POLISSENA
Erano venuti a prenderla all'alba.
Due uomini.
Greci.
Armati fino ai denti.
Erano entrati nella tenda, schiamazzando, calpestando le donne ignare e cercando la principessa.
Ecuba, sua madre, l'aveva svegliata e le aveva sussurrato: "Sta' quieta. Non ti muovere. I greci non ti porteranno via se starai ferma e zitta".
Polissena aveva annuito, impastata di sonno e piena di paura.
Era stata velocemente spinta in un angolo dalla regina, piena di sangue freddo; aveva allora cercato di assaporare quella calma, lasciandosi guidare dalle mani delle donne, che l'avevano coperta con delle vesti dietro a delle enermi anfore.
"Dov'è Polissena?! Dove l'avete nascosta?! Ecuba! Mostrati".
L'odiosa voce roca del milite era arrivata sino alle sue orecchie. Attraverso il buco di un mantello, la fanciulla aveva sbirciato la scena.
Ecuba si era alzata in piedi, algida e maestosa. "Cosa volete, greci? Perché siete penetrati nella nostra dimora?". Andromaca, con in braccio un addormentato Astianatte, l'aveva spalleggiata.
"Dov'è tua figlia?". Il greco che aveva parlato era ai limiti della barbarità.
"Mia figlia Cassandra, dici? È qui, con me. Alzati, Cassandra". La principessa fulva, assonnata e tranquilla, si era avvicinata alla madre, che l'aveva delicatamente spinta verso i due intrusi.
Polissena aveva tremato per la sorella.
"No, non lei. Neottolemo non vuole la pazza. Vuole la più giovane! Consegnacela, o uccideremo ogni donna troiana!".
"Polissena? È morta. Come ha saputo che sareste venuti a prenderla, è andata di matto e ha preferito togliersi la vita. S'è gettata in mare, dolce bambina. Il suo corpo ora sarà già nella casa di Poseidone" aveva risposto Ecuba, senza la minima traccia di tensione.
"E non avete provato a fermarla?".
Aveva visto Andromaca farsi avanti: "Abbiamo tentato di afferrarla e legarla, ma la follia le aveva messo le ali ai piedi"
I greci avevano gettato ancora qualche occhiata in giro, avevano fatto domande, ma non avevano trovato la principessa.
Aveva atteso. Quando giocava a nascondino con i suoi fratelli nel palazzo, aveva imparato ad aspettare sempre, e non uscire subito allo scoperto.
Alla fine, quando nella tenda era definitivamente tornato il silenzio, la regina di Troia le s'era accostata e le aveva bisbigliato: "Prendi vestiti, acqua e cibo. Vai al tempio di Apollo Timbreo, là ti accoglieranno. Non guardarti mai indietro".
Il tempio.
"Ci andavo spesso, prima della guerra. Le sacerdotesse sono sempre state gentili con me, mi regalavano animali intagliati di legno e dolcetti al limone. Saranno felici di accogliermi. Starò bene" si era convinta.
Aveva baciato la madre, baciato Andromaca e il suo piccolo infante, baciato la folle sorella Cassandra che, in uno stato confusionale, le aveva domandato il perché di quei baci, aveva salutato le altre donne, preso i viveri e si era apprestata a correre via.
Stava già pregustando i profumi del tempio e le torte con i limoni. Niente più zuppa, quella cosa fetida che distribuivano al campo.
Un vero letto, non un un giaciglio cencioso sulla sabbia.
Mentre immaginava il suo futuro nascondiglio, appena fuori dalla parte del campo dedicata alle troiane s'era trovata davanti gli stessi soldati greci che erano venuti a cercarla.
Tremante, si era bloccata di colpo, il viso ben nascosto sotto il velo.
"Scansati, donna!" l'aveva aggredita uno dei due, e l'aveva gettata da parte. Cadendo, una ciocca dei suoi meravigliosi capelli era uscita dal velo.
Capelli biondi, secondi in bellezza e chiarezza solo ad Elena di Sparta.
Aveva sentito il fiato sospeso di Andromaca e i singhiozzi della madre, che s'erano intanto affrettate a vederla partire.
Uno dei soldati, insospettiti, le aveva afferrato la ciocca, l'aveva guardata e le aveva tolto il velo dalla testa.
Aveva visto lo stupore e la rabbia negli occhi del milite.
La principessa aveva strillato e si era coperta il volto con le mani.
In un secondo, tutte le troiane, corse sul posto, l'avevano afferrata gridando e si erano poste davanti a lei come scudo, mentre i due soldati avevano cercato si farsi strada tra le donne urlanti; Ecuba aveva intimato alla figlia di andarsene, e lei era sgusciata via tra il mare di pugni e voci.
Ma successivamente, era andata addosso ad altri greci, che l'avevano bloccata e presa di peso.
Si era vista passare davanti tutta la vita.
I soldati l'avevano trascinata via, mentre Polissena scalciava, piangeva e gridava il nome della madre; tutte le sue concittadine, di ghiaccio, l'avevano fissata in lacrime silenziose.
Ecuba invece, in lamenti di orrore e disperazione, aveva tentato di raggiungere la figlia, ma un greco l'aveva colpita e picchiata selvaggiamente. Cassandra, in piedi, calma e serena, aveva esclamato: "Ci vediamo presto, aspettami!", poi l'aveva salutata con una mano.
Era stata infine portata al cospetto di Neottolemo.
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