2. Medius


Chiudo gli occhi per oscurare la pagina del quotidiano di questa mattina e ritorno a vedere l'aula, le cui pareti ora si fanno di tanti diversi colori: grigio tortora, azzurro, rosso; ma quello preponderante resta comunque il bianco, la noia. Tutte, dalla prima all'ultima, sono emozioni simulate che sostituiscono il colore neutro tipico di qualsiasi parete: nessuno di noi sente davvero qualcosa, ma l'esercizio richiede proprio di emulare sconcerto, spavento o dispiacere in relazione all'articolo appena letto. Guardo i miei dieci compagni di studio e non posso non pensare che le lezioni di questo tipo sono l'apoteosi dell'ipocrisia, una finzione unanime che ha come unico scopo quello di recuperare una spontaneità ormai perduta negli anni.

Il Rievocatore, un uomo di aspetto metallico privo di capelli e sopracciglia, attende pazientemente che tutti gli rivolgano l'attenzione, per poi dare la parola al primo di noi che alza la mano. Io ascolto la discussione senza interesse, poiché solitamente il ragionamento che si fa è unitario, quindi questo non è un vero e proprio Dibattito, come indicato dalla scritta sulla porta dell'aula.

Il tema di oggi è naturalmente l'esplosione di un Medius avvenuta una settimana fa. Ognuno degli studenti, a turno, sottolinea i danni causati dal fuoco alle Macchine che sono intervenute, l'entità delle ferite dei Medius coinvolti e la gravità del tempo sprecato per ricostruire il loro sistema. Ipocrisia. Nessuno di loro è davvero in grado di interessarsi a ciò che sta alla base di quel che è accaduto: sono tutti burattini privati di occhi dall'Organizzazione, personaggi prevedibili e controllabili che cercano di emulare gli esseri umani senza rendersi conto che nessun uomo farebbe mai simili constatazioni. Evidentemente, le lezioni di Antropologia e Psicologia non sono servite a niente.

Aspetto pazientemente che ognuno abbia parlato, prima di alzare una mano. Il Rievocatore sposta il suo sguardo su di me: ogni volta che intervengo creo scompiglio, perché metto in discussione le loro certezze, così di solito mi limito ad ascoltare.

«Perché ne fanno ancora uno scandalo dopo una settimana?» chiedo semplicemente, senza scompormi più del necessario. Mi limito ad alzare le sopracciglia per ricreare ironia, ma il tono della mia voce è troppo impostato: devo lavorare meglio su questo aspetto.

Il Rievocatore passa in rassegna il cerchio di sedie che abbiamo formato per controllare se qualcuno desidera rispondere alla mia domanda. Io seguo il suo sguardo, ma nessuno ha intenzione di intervenire e lui, evidentemente sconvolto poiché deve uscire dai suoi schemi logici, mi risponde riluttante.

«Perché è il primo attacco terroristico subìto dopo la Settima Guerra Mondiale.»

«Esatto, ma nessuno parla mai di esplosioni le cui vittime sono gli umani, né di tutti quelli della loro razza che muoiono per difendere la propria specie. Invece si scrivono articoli e articoli su una piccola esplosione che non ha creato gravi danni, ma solo-»

Il Rievocatore, con calma inaudita, alza una mano per fermarmi. Le pareti si tingono di nero, mentre i miei compagni mormorano commenti di disapprovazione per le mie parole. Non è consigliato parlare di argomenti che esulano dagli articoli letti, ma tutta questa messa in scena inizia a diventare ridicola.

«Lei non ha il diritto, nonostante sia figlia di un alto esponente della società, di diffondere notizie riservate. La prego gentilmente di uscire» mi ordina il Rievocatore, mantenendo inalterata la sua espressione anche grazie all'assenza di sopracciglia.

Io mi guardo intorno: quasi tutti mi stanno fissando immobili, in attesa del mio allontanamento. Vorrei dire che non sono notizie riservate, perché basta prestare attenzione a quello che succede a qualche distretto da qui per capire che il nostro è un mondo fasullo. Ma nessuno dei dieci studenti che come me frequentano questa lezione potrebbero capire: ignorare le esplosioni, le incursioni dei Ribelli in territorio medius e le urla degli umani fa parte della nostra vita.

Con calma e senza dimostrare la mia irritazione, mi alzo dalla sedia e rompo il cerchio in cui ero accomodata: nessuno si cura di me, sono solo una delle tante che frequenta le lezioni in Accademia. Lascio l'aula e poi l'edificio senza correre, ma mantenendo un'andatura costante che mi possa portare il più in fretta possibile lontano dal Rievocatore. Mentre percorro la strada per dirigermi al Cyberpalast, dove vivono le famiglie dei dirigenti dell'Organizzazione – tra cui la mia –, vengo ostacolata da una folla di Medius. Evito sempre di usare il passaggio sotterraneo che collega l'Accademia al Cyberpalast, preferendo di gran lunga l'aria aperta, ma le decine di persone che intralciano la strada mi ricordano improvvisamente che giorno sia oggi. Come ho potuto dimenticarmene?

Prima che riesca a cambiare direzione, vengo trascinata dalla folla esultante verso la piazza principale della Città: non c'è attentato dei Ribelli che possa distogliere l'attenzione da eventi come questo, né Medius che si senta libero di non prenderne parte. Tranne me, che da qualche anno preferisco rimanere chiusa in casa piuttosto che assistere all'abbandono della vita umana.

Riesco a fermarmi solo quando ormai è troppo tardi per tornare indietro, schiacciata in una calca di corpi che guardano in un'unica direzione: al centro dello spiazzo è stato eretto un palco sopraelevato e, su questo, una ventina di giovani attendono il loro turno. Sono nuovi Medius, freschi di ricostruzione, e non aspettano altro che legittimare di fronte a tutti la loro Venuta, il passaggio da essere umano a semi-macchina.

Se ne stanno lì, immobili di fronte alla folla concitata, compiaciuti di far parte di una società fittizia costituita da corpi fittizi. Il primo di loro, un ragazzo dai lineamenti marcati a causa di innesti meccanici, prende una scatola argentea che gli viene posta e si dirige al centro del palco.

So cosa sta per succedere, sento ancora l'odore di sangue e di fumo che mi solletica il naso, perché meno di dodici anni fa anche io mi trovavo nella sua stessa posizione. Come tutti loro sono stata là, in alto, acclamata e sostenuta da quella che avrebbe dovuto diventare la mia nuova comunità. Osservata da visi inespressivi, osannata da grida di gloria.

"Brucia!" mi ordinavano e io bruciai. Rovesciai le mie stesse carni, i capelli che mi erano stati tagliati, il cuore ancora caldo e pulsante, e diedi fuoco a ciò che di umano rimaneva in me.

Chiudo gli occhi, per evitare di osservare le fiamme che divampano, ma non posso impedirmi di inspirare l'odore di carne bruciata. Il Medius alza le mani al cielo in modo vittorioso, per salutare il suo nuovo popolo, e osserva ognuno di noi con sguardo serio, senza il minimo accenno di emozione nei suoi lineamenti. Ha vinto, ha ottenuto una vita eterna, la possibilità di abbandonare ogni suo ricordo umano e accedere prima all'Istruzione e poi alla Professione, così da guadagnarsi in modo completo il suo posto nella società. Completo, sì, ma non assoluto: un solo errore, un singolo sbaglio e il suo stato verrebbe degradato a quello un semplice uomo. I Medius tengono a disposizione organi umani sintetici, pronti da donare a tutti coloro che disertano o tradiscono la società: chi vorrebbe perdere tutti i vantaggi ottenuti con tanta fatica, ritornando a uno stato di sottomissione e sofferenza?

Nessuno, mi rispondo, osservando le centinaia di Medius che popolano la piazza durante la cerimonia della Venuta. Nessuno rinuncerebbe mai alla prospettiva di una vita eterna, alla promessa di poter essere un dio. Lascio un ultimo sguardo al palco, dove una ragazza dai lunghi capelli celesti sta per bruciare le sue interiora, e mi volto facendomi largo con i gomiti. Devo andarmene da qui.

Sarei bugiarda a non ammettere a me stessa che anche io mi sentivo esattamente come loro, esaltata all'idea di poter ottenere quello che nei miei anni da umana mi era stato negato. Desideravo eguagliare i miei genitori a tutti i costi, essere simile alla loro perfezione: fu così che mio padre mi concesse di prendere parte alla Venuta troppo giovane. Avevo dieci anni, quando ebbi il permesso di barattare la mia umanità con una vita agiata, priva di malattie, allettante: avevo avuto una decade per godere del mio essere semplicemente una bambina, prima che tutto mi fosse strappato via.

Quando fu l'ora della mia Venuta ero ancora troppo legata alla vita umana per capire di quale fondamentale importanza fosse questo passo per la comunità. Così ho scelto un aspetto che si attenesse a quella che ero: la pelle non ha stravaganti tonalità, è anzi di un rosa pallido e morbida come quella umana, e non ho voluto rinunciare ai miei capelli mori, né alle ciglia. Ho mantenuto inalterato il mio aspetto umano, suscitando l'orrore di tutti coloro che mi hanno additata come traditrice. Naturalmente mio padre si è accorto dell'errore di avermi dato carta bianca troppo tardi, ma ero giovane e ancora incline all'essere manipolata da lui. Ha colto al volo l'occasione, prendendo sua figlia – una Medius travestita da umana – e lasciandola al Dipartimento Addestramento per Quartieri Umani, un ramo dell'Organizzazione che si occupa di creare Medius conformati quanto più possibili agli uomini: chi, meglio di me, avrebbe potuto intrufolarsi tra le fila umane senza generare alcun sospetto in merito alla mia natura? Ho passato gli ultimi dodici anni a studiare ogni cultura, lingua e tradizione del passato, ad approfondire la psicologia, la fisiognomica e il comportamento dell'uomo. Ma sono rimasta un'emarginata, imitatrice di umani in una società di semi-macchine, dove il desiderio comune ha a che fare con l'estinzione di coloro che non vogliono prendere atto al rito della Venuta.

Ancora oggi, non so dire se mio padre mi spinse a questa scelta a causa del suo odio verso gli umani o se ero ancora troppo stupida per vedere la realtà in modo chiaro. In onor del vero, mi ci vollero sette anni per capire che le cose, qui, nella grande e splendente Città dei Medius, sono molto più complicate e sporche rispetto a come vengono dipinte durante i nostri anni da umani. Ero cieca, fino a cinque anni fa, ma è da tempo che non riesco più a godere della vita che mio padre mi ha donato.

Quando il vociare della folla e l'odore del fumo sono ormai troppo lontani dai miei sensi, mi sembra di poter ritrovare la mia solita razionalità. Non mi capita spesso di addentrarmi in ricordi umani, ormai sono passati troppi anni e spesso sono solo sensazioni offuscate e confuse. Dimentichiamo, con il tempo, cosa significhi soffrire, gioire o addirittura amare: non siamo altro che ombre del nostro passato e la Venuta è la nostra condanna a morte.

Giunta al cancello che precede la struttura più importante di tutta la Città, il Cyberpalast, mostro alla guardia il mio cartellino e poi gli porgo la mano. Non appena le mie dita entrano a contatto con lo scanner di identificazione, passo sicura attraverso il ferro battuto del cancello principale e in poco tempo raggiungo l'ascensore esterno. Il Cyberpalast, oltre all'Accademia, è il centro fondamentale non solo di ogni città, ma anche della vita di ogni Medius: è qui che si tengono le lezioni, nonché l'addestramento per la Professione futura che ognuno di noi ricoprirà. Ma non è tutto.

La scoprii quando avevo quindici anni. Una ragazzina spigliata che può accedere ai documenti di un pezzo grosso della società come Axel Reedan, mio padre, può essere un grave problema. Stavo facendo un'innocua ricerca utilizzando il suo sistema di supporto, il quale ha sempre avuto accesso a maggiori informazioni rispetto a quello che al tempo mi concedevano. Feci una ricerca di troppo. Aprii una cartella proibita. Scoprii i segreti più oscuri.

Fu in quel momento, seduta con gli occhi sgranati e riempiti da video, documenti, numeri e dati, che capii di essere stata cieca fin dall'inizio. Come il resto di noi.

Tutti sono al corrente che si svolgono esperimenti genetici, perché sono necessari per mantenere il progresso costante e trovare sempre nuove invenzioni per noi Medius, ma non avevo idea che oggetto di questi esperimenti potessero essere proprio gli umani che io stavo imparando ad adescare: il DAQU non era finalizzato ad accrescere la mia cultura sul genere umano, ma a insegnare come diventare esche per topi. Topi da laboratorio, per la precisione. Riflettendoci meglio, chi altro avrebbe potuto fungere da cavia? Certo non le Macchine, né tantomeno gli animali, eliminati da tempo dalla Terra. Pensare che gli esseri umani che stavo imparando a conoscere – e che tutti noi eravamo stati – fossero trattati in modo tanto cruento mi fece rabbrividire, così come lo scoprire dove fosse la sede di questi orrori: d'altronde, il miglior nascondiglio è proprio quello sotto gli occhi di tutti.

Fisso l'immensità del Cyberpalast dal basso, lasciando che lo sguardo vaghi fino all'altezza del trentesimo piano. Ho taciuto per cinque anni, ho studiato con dovizia, mi sono comportata in modo impeccabile fingendo al meglio delle mie capacità e mi sono costretta a ignorare quello che avviene ogni giorno proprio sopra la mia testa. Ma l'esplosione di una settimana fa ha riacceso la necessità di capire che cosa stia succedendo: l'Organizzazione potrà anche mentire a tutti i Medius, ma io so che quel piano non è destinato alle riunioni. So quali orrori nasconde, quali verità non avrebbero dovuto essere viste da una ragazzina di quindici anni.

Entro nell'atrio, salutando con un cenno della testa una delle guardie. Aspetto paziente l'ascensore che mi deve portare al DAQU e attendo che salga, fino a che porte si spalancano sul piano in cui si tengono le lezioni pomeridiane, il decimo.

Mi torna alla mente l'immagine del Medius che ha appena completato la sua Venuta, un ragazzo che da ora in poi sarà intrappolato all'interno del suo stesso corpo.

Mi torna alla mente la mia mano, che lascia cadere la fiamma in quella scatola argentata. Rivedo il mio cuore – rosso, vivo e umano – che si sgualcisce accarezzato dalle lingue di fuoco. Lascio che le porte si richiudano, impedendomi la visuale e restando immobile all'interno dell'ascensore. So già cosa pronunciare.

«Sala riunioni, piano trenta.»

È ora di smascherare le menzogne, perché ho preso la mia decisione e sono pronta a tradire chi mi hanno imposto di essere.



NdM. Inutile dire che ho completamente riscritto anche questo capitolo, anche se ho mantenuto la struttura per di più narrativa: Amanda necessita di raccontare la sua inadeguatezza e ho pensato di dedicare il suo primo pov alla sua storia, per far luce su come si possa diventare Medius. Che ve ne pare del suo personaggio?

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