POLISSENA
"Che bei capelli che hai..." mormorò Ecuba, la regina sua madre.
"Bellissimi. Biondi. Sembrano oro filato. Sono molto più chiari di quelli di Elena!" l'appoggiò Andromaca, la triste vedova di Ettore, il principe suo fratello. Polissena sorrise, ma in cuor suo sapeva che Andromaca stava mentendo.
Nessuna era più bella e più bionda di Elena, la cagna spartana, il flagello greco, la puttana di Menelao. Polissena l'aveva vista due o tre volte, e ogni volta era sempre stata più bella, e sempre più triste. "Come si può essere tristi quando si è così belli?" si domandava la principessa.
Ecuba intanto continuava a spazzolarle gli splendidi boccoli dorati, che le scendevano fin sulla vita. Il pettine era l'unica cosa, assieme alle loro sete, che potevano tenere ancora. I greci avevano portato via tutto, perfino la culla del piccolo Astianatte, il figlioletto di Andromaca. Ora le troiane erano tutte ammassate dentro una tenda, come bestie, non lontano dalle macerie della loro città. Non potevano uscire.
La puzza di escrementi era insostenibile, non potevano lavarsi, l'acqua doveva essere bevuta, e non potevano dormire. I ricordi della patria perduta rendevano impossibile il sonno. Polissena non dormiva da giorni; ogni tanto riusciva a tenere gli occhi chiusi, ma solo per poche ore. Infatti, nella sua bellezza manteneva occhiaie e stanco pallore.
Improvvisamente le troiane sentirono delle urla provenire dall'esterno della tenda. Urla conosciute, troppo conosciute. Ecuba smise di pettinarla e rimase in ascolto, stanca e infelice. Tutti sapevano chi era l'autrice di quella grida. Cassandra.
"Ho visto la vostra rovina, greci! Ho visto la vostra morte, le vostre città cadere, i vostri fumi prosciugarsi, le vostre donne morire di parto e i vostro bambini macellati al suolo, come quelli troiani! Ho visto Agamennone, il vostro re, che lui sia maledetto, ucciso nel suo letto dalla sua regina Clitennestra, sorella dalla cagna di Menelao, Elena! Elena e la sua stirpe, famiglia di pazzi, assassini, puttane! Spiriti! Fantasmi! Micene e Sparta in fiamme!".
Una fanciulla urlava queste parole piene di odio, mentre voci e risate di uomini crudeli la deridevano.
Cassandra.
La sua sorella maggiore.
La regina di Troia sospirò, s'alzò in piedi e uscì dalla tenda. Ritornò poco dopo, trascinando con sè l'isterica, furiosa, Cassandra. Le sue vesti erano lacerate, mostrando così i seni turgidi, e i suoi capelli rossi erano fiamme che fluttuavano attorno al suo viso.
Cassandra.
La principessa pazza.
La folle figlia di Priamo e di Ecuba. "Perché non mi ascoltate?! Io sono una profetessa! Apollo è il mio signore!" vaneggiò, sguasciando via dalla madre. "Io ho predetto la caduta di Troia! Io ho visto Priamo, mio padre, il vostro re, morire! Credetemi! Ascoltatemi!". Nessuna alzò lo sguardo, nessuna rispose. Astianatte scoppiò in lacrime tra le braccia di Andromaca.
Provò dispiacere per la sorella. La sua follia era peggiorata dopo che uno degli greci, Aiace, aveva abusato di lei nel tempio di Atena. Da allora, i suoi vaneggiamenti erano aumentati e tendeva a ferirsi da sola.
Polissena, graziosa, amabile, virtuosa fanciulla di quindici anni, si avvicinò e prese le mani di Cassandra tra le sue, sorridendo.
"Calmati, dolce sorella. Va tutto bene. Siediti qui, con me. Fatti spazzolare i capelli da nostra madre. Hai davvero una meravigliosa capigliatura, sai? Rossa. Come il fuoco. La mia è bionda, come l'oro!" cinguettò. L'altra, come inebetita, perse ogni forza, ogni isteria, e abbracciò la sorella.
"Polissena, tu mi credi, vero? Tu non pensi che io sia pazza, vero?" tremò.
"Certo che ti credo, Cassandra. E no, non sei pazza. Sei solo impaurita e nervosa, come tutte noi. Ora quietati e resta con me".
La rossa, ora docile e passiva, si abbandonò tra le braccia di Polissena e poggiò la testa sul suo grembo, lasciandosi pettinare. Ecuba sussurrò, all'orecchio della figlia minore: "Brava, bambina mia. Sarai una sposa e una madre eccellente". Poi le stampò un bacio sulla sua fresca gota.
Fu notte. Polissena riposava abbracciata alla sorella. Davanti a lei, Andromaca allattava Astianatte mentre Ecuba raccontava una storia alle altre troiane, quelle che prima della guerra erano ancelle, nobili, madri, figlie, sorelle, spose. E che ora, erano niente. Come niente era ora Ecuba, la vedova del grande Priamo. Come lo era Polissena. Come lo era Andromaca, come lo era Cassandra. Un mucchio di carne incapace di dormire. La bionda figlia di Priamo chiuse gli occhi, abbandonandosi tra le braccia del dio Morfeo.
Tanto, il suo sonno sarebbe durato solo qualche ora.
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