9. Creatura

Amanda è instancabile. Non che io voglia fermarmi – non ne sento il bisogno da quando sono uscito dall'edificio portandomela in spalla –, ma credevo che una ragazza avesse meno forze di quelle che sta dimostrando di possedere. Poi mi ricordo che è una Medius, quindi non propriamente una ragazza comune, così non accenno a esternare i miei pensieri per paura di essere deriso.

Dopo aver deciso che si sarebbe occupata della mia persona – come se avessi bisogno di una tutrice –, ha spento velocemente il piccolo fuoco che illuminava la notte e si è avviata a passo spedito verso Est. Sud-est, per la precisione. Poi di nuovo a Est. Non vorrei offenderla, dicendole che forse dovremmo affidarci al mio senso dell'orientamento. Non credo sappia dove stia andando, semplicemente cammina a passo costante con lo sguardo incollato sull'orizzonte, senza considerare il fatto che io la stia seguendo alla distanza di pochi metri. Cinque, a volte sei, quando mi distraggo e per sbaglio rallento.

Sono passate esattamente tre ore, quando la Medius si ferma improvvisamente. Abbiamo sempre seguito un percorso già battuto – avrei voluto dirle che sarebbe stato meglio prendere una strada meno visibile, ma ancora una volta sono rimasto zitto alle sue spalle – e ora la strada si divide in tre. Più ci siamo allontanati dal centro urbano, più gli alberi dalle fronde irte e segmentate si sono fatti numerosi, fino ad arrivare a creare una vera e propria muraglia di arbusti. In mezzo a questa, che ci accompagna da entrambi i lati, si staglia la via centrale, più ampia e definita rispetto alle due laterali che si perdono nella vegetazione. Non dubito di Amanda, penso sia restata su una strada visibile per evitare di perderci nel labirinto creato dai rami spogli. In ogni caso, siamo abbastanza lontani dal pericolo rappresentato dalle guardie che, con tutta probabilità, ci staranno ancora cercando nella cittadina.

«Vieni qui» mi chiama, con tono perentorio. Mi avvicino a lei, affiancandola sulla destra. «Devi ricordarti la strada, visionala nella tua mente e pensa a dove dobbiamo andare.»

«Dove dobbiamo andare?» chiedo, non capendo la sua richiesta. Lei mi guarda basita.

«Al vostro rifugio, ovviamente. Solo tu sai dove sia, io purtroppo non ho accesso ad alcune informazioni.» Per essere una Medius, è poco accorta. Cosa le è sfuggito del fatto che io non ricordi nulla? Prima che riesca a condividere i miei dubbi, Amanda sospira e si volta verso di me, quasi rassegnata. «Senti, fallo per Viktor, okay? Non è sprovveduto, so che ti ha dotato di una mappa o qualcosa del genere. E penso sia dentro la tua testa, quindi concentrati e dimmi se hai già visto questa strada.»

Aggrotto le sopracciglia. Amanda è più bassa di me, arriva alle mie spalle e per guardarmi in viso deve alzare leggermente la testa. La sua posizione di inferiorità, però, non sembra spaventarla. Mi tratta come se fossi un bambino piccolo, o come uno a cui si dà poca importanza.

Lascio perdere i miei ragionamenti e provo a fare come dice. Fisso le tre strade e cerco di catturare qualche ricordo. Una sensazione fastidiosa si sviluppa nella mia testa, quasi un formicolio che – ne sono consapevole – è frutto della mia immaginazione. Succede ogni volta che credo di visionare un ricordo, per poi rendermi conto che in realtà non appartiene realmente a me. Cerco di non prestare attenzione al fastidio e di riportare a galla qualsiasi cosa mi susciti questo posto. Chiudo gli occhi quando, aprendo la mia mente e lasciando entrare una sensazione, delle immagini iniziano a crearsi nel mio campo visivo. Non è come guardare un disegno o un oggetto concreto. È un ricordo che non si può esprimere a parole, una sensazione effimera e intangibile, che mi pervade interamente, quasi mi confermasse che sono già stato qui, ma non con il mio corpo. Prima che riesca a coglierlo del tutto, sparisce.

«Ehi» mi richiama Amanda. Apro gli occhi, accorgendomi che ora mi sta sovrastando. Sono accucciato in ginocchio, le mani sulla terra secca e ruvida, il fiato corto.

«Va tutto bene» la tranquillizzo, rimettendomi in posizione eretta e pulendomi le mani sulla stoffa dei pantaloni. Amanda continua a fissarmi, quasi stesse leggendo i miei parametri vitali. Forse lo sta realmente facendo.

«C'è qualcosa che non va» le dico, indicandomi la testa. «Non riesco a rammentare nulla che riguardi il prima, ma ci sono dei ricordi che so per certo non essere miei. Sensazioni, sapori, esperienze.»

Non so come spiegarle, perché non so capacitarmene nemmeno io. Amanda mi osserva senza dire nulla, poi torna a guardare le tre strade.

«Fermiamoci qui, troviamo un luogo più nascosto e aspettiamo che faccia giorno» decide alla fine.

Scegliamo la terza strada sulla destra e ci inoltriamo nella vegetazione, fino a quando non siamo abbastanza lontani dalle vie. Nel cammino inizio a raccogliere un po' di ramoscelli, ma la Medius mi dice che è meglio mantenere un profilo basso e che, in ogni caso, non soffriremo il freddo. Facile, per lei che può vedere anche al buio. Rispondo con un'alzata di spalle e mi siedo su un masso piatto, abbastanza largo per ospitare entrambi e permetterci di sdraiarci, anche se le mie gambe finiscono comunque sulla terra arida.

Su di noi si proiettano le ombre dei rami, come lunghi artigli pronti a ferirci. Capisco perché la ragazza abbia scelto questo luogo: oltre ad avere un aspetto poco rassicurante, gli alberi creano sopra le nostre teste uno strato fitto e impenetrabile alla vista. Sarebbe impossibile riuscire a individuarci dall'alto.

«Parlami di Viktor» le chiedo, quando anche lei ha abbandonato la sua freddezza e si è posizionata accanto a me, le gambe incrociate e la schiena costantemente rigida. Mi lancia un'occhiata – penso fosse ancora impegnata a guardare il vuoto, con la sua espressione da catalettica –, ma poi rilassa le spalle e scuote piano la testa.

«Non lo conosco abbastanza. È uno dei pochi scienziati umani del Cyber ed è associato con i Ribelli. So solo che stava costruendo qualcosa per loro, un'arma. O, almeno, così mi aveva detto» conclude, guardandomi con sospetto.

Ci ragiono un attimo. «Quindi, io sarei un'arma?» le chiedo alla fine.

«Sì. No. Non lo so. Te l'ho detto, Viktor non mi rendeva partecipe a tutto.» Con mia sorpresa, si sdraia. Ora le nostre teste sono alla stessa altezza, gli sguardi rivolti allo stesso cielo.

«Poco fa stavo controllando se il suo profilo fosse ancora attivo, o se ci fossero notizie relative alla sua persona. Ma sembra tutto regolare, quindi presumo stia bene» mi informa.

«E cosa dicono, dell'esplosione?»

Amanda resta in silenzio, quasi ponderando cosa dirmi e cosa meno.

«Sai chi è mio padre?» chiede senza guardarmi, ma tenendo il viso rivolto ai rami sopra di noi.

«Sì.»

«Mi stanno cercando. E penso riusciranno a trovarmi, se non raggiungiamo gli umani. Credevo che ci avrebbero trovati loro, ma ci devono essere stati degli intoppi. Magari il piano era recuperarti al Cyberpalast, ma tu ti sei spostato e ora non sanno come rintracciarti.»

Rimaniamo zitti per un po', poi un altro dubbio mi attanaglia.

«Loro sapevano della mia presenza? Della mia creazione?»

La vedo esitare, in fastidio, quasi non sopportasse non avere delle risposte da darmi.

«Non lo so» mi dice alla fine. «Magari sì, almeno i vertici. Non so come sia organizzata la loro gerarchia. Tu... non sei normale.» Non so se prenderlo come un complimento o meno, ma la lascio continuare. «I tuoi parametri vitali sono anomali, le tue potenzialità superiori alla media. Il tuo cervello lavora a un ritmo pari al doppio di quello di un comune essere umano.» Si ferma un attimo, soppesando i suoi ragionamenti. «Pare quasi che Viktor ti abbia creato dal nulla, ma non capisco come sia stato possibile. Per questo c'è bisogno di raggiungere gli umani, o di parlare con Viktor.»

Annuisco, comprensivo. Lei non mi potrà dare delle risposte, se non fare osservazioni che, purtroppo, sono superficiali.

«Potremmo dividerci» propongo. «Tu ti fai trovare dai tuoi, così da poter incontrare di nuovo il dottore, io cerco di raggiungere gli umani.»

Amanda scuote la testa con decisione. «Non sono i miei» afferma con tono sprezzante. «E, in ogni caso, non funzionerebbe. Ci sono cose che non sai, cose che gli umani non sanno. Per quanto possa sembrare assurdo, abbiamo bisogno l'uno dell'altra: io per non essere uccisa appena gli umani mi vedono, tu per lo stesso motivo.»

«Cosa intendi?» chiedo confuso. Non dovrei essere un'arma per gli umani?

«È complicato» dice solo. Mi volto verso di lei, che non si è mossa di un millimetro. Non so se mi piace interagire con una Medius.

«Dovresti spiegarmi, prima che venga veramente ucciso. Per gentilezza, almeno.»

Amanda incrocia le braccia al petto, stringendosi nel suo stesso corpo, come se avesse bisogno di una difesa. Io continuo a fissarla insistente, aspettando che mi dia le spiegazioni che mi sono dovute. Alla fine inizia a parlare.

«Pensavo fosse solo una diceria, ma... Hanno costruito quelli che chiamano Vitae, degli uomini in tutto e per tutto. Non so come sia possibile, ma penso abbiano utilizzato lo stesso procedimento che ha portato alla vita te.» Si ferma. Penso che non mi voglia rivelare delle informazioni. Ogni volta che parla ho il sospetto che non mi dica tutto ciò che sa. «Li volevano addestrare per scovare gli umani. O per ucciderli. C'è una leggenda, una storia che si racconta ai bambini quando non sono ancora Medius. Si dice che l'Organizzazione ha creato un mostro che si aggira per le strade di notte e non permette agli umani di contaminare la nostra società. Un cane da guardia, insomma, che squarta e smembra chiunque non rientri nell'ordine dei Medius.» Sorride, amareggiata. «Così i bambini non se ne vanno in giro di sera. Ma è solo una leggenda. I nostri sistemi di protezione sono ben più tecnologici e meno cruenti. O, almeno, questo è quel che pensavo fino a qualche mese fa.» Si solleva a sedere e io la imito. Ora il suo sguardo è leggermente più vitale del solito, quasi la sua parte umana fosse venuta a galla. «Anche gli umani sanno di questa leggenda. So che ci sono state varie uccisioni, negli ultimi anni. Ho letto schede e dati di cui non dovrei nemmeno sapere l'esistenza. Ma so per certo una cosa: se gli umani sapessero che cosa sei, ti ucciderebbero prima ancora che tu possa dare spiegazioni, soprattutto se Viktor non li ha avvertiti di cosa stesse creando. Non penso che ci sia differenza tra te e un ipotetico Vitae. È importante che a trovarci siano le persone giuste. Ed è importante non spaventare quelle persone.» Stringe le labbra in una linea sottile, che le dà un'espressione seria e formale. Poi fa un sospiro secco e deciso.

«Ho un piano» afferma, attirando la mia attenzione. Sembra davvero infantile, quello che ha detto. Ma non posso non ascoltarla: finora, tra i due, è quella che ha dimostrato di avere più informazioni e controllo sulla situazione. Io, dal canto mio, continuo a sentirmi smarrito.

«Un piano?» chiedo. Lei alza gli occhi al cielo, scocciata.

«La smetti di ripetere sempre le ultime parole che dico? Non fare un torto al duro lavoro di Viktor e dimostra la tua intelligenza superiore, ogni tanto.»

Mi scuso frettolosamente e la esorto a continuare. Non so se avere paura di lei o sentirmi onorato delle sue parole.

«Non sappiamo se gli umani sappiano della tua esistenza o meno. Non ho informazioni su cosa Viktor abbia condiviso con i Ribelli. Potrei provare a comunicare con lui, ma c'è la possibilità che, prima che io ci riesca, loro ci trovino. Per dimostrare agli umani che stai dalla loro parte, c'è solo una cosa da fare: prendermi in ostaggio.»

Rimango leggermente confuso. «Mi pareva che questa alternativa non fosse di tuo gradimento, un po' di tempo fa» le ricordo. Lei fa ancora quel gesto con gli occhi, che credo stia a indicare noia mista a esasperazione.

«È un finto rapimento, ovviamente. Deve solo sembrare che tu mi stia portando da loro.»

Storco le labbra. «Senza offesa, Medius, ma il tuo aspetto è leggermente atipico, per una della tua specie» faccio notare. Lei non muove un muscolo, continuando a fissarmi prima di parlare.

«Mio padre ha già mobilitato una squadra di ricerca: i Medius sanno della mia scomparsa. E, se lo sanno loro, lo sapranno anche gli umani. Inoltre, non dimenticare chi è mio padre. Sicuramente i Ribelli conosceranno quanto io possa valere, nelle loro mani.» Annuisce tra sé e sé. Alla fine, sussurra: «Forse per te è stata una fortuna trovarmi. Forse sono il tuo biglietto da visita per i Ribelli.»

«Forse ci uccideranno entrambi» affermo, alzando le sopracciglia. Non sono del tutto convinto del suo piano. Lei mi liquida sventolando una mano, come se quello che ho detto avesse poca importanza.

«Tale padre, tale figlio» dice solo. Io faccio per chiedere spiegazioni, ma Amanda si volta e si sdraia su un fianco. Non mi resta che imitarla e cercare di riposare, con la testa piena di dubbi e il cuore pieno di domande.

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«Il giubbino marrone non si addice alla tua carnagione» afferma la ragazza che mi sta davanti, seduta su un divano con le braccia incrociate. Accanto a lei, un bambino. Avrà poco più di sei anni, ma assume lo stesso atteggiamento della ragazza, il che lo fa apparire più grande. Guardandoli, si possono vedere alcune somiglianze: il colore caramellato della carnagione, il taglio della bocca, lo sguardo sprezzante. Devono essere in qualche modo imparentati.

«Il colore del mio giubbotto non ha alcuna importanza, è il valore che simboleggia ad averne» dicono le mie labbra, con una voce profonda. Lo apro e permetto ai due che mi stanno di fronte di ammirare anche il resto della divisa, sempre di una tonalità terrosa. La maglia termica e i pantaloni stretti mi cadono perfettamente sul corpo, quasi fossero stati creati su misura. Faccio addirittura una giravolta, scatenando le risate del più piccolo.

«Quando tornerai?» mi sussurra la ragazza, quasi avesse paura di farsi sentire da quello che credo sia il fratello.

«Presto» la rassicuro. «È solo la prima missione. E poi non ho intenzione di mancare alla tua cerimonia di diploma. Finalmente inizierai gli allenamenti e io non vedo l'ora di prenderti a calci.» Sorride soddisfatta, come se anche lei fosse impaziente di lottare con me, poi mi abbraccia, le mani premute sulla mia schiena e la guancia aderente alla mia nuova uniforme.

«Ti voglio fottutamente bene.»

Prima che l'immagine inizi a sfumare, anche il ragazzino si unisce al nostro abbraccio.

Quando mi allontano dalla scena, così familiare, quello che provo è sofferenza. Un dolore sordo nel petto, che si propaga per tutto il corpo. Come posso avere nostalgia per qualcosa che non conosco? Per delle persone che non appartengono alla mia vita?

Apro gli occhi, disturbato dalle prime luci dell'alba. Amanda si è già allontanata dalla sua postazione, intenta a studiare gli alberi che ci circondano. Sospetto che riesca a vedere molto più lontano di quello che mi permettono i miei occhi. Quando si accorge che sono sveglio si volta verso di me con le mani sui fianchi.

«Dovresti dirmi il tuo nome, ora» ordina, senza l'accenno di un sorriso. Io tentenno. Non perché non glielo voglia dire, ma perché non so cosa risponderle. Al termine "nome" molti suoni hanno fatto capolino nella mia testa. Voci lontane, sussurri e grida. Nomi estranei che so per certo non appartenere a me.

«Non penso di averne uno» dico alla fine, con un'alzata di spalle.

«Il Dottor Viktor ti ha lasciato senza un nome?» chiede, quasi sorpresa. Alzo di nuovo le spalle. Per quanto un nome possa valere, non lo considero qualcosa di importante. E penso che anche Amanda abbia fatto il mio stesso ragionamento: è più un fattore pratico, per sapere come richiamare la mia attenzione quando ce n'è bisogno. Facendomi segno di alzarmi, Amanda ricomincia a parlare.

«Allora, se non te lo ricordi, puoi sceglierne uno» mi concede.

Se vedessi sul suo volto l'ombra di un sorriso, sarei più rassicurato. Invece continua imperterrita a mantenere la solita espressione inespressiva. È quasi noioso parlare con lei. Ricominciamo a camminare, per tornare al bivio di ieri. Ho deciso che strada prendere, durante la notte. Non perché abbia avuto visioni strane o voci nella testa che mi hanno dato suggerimenti, ma penso che quella giusta sia la prima a sinistra e voglio seguire questa sensazione.

Sto cercando di cogliere uno dei nomi che sento rimbombare nella mia mente, quando Amanda mi interrompe.

«Forse Anken potrebbe andare.»

Mi fermo sorpreso. «Come?» le chiedo, sperando non si spazientisca per la mia domanda.

«Anken» ripete, senza fermarsi.

«Perché?» domando ancora, raggiungendola dopo aver allungato il passo. È un suono particolare, quello uscito dalla sua bocca, aspro e duro, del tutto nuovo alle mie orecchie. La vedo sogghignare.

«Un giorno te lo spiegherò. Se ti piace, puoi prenderlo.» Storco la bocca, ripensando al nome. Non so se mi si addica, ma Amanda sembra soddisfatta, quasi fiera della sua trovata.

«Ha un significato particolare? Vuole dire qualcosa che ignoro?» mi informo, prima di accettare.

«No» dice soltanto.

Ci penso un po', ripetendo il nome a fior di labbra. La guardo di sottecchi, vedendo nuovamente il sorrisetto dipingerle le labbra. Constato che è la prima volta che la vedo sorridere. Non so se è questo il motivo o è qualcosa di più profondo e inconscio, ma alla fine accetto. Anken non mi sembra poi così malvagio.

NdM. E ora anche Anken ha un nome: ipotesi sul perché Amanda lo trovi tanto divertente? 

Cosa ve ne pare del suo "splendido" piano? Io non vorrei fare il corvo del malaugurio, ma temo che non sia una gran genialata >-<

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