15. Creatura



Gli umani sono creature sopravvalutate. Si impegnano per creare oggetti e comfort che non servono a niente, ma risultano carenti su questioni importanti. Come il rispetto, l'empatia o l'ascolto. A cosa mi serve una pistola che spara aria calda per scaldarsi, quando nessuno ascolta ciò che ho da dire? O una scatola che riscalda il cibo quando esso ha lo stesso valore alimentare che mangiarlo freddo. Conosco molti degli aggeggi che riempiono la stanza che mi hanno concesso, mentre per altri impiego più tempo a capirne l'utilizzo. Alle volte, un flash mi distrae quando sto facendo un'azione totalmente sconnessa rispetto all'oggetto in questione e mi sento stupido per non averne capito prima la sua funzione. Come nel caso dell'asciugacapelli che, effettivamente, non serve per scaldarsi e non è una pistola.

Ma, in goni caso, lo trovo comunque un comfort inutile.

Finisco di fare colazione – non mi permettono ancora di frequentare il refettorio – prima di andarmi a sciacquare il viso. Quando alzo lo sguardo sullo specchio di fronte a me, rimango per un attimo a fissare i miei lineamenti totalmente tumefatti. Quella ragazzina mi ha preso alla sprovvista, ma la colpa è mia o, meglio, del mio corpo e delle voci che hanno iniziato a ronzare senza sosta nella mia testa. Da quel giorno sono calate, mi perseguitano solo alcuni ricordi mentre dormo, e da allora ognuno di essi riguarda lei. E Keegan.

Non so chi siano, né come sia possibile che riviva sprazzi di vita in cui i due ragazzi sono al mio fianco. Mormoro i loro nomi a fior di labbra, conosco le loro abitudini, percepisco l'eco delle loro. Mi è successo anche con un'altra donna: a volte, quando mi sveglio, mi sembra ancora di sentire i suoi capelli setosi tra le dita, ma poi scuoto la testa ricordandomi che non la conosco, così come non conosco Den e Keegan.

Sto impazzendo.

Ogni volta che qualcuno si presenta alla mia porta chiedo di vedere Amanda. Quando non me lo permettono, chiedo di sapere come sta. Quando non mi danno risposta, chiedo se è viva. Quando mi guardano impassibili, minaccio di raggiungerla da solo ed è solo allora che mi assicurano che è in buone condizioni, ma non posso vederla fino a che non si accertano che la Medius non sia un pericolo. Mi sembra di essere un bambino a cui ogni volta si rifilano le stesse spiegazioni: davvero si aspettano che io me ne stia qui senza fare nulla sentendomi in colpa per lei? È qui a causa mia, io l'ho portata via dal Cyberpalast e io l'ho condotta nelle mani dei suoi nemici. La sua umanità è troppo nascosta e troppo preziosa perché venga compresa dai Ribelli.

Gli umani, come già detto, sono sopravvalutati.

Oggi ho un altro incontro con le persone che stanno al comando. Ancora non ho capito la loro gerarchia, ma ho intuito che chi è vestito di rosso prende le decisioni. Ne ho contati sette, ma potrebbero essere di più. Nel tempo libero mi permettono di allenarmi con le loro armi, in una stanza che hanno arredato appositamente per me, come se avessero a cuore la mia salute fisica. Quando mi lasciano da solo con coltelli, teaser e archi, passo le ore sdraiato a pensare a un modo per raggiungere Amanda e per chiederle scusa. Per cosa dovrei allenarmi? Per difendermi da ragazzine indisciplinate che mi attaccano senza ritegno?

Nessuno mi ha ancora aggiornato su obiettivi da raggiungere o sul perché io sia qui. Hanno ripetuto un milione di volte che sono una benedizione e che Hawking e Ivonick hanno fatto un ottimo lavoro, mi hanno fatto domande a cui non so rispondere e mi hanno offerto un liquido frizzante e troppo dolce che non sono riuscito a bere.

Gli uomini sono sopravvalutati: pensavo che fossero autorevoli, sicuri e inclini a raggiungere obiettivi prefissati, invece mi venerano come fossi un dio e non si rendono conto dei pericoli che incombono. Stanno a discutere per ore senza mettere in atto nulla, lasciano che i loro soldati si affatichino con allenamenti e lezioni, sottraendo forze ed energie che potrebbero essere impiegate in altro. «È propedeutico» mi hanno detto. È da codardi, avrei voluto rispondere. Ma devo mantenere la calma, fino a che non potrò scusarmi con Amanda e permetterle di andarsene da qui.

Pensavo che i Ribelli avrebbero potuto darmi libertà e speranza per il futuro, invece sono intrappolato in una prigione dorata, insieme a uomini che nemmeno si rendono conto di vivere all'interno di una bara. Sono già morti, eppure si ostinano a fingere di voler vivere.

Un bussare cadenzato alla porta mi riconduce alla realtà. Mi tocco il naso, ancora gonfio e violaceo, prima di asciugarmi il viso e andare ad aprire.

«Generale Dee» saluto la donna, non appena si presenta davanti a me.

«Anken. Ti accompagno di sopra, ti stanno aspettando per una riunione, ma prima devi seguirmi.»

Annuisco, chiudendo dietro di me la porta. «Dove andiamo?»

«Hai bisogno di un localizzatore per accedere ad alcuni servizi, come il refettorio e le sale di allenamento. Te lo spiegheranno meglio più tardi, ma vogliono introdurti a poco a poco nella comunità e ci sono alcuni protocolli da rispettare.»

«Un localizzatore?» La parola mi suona familiare e, improvvisamente, sento prudere il dorso della mano e vorrei portare le dita dietro l'orecchio sinistro.

«Un microchip, è indispensabile per vivere qui e per le missioni in esterno. È questione di un attimo» mi spiega pragmatica, accompagnando però le sue parole con un sorriso. Mi sembra di conoscere tutti, qui dentro. Come se li avessi già visti di sfuggita e non riuscissi a ricollegare i loro volti a un nome. Lascio che questa sensazione fastidiosa mi accompagni a ogni nuovo incontro e lo stesso succede con Conan, un uomo dai capelli brizzolati e il sorriso curato che mi accoglie con una stretta all'avambraccio. È un gesto che ho notato fanno ogni volta che incontrano una nuova persona e io non ho potuto che adattarmi, perché rispondere mi è sempre venuto naturale.

«Lui è il Dottor Conan, si occuperà dei tuoi localizzatori. Ti aspetto qui fuori.» Annuisco in direzione di Dee e mi accomodo sulla sedia indicata dall'uomo.

L'odore di disinfettante e la sala dipinta di azzurro mi sono familiari, ma ormai non ci faccio più caso.

«Come ti stai trovando?» mi chiede il dottore, preparando su un vassoio metallico alcune attrezzature.

«Non lo so, è tutto molto strano» rispondo con sincerità. «Tutti pensano che sia una salvezza per voi, ma nessuno fa niente.»

Conan sorride, recuperando una scatoletta d'argento sopra cui spicca un numero in serie e avvicinandosi a me con tutti il necessario.

«Si stanno godendo la speranza, ragazzo mio, lascia loro il tempo di felicitarsi prima di doversi chiudere nel proprio dolore.» Non capisco appieno la sua risposta, ma non avrei comunque modo di replicare perché il dottore, senza avvertirmi, mi ha afferrato una mano e l'ha pulita con una sostanza dall'odore pungente. «Non ti faccio nessuna anestesia, sei giovane e forte e le scorte sono poche. Stringi i denti» mi avverte, giusto prima di lacerarmi la pelle con uno strumento appuntito. Con una rapidità sorprendente recupera una piccolissima sfera contenuta nella scatoletta argentea e la inserisce, grazie a un paio di pinze, all'interno del taglio aperto tra pollice e indice. Poi richiude il tutto cucendo i due lembi di pelle con un filo scuro e ricopre la ferita con una garza.

«Non fare quell'espressione, amico mio» mi deride. «Questo non era nulla, un punto non si vedrà nemmeno, una volta che il filo verrà riassorbito dalla pelle. Dietro l'orecchio, invece, serviranno tre punti. Stai attento a non dormirci sopra» spiega, prima di farmi voltare la testa così da lasciare scoperta la pelle dietro l'orecchio sinistro.

La ferita sulla mano brucia in modo pulsante, ma non è niente in confronto a quella che mi viene inferta ora. Mentre Conan inserisce il secondo localizzatore, penso che non mi è nemmeno stato chiesto se volessi o meno dei corpi estranei nel mio organismo: hanno dato per scontato che io sia uno di loro e, ancora una vota, le mie volontà sono venute meno.

-

Uomini e donne vestiti di rosso mi aspettano in una delle sale dell'edificio collocate più in alto. Non ho ancora compreso dove ci troviamo, né confido me lo dicano loro, ma sarebbe meglio cercare una via di fuga. Per ogni evenienza.

«Da domani verrai integrato tra i cittadini. Non vogliamo allarmarli, spiegheremo loro che sei venuto da fuori e sei qui per aiutarci, in modo che abbiano delle risposte sulla tua presenza tra noi.»

Annuisco, sollevato dal poter uscire dalla mia solitudine forzata e, magari, essere utile.

«Dee ti mostrerà i locali e le varie attività che svolgiamo, ma verrai trattato come uno dei soldati: i tuoi compagni di Squadrone li hai conosciuti il primo giorno e i tuoi turni di allenamento li svolgerai con loro. Dovrete entrare in confidenza ed essere una vera squadra» continua Tito. Annuisco di nuovo, mostrandomi accondiscendente in vista della domanda finale che voglio porre loro.

«Ti lasciamo un mese di tempo per scegliere sette di loro: quelli che ti sembrano i più forti, i più scaltri e i più adatti al lavoro di gruppo. Loro saranno la tua nuova famiglia, ti dovrai fidare ciecamente e loro dovranno avere altrettanta fiducia in te.»

Aggrotto le sopracciglia. «Per quale motivo?»

«Ogni cosa a suo tempo, Anken. Sei destinato a grandi cose e noi con te, ora concentrati sul prepararti al meglio» mi risponde enigmatico Vannico, un uomo senza capelli e un sacco di metallo intorno alle dita.

«Siamo davvero grati che tu ci possa aiutare» conclude Tito, senza però specificare in cosa io li debba effettivamente aiutare. Lascio stare e decido di non insistere. Tra loro, a ogni festeggiamento e a ogni riunione che si è tenuta in questi sette giorni, c'è una donna che non ha mai detto nemmeno una parola. Lo sguardo truce e i lineamenti duri mi ricordano irrimediabilmente la ragazzina che mi ha attaccato, ma mi convinco che sia una mia suggestione e che anche lei, come tutti, mi sembri solo molto familiare. Sono sicuro di sapere come le sue labbra mutano, quando sorride, e come i suoi occhi si illuminano quando non sono impegnati a lanciarmi occhiate di disprezzo, ma non l'ho mai vista fare niente di più che un cenno di saluto imposto dalla cordialità e penso solo che la mia immaginazione sia fin troppo galoppante. La ignoro, come sempre, e mi rivolgo direttamente al prefetto Tito.

«Signore, avrei solo una richiesta» annuncio, attirando l'attenzione anche degli altri.

«Dicci pure, Anken, vogliamo che tu qui ti senta a casa.»

Sospiro e li fisso uno a uno, per far capire loro che non posso transigere su quello che sto per chiedere. «Voglio vedere Amanda Reedan.»


NdM. Ho deciso che pubblicherò capitoli ogni giorno fino ad arrivare a quelli succosiiii, visto che questi sono solo di passaggio :/

C'è un personaggio che apprezzate di più o con cui vi sentite più in linea? 

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