22. Ribelle

Lo so che ho avuto la meglio solo perché ho colto il suo unico attimo di distrazione. Lo so che sono io la codarda, per averlo preso alle spalle senza essere stata affatto corretta. Non c'è il tempo per essere magnanimi, tra nemici.

Il mostro si sposta prima che arrivino i fendenti, crea combinazioni di diverse tecniche di combattimento e anticipa le mosse degli avversari come se già le conoscesse, prendendosi anche il tempo di soffermarsi a studiare il loro stile.

Con me, però, ha tentennato, quando si è sentito ferito in un modo tutt'altro che fisico. E non potevo lasciarmi scappare quell'occasione d'oro, non dopo che mi ha umiliata mandandomi a tappetto ogni volta senza mai attaccarmi veramente. Come se avesse paura di ferirmi. O come se avesse paura di agire in modo mostruoso.

Resto ferma in un angolo, le braccia conserte e gli occhi attenti, mentre osservo come riesce sempre a sfruttare i movimenti altrui per rivoltarli contro gli avversari, senza mai usare la sua forza. Non tira fendenti, non cerca di attaccare, non studia posizioni di offesa: si limita a difendersi e a mettere al tappeto.

Non riesco ancora a capire come sia possibile, ma poi mi ricordo chi è la creatura che sto osservando. Non è umano o, almeno, non nel senso generale del termine. Al pensiero del documento che ho letto poco tempo fa, un moto di nausea mi impone di distogliere lo sguardo dal combattimento: voglio solo recarmi in bagno e stare da sola, lontana da colui che ha battuto, avversario dopo avversario, trenta dei migliori di noi, addestrati fin dalla nascita per combattere contro esseri decisamente superiori alle nostre capacità. Eppure tutti, io compresa, siamo stati sconfitti senza che lui abbia sfruttato alcun tipo di violenza.

Una volta lontana dal trambusto dell'addestramento, mi siedo su una panca in acciaio e cerco di bearmi della superficie gelida e tagliente. Mi prendo la testa tra le mani, ripensando alla sua esitazione quando ho trovato il suo punto debole, ai suoi occhi che conosco dannatamente bene e all'anima spezzata che vi ho scorto all'interno.

Perché hanno scelto di sacrificare delle vite per creare un essere imperfetto, che risente delle stesse debolezze umane? Davvero ci potrà portare via da qui, un mostro che si spaccia per pacifista e che cerca solo di essere accettato per quello che è?

Penso che Nathan abbia solo sprecato la sua vita, se il risultato è quell'ammasso di carne là fuori: perché non è altro, solo l'insieme di corpi diversi, di persone scelte per morire invano.

Senza pensarci, mi alzo di scatto e sollevo le braccia per poi sbattere entrambi i palmi aperti sul muro. Sento un piacevole formicolio iniziare a solleticarmi la pelle, ma evito di farmi male e mi limito ad appoggiare la fronte sulla parete ruvida.

«Ti senti più forte, ora?» mi interrompe una voce, facendomi voltare con un sussulto.

Diane se ne sta sulla porta a braccia conserte, fissandomi con la sua solita aria da superiore e la testa leggermente inclinata. La ignoro, ritornando seduta sulla panca per sfilarmi le scarpe troppo grandi per i miei piedi: devo proprio chiedere un numero più piccolo, prima che mi faccia male sul serio.

«Nessuno ha chiesto la tua opinione, Saffo» le rispondo sprezzante, ottenendo solo uno sbuffo di disapprovazione.

«Credi che attaccare tutti coloro che incontri sulla tua strada sia la giusta soluzione?»

«Magari se faccio fuori tutti quelli che mi rompono le palle, il mondo mi risulterà più vivibile» rispondo ironica, litigando con una stringa che non ha intenzione di slacciarsi.

«Ti ricordo che tu non le hai, le palle, Lightborn.»

«E io ti ricordo che, in ogni caso, tu non ne vedrai mai» sbuffo, riuscendo finalmente a togliermi le maledette scarpe.

«L'ho notato anche io, che c'è qualcosa che non va in lui» mi confessa Diane, sorvolando sul mio commento poco appropriato. In ogni caso, riesce ad attirare la mia attenzione. «Non mi spiegavo perché tu ce l'avessi tanto con lui, finché non ci sono stata di fronte. Ha qualcosa di estremamente familiare, nel suo sguardo, nelle sue movenze, nel suo essere...»

Non penso Diane sappia ciò che so io, ma sarebbe impossibile non notare le familiari stranezze di quel mostro. Scrollo le spalle. «È tutta suggestione. Vogliono farci credere che sia il nostro salvatore, quando non è nulla di più di ognuno di noi.»

«Ha battuto trenta di noi, oggi, dei migliori. Senza un minimo di sforzo.»

«Appunto» sottolineo, guardandola con le sopracciglia alzate. «Senza sforzo: ha semplicemente risparmiato energie per poter agire su un lungo periodo. Quello, in battaglia, lo fanno fuori subito, un colpo delle mezze macchine e lo ritrovi stecchito sul pavimento.»

Diane schiocca la lingua sul palato, contrariata. «Io non credo, quel tipo nasconde più di quanto dà a vedere e si è fatto picchiare due volte da te, ma se è qui c'è un motivo. E io voglio scoprirlo.»

Mi alzo spazientita, unendo le scarpe per i lacci e appendendole alla spalla sinistra. «Smettila di blaterare, Gruseling, altrimenti mi peggiora il mal di testa» la liquido, lasciandola da sola sulla panca che mi ha accolta fino ad adesso.

Esco da lì prima che possa fare altre domande, spaventata al pensiero che possa arrivare alla verità e scoprire che sono realmente una codarda. Cerco di convincermi che lo faccio per il suo bene, per non permettere ad altri di soffrire come quando ho scoperto del tradimento di Nathan, ma non mi rendo conto che io sono la prima traditrice a mantenere un simile segreto. E non mi rendo conto che io sono il mostro.

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