5. Gemma della Realtà

choes • f • nfinity • tone

Capitolo V. Gemma della Realtà


«Peter Parker.»

Campeggia a lettere incise su una lastra di marmo, sotto al nome di zia May e sopra a quello di molti altri che, come lui, hanno condiviso una lapide temporanea, in mancanza di un corpo da seppellire, quando sono spariti. Troppe vite per poter riempire un cimitero di tombe vere e proprie – comunque vuote. Troppi templi fasulli, ingannevoli, che alla fine si sarebbero rivelati inutili, e forse è meglio che sia andata così, anche se è difficile da credere reale. Sia per chi è tornato, che per chi ha aspettato, o per chi si è rassegnato che nulla sarebbe più tornato come prima.

E, in effetti, forse niente è come prima, nel bene e nel male. Peter, che quella battaglia l'ha combattuta, lo sa meglio di chiunque altro.

Il Wall of the Vanished¹ sembra un portale verso un mondo di passaggio, dove le anime di chi è scomparso fluttuano ancora allegoricamente tra quei marmi. A fare da sfondo c'è il Golden Gate Bridge, rosso come la terra di Titano e l'armatura di Iron Man. Rosso come il sangue, come la maschera di un ragno infantile, che indossa ogni tanto per salvare il quartiere, e una volta il mondo. Una sola però. Probabilmente non succederà mai più, e forse lo spera. Non vuole più sparire, e non vuole più mancare a nessuno – così tanto da convincere quel nessuno a mettersi in gioco e rischiare di morire. Non vuole combattere una guerra che sembra senza speranza, fino all'ultimo, e che si ruba l'adrenalina e la trasforma in terrore.

Vuole essere un amichevole Spider-Man di quartiere. Per un po', solo per un po'. Il tempo di ritrovare se stesso.

Ma quel nome sulla lapide c'è, e fa male. Si sente un fantasma che fluttua sul terreno del suo eterno riposo. Traccia col dito che trema quelle lettere scavate; i polpastrelli sensibili percepiscono la ruvidità di quel nome, statico, fermo, immobile come lo è stato lui cinque anni – e anche Tony. Tony che lo ha aspettato e non ha preteso nient'altro che il suo ritorno. Tony che li ha salvati tutti e non ha chiesto niente in cambio. Lui, proprio lui, quello che un tempo aveva il suo nome scritto su una torre vistosa al centro della città, e che ora preferisce vivere nell'ombra di ciò che è stato. Con lo stretto necessario; ciò che gli permette una vita normale, diversa, forse mai voluto un tempo ma bramata negli anni, e poi ottenuta. L'uomo che ha permesso che quei nomi divenissero solo nomi, e non un muro del pianto dove ricordare i cari perduti.

Si sistema meglio gli occhiali sul naso. Da quando Tony gli ha regalato E.D.I.T.H., indossa quelle lenti molto più di quanto dovrebbe. È un dono a lui caro, tra i molti che gli ha dato e, in qualche modo, sono la cosa che più li tiene vicini, anche quando non possono stare insieme.

Un pensiero smielato e romantico, ma da quando Peter è tornato ha bisogno di lui; molto più di quanto ne ha avuto in passato. Forse perché è l'unico legame che ha con quel mondo al di fuori, quello superomistico; forse perché è l'unica persona che lo fa sentire speciale – quando è Spider-Man – e necessario – quando è solo Peter. Una sensazione che pare scontata, ma che non lo è, per uno come lui che si è sempre sentito niente di niente.

Sbatacchia gli occhi, e il mondo si trasforma, in un effimero istante. Le grosse lastre di marmo, fredde e austere, si spaccano in mille pezzi, che diventano milioni e milioni di farfalle blu. Svolazzano in un caos infinito, volteggiando tra loro come una danza di primavera che inneggia alla vita e alla rinascita.

Peter indietreggia, confuso, ma ammaliato da quel miracolo, quella magia, che sembra un'illusione. Forse lo è.

Le farfalle volano in alto, scendono, lo avvolgono e, vezzose, richiedono la sua attenzione. Sorride, e gira su se stesso, seguendo poi la loro traiettoria, quando decidono di muoversi insieme in un solo punto. Sono tante, troppe, gli coprono la visuale, ma quando aprono un varco e si fermano definendo un percorso che ha una sola destinazione, lo vede.

Al di là del Wall of the Vanished c'è Tony. Una mano – quella sana – infilata nella tasca dei pantaloni gessati. L'altra sostenuta da un tutore ortopedico che gli avvolge il braccio bruciato e lo tiene su, a metà del petto. Ha la giacca blu appoggiata alle spalle. Svolazza leggermente per via del vento creato da quegli esseri che sembrano fate, creature mitologiche, qualcosa in cui Peter non vorrebbe credere, se non fosse chi è e non avesse visto cose impensabili, nel corso di quella novella vita da supereroe, che sta ancora vivendo e che ancora vivrà per molto. Lo spera.

Percorre quel tragitto obbligato, un passo avanti all'altro, un sorriso che si allarga sempre di più quando la figura dell'uomo che ama si fa più vivida, reale; non una mera illusione, come quelle farfalle che presto svaniranno. Lo sa.

Sono immobili ai lati del percorso, attendono che lo raggiunga, e quando lo fa lo fronteggia e si ferma a due passi da lui.

Infila gli occhi nei suoi e si perde a studiare la luce accecante che gli brilla sul viso. Nelle pupille, nel sorriso e in quelle rughe d'espressione che parlano più di quanto dovrebbero.

«Belle, vero?»

«Le vedi anche tu?», gli chiede, ma sa già la risposta.

Tony alza le spalle e lancia un'occhiata a quelle farfalle. Muovono le ali ma sono ferme accanto a loro. Creano una bolla sicura, e una realtà alterata che, tutte quelle paure e incertezze sul futuro, un po' le cancellano.

«Le ho create io», dice, come se fosse ovvio e, quando torna a guardarlo, Peter sente un chiodo incastrato nel cuore, che si scioglie e diventa caldo. Non sa se è l'amore, o qualcos'altro, sa solo che non vuole che quella sensazione lo abbandoni. «Ho visto che ti piace indossare gli occhiali, ho pensato di giocarci un po'.»

Peter sbuffa divertito e alza gli occhi al cielo, di fronte all'ennesima dimostrazione di Iron Man che si improvvisa dio, e ne trae immensa soddisfazione, quando gli riesce. «Giocare con le illusioni? Come un mago?»

«Nah, cancellare la realtà che fa male, come uno che ha i mezzi per farlo e lo fa», risponde Tony. Inclina leggermente la schiena per guardarlo e Peter capisce. Lo capisce in quel sorriso a metà, che cosa vuole dire. Lo capisce dalla testa che gli pulsa e che è un groviglio di troppe cose che non può dire, perché non sa come si fa, ad esternarle. «Perché sei venuto qui?»

«Ogni tanto mi serve venire», ammette.

«Per fare che? Dovrebbero raderlo al suolo, questo posto. Non ha più senso che lo tengano su. A Roma lo hanno già buttato giù, lo sapevi²? Una buona idea, per quanto mi riguarda», dice Tony, e alza le sopracciglia, in quella stessa espressione compiaciuta che farebbe di fronte ad un cheeseburger. A Peter scappa una mezza risata.

«Magari per noi non è ancora il momento. Non sono l'unico che viene a trovarsi, comunque. A volte chi è sparito ha bisogno di venire; non so dirti perché, ma è così», gli risponde, e Tony sospira. «Come sapevi che ero qui, comunque?»

«Sensi di ragno», sbotta Iron Man, lapidario, «No, ti ho geolocalizzato il tramite 4g sulle lenti. Le metti veramente troppo spesso, Peter», lo redarguisce, quasi, ma c'è quell'aria di serena ironia che lo avvolge, avvinghiata a una malinconia che, da quando hanno vinto contro Thanos, non riescono a scrollarsi di dosso. Nemmeno – soprattutto, quando sono insieme. È uno stato d'animo complesso, ma che è condiviso, parte di loro. Solo loro, di nessun altro.

«Sono utili, finché non lanciano dei missili dall'atmosfera, fraintendendo un mio comando vocale, ovviamente», cerca di ironizzare, e Tony ride e lo invita a camminare. A camminare di nuovo verso quella lastra di marmo che porta il suo nome ma che, grazie agli occhiali, non c'è. Non per davvero. È spaccata in milioni di frammenti, divenuti farfalle blu; mere illusioni, che spariranno se toglierà quelle lenti, tornando ad essere solo un muro con inciso sopra il suo nome.

«Perché vieni qui?», chiede di nuovo, quando si fermano ancora, uno affianco all'altro. Poi si voltano, si fronteggiano, si cercano con lo sguardo. Peter vorrebbe non usare le parole per dirglielo, e Tony sembra semplicemente aver capito. «Non basta il ritorno, per consolidare il tempo che passa?»

«Non sempre. A volte serve qualcosa che dimostri che non c'ero. Non so perché, ma ne ho bisogno. So che è illogico.»

«No, non lo è.»

«Allora cos'è?»

«È umano», dichiara Tony, «Ma non ti serve. Ti distrugge e il passato è passato. Non puoi permetterti di distrarti dal futuro, se rimani attaccato a un nome scritto su una lastra e a cinque anni che nessuno può ridarti indietro.»

«Però li ho persi. Non... sono passati.»

«E il problema dov'è?»

«Che per altri – per te, sono passati.» Abbassa la testa, mesto. Si guarda la punta delle scarpe e non ha più un punto fermo da guardare. Nemmeno Tony.

«Mi stai dicendo che sono vecchio?», chiede Tony, indicandosi con la mano sana, indignato. Lo costringe ad alzare la testa e a specchiarsi in quel tentativo di alleggerire la realtà, quella vera, dove il tempo è relativo. Quel tempo che per lui ha messo un punto fermo per cinque anni e che per Tony è passato con troppe paure di non vedere più il sole sorgere.

Solo che quel sorriso lo spiazza. Lo scalda. Risponde a tante domande che vorrebbe porgergli. Com'è stato vivere quel tempo senza viverlo? Come si cancella un tempo speso a sperare, quando io l'ho passato senza esistere? Come si convive con il peso di metà universo svanito per un fallimento non voluto? Come si torna a crederci?

«Può darsi», lo sfida e alza le spalle. Cancella quelle domande e lo ricaccia nell'antro più oscuro delle sue bugie, dove vorrebbe che restassero per sempre. «La realtà è crudele, a volte», ammette, infine.

Cala il silenzio, rotto solo dal battito impaziente di farfalle pronte a volare via, ricercando una libertà a cui sono abituate; un istinto primordiale che appartiene loro, ma non a Peter, prigioniero di un tempo perso e una realtà che lo ingabbia ogni volta che gli ricorda quanto dura può essere.

Tony alza la mano sana. Gli sfila gli occhiali, lentamente e le farfalle svaniscono, lasciando che i muri di nomi appaiano ancora intorno a loro, creando un labirinto fitto di marmo e dolore. Gli si avvicina di un passo, poi un altro. Sono così vicini che sente il suo respiro sulla bocca. Ha un brivido che gli percorre la schiena e le braccia. Sembrano i sensi di ragno che captano un pericolo. Invece è solo l'amore. Nient'altro che l'amore.

«La realtà è tutto ciò che abbiamo, Peter.»

«Lo so, ma... è solo che a volte per noi sembra diversa, meno ordinaria. Quasi ingiusta.»

«E lo è davvero?», chiede Tony. La mano serrata intorno alla sua spalla.

Peter scuote la testa, poi la abbassa ancora. Vorrebbe solo esprimere quel concetto in modo che lui possa capirlo. E dargli lo stesso senso che lui gli attribuisce, ma che ha paura che gli altri possano travisare. Prende un lungo respiro, poi incanala il coraggio nelle dita. «Forse. Ma, anche se questo pianeta è casa nostra, mi sembra come se io e te vivessimo in un altro mondo, diverso da tutti gli altri. E questo un po' fa male.» Arriccia le labbra e tenta un sorriso. Non gli riesce e Tony lo guarda come se potesse, con solo un altro schiocco di dita, aggiustare le cose.

Sospira solo, e gli dice tacitamente che per lui è lo stesso. Gli bacia le labbra e poi lo stringe col braccio sano intorno alle spalle. Lo abbraccia, e sono lì, in un mondo a parte, tra i muri di nomi che sono la prova di un passato che non tornerà, ma che è impresso in testa con il fuoco e brucia, brucia, brucia...

Ma, almeno, è una realtà dove entrambi esistono, ci sono e nessuno sparisce e non torna mai più. Le cose andranno meglio e forse è già così, e un giorno non serviranno farfalle blu a cancellare, per un attimo, la realtà di un tempo mai vissuto – o vissuto troppo, che pesa sulle spalle di chi ha salvato il mondo.

Torna a specchiarsi negli occhi di Tony, e la realtà ha un sapore ancora diverso, che sa di speranza. Immagina che sia questo, andare avanti. Allora sorride.


Fine


¹ È il muro dove sono incisi i nomi delle persone sparite. Quello dove Scott Lang trova il suo nome, quando va a cercare quello di Cassie, in Endgame

² Ogni città del mondo ha un Wall of the Vanished, da quello che dice la Wikia Marvel, dunque ho pensato che anche a Roma ce ne fosse uno ma che, vincendo quella battaglia, la sindaca Raggi abbia deciso di raderlo al suolo e costruire una pista ciclabile. O un'altra cazzata piena di buche. Insomma, è pur sempre Roma. 

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