14. Medius

Conto fino a settecentocinquantanove e poi ricomincio. La mia mente è progettata per fare le operazioni più complesse e potrei continuare fino all'infinito, ma da sempre preferisco le cose semplici. Settecentocinquantanove è un bel numero. Suona bene e per arrivarci ci vogliono esattamente quindici minuti. Così riesco anche a tenere conto del tempo, oltre a tenermi impegnata.

Appena mi hanno diviso da Anken, mi sono permessa di crollare. La mia facciata imperturbabile è restata tale, ma dentro di me mi sono data dell'idiota così tante volte che mio padre ne sarebbe fiero. Ho sbagliato a fidarmi della mia positività nei confronti di una razza che non ha più niente da offrire. Non tutti gli umani sono come Viktor: questi, in particolare, sono ostili all'apertura verso il diverso e all'aiuto che potrei dare loro. Nessuno mi ascolta e tutti mi trattano come se fossi una malattia pericolosa.

Sono chiusa in una piccola cella quadrata da esattamente due giorni e sette ore, e i muri bianchi mi fanno quasi rimpiangere quelli argentati di casa: almeno, lì, sarebbero diventati neri viste le mie emozioni negative. Invece sono costretta a convivere con questo colore alienante e accecante, senza la possibilità di fare altro se non contare e contrare, fino a che i numeri diventano così familiari che vorrei confonderli gli uni con gli altri, giusto per distrarmi e ricominciare. Ma non posso: nonostante gli sforzi, la mia mente continua imperterrita a far susseguire i numeri giusti con un ritmo cadenzato. Sono una macchina, non posso pretendere diversamente.

Sono anche preoccupata per Anken. Temo che gli umani possano non comprenderlo, temo che Viktor non abbia dato tutte le indicazioni e temo che possano insorgere problemi.

Contatteranno mio padre e chiederanno uno scambio, che lui non accetterà. Vivrò per sempre qui, vedrò passare davanti a me generazioni di uomini prima che mi eliminino, ormai dimentichi che io posso dare loro qualcosa. Cadrò in un sonno profondo non appena il mio corpo non potrà più reggere il carico del lavoro richiesto dai miei organi, senza però morire mai. Nessuno mi ritroverà e sarò costretta a vivere all'interno di un corpo spento, inutile, senza possibilità di andarmene davvero.

Oppure mio padre accetterà, ma sarà una finta per scovare i Ribelli e distruggerli. E poi eliminerà me perché sono stata così debole da farmi trascinare qui dentro.

Non avrei dovuto seguire il mio altruismo e votarmi a una causa più grande di me. Controllo se sono trapelate notizie importanti e cerco di capire se posso recuperare informazioni su Viktor, ma sembra sia stato eliminato da ogni dossier. Spero solo che stia bene. Probabilmente, anche lui è intrappolato in qualche sorta di prigione come me, a contare fino a settecentocinquantanove e a pensare alla sua fine, rimpiangendo di aver disobbedito alle regole per cercare di dimostrare che c'è qualcosa di grande in cui si può credere.

Sono al numero cinquecentotrentasette, quando un clangore metallico mi indica che le porte metalliche dell'ingresso sono state aperte. Oltre a me, non ho individuato altri parametri vitali, quindi presumibilmente sono l'unica a essere tenuta rinchiusa qui sotto. A meno che i miei vicini non siano morti nel frattempo, ovviamente.

«Signore» sento dire alla guardia fuori dalla mia porta. Un altro suono metallico indica che l'entrata per la mia cella – un muro bianco come gli altri tre – si sta aprendo. Mi sollevo in piedi, pronta ad accogliere chiunque si sia degnato di presentarsi.

La porta metallica mi permette di scorgere un giovane uomo, con una divisa rossa nettamente in contrasto rispetto al bianco che per giorni mi ha accecata. Studio i suoi parametri vitali e noto che è in buona salute, non è affetto da alcuna malattia e presenta tutti i valori corretti. Qui dentro, a quanto pare, si mantengono in buona forma.

«Prefetto Tito Mellon» si presenta, mentre la porta si richiude alle sue spalle dopo aver fatto passare due guardie. Non che possa fare molto, dal momento che le mie caviglie sono incatenate al pavimento. Non ho così tanta forza da poterle spezzare, né la voglia di farlo.

«Amanda Reedan» rispondo per gentilezza, consapevole che sanno chi sono.

L'uomo mi sorride cordiale e, stranamente, il sorriso arriva anche ai suoi occhi. È sincero. «Mi hanno detto che non ha opposto resistenza, né ferito alcun uomo.»

«Ho ripetuto fino allo sfinimento che posso aiutarvi, il massimo che ho fatto è stato sfinirli per noia.»

Il prefetto sogghigna divertito, annuendo piano. «Mi dispiace per il trattamento che le stiamo riservando, ma sono in atto alcuni accertamenti sulle sue... capacità. E, poi, non vorremmo spaventare la gente, né mettere lei in pericolo.»

«Sarei io, in pericolo?» chiedo scettica, ricordandomi all'ultimo che per sottolineare la mia incredulità dovrei alzare un sopracciglio.

«Lei è una, noi siamo parecchi di più. E, nonostante sia sicuramente migliore di molti nostri soldati, la quantità ha sempre sopraffatto la qualità.»

Sorrido cordiale, come ho visto fare a lui, ma so per certo che non so coinvolgere altro che la mia bocca: il resto del mio viso resta immobile. «Comprendo, signore. Resterò qui, allora, vi chiedo solo di non dimenticarvi di me.»

«Perché ci vuole aiutare?» mi chiede interessato il prefetto, fermandosi a meno di un metro da me. Potrei arrivare senza ostacoli a lui, nonostante le catene, ma non sembra avere paura né percepisco alterazioni cardiache. È a suo agio.

«Ho conosciuto Viktor, è una persona amabile. Sono preoccupata per lui, sapete qualcosa?» svio, senza volermi aprire troppo con uno sconosciuto. Desidero conoscere quelli che sono da sempre miei nemici, prima di passare completamente dalla loro parte.

«No, purtroppo» rivela abbassando lo sguardo. Dispiacere. Lo leggo dalle sopracciglia calate sugli occhi, dagli angoli della bocca tirati, dalle rughe più marcate sulla fronte. Memorizzo l'espressione per un utilizzo futuro: vedere un uomo dal vivo è diverso dal basarsi sulle figure e sui video mostrati durante i corsi d'addestramento.

«Sto tenendo monitorata la situazione nella capitale, hanno eliminato tutti i suoi file, ma non credo si siano disfatti di lui.»

Lo sguardo dell'uomo di illumina. Non so classificare quest'espressione, ma potrebbe essere sorpresa, o interesse. «Lei può farlo?» mi chiede. È ammirazione.

«Sì, credevo lo sapeste, dal momento che rientra nelle capacità di tutti i Medius avere un sistema di collegamento con la rete centrale» rivelo, sicura che non sia un'informazione rilevante o pericolosa per la mia incolumità. Certamente io ho accesso in più aree, ma credo che passerà poco tempo prima che mi venga impedito l'ingresso: ormai avranno capito che sono in mano ai Ribelli.

«Davvero sorprendente, signorina Reedan. Cercherò di tornare il prima possibile e di preparare la popolazione alla sua presenza: la prego di attendere alcuni giorni, poi sarò lieto di farla scortare in uno dei miei appartamenti» mi avverte. «Non mi fraintenda, sarà ancora – come dire – imprigionata, ma starà sicuramente meglio che in questa stanza asettica. Devo solo parlarne con gli altri generali in carica.»

Annuisco senza aggiungere niente e così fa Tito, che se ne va nello stesso modo in cui è entrato. Appena non sento più alcun rumore, ritorno a sedermi a terra. Fisso la parete bianca di fronte a me, su cui non trovo nemmeno un'imperfezione. Prego solo che Anken abbia trovato la sua libertà, mi basterebbe sapere che sta bene e che ha capito qual è il suo ruolo qui, ma non posso certo chiederlo a qualcuno dei Ribelli: non mi ascoltano quando dico loro che sono disposta ad aiutarli, nemmeno oso immaginare se fossi io a fare una domanda. La visita di Tito è durata ben cinquecentosei secondi che, sommati al numero cinquecentotrentasette a cui sono stata interrotta, mi portano a riprendere il calcolo.



NdM. ...C'è nessuno? Penso che i pochi che leggevano questa storia se ne siano dimenticati, come ho fatto io. Perché ho arrestato la pubblicazione? Perché da settembre sono successe tantissime cose, alcune belle e altre decisamente meno. Non ho più scritto – né questa né altre storie – e ciò mi rattrista molto, perché non riuscivo mai a trovarmi nel giusto stato d'animo per dedicarmi a una delle cose che più mi piace al mondo. Ma ho alcuni capitoli pronti di Eclipsis, capitoli che mi piacciono molto perché ormai siamo nel cuore della storia, e mi sembra giusto regalarveli. Quindi pubblicherò, nei prossimi giorni, altri tredici capitoli, dopo i quali mi prenderò una pausa, sia perché la storia arriva a una svolta fondamentale, sia perché non so se nel frattempo sarò riuscita a scriverne altri.

Come al solito, se volete restare in contatto con me e scoprire chi sono al di là delle parole scritte, vi consiglio di seguirmi su Instagram, mi trovate come feather_writes o come Meg Anders.

Grazie a chi è restato per aver dato un'occasione a Eclipsis ✨

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