1. Scienziato
Cammino avanti e indietro come per convogliare i miei pensieri irrequieti in un'unica direzione, con l'intento di capire che cosa ho sbagliato. Ancora.
Mi tolgo gli occhiali e, appoggiandomi al vetro della finestra con una mano, mi strofino gli occhi stanchi con l'altra. Se non avessi impiegato tutto quel tempo per la preparazione. Se fossi riuscito a essere più preciso con le indicazioni. Se. Non vi è possibilità di ipotesi, in questo ambito. Non sono forse più in grado di fare il mio lavoro? Non sono forse più in grado di sapere gestire calcoli e procedure?
In un attimo, comprendo il mio problema: non si tratta più di ricucire ferite ed esportare organi, ma quello che mi si richiede è sangue freddo e assenza di coinvolgimento emotivo. Le pareti della stanza si dipingono di un lugubre grigio scuro, riflettendo i miei cupi pensieri: non credo che ne potrò essere in grado, non quando non sono disposto a rinnegare la mia natura umana. Non potrò mai restare indifferente rispetto a quello che mi obbligano a fare, qui dentro, né zittire la coscienza che mi tormenta costantemente.
Mi sposto al centro del mio studio e richiedo assistenza tecnica a voce alta. Norka, la mia segretaria, si fa viva in pochi istanti, facendosi riconoscere dal suo accento metallico e dal suo volto senza espressione.
«Con i 'se' e con i 'ma', la storia non si fa.» Entrando, la superficie argentea della sua pelle viene illuminata dalla luce artificiale e il colore si diffonde anche sulle pareti, sostituendo la tonalità che rivela le mie emozioni: Norka non prova alcun tipo di sensazione, come tutti loro. «Antico proverbio umano» aggiunge, quando distorco le labbra. Dal momento che è una Medius, mi innervosisce che resti legata ad aforismi che ormai non sono più suoi. Per non parlare della privacy della mia mente, che diventa inesistente quando sono in sua compagnia.
«Cosa è andato storto, questa volta? Ivonhik dice che il Vitae 6 deve essere smaltito» continua. Mi porge una tavoletta trasparente, che riproduce l'immagine tridimensionale di un corpo dilaniato appena viene attivata da un mio tocco.
«Il Dottor Ivonhik – preciso guardandola – pensa sempre che qualcosa sia andato storto.» Nel frattempo poggio la tavoletta sulla superficie metallica che funge da scrivania e attendo che carichi i dati richiesti. Norka si avvicina spazientita, come se aspettare non rientrasse tra le sue virtù. Poggia un dito sull'ologramma del corpo e improvvisamente tutto sparisce, mentre i dati si riversano nei suoi occhi vitrei.
«Semplicemente non ci sarebbero stati errori, se avessero lavorato le Macchine. E, infatti, eccolo: dimenticanza.» Provo a leggere le parole che lei può vedere davanti a sé, ma non capisco ciò che intende. «Magnesio» sussurra soltanto, sbattendo le palpebre senza ciglia per eliminare la schermata di parole.
Io mi acciglio. «È un elemento toppo importante perché l'abbia dimenticato. Sono sicuro di non averlo fatto» asserisco, porgendole la tavoletta come congedo. «Voglio un campione di quel che resta del Vitae 6 entro un'ora. Deve essere stato qualcos'altro.» Nonostante le mie parole, Norka non sembra aver intenzione di uscire dal mio studio, ritta sui tacchi in perfetto equilibrio. Mi fissa con il suo volto privo di espressione, così lontano dall'umanità a cui sono abituato eppure così frequente, in un mondo come il nostro.
«Dottore, so per certo che lei ha dimenticato il magnesio. È molto simile al boruscòlo.»
La osservo spazientito. «E io so perfettamente che il magnesio non è stato dimenticato; nonostante sia presente solo per lo 0.05% in un Vitae, non sono tanto stupido da non ritenerlo importante. Inoltre magnesio e boruscòlo hanno effetti completamenti differenti in una soluzione, infatti il-»
«Infatti il boruscòlo è altamente esplosivo, anche se ha le stesse caratteristiche del magnesio» conclude lei al mio posto. «E non è toccato a lei ripulire quella stanza piena di putrida carne.»
Inspiro ed espiro lentamente, ripensando a come sia da incompetenti sostituire il magnesio con un elemento sintetico.
«La tua presenza qui non è più gradita, Medius.» È questa la pecca dei Medius: una Macchina viene costruita per eseguire i comandi; un uomo che si trasforma in macchina per esigenza o vanità, invece, non ha obblighi a cui sottostare, perché non si ritiene più conforme alle nostre leggi, ma allo stesso tempo non vuole essere trattato come un semplice strumento tecnologico. Lei non dà cenno di essersi offesa e, prima di uscire, aggiunge solo che sono atteso nella stanza del Vitae 4.
Lascio che esca in silenzio, quasi come una presenza eterea, poi indosso il camice e mi avvio per i corridoi del Cyberpalast. Scendo di due piani e poi svolto a destra, per giungere un lungo corridoio senza porte né finestre. Sul fondo vi è una parete all'apparenza uguale a quelle vicine e, accanto, un uomo della sicurezza. Penso sia uno dei pochi umani, oltre agli scienziati, a essere ammesso qui: troppo margine di errore.
Mostro il cartellino all'inserviente armato, poi poggio una mano sul rilevatore d'identità che mi porge; niente pare cambiare, ma io passo attraverso la parete senza esitazione, sapendo che le sue molecole, avendomi riconosciuto, mi permetteranno di arrivare dalla parte opposta senza alterazioni della mia massa corporea.
L'ambiente che mi si presenta di fronte è alquanto differente dal precedente: lunghi terrazzi interni in acciaio inossidabile sono posti su tutto il perimetro e si ripetono per tre piani, collegati da rampe di scale dello stesso materiale. Il tutto rende l'ala Ovest del Cyberpalast lugubre e ostile. Scendo la prima rampa, che porta al secondo piano: sul lato sinistro della parete si possono osservare diverse camere blindate, ognuna delle quali nasconde segreti pericolosi da rivelare.
Ivonhick mi aspetta poco distante, davanti alla porta della stanza numero quattro. Mi avvicino al mio collega, che mi indica l'ambiente con una mano, invitandomi a entrare nel luogo in cui per settimane abbiamo lavorato al Vitae. Al suo interno, però, al posto di un corpo perfetto in costruzione e in attesa di un soffio di vita, c'è solo un tavolo vuoto.
«Ci stanno prendendo in giro?» Ivonhick si limita a fissarmi. «Ivohick, il Vitae 4 era perfetto, bastava qualche ritocco.» Entro nella stanza, osservando la superficie del tavolo sgombrata dal nostro progetto: hanno portato via anche i nostri strumenti. Di tutto il lavoro che abbiamo fatto, non è restato più nulla e una fredda sensazione di rabbia inizia a insinuarsi nella mia espressione, quando mi rendo conto che per ricominciare saranno necessarie altre morti. Ivonhick mi fa uscire e chiude la porta dietro a sé.
«Il Vitae 4 è stato soppresso.» Faccio per interromperlo, ma lui mi fa tacere. «E oggi ne hanno portati tredici. Tredici umani.»
Già, gli umani. Ecco cosa c'è all'ultimo piano: celle piene di umani comuni, ritenuti troppo poco sviluppati e troppo poco degni per questo mondo di Macchine e Medius. Ma le mezze-macchine al potere concordano che agli esseri umani possa essere data una nuova opportunità, pur contro il loro volere: i Vitae non sono umani, non sono Macchine, né tantomeno sono Medius. Sono assai peggio: sono esseri con l'intelligenza indipendente di un Medius e l'efficacia di una Macchina, del tutto differenti da un uomo se non per la forma. Sono letali e pericolosi, usati al fine di eliminare le ultime forme di vita da questo pianeta, per debellare chiunque non si voglia prostrare di fronte alla tecnologia come i Medius. Sono armi di discriminazione, assassini senza coscienza, soldati votati a un'unica causa.
O, almeno, questo dovrebbe essere il loro scopo. Per ora solo un Vitae è funzionante e tutt'ora in circolazione, e non l'abbiamo costruito io e Ivonhick: il suo inventore è morto, ucciso dalla sua stessa opera. Per avere un Vitae perfetto servono dieci corpi umani e tutti quelli che abbiamo creato io e Ivonhik sono stati uccisi per un nostro errore o dall'Organizzazione. E solo perché non sono persuasivi come il Vitae 2, o non abbastanza mortali e distruttivi. Un buon Vitae deve uccidere ogni umano sulla sua strada, se non riceve ordini diversi. E gli ultimi quattro, dal momento che io e il mio collega siamo ancora vivi, evidentemente non l'hanno fatto.
«Cosa intendi fare?»
Ivonhick sospira e si avvia verso la scala da cui sono arrivato. «Forse è meglio parlarne in privato» dice, accennando all'unica porta che su questo piano si affaccia su una terrazza esterna.
Esco, felice di vedere il pallido sole naturale che spesso le Macchine ritengono inessenziale per gli uomini. La piatta terrazza del trentesimo piano ha la vista sulla periferia cittadina, ormai degradata e distrutta, al contrario della Città che, a confronto, sembra una nuova e splendente apparecchiatura elettronica. Il che non è tanto distante dalla realtà. Sopra le nostre teste, il cielo è screziato da alcuni veicoli per il trasporto merce: ogni volta che, alzando lo sguardo, ne intercetto uno, sorrido mesto al pensiero che sono delle Macchine le uniche a poter lasciare la Terra.
Il luogo in cui ci troviamo, in ogni caso, è appropriato per parlare: una sporgenza all'aria aperta non rientra nell'interesse di nessuno, nel Cyberpalast.
«Voglio creare un Vitae per gli umani. L'Organizzazione non ce lo permetterà, ma se prendiamo i dieci uomini migliori crederanno che stiamo lavorando a un nuovo progetto per loro. I Ribelli si sono fatti notare con l'assassinio di una Macchina e indovina un po'?» Mi porge la sua tavoletta trasparente, dove appare un ologramma della pagina di un giornale. «Stanno parlando in codice: assassinio al Medius 120767, esploso contro ogni probabilità» inizia a leggere, sottolineando le parti più interessanti. «Nell'area 14 della periferia. Il Medius apparteneva alla Squadra Speciale 10.» Mi indica ogni informazione con il dito, tralasciando i passi meno importanti.
«Come fai a sapere che è in codice?» chiedo, corrugando le sopracciglia e cercando un nesso tra tutte le frasi da lui pronunciate. Mi indica le ultime righe.
«Ecco l'ultima informazione: tredici umani sono stati catturati. Secondo te avrebbero sacrificato tanti dei loro? Sono entrato in contatto con i Ribelli, qualche tempo fa, ma non volevo coinvolgerti finché non fossi stato sicuro di come agire. Creeranno un diversivo e questo è il loro messaggio in codice per me: esplosione alle 14:10 del 12 luglio 3067. Nell'area 13, proprio dove si trova il Cyberpalast. Avevo detto loro che sarebbe stato rischioso, ma evidentemente ritengono più importante un'arma.»
Scuoto la testa, incredulo. «Sei entrato in contatto con i Ribelli? E cosa intendi per "arma"?»
«Non ti sconvolgere tanto, Viktor, e non ti dimenticare che sono umano anche io. Dobbiamo tentare, ma se non vuoi rischiare lo posso fare da solo. Credevo solo che, con il fatto di tua figlia...» Sospira, fissandomi per capire se io possa sopportare l'argomento. Non posso e lui coglie subito la mia espressione, così scuote la testa e sottolinea di nuovo: «Siamo umani anche noi, come loro.» Non comprendo il suo gesto irresponsabile, potrebbe farci uccidere entrambi ancora prima di iniziare il lavoro. Gli sfilo la tavoletta dalle mani e cerco di razionalizzare ciò che mi dice.
«Vuoi usare dieci dei loro per creare un'arma e sai sicuramente che comporterà solo guai, per noi e per loro!» gli faccio notare, costringendomi a tenere un tono di voce basso. Lui non perde la calma.
«Non credi che verranno uccisi comunque?» Recupera la tavoletta e dei visi di dimensioni reali cominciano a susseguirsi. «Sono i migliori, e non moriranno: si sacrificheranno. Ognuno di loro è d'accordo, si sono offerti in modo spontaneo.»
«Hanno scelto il suicidio per darci la possibilità di costruire un Vitae?» chiedo perplesso. Lui scuote la testa, mentre i visi di uomini e donne continuano ad apparire e scomparire davanti ai miei occhi. Perché mai tredici umani, da sempre nascosti per non subire le angherie dei Medius, si sono consegnati spontaneamente?
«No, Viktor. Si sono sacrificati per dare la vita a una Creatura.»
Fisso l'immagine di un volto, un ragazzo. Un viso da bambino, il piccolo naso contornato da lentiggini. Poi un altro più adulto, con folti capelli neri. Una ragazza dagli occhi verde mare e una donna con la bocca che si allarga in un sorriso, mostrando denti perfetti.
Ognuno di loro ha qualcosa da offrire e, ognuno di loro, ha qualcosa per cui combattere. Alzo lo sguardo sul mio collega, spaventato per le sue parole: quanto sono disposti a perdere i Ribelli pur di ottenere un vantaggio sui Medius, pur di rivendicare la propria umanità?
Scuoto la testa con forza, non appena la mia mente inizia a riunire tutti degli ologrammi che ancora scorrono davanti a me. Non posso accettare, non rendermi partecipe dell'uccisione di altri uomini per poi rischiare di fallire.
«Viktor» mi richiama Ivonhik, posandomi una mano sulla spalla. «Moriranno comunque, tanto vale provarci.»
«Potremmo morire anche noi» constato.
Il mio collega mi guarda con un sorriso di rassegnazione. «Morire adesso o tra qualche anno, per me, non fa differenza. Voglio rendermi utile, voglio permettere a qualcuno di uscirne vincitore.»
Osservo il suo volto scavato dall'età, così simile al mio eppure così deciso a impegnarsi in qualcosa che lo potrebbe condannare per sempre. È davvero questo, ciò che conta? Forse i tredici umani catturati non sono gli unici a cui è stato richiesto un sacrificio e adesso, su un terrazzo al trentesimo piano di uno dei palazzi più importanti della Città, è ora che anche io scelga da che parte stare e che cosa rischiare.
Sono abbastanza forte da mettere in pericolo la mia vita per la salvezza di altre persone?
La risposta sorge spontanea e grida a gran voce nella mia testa: sì, sono abbastanza forte perché non ho più niente da perdere, se non me stesso. La mia vita è stata già troncata quindici anni fa, quando mi è stato sottratto l'unico bagliore di speranza, e forse è il momento di riaccendere quell'esile scintilla che potrebbe presto divampare in un fuoco distruttivo.
Risollevo lo sguardo su Ivonhik, pensando alla mia piccola Esmeralda e all'opportunità di riportare alla luce una parte di lei – una parte di me – rimasta per troppo tempo sotto strati di sofferenza.
Annuisco, accettando tacitamente di combattere al fianco dei Ribelli, e il mio sguardo torna agli ologrammi generati dalla tavoletta trasparente.
Dieci esseri umani questa notte moriranno per un progetto più grande di loro.
Dieci esseri umani questa notte troveranno un nuovo corpo e consentiranno una nuova vita, quella della Creatura che potrà salvarci tutti.
NdM. I primi capitoli appartengono alla vecchia versione e, a discapito di quel che pensavo, hanno bisogno di una netta revisione. Per ora vi propongo il primo pov, quello dello Scienziato, spero che il suo personaggio possa avervi incuriositi!
P.S.: chi già mi conosce sa quanto io sia fissata con il significato dei nomi. Ebbene, "Esmeralda" significa proprio "colei che dona speranza", una piccola curiosità che forse vi fa piacere notare.
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