10. Medius
Mi sono completamente affidata ad Anken da quando abbiamo dovuto scegliere tra le tre strade. Mi infastidisce non avere la situazione sotto controllo e dipendere completamente da lui, ma speravo che i Ribelli ci avrebbero trovato in un tempo molto più breve. Tengo in continuazione sotto controllo le informazioni che la capitale sta rilasciando, senza però trovare quasi mai nulla di interessante. I file contenenti i dati di Viktor sono spariti, ma non ne ho fatto parola con la creatura. Non serve che sappia tutto.
Non so se il piano che stiamo seguendo possa funzionare: i Medius si saranno insospettiti per il fatto che io non abbia provato a contattarli e l'assenza dei Ribelli continua a sorprendermi. Non pensavo ci avrebbero lasciato vagare indisturbati per le zone della periferia, né gli uni né gli altri.
Anken si ferma improvvisamente, schermandosi gli occhi per guardare verso l'orizzonte, dove il sole è alto nel cielo. Ci siamo da poco lasciati alle spalle la foresta di alberi spogli, ritrovandoci in una landa desolata e polverosa. Qualche folata di vento mi porta al naso la sabbia sottile che ricopre tutto il piatto territorio, costringendomi a usare il foulard leggero che porto al collo per coprirmi la parte inferiore del viso.
«Conosco questo posto»si lascia sfuggire Anken, prima di allungare il passo e fuggire a qualche metro da me. Presa alla sprovvista, inizio a correre anche io, cercando di non aumentare troppo la distanza in caso i Ribelli decidessero di attaccarci proprio ora che siamo senza ripari.
Quando l'ho ormai raggiunto, Anken si ferma all'improvviso, sporgendo un braccio alla sua destra e fermandomi giusto prima che possa fare un altro passo. Ingoiando un'esclamazione, lascio che il mio sguardo vaghi verso i miei piedi: le scarpe ormai piene di polvere si trovano sull'orlo sgretolato di un precipizio e, a diversi metri da questo, le acque di un lago lambiscono la parete a strapiombo. Appena capisco che, se mi sporgessi troppo, potrei cadere proprio in acqua, mi ritraggo trattenendo un altro sussulto.
«È qui» dice ancora, fissando imperterrito sotto di lui.
«Qui non c'è niente» lo correggo io, facendo qualche altro passo indietro così da sottrarmi dal pericolo. Faccio una veloce ricerca relativa al luogo in cui mi trovo, identificando il lago come Acque delle illusioni, un bacino artificiale costruito parecchie decadi fa, quando ancora la maggior parte dei macchinari funzionava a energia idrica.
Anken si volta verso di me, senza apparire spaventato dalla sua posizione in bilico. Osserva che mi sia ripresa dalla sorpresa, lanciandomi un'occhiata fugace.
«Non c'è di che» si limita a dire, prima di tornare a studiare il luogo deserto, probabilmente per trovare una via da seguire.
«Cosa?» chiedo, senza comprendere la sua affermazione.
«Per averti salvata. Prego.»
Stringo le labbra, abbassando il fazzoletto dal mento così da potergli parlare senza ostacoli. «Non sarei morta, avrei solo fatto un bel tuffo» gli faccio notare. Anken non pare darmi retta e si avvia sulla destra, verso est.
«Non pensare di potermi imbrogliare, Medius, conosco i vostri punti deboli.»
Questa volta sono io a rimanere zitta: se è davvero quello che credo, Viktor deve avergli dato tutte le informazioni necessarie per essere una vera e propria arma contro di noi. Non mi deve sorprendere, quindi, che sappia effettivamente che cosa può danneggiare il sistema di alcuni di noi. Forse avrei dovuto ascoltare mio padre, quando si è proposto di darmi tutti i requisiti dei soldati pur mantenendo la forma fisica che avevo scelto. Ma, al tempo, fare un bagno a più di un metro dalla superficie dell'acqua non rientrava tra i miei piani e, così, ho accettato il corpo standard fornito ai membri del DAQU che non si occupano di missioni speciali. Loro, certamente, hanno meno punti deboli di me.
In ogni caso, non do ad Anken nessuna conferma. Finora si è dimostrato innocuo, ma non voglio fornirgli materiale nel caso dovesse rivoltarmisi contro. Riprendo a seguirlo a passo lento, mentre osservo la desolazione che accompagna lo strapiombo fino alle acque del lago: tutto è silenzioso. Fin troppo, a essere sinceri.
«Cos'è questo posto?» chiedo.
Anken mi aspetta, così che lo possa affiancare per parlare senza gridare troppo. «Non lo so, ma mi sembra di esserci già stato. Non ho mai toccato l'acqua, eppure ho ben chiara la sensazione del lago freddo che mi lambisce le caviglie, o dello sciabordio delle onde sulla riva. Conosco quel posto, magari andandoci mi verrà in mente altro» mi rivela.
Prima che possa riprendere il cammino, lo fermo. Lo faccio istintivamente, senza pensare troppo alla mia azione, ma mi ritrovo a stringere il suo polso tra le mie dita. Appena mi rendo conto del contatto della nostra pelle, lo lascio andare, sfuggendo al suo sguardo senza però dare segno di risultare imbarazzata. Tra Medius non ci si può toccare, è un'altra stupida legge istituita per mantenere ordine, efficienza e funzionalità. Il contatto è una perdita di tempo e rende umani, inclini alle emozioni.
«Potremmo essere vicini» dico, abbandonando i miei pensieri e tornando a fissarlo risoluta. «Loro... Forse è meglio se dimostriamo che sono effettivamente un ostaggio.»
Anken mi scruta per qualche secondo, enigmatico, poi annuisce lentamente. Mi tolgo il foulard decorato da fili d'oro che indosso, unica nota colorata che spicca sopra il camice e il vestito al ginocchio bianchi. Noto con disappunto che il candore degli abiti è stato corrotto dalla polvere rossa che aleggia tutt'intorno a noi: è un dettaglio che mi disturba, un tassello fuori posto che non era previsto. La mia quotidianità fatta di perfezione e programmi prestabiliti, però, me la sono lasciata alle spalle nel momento in cui ho deciso di dare fiducia alla creatura. Così ignoro semplicemente il colore sbagliato assunto dal tessuto e allungo il fazzoletto ad Anken, affinché possa usarlo per legarmi le mani. Senza pensarci oltre, mi volto di schiena e avvicino i polsi, così che non mi debba toccare e gli basti annodare la stoffa. È un regalo di mio padre, forse rovinarlo non sarà un così grande dispiacere. È ironico, però: anche senza essere qui, Axel Reedan mi tiene in trappola, anche solo attraverso un pezzo di stoffa.
«Non stringo troppo, ma tu non scappare» mi avverte, cercando a modo suo di scherzare. Mi sforzo per nascondere un sorriso: finora non ha dimostrato di essere incline alle battute di spirito, ma io d'altro canto non mi diverto con poco. Forse l'aria polverosa sta avendo degli effetti negativi. «Andiamo, ci vorrà un po' per arrivare là sotto.»
-
Passano abbastanza ore perché il sole arrivi al culmine e poi punti in picchiata verso l'orizzonte, prima che possiamo considerarci a metà percorso. La strada per scendere dal precipizio si è fatta ripida e la roccia è debole in molti punti, così Anken si è offerto di andare per primo e tastare il terreno, dopo aver allentato i nodi alla stoffa e avermi legato i polsi davanti, in modo tale che mi basti separare le braccia nel caso stessi per cadere. Il viaggio è stato per lo più silenzioso, fino a che non abbiamo raggiunto i piedi dello strapiombo a parecchi chilometri dalla sponda del lago.
«Fermiamoci qui» mi dice il ragazzo, asciugandosi qualche goccia di sudore che gli lambisce le tempie. Lo imito anche io, spostando i capelli che mi sono caduti davanti al viso e lasciandomi scivolare a terra senza forze. A causa della lunga discesa, sento le ginocchia più deboli e le punte dei piedi dolere, dal momento che indosso delle scarpe assolutamente inappropriate.
«Sei più resistente di quanto credessi» mi apostrofa Anken.
«Mi sottovaluti in molti aspetti, vedo» gli faccio presente, cercando di mettermi più comoda e ripararmi dal sole che, ormai arancione, sta per lasciare il posto alla notte. Le nostre ombre, allungate a dismisura sul terreno piano, ci rappresentano come due linee sottili e parallele. Viaggiano su binari paralleli, così come noi due. Eppure, in qualche modo, a differenza loro le nostre vite si sono incrociate. «È perché a differenza degli uomini non mi serve mangiare, né bere.»
«Con cosa ti nutri, olio per motori?»
Lo fisso sprezzante, sempre più sorpresa dalla parte giocosa che sta venendo a galla. Inizio a sospettare che la sua coscienza si stia plasmando piano piano. Come può Viktor averlo provvisto di una personalità così concreta, così reale? Si basa su pensieri propri, oppure è stato creato per avere determinate inclinazioni?
«Pillole» rispondo, dopo troppo tempo di silenzio.
«Pillole?»
Alzo gli occhi al cielo, stanca che un attimo prima si dimostri capace di utilizzare dell'ironia e quello dopo sembri un bambino ingenuo. «Elementi nutrizionali condensati, servono per non perdere tempo a cucinare e aspettare la digestione. Si devono solo rispettare i periodi indicati e basta assumerle qualche volta al mese per restare sani.»
«Interessante» mi dice, realmente coinvolto, come se assorbire informazioni nuove fosse un suo nuovo hobby. «Ne hai qualcuna?»
«Sì, ma tu non puoi assumerle» rispondo schietta, scacciando i capelli che la brezza mi ha riportato sul viso. Le ciocche si incollano alla fronte umida e con le mani legate fatico a riportarli dietro le orecchie.
«Perché?»
«Perché non so cosa tu sia, Anken. Viktor non mi ha detto niente, non so se tu sia stato creato come noi Medius o se tu sia qualcos'altro, non so-» mi interrompo improvvisamente, quando i movimenti frenetici delle mie mani, impegnate a tenere sotto controllo i capelli, vengono improvvisamente fermati. Anken mi afferra con gentilezza i polsi, per poi scostarmi i capelli dal viso con un solo movimento. Finalmente, le ciocche ribelli rimangono fisse dietro le orecchie. Cerco di ignorare il fastidio causato dalla sua pelle contro la mia.
«Stai sudando» mi fa notare.
Schiocco la lingua sul palato. «Abbiamo appena percorso quella parete e, per di più, le mie mani erano legate tra loro» rispondo stizzita, senza però lasciare che la mia frustrazione si evinca. Non so se sono più urtata dalla sua affermazione o dalla sua iniziativa.
«Ma i Medius non-»
«Dipartimento DAQU. Sono fatta a immagine e somiglianza dell'Uomo, con i suoi pregi e i suoi difetti» lo interrompo.
«Eppure a me non sembri un essere umano» sussurra, ancora a poca distanza da me.
Lo osservo per qualche secondo, senza distogliere lo sguardo dal suo viso. Viktor deve aver creato Anken in modo analitico, poiché ogni suo elemento è perfetto. Dopotutto, entrambi siamo stati creati con lo scopo di poterci confondere con gli esseri umani, anche se i nostri obiettivi sono agli antipodi. Siamo entrambi degli involucri, dei simulacri che hanno l'ambizione di essere qualcos'altro. Eppure, lui, un essere umano riesce a impersonarlo al meglio. Le rughe d'espressione indicano una preoccupazione latente; le occhiaie sono un segno della stanchezza dovuta ai due giorni di cammino; il sudore e la pelle sporca di terra denotano la fatica dell'ultimo tratto di viaggio. Ma, più di ogni altra cosa, le sensazioni che prova sono ben visibili davanti ai miei occhi. E, in questo momento, capisco che non basta saper imitare al meglio le migliaia di espressioni di cui è capace il viso umano: perché le emozioni sono trasmesse da un altro canale e i suoi occhi, illuminati dal tramonto ormai concluso, ne sono la dimostrazione.
«Già, ci sto ancora lavorando» rispondo fredda, distogliendo lo sguardo nel quale non potrà leggere altro che artificiosità senza vita.
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