lì, anche se ora vede il suo corpo dall'alto, dall'esterno. Vede la sé bambina che è seduta sull'erba fuori dalla modesta casa in cui è cresciuta, trascorrendo un'infanzia serena.
Sta strappando dei boccioli dal suolo, non sa di fargli male. In fondo avrà solo sei, forse sette anni.
Poi i suoi occhi piccini e vispi si sollevano sulla figura degli anfibi di fronte a sé, i pantaloni sporchi di fango e terra, lavoro. Non alza lo sguardo, non lo vede davvero. «La mamma vuole che entri per la merenda, Ayar», le dice quello che Ayar identifica come suo padre. Non può vederne il volto, ma è certa che sia così.
La bambina si alza dal prato per entrare dentro casa.
«Che cosa vedi?», è una voce che proviene dall'esterno, e Ayar ricorda all'improvviso che ciò che vede non è reale, sono solo ricordi, e li sta raggiungendo solo grazie a Kilian.
«Sono io, sto giocando in giardino, papà mi ha chiesto di andare dentro casa perché è ora di fare merenda», risponde, ma è distratta, troppo concentrata a seguire quella piccola sé che annusa l'aria e si bea dell'odore dei biscotti appena sfornati, si siede a tavola per afferrarne uno dal piatto e si scotta le dita. Il volto inclinato da una smorfia buffa, la risata dolce di sua madre e la carezza flebile che le fa sui capelli, scompigliandoli appena.
«Sei felice?»
La lingua le si incastra in gola, non riesce a parlare. Sì, lo è, ma c'è qualcosa che non va.
Il peso di aver perso tutto, di aver cancellato e superato quei momenti felici.
La memoria è crudele, conserva solo i momenti cupi.
Ha dimenticato quei sorrisi che sbocciano vivi come girasoli sui volti degli altri. Qualcosa è cambiato, nel mondo, e ha dimenticato che cosa. Perché ora è tutto buio e cupo? Perché nessuno le prepara più dei biscotti? Perché si sono spenti i sorrisi e nessuno annaffia più i fiori per farli crescere?
Gli occhi le sanguinano sale, è bizzarro piangere e non ne comprende mai il reale senso, ma anche se è di nuovo tutto buio può sentire quelle linee scivolare sulle guance e perdersi nei vestiti, mimetizzarsi per nasconderne l'esistenza che nella sclera arrossata può vedersi ancora e sempre.
«No», Ayar cerca di alzare le braccia, quasi tenta di fermare le immagini che corrono via, l'abbandonano. Si sente risucchiata all'indietro e oppone resistenza, ma con scarsi risultati.
«Devi tornare indietro», sente da qualche parte, ma è un suono indefinito e lontano.
«Io non voglio tornare indietro!»
Non sa perché lo dice, le viene spontaneo e basta. Vuole rimanere laggiù, vivere ancora quei momenti e non pensare né sapere cosa verrà dopo.
«Potrai tornarci, Ayar. Non hai chiuso con quei ricordi per sempre, se torni indietro è solo perché per oggi hai finito», le spiega Kilian con tono paziente.
«Promettimelo», Ayar non vuole aprire gli occhi, non vuole guardarsi intorno e scoprire che tutto è rimasto come prima, decadente e morto.
«Te lo prometto», le sembra di sentirlo sorridere, «ci tornerai presto, ci torneremo insieme.»
Avverte di nuovo il peso del suo corpo, l'epidermide pallida che lo ricopre, i dettagli che lo formano e compongono.
Apre gli occhi e il cuore le batte più in fretta quando vede il suo viso così vicino. Kilian ha qualcosa di marcio e disturbante, le sembra di percepire l'oscurità della sua anima, eppure ha quell'aria istrionica e affascinante... indossa una maschera perfetta, talmente perfetta che si è contemperata alla sua esistenza, appiccicata tanto che se solo provasse a strapparla dovrebbe tagliarsi via tutta la pelle del volto e del cranio, tirarla via come un amorfo agglomerato di sangue.
Nasconde il suo demone da qualche parte, forse intrappolato in un quadro, forse perfino peggio di Dorian Gray.
Però esiste, e Ayar ne è consapevole, eppure è affascinata dalla sua bellezza crudele, è difficile non essere ammaliati da ogni suo movimento, dal tono controllato della voce.
«Se vuoi tornarci non puoi andartene da qui. Se i tuoi ricordi vengono controllati io e Edvin potremmo avere dei problemi, e non possiamo permettere che ciò accada.»
Ayar corruga le sopracciglia in un'espressione confusa. «Devo rimanere qui per sempre? E me lo dici solo adesso?»
Se riesce a mantenere la calma è solo perché si sente ancora rilassata e leggera.
«Avresti rifiutato, se te lo avessi detto prima.»
«Hai comunque giocato sporco.»
«A volte è necessario farlo per vincere.»
Ayar non capisce il motivo di quella strana situazione. «Perché ti interessa tenermi qui?»
«Te l'ho detto, perché se scavassero nei tuoi ricordi risalirebbero a me e Edvin. Potrebbero vedere che ho praticato dell'ipnosi su di te. Sai cosa mi succederebbe, se ciò si venisse a sapere?»
Ayar scuote il capo.
Kilian si porta il pollice sul collo e traccia una linea immaginaria sull'epidermide, da un lato all'altro. «Mi fanno fuori.»
Ayar sussulta per le sue parole. «Io non posso rimanere qui. Non ho niente da fare, non ho le mie cose, i miei vestiti, una camera», comincia, cercando di spiegare le sue valide ragioni.
«Penseremo a procurarti il sangue e dei vestiti puliti. C'è una camera per gli ospiti, starai bene lì. E posso trovarti qualcosa da fare, assegnarti delle missioni. Darai una mano a Edvin, così occuperai le tue giornate. Ho bisogno di qualcuno che mi aiuti in un esperimento davvero importante, Ayar, e tu sei perfetta.»
«Tu mi hai appena rapita», realizza Ayar. «Cerchi di essere gentile con me e farmi sentire libera, ma in realtà mi stai obbligando a restare.»
«Ti sto offrendo la possibilità di rimanere viva, di riacquisire i tuoi ricordi, e perfino di essere felice.»
Quelle parole spezzano l'aria, le iniettano pura tensione nelle vene. «Perché? Come?»
«Non possiamo permettere che il sistema rovisti nei tuoi ricordi, non puoi andartene via da qui viva. E posso farti riavere tutte le memorie che ti hanno strappato via, posso farti ricordare ogni sorriso.»
«Tu mi hai imbrogliata.»
«Sì, è vero.»
✟
NdA: Il quadro di questo capitolo è Giuditta e Oloferne di Caravaggio :)
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