Ci sono delle volte, nella vita di Seth, in cui i pensieri corrono veloci, sfrecciano, e lui non riesce a seguirli. Sono gli istanti in cui cede all'impulsività, tenta di fare qualcosa per fermarli.

Quel giorno non ha visto Kym a scuola. Non le ha mandato nessun messaggio, non vuole parlarci tramite un freddo aggeggio elettronico. Non vuole abbassarsi al livello degli esseri umani. Andrà a trovarla a casa, più tardi, ma prima ha qualcosa da sbrigare. 

Ha visto le sue amiche, fra il cambio da un'aula all'altra, e ha cercato di ascoltare la loro conversazione da lontano, ma non ha captato nessun dettaglio rilevante. 

Aspetta fuori dall'aula di matematica al piano superiore, ormai le lezioni sono terminate. Non entra mai in quella stanza, ma conosce l'edificio come le sue tasche, ci ha trascorso troppi anni all'interno.

Quando il professor Taylor sta per uscire, Seth lo ferma. Sorpassa la porta, le pareti formano un quadrato claustrofobico, le finestre sono piccole. Seth chiude la porta dietro di sé. 

L'uomo lo guarda con occhi confusi, smarriti; non sa cosa aspettarsi da uno studente che non segue neppure i suoi corsi.

Torna a sedersi, incrocia le braccia e si appoggia allo schienale della sedia, gli domanda cosa abbia da dirgli con tutta la gentilezza che possiede in corpo. 

Seth scatta, appoggia i palmi delle mani sulla cattedra, si abbassa per stare alla sua altezza. «So tutto di lei e Kym.»

Potrebbe giurare di aver visto il suo volto sbiancare, diventare pallido.

E presto diverrà livido, perché non sa quanto ancora può trattenere quel prurito che gli morsica le mani.

Il professore si allenta il nodo alla cravatta. «Non so di che cosa parli. Kym è una mia alunna, nient'altro.»

«Deve darmi quel video.»

Seth non vuole ascoltare nessuna stronzata, è certo di avere di fronte la persona giusta. La rabbia gli irrigidisce il corpo, nella mente si susseguono immagini piene di sangue e tenta di reprimerle, di scacciarle via. Non può, non lì. 

«Io non ho nessun-»

Seth lo afferra dai bordi della camicia, lo strattona con un movimento brusco, gli dimostra di non avere alcun timore e lo guarda negli occhi. Ha le iridi ferme e gelide come ghiaccio, le dita serrate intorno al tessuto iniziano a sbiancare. 

«Mio padre è un poliziotto, posso farla sbattere in prigione quando voglio», lo ferma, non può continuare a raccontargli cazzate. «Deve lasciarla in pace e cancellare quel video. La polizia potrebbe arrivare a casa sua da un momento all'altro, lo troveranno e sarà fottuto.»

L'uomo rimane in silenzio per un momento, sembra calcolare le parole giuste da usare, dosarle con attenzione. «Stai minacciando e aggredendo un professore, credi che tuo padre possa tirarti fuori da questo guaio?»

Seth non riesce più a vedere niente, c'è solo il sangue che gli oscura la mente, la vista. È impulsivo il modo in cui afferra i suoi capelli sulla nuca per far scontrare il viso contro il bordo della cattedra. L'altro fa resistenza, ma inevitabilmente colpisce la superficie, strozza un urlo causato dal dolore e si tira indietro, strattona il capo, tenta di colpirlo per difendersi. 

Seth è più veloce di lui, è carico di una rabbia che è fuoco e divora tutto ciò che tocca. 

Gli sferra un pugno sul viso, usa una forza talmente incontrollata che la sedia si ribalta, l'uomo cade all'indietro. Seth gli circonda il busto con le ginocchia, colpisce il suo volto, sente frantumarsi qualche osso – forse è la mandibola, forse è il sangue che scorre copioso e macchia le sue mani di amaranto. 

Non c'è nient'altro che il suono grottesco delle urla soffocate nel sangue, trattenute per attutire il dolore, per evitare che qualcuno li scopra.

Nessuno lo ferma, non c'è neppure un'anima disposta a bloccargli le dita, e Seth capisce che è la cosa giusta. Era il destino a volerlo, altrimenti l'avrebbe fermato. 

Non sta facendo niente di male. 

Però lo sa: non può ucciderlo, non lì. E allora la rabbia cede il posto a qualcosa che non pensava di poter conservare dentro di sé: il bisogno di sopravvivere in un mondo pieno di spine. Nessuno deve sapere.