20. Medius
Cammino avanti e indietro in attesa che arrivi qualcuno, chiunque, a bussare a quella maledetta porta. Preferivo la stanza bianca, almeno lì potevo percepire ogni movimento e non c'era nessuna attesa: semplicemente, ad accompagnarmi era la rassegnazione di essere stata abbandonata. Nemmeno contare riesce a tenermi compagnia e pensare che Tito potrebbe impedire ancora ad Anken di vedermi mi innervosisce: non siamo alleati, non tramiamo contro di loro e io ho solo bisogno di parlare con qualcuno, di non essere abbandonata a me stessa. Mi fermo quando sento il meccanismo della porta sbloccarsi e resto a braccia conserte di fronte all'uscio senza capire chi possa effettivamente aspettarmi.
A entrare non è né Tito, né tantomeno Anken, ma una donna poco più bassa di me con dei corti capelli castani a incorniciarle i tratti severi del viso. Quarant'anni, parametri vitali nella norma, una leggera carenza di ferro, ma per il resto è in perfetta salute.
«Salve» la saluto.
«Non sono Tito, non c'è bisogno della gentilezza. Siediti» mi ordina, indicando il divano. Senza cambiare espressione mi volto verso la seduta, per poi tornare a fissarla.
«Non c'è bisogno, sto bene così» le dico. Non mi sono mai seduta nemmeno durante le visite di Tito, di sicuro non mi lascerò sottomettere da lei.
«Perfetto. Perché sei qui e per quale astruso motivo hai accompagnato la Creatura.» Lascia convenevoli e tono interrogativo da parte, così decido di adattarmi al mio interlocutore.
«Anken ha un nome e mi ha presa in ostaggio.»
«Non sparare scemenze con me, Medius, non sono il primo allocco in circolazione. Tito potrà anche credere ai tuoi giochetti, ma la Suggestione può arrivare fino a un certo livello sugli animi che si distaccano anche solo un po' dall'immane bontà del mio collega» mi informa, pragmatica e sprezzante, incrociando le braccia al petto come per difendersi da me. Ha un coltello a lama lunga infilato nello stivale, un teaser nella tasca posteriore dei pantaloni e un coltello a serramanico nel passante della cintura. Non le dico che conosco le sue armi per non allarmarla, ma evidentemente questa donna non ha paura di affrontarmi senza guardie.
«Non sono incline a supportare la causa a cui sono votati molti Medius, soprattutto da quando ho scoperto degli esperimenti genetici. Non mi piace la capitale, né la sua gente, né la sua filosofia e ho solo approfittato del primo modo per andarmene. Ho conosciuto Viktor e poi Anken, il resto della storia lo sa» ricapitolo. «E, per sua informazione, non ho concluso l'addestramento: non so usare la Suggestione.» Non ancora, vorrei aggiungere.
«Meglio prendere le dovute precauzioni. D'ora in poi sarò io il tuo intermediario: Tito ha già fatto abbastanza per metterti a tuo agio, adesso ci servono delle risposte vere.»
Annuisco. Per quanto non mi piaccia, di sicuro questa donna è meglio del buonismo di Tito. «Sono qui per aiutarvi.»
«Sei disposta a schierarti dalla nostra parte?» mi chiede, alzando un sopracciglio. Scetticismo. La imito.
«A patto che non vi abbassiate al livello dei Medius.»
Lei sogghigna, ma non è divertita. Scherno. «Quello non è possibile: più infidi di voi ci sono solo le Macchine.»
-
Dopo la visita da parte della donna, ho passato il tempo a sfogliare i libri presenti sugli scaffali in legno. Non ho mai sfogliato dei libri di carta e avere il peso del tomo tra le mani, la sensazione delle pagine sulle dita, l'odore dell'inchiostro antico e delle copertine in cartone sono elementi che mi riprometto di non scordare. Inizio a leggerne qualcuno, sono quasi tutti libri di fisica e architettura, con alcuni volumi sulla biologia dell'acqua e scienze molecolare e scorgo anche un antichissimo libro di un poeta italiano, la Divina Commedia. Non sono interessanti, ma quantomeno posso raccogliere e immagazzinare informazioni e passare il tempo a fare altro, piuttosto che fissare la parete bianca. Prima di sentire dei rumori fuori dalla porta, ho letto una ventina di libri rispetto ai duecentocinquanta che ho contato sulla libreria. Mi alzo in piedi, tenendo il tomo premuto sul petto.
«Dieci minuti» sento dire, prima che il meccanismo si inneschi e la porta si apra.
Tiro un sospiro si sollievo non appena vedo la figura familiare di Anken e quella di una guardia che, senza cenni di saluto, richiude la porta dentro di noi. Abbasso il libro e lo poso sulla scrivania, mentre Anken rimane fermo con le mani in tasca.
«Ciao» sorrido, imitando la cortesia di Tito.
«Ciao» risponde Anken, sciogliendo le spalle e guardandosi intorno: nota i libri che ho tolto dagli scaffali e che ho lasciato a terra aperti sulle pagine più interessanti. «Vedo che ti dai alla pazza gioia.»
«Mi piace leggere. Ma sono abbastanza noiosi» rispondo, non sapendo come muovermi. Lo imito e porto le mani dietro alla schiena.
«Non si direbbe, dalla quantità che hai divorato» ridacchia. Si avvicina a me e si china sul pavimento, per poi raccogliere un volume.
«Sono una lettrice veloce» confesso.
«Dante Alighieri, Inferno» legge, prendendo la pagina su cui ho lasciato aperto il libro.
«Considerate la vostra semenza: | fatti non foste a viver come bruti, | ma per seguir virtute e canoscenza» recito. «È italiano antico, ma parla di valori immortali.»
Anken fissa nella mia direzione come se avesse appena visto qualcosa di meraviglioso. Mi volto per scorgere chi sta guardando, ma dietro di me ci sono solo i pensanti tendaggi. Prima che possa capire, sento la risata di Anken, che chiude il libro e si va a sedere sul divano. «Mi sorprendi ogni volta» mi dice solo, prima di tornare serio. «Come stai?»
«Bene» rispondo, andandomi a sedere vicino a lui. Il suo volto è peggio di quel che pensavo: il gonfiore del naso si è spostato sotto agli occhi, che ora sono cerchiati da occhiaie scure e viola, mentre la parte destra del suo viso è completamente coperta di tagli. La ragazza deve essere mancina e sa esattamente dove minare: sopracciglio, zigomo, labbra, mascella. Controllo velocemente i suoi parametri vitali. È a corto di vitamina D, mentre gli altri valori sono come al solito alle stelle. È sorprendente come un umano possa raggiungere tali parametri, Viktor ha fatto uno splendido lavoro.
«Mi stai scannerizzando?»mi chiede Anken, distraendomi dalla mia analisi.
«Sì, io... controllavo stessi bene» confesso, distogliendo lo sguardo.
«Potevi chiedere» mi rimprovera lui bonariamente.
Sorrido con sincerità. «Come stai?» chiedo sul serio, guadagnandomi un'altra risata.
«Acciaccato, ma bene. Il Dottor Conan mi ha rimesso i punti e ha dato una sistemata alle mie nocche» mi informa, allungando verso di me la mano destra. Lo guardo e lui sembra quasi in attesa di qualcosa: poi capisco. Prima che abbia il tempo di ritirarla, afferro con gentilezza la sua mano. Come la prima volta, il contatto con la sua pelle mi risulta estraneo, sbagliato, ma cerco di superare questa sensazione e lascio che i miei polpastrelli seguano le linee anatomiche della sua mano. La pelle è tagliata sulle nocche, dove ormai si sono formate delle croste di sangue, mentre il taglio sul dorso, tra il pollice e l'indice, è stato coperto da un cerotto bianco. Sto per restituirgli la mano, quando Anken fa scivolare le sue dita tra le mie, non permettendomi di ritirare il braccio.
«Mi dispiace per le tue caviglie» mi dice, riferendosi ai segni rosati che decorano il collo dei miei pedi, un ricordo degli anelli di metallo con cui mi tenevano legata.
Scuoto la testa, accennando a un sorriso. «Non è niente, sono solo stata per troppo tempo là sotto.»
«Non succederà più» mi assicura. Sembra quasi una promessa.
«Lo so» gli rispondo, credendo per certo a ogni sua parola. «Anken, cosa vogliono da te?» chiedo schietta.
Lui mi guarda spaesato, quasi non si fosse mai posto questa domanda, ma poi sospira. «Stanno allenando una squadra, sono in trenta persone e sette verranno con me. Hanno detto che a tempo debito mi diranno ogni cosa, ma temo sia un attacco ai danni della capitale» mi spiega, continuando a giocare con la mia mano. Vorrei ritrarla, ma ho paura che possa sembrare un gesto di rifiuto. Non lo è, né sono dispiaciuta dal suo tocco, ma continua a sembrarmi qualcosa di sbagliato.
«Temi?» chiedo, riferendomi alle sue parole.
«Non potranno mai vincere contro i Medius, Amanda, nemmeno se li attaccano tutti insieme. Penso che ne siano consapevoli e spero che abbiano un obiettivo fattibile.»
Annuisco, comprensiva. «Come ti trattano, gli umani?»
Anken mi sorride e si accorge che è ora di interrompere il contatto. Lascia la mia mano e, per fargli capire che non è colpa sua, mi avvicino a lui sul divano. «Bene, a parte qualcuno che sembra veramente odiarmi. Sospetto che sputino nel mio cibo.»
Lo guardo trattenendo una risata e vedo che anche lui sorride. «E ti lasci sottomettere così?» chiedo.
«No, scambio sempre il piatto con il mio vicino senza che nessuno se ne accorga.» Questa volta lascio uscire la risata e Anken mi segue. «Viktor?» mi chiede poi.
La mia ilarità di spegne e sono costretta a tornare seria. Non avrei voluto dirglielo, ma non posso fuggire una sua domanda diretta. «Hanno annunciato la sua accusa questa mattina. Crimini contro l'umanità, per quanto la cosa sia ridicola. È tenuto prigioniero fino a che le acque non torneranno tranquille.»
«E... tuo padre?»
Alzo le spalle, noncurante. «Mi ha dedicato un trafiletto nell'ultima pagina, offre come ricompensa un posto al Cyberpalast per un anno. Ma credo l'abbia fatto scrivere mia madre, perché c'è una foto segnaletica che mio padre non avrebbe mai diffuso.» Anken mi osserva in cerca di spiegazioni. «È una foto di quando ero umana. Non molto diversa da ora, è vero, ma la differenza si nota.»
«Posso vederla?» domanda il ragazzo.
«No» prorompo, alzandomi dal divano e iniziando a sistemare i libri lasciati a terra.
«Scusa, non pensavo fosse... Non volevo innervosirti.»
Scuoto la testa, rassegnata, e mi chino a prendere un altro libro. «Non fa niente, è solo che è passato tanto tempo e... Non mi piace parlarne.»
«Va bene» lo sento dire. Chiudo gli occhi, prima di voltarmi verso di lui. Mi sta passando un libro e posso vedere nel suo sguardo il dispiacere. «C'è una cosa che vorrei-» inizia, prima di essere interrotto dalla porta che viene aperta.
«Tempo scaduto, ragazzo, se mi beccano mi relegano a lavorare al Refettorio. Ti aspettano per l'addestramento» spiega sbrigativa la guardia.
Anken mi passa il libro e cerca il mio sguardo. Gli sorrido, per fargli capire che va tutto bene.
«Ci vediamo» mi dice semplicemente. Annuisco, osservandolo uscire e portare via con sé quei pochi attimi di umanità che oggi mi sono stati concessi.
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