24. Insonnia
"Con l'insonnia nulla è reale. Tutto è lontano. Tutto è una copia di una copia di una copia..."
Fight Club
✟
Il rientro al motel è piuttosto tranquillo, nessun imprevisto taglia loro la strada e riescono a tornare in camera senza farsi vedere da nessuno. Non ci sono auto parcheggiate all'esterno, perciò Lance ha l'impressione che non ci sia nessuno quella notte, ed è anche certo che la receptionist stia ormai dormendo, o abbia finito il suo turno e sia tornata a casa.
Ayar si fionda subito in bagno per farsi una doccia e ripulirsi dal sangue, Lance ascolta lo scrosciare dell'acqua per un po', disteso sul letto e con le mani incrociate dietro la testa, gli occhi persi lungo il soffitto e l'orologio che ticchetta incessante.
Quando esce, il vapore inonda la camera, perciò si richiude la porta alle spalle per trattenerlo lì dentro. Ha indossato una maglietta larga e informe come pigiama e vorrebbe solo mettersi a letto, ma quando torna in stanza e vede Lance sdraiato sul suo lato le passa tutta la voglia di accorciare le distanze e infilarsi sotto le coperte.
Non ha mai dormito con nessuno.
È perfino più intimo del sesso.
Lance la guarda e sembra leggere la sua titubanza, sembra capire ciò che sta pensando, perciò si alza e si chiude in bagno a sua volta per farsi una doccia.
Ayar sospira e si infila nelle coperte. È notte fonda, ormai, e quando Lance esce dal bagno la trova già addormentata. Si sdraia, ma sa che non dormirà. Non ha mai sonno, e in ogni caso gli basta solo qualche ora di riposo ogni tanto per sentirsi in forma.
Ha trascorso infinite notti nel buio della sua camera, ascoltando il silenzio interrotto solo dall'odioso ticchettio dell'orologio. Ha ascoltato scorrere i secondi e nient'altro così a lungo da essere diventato ossessionato dal tempo, ora che è inutile tenere il conto dei minuti. Le notti andavano avanti e Lance rimaneva immobile, imbottigliato nel sonno solo per poche ore e poi sveglio, un velo di sudore sulla fronte e il corpo che si rigirava di continuo fra le lenzuola. Ha provato a dormire di più, ma la mente glielo proibisce. Le sue batterie devono scaricarsi, per riposare, e non ha fatto granché durante il giorno, non è stanco.
È frustrante ritrovarsi ogni notte obbligati a dormire. Odia quel controllo, perché deve farlo?
Lance non vuole, è proprio quando tutti vanno nel mondo dei sogni che si sente se stesso. Lontano dallo sguardo degli altri, perso e vuoto mentre nessuno lo vede.
Libero di guardare Ayar, le palpebre abbassate e il volto rilassato, il petto che si gonfia a ogni respiro e i tentacoli di sangue intorno al volto efebico. Fuori dal sistema e da ogni controllo, Lance la vede per la prima volta e sembra incantevole. Distoglie gli occhi dal suo corpo di fretta, la vede rigirarsi nel sonno, vittima di un brutto incubo che la porta a muoversi, quasi spasmi che governano il suo corpo esile, quasi preda di convulsioni, di una possessione demoniaca inspiegabile.
Lance la scuote, la sveglia. Non è semplice, è caduta nella trance profonda di ogni umano a quell'ora della notte, ma dopo aver chiamato il suo nome a ripetizione riesce a tirarla via dal baratro.
Ayar si stropiccia gli occhi, il volto contorto in un'espressione smarrita e confusa.
«Hai avuto un incubo», le dice Lance, e gli viene automatico cercare la sua guancia con il palmo della mano quando lei solleva il busto, una carezza leggera che tenta di infondere conforto a un altro essere umano. Qualcosa che può esistere solo quando tutti dormono e i marchingegni del sistema sono disattivati, quando scatta il coprifuoco.
In fondo a Lance piace prendersi cura degli altri, gli hanno insegnato che è importante aiutarsi a vicenda in un mondo che ferisce a ogni occasione. Gli hanno dato amore e ora sente di averne abbastanza per infonderlo altrove, per scaldare altri cuori e altri corpi. È quello che fa con i cadaveri, quando i muscoli non si muovono più e nelle vene non scorre più il sangue, li seppellisce in bare e poi giù sottoterra, dove non si soffre. Si prende cura dei morti quando nessuno crede più che ci sia un'anima dentro di loro, è l'ultimo a guardarli quando chiude la bara e fa in modo che non venga più aperta.
Nello stesso modo si prende cura di Ayar, anche se in questo caso non gli serve seppellirla né procurarsi una pala. Le accarezza i capelli finché il suo respiro non si calma e dal volto scompare l'aria livida e paralizzata della paura.
Ayar si guarda intorno, gli occhi grandi e smarriti. «Mi sento strana.»
«Lo so, è normale.»
«Perché?», chiede, e si aspetta una vera risposta.
«Di notte dormono tutti, c'è silenzio. Quando rimani sveglio hai la sensazione di essere diverso dagli altri, produttivo mentre tutti sprecano il loro tempo. Ci si sente meglio. E sei libero davvero, tutti ricaricano le loro batterie e tu hai ancora dell'energia», Lance si tira su, scende dal letto e si toglie la maglietta del pigiama, pronto a cambiarsi, e Ayar lo guarda con gli occhi che brillano e un po' di confusione.
«Che succede?»
«Vestiti, sbrigati. Ti faccio vedere una cosa che non hai mai visto.»
✟
Ayar e Lance escono dalla loro piccola camera, raggiungono il retro del motel. Possono vedere la piscina. L'acqua non è limpida, e anzi, appare un po' sudicia. Ayar, convinta che lui voglia solo distrarla dal suo incubo e soffocare il disagio che si è instaurato fra loro nel condividere lo stesso letto, pensa che Lance voglia fare un bagno a quell'ora.
Non lo ha mai fatto, non sa se esserne spaventata o se sentirsi intrigata all'idea.
«Che facciamo qui?»
«Non lo senti?», le chiede Lance. «Ascolta bene, è un ronzio metallico.»
Ayar si sforza di escludere ogni stimolo visivo, chiude gli occhi e cerca di ascoltare con più attenzione. Ora che Lance le fa notare quella stranezza, in effetti, sente un lieve sottofondo meccanico. «Hai ragione, sento qualcosa, ma non capisco che cos'è.»
«Vieni», le afferra il polso e la trascina oltre la piscina, oltre al piccolo giardino che circonda il motel dalla pianta rettangolare, dove iniziano a sparire gli alberi.
Camminano per un po', allontanandosi, e Ayar nota che man mano che si avvicinano il ronzio s'intensifica sempre di più. Tanto che inizia a girarle la testa, le palpebre sono pesanti.
«Lance, ho sonno», mormora, si sforza tuttavia di rimanere in piedi e si stropiccia gli occhi per svegliarli dal torpore in cui sono piombati da un momento all'altro. Fino a un attimo prima era sveglia e ora ha un disperato bisogno di tornarsene a letto senza curarsi di possibili incubi e tremori.
«No, no, Ayar, non dormire», Lance la scuote per la spalle, raggiunge il suo viso con le mani per guardarla negli occhi. «Domani non potrò più fartelo vedere, domani non sarò libero di svelartelo.»
Quelle parole bastano per darle un po' di carica, e così Ayar spalanca gli occhi. Non può perdere informazioni preziose, no.
«Sono sveglia!», strilla con più enfasi di quanto vorrebbe, scuotendo il capo per cancellare ogni traccia di sonno.
Sembra funzionare, almeno per un po', e Lance torna a stringerle il polso con le dita e a trascinarla lontano, sempre più infiltrati nella vegetazione e fra gli alberi. Il vento si alza, soffia crudele e mette i brividi a entrambi, che non sono abituati al freddo atrofizzante e ipotermico di quell'ora della notte.
«Ci siamo quasi, Ayar, resisti ancora un po'», Lance le infonde coraggio e Ayar gli sorride e solleva il pollice, anche se ha lo sguardo stanco e talvolta rallenta la velocità.
Finché non giungono a destinazione, dove esiste un limite che ogni notte, per i pochi che restano svegli, non è concesso superare. Alle tre scatta il coprifuoco, il sonno comincia ad assalire gli umani – quasi tutti, tranne pochi infetti, come Lance, che pare soffrano d'insonnia. E altri che invece sono occupati, o hanno riposato di giorno, e dunque non riescono a dormire. È raro, in ogni caso, che qualcuno resti sveglio senza motivo oltre le tre.
Il coprifuoco è una prigione, una gabbia in cui sono stati rinchiusi ormai da tempo immemore, e gli umani neppure ne sono consapevoli. Nessuno – tranne quelli contro il sistema – ormai fa festa fino a tardi o va a cena da amici e si perde a chiacchierare più del dovuto, perché ogni emozione e relazione interpersonale è proibita. Non esistono rapporti fra gli individui, perciò non è difficile far rispettare quella regola. Tutti ormai preferiscono stare a casa e non vedere nessuno. Tutti amano ascoltare la radio.
Il coprifuoco è una barriera di cui nessuno è a conoscenza – tranne Lance, tranne i complottisti, quelli contro il sistema che continuano a farneticare teorie assurde e che appaiono folli e insalubri all'occhio umano, eppure. Ogni leggenda ha una base di verità, Lance l'ha imparato nel tempo e nelle notti sempiterne. E si è spinto spesso oltre i confini per cercare di capire cosa c'è oltre alla barriera, ma non è mai riuscito a infrangerla né a superarla.
Eppure è lì, di fronte a loro. Una gabbia che li rinchiude in quello spazio e che non consente a nessuno di muoversi e andare in giro – non più di tanto, almeno. Abbastanza lontana da non essere percepita dal prigioniero, ma sono tutti in gabbia, sempre, e nessuno se ne rende conto. Tutti ricominciano le loro giornate, ignari di essere stati rinchiusi mentre viaggiavano per strade lastricate di cristalli e sogni, gemme incastonate in un ghiaccio troppo gelido per essere scaldato.
«Che cos'è?», chiede Ayar, pietrificata di fronte al muro d'azzurrite che hanno di fronte. Bagliori ultravioletti che viaggiano su una parete alta fino al cielo, fino a smarrirsi fra il buio e le nuvole.
«Compare tutte le notti e delimita il perimetro che gli esseri umani possono percorrere quando tutti dormono, è un modo per assicurarsi che tutti restino al loro posto e che non si accorgano di ciò che succede.»
Ayar, ammaliata da quella strana barriera che brilla di energia irreale, decide di avvicinarsi e provare a poggiare le dita sulla parete, ma una scossa elettrica le brucia i polpastrelli e le raggiunge il gomito, le fa male tanto che dalle sue labbra scivola fuori uno strillo.
«Da quando è così?»
«Non lo so, Ayar. Da troppo tempo, in ogni caso. Non so quand'è cominciato, so solo che queste barriere ci seguono ovunque, non importa dove ci addormentiamo, ci circonderanno comunque e proibiranno di scappare.»
«Che cosa succederebbe se l'attraversassimo?», si chiede Ayar, il capo inclinato in un'espressione pensierosa.
«Non puoi farlo, ti vengono solo rimossi i ricordi», sospira Lance, «in ogni caso sono solo protezioni notturne, di giorno spariscono e puoi spostarti come e quanto vuoi.»
«Perché di notte hanno bisogno di controllarci e tenerci a letto?»
Lance sembra rifletterci su, ma poi scuote il capo. «Non lo so, non ho certo la risposta a tutto. Ho dei sospetti, certo. Di notte tutti dormono, tranne poche persone, come me. La barriera l'ho scoperta solo a causa della mia insonnia, molte persone trascorrono tutta la vita senza sapere che esiste, perché non la vedono mai, non si spingono lontano abbastanza da trovare questo punto. Il mondo di notte dorme. Il sistema non vuole che si sappia, chi ne è a conoscenza di solito tende a essere zittito, ma... il fatto è che di notte sei libero. Hai detto anche tu di sentirti diversa, ed è vero. È come se... se nessuno ci stesse guardando, adesso. Siamo davvero soli. Fuori dal sistema, liberi dai controlli.»
Ayar guarda Lance con aria piena d'incanto e meraviglia. «Siamo liberi dai controlli», mormora, assaporando quelle parole che le piacciono e constatando che sì, non si sente osservata. Immersi nel buio della notte, i volti rischiarati solo dalla dolce carezza della luce lunare, Ayar sente che lei e Lance sono davvero liberi.
«Beh, sarebbe un peccato sprecare questa libertà a non fare niente, no?», dice, sbadigliando. «Torniamo indietro, ho troppo sonno qui, sarà più semplice rimanere sveglia se ci allontaniamo.»
Lance annuisce, affrettano il passo verso il motel per rientrare. Si lasciano la barriera alle spalle, ma ora Ayar ha l'inquietante sicurezza che ogni notte quell'energia ultravioletta la circonderà e stringerà sempre di più nella sua claustrofobica morsa.
In effetti, man mano che si allontanano dall'azzurrite glaciale della barriera, Ayar comincia a sentirsi più sveglia, vigile, e i suoi sbadigli disperati si acquietano fino a cancellarsi. Ha ancora le palpebre un po' chiuse per il sonno, ma inizia a sentire la felicità strisciarle fra gli organi. Lance si è fidato di lei tanto da rivelarle un segreto proibito a chiunque. Forse non è tutto perduto, lui non è sgradevole e odioso, non è crudele come Kilian. Può portarlo dalla sua parte come ha fatto con Edvin, e sa come fare.
«Restiamo svegli, mancano ancora alcune ore all'alba», si inumidisce le labbra, si fermano di fronte alla piscina e l'idea di entrare nell'acqua la stuzzica. «Kilian ci ha fatto avere pure una piscina, sarebbe un peccato sprecarla.»
Afferra l'orlo della sua felpa per rimuoverla, si ripete a mente che non deve farsi problemi sul suo corpo. È bello, non ha niente che non sia al suo posto, è normale ed è al tempo stesso arte con le sue piccole imperfezioni, le lentiggini che costellano la pelle e fanno venir voglia a Lance di unire i puntini per formare disegni e costellazioni. Raggiunge il bottoncino dei jeans e tira giù la cerniera, togliendo i pantaloni subito dopo aver rimosso le scarpe. «Che ci fai ancora vestito?», sbuffa guardando Lance, che è immobile di fianco a lei.
«L'acqua è gelida», l'avverte Lance.
Ayar sbuffa. «Che importa? Non moriremo di certo né ci verrà il raffreddore.»
Si avvicina al bordo della piscina, sfiora il bordo dell'acqua con la punta delle dita e rabbrividisce.
Lance non ha torto. Sarà veloce e indolore, e in ogni caso è un'esperienza che vuole fare.
Non vuole pensarci e tentennare ancora, rischierebbe di ritrarsi e ha un piano ben chiaro in testa. Non può permettere che questa occasione le sfugga dalle mani.
Sceglie di tuffarsi. Si lascia cadere in avanti e l'impatto con lo specchio ghiacciato le riempie la pelle di brividi.
L'acqua le entra nei polmoni e Ayar scalcia e si dimena, non ha ben chiaro dove si trova. Apre gli occhi, sta raggiungendo il fondo, è troppo bassa per rimettersi in piedi e sperare di poter respirare. Tenta di fare qualcosa, si agita scomposta e trattiene il respiro con le costole trafitte da spilli roventi.
Lance comprende subito che Ayar non sa nuotare e si porta una mano sul viso. Rimane immobile per un po', chiedendosi se sia capace di non affogare e un po' troppo fiducioso nelle sue inesistenti capacità.
Ayar è sprofondata nel buio, è come se il fondo della piscina avesse smesso di esistere, turbini grotteschi la portano giù, tentacoli viscidi le trattengono le caviglie e la spingono dal lato opposto, impedendole di tornare in superficie e respirare. Una lenta e crudele tortura, la fisica che cessa di esistere e rende gli ambienti sfocati, sfumati, quasi sogni.
Lance attende circa venti secondi prima di decidersi. Si toglie i vestiti con calma per non bagnarli, ignora la clessidra e il peso del tempo, si fa beffa di lei che non riesce a tornare a galla dopo aver fatto la spavalda nel proporgli quella follia, inconsapevole delle trame tessute dal destino stesso, che adora incasinare tutto.
Scocciato per la sua imprudenza, decide di immergersi nella piscina lercia e gli dà un po' fastidio, ma trattiene il fiato e va a recuperare Ayar, che ha cominciato a muoversi lenta, gli occhi spalancati lo fissano e sembrano volerlo accusare di averla lasciata agonizzare.
La trascina su, spingendola oltre il bordo per farla stendere sulla terra ferma. L'acqua non fa per lei.
«Sei un'idiota.»
Ayar sputa l'acqua e annaspa, i suoi polmoni hanno di nuovo l'aria che le è mancata per un tempo infinito. Tossisce, rantola e impreca in una lingua sconosciuta.
Apre gli occhi, respira ancora con l'affanno e trovarsi Lance davanti, sentire la pelle dell'altro contro la sua, intensifica la stretta del serpente ingarbugliato intorno alle costole.
«Potevi tirarmi fuori prima», è l'unica cosa che riesce a dire, tenta di tirarsi su e il freddo invernale le paralizza gli arti.
«Potevo lasciarti lì sotto», ribatte Lance, che si alza in piedi e si premura di non farla cadere di nuovo in piscina per il bordo ora scivoloso. È la stessa premura che mette in tutto quello che fa, è responsabile e sapendo badare a se stesso riesce ad aiutare gli altri. È un meccanismo sbagliato in quello strano intruglio crudele, è una dolcezza che non può estirpare da sé.
Recupera i vestiti di Ayar e le fa scivolare la felpa lungo le braccia, si assicura che sia tornata stabile sulle sue gambe e si riveste di fretta, lascia la cintura slacciata e guarda il cielo un'ultima volta. Ancora un'altra ora e sarà l'alba, anche quella notte sarà finita.
A Lance sembra sia durata troppo poco, ha perso la concezione del tempo.
Non la perde mai.
«Torniamo dentro», cerca di spronarla a camminare verso casa, ma ha il passo lento e ancora il cuore che batte troppo forte.
Lance la solleva, se la carica su una spalla, è leggera e non pesa affatto; si muove a rientrare nel motel, hanno perso fin troppi istanti.
✟
Dopo una meritata doccia – Lance è corso in bagno per primo, non voleva mettere piede in quella piscina sudicia e aveva bisogno di cambiarsi – sono entrambi stesi sul letto, gli occhi persi e le bocche mute.
«Abbiamo finito con la missione, no?», chiede Ayar, «Quando torniamo a casa?»
«Domani sera partiamo. Non abbiamo niente da fare per tutto il giorno», Lance sembra frustrato, impotente di fronte al tempo. Non può controllarlo se non ha niente da fare, e rimanere lì a vegetare lo angoscia.
«Non possiamo tornare prima?», chiede Ayar, che è preoccupata per Edvin e ha paura di lasciarlo troppo a lungo con Kilian.
«No, ci siamo già accordati per il ritorno con il taxista», sospira Lance, «non riesco a rimanere fermo per tutto il giorno. Potremmo fare un giro, comprare dell'alcool da qualche parte. Se penso che non abbiamo niente da fare mi deprimo, preferisco pensare che abbiamo finito prima il nostro lavoro e ora veniamo pagati per riposare tutto il giorno.»
«Beh, ha senso», annuisce Ayar. «D'accordo, usciamo un po'.»
«Non adesso, è l'alba. Perché non ti riposi? Hai dormito poco, stanotte.»
Ayar non ha sonno, ormai le luci sono riaccese e la barriera è sparita da un po'.
«Non sono stanca, voglio chiacchierare un po' con te.»
Lance non ha idea di quanto Ayar possa diventare logorroica se ottiene la possibilità di cominciare a parlare.
Ormai è un treno in corsa, è davvero loquace e non ha fatto altro che parlare, parlare e ancora parlare per ore. Gli ha raccontato tutto quello che ha vissuto e ricordato da quando è precipitata in quella che chiama "la casa maledetta", ha sparlato di Kilian senza nemmeno preoccuparsi di coprire l'odio che nutre nei suoi confronti.
Ayar gli fa tenerezza. Non dev'essere stato facile e prova empatia per lei perché conosce Kilian e sa con chi ha avuto a che fare. Sa quanto è stato difficile anche per lui uscire dalla sua gabbia – per poi tornarci, quasi volutamente, perché il tempo continuava a scorrere e lo lasciava indietro.
«Aveva promesso di farmi conoscere il mio passato, invece ora ho solo i ricordi più incasinati», conclude. Ha evitato di toccare alcuni argomenti – come quando ha ordinato a Lance di curare i suoi lividi.
Lance ci pensa e non è più com'era ore prima, non regna più intorno al suo cuore l'indifferenza. È disumano e crudele ciò che le ha fatto – e Lance sa, perché guarda con attenzione e ha sempre notato l'ombra della maschera sul volto dell'ipnologo. Ha sempre visto il brillio malsano dei suoi occhi di ghiaccio e ha sempre avvertito l'oscurità della sua anima torbida, l'energia lugubre che lo costruisce.
«Vorrei solo tornare alla mia vita prima di Kilian, prima di Edvin», ora la voce di Ayar è flebile e pare aver intenzione di rimanere in silenzio, non vuole continuare a raccontare la sua storia e fargli custodire quei pezzi di sé.
«Tu la ricordi?», chiede però Lance, le sopracciglia aggrottate.
Lui sa come funziona l'universo.
Ayar lo guarda, annuisce con un cenno del capo, ma è distratta, insicura. Non lo ricorda davvero, non più.
È un reset continuo, non può ricordare. Avrà solo costruito false memorie per occultare i buchi neri, si è convinta di sapere cosa le è successo, ha costruito un'alternativa.
Lance non vuole turbarla, però, perciò non le dice la verità. «Beh, interessante. L'eternità è così lunga che dimentichi per forza i dettagli.»
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