LISA

"A che pensi?".

La piccola Bug sfrecciò per le strade della cittadina della Virginia. 
Era sera, e le donne con i cappellini fioriti tornavano dai parchi con i loro cagnolini al guinzaglio. Dei ragazzini biondi e lentigginosi in bicicletta passarono di fronte alla Bug, salutando allegramente con un cenno Lisa al volante. L'automobile superò un tabellone pubblicitario, che sfoggiava il viso di un'avvenente attrice (Lisa non ne ricordava il nome), e dei negozi, che stavano chiudendo. 

"A che pensi, Gilles?" ripeté Lisa, rivolta al marito. Lui era seduto accanto a lei, la pallida guancia appoggiata sul palmo della mano. 
"A niente" borbottò poi lui, fissando annoiato i ridenti edifici e le simpatiche persone della cittadina. La moglie gli gettò un'occhiata, sconsolata, e arrotolò una ciocca dei suoi bei capelli dorati attorno al dito libero dal tenere il volante.
Gilles, il suo caro, dolce, Gilles, continuava a guardare tutto fuorché lei. "Ma certo, che sciocca", pensò, "sarà spaesato, poverino. Dopo aver perso la memoria, vorrà vedere il posto dove abita!".
Eppure le dava davvero proprio fastidio il fatto che non provasse nemmeno a rivolgerle uno sguardo. Amnesia o no, era comunque sua moglie.

 Contemplò soddisfatta la fede nuziale al dito e ritornò a guardare la strada. Apparve una donna dall'età avanzata, dall'aspetto pingue, che reggeva delle borse. "Guarda Gilles!" esclamò Lisa, illuminata, quasi eccitata, "Guarda quella donna! Quella è Miss Greendove, quella zitella inglese che vive con il suo cocker americano, Phillip! Te lo ricordi?". Gilles non sembrò nemmeno ascoltarla. Lisa si bloccò un attimo, per poi ripartire, con la sua voce limpida. "Tu odi quel cane, Phillip, intendo. A te piacciono i cani, ma Phillip lo odi proprio, sai? Ogni tanto, quando Miss Greendove va da sua sorella nello Yorkshire, ce lo lascia per qualche settimana! E lui ti divora sempre le pantofole! Quanto ti arrabbi!".
Proruppe in una risata cristallina, che morì quando lei si accorse che lui non aveva sentito una sola parola. Suo marito, quel suo maritino senza memoria, continuava a ignorarla, preferendo il finestrino. Si raggelò. "Gilles. Mi stai ascoltando?". L'uomo dai capelli color sabbia si voltò, freddo, stanco, malinconico, con un cipiglio sprezzante sul viso.
 "No, mi perdon... perdonami... Laura... Lisa! Non ti stavo ascoltando".
Cadde un silenzio imbarazzante.

 Per tutto il viaggio, marito e moglie non aprirono bocca: lei guidava, lui scrutava il paesaggio dal finestrino.
Voleva piangere. Sembrava quasi che suo marito, pur essendo privo di memoria, ricordasse quello che lei gli aveva fatto, quella sera, e che per quello fosse furioso con lei.
"No, è impossibile", rifletté, "Non si ricorda neanche chi sia io. Come potrebbe saperlo?".
Poi, Gilles le afferrò il polso, così, di colpo. Lisa quasi fece un incidente contro un'altra automobile. "Lisa... come ho fatto a scordarmi tutto?" chiese, risoluto.
Lo guardò, angosciata: lui la stava fissando, quasi senza battere le ciglia, con i capelli giallastri scompigliati sulla fronte e l'impronta rossa della mano sulla guancia, affetta da una leggera peluria. Lisa distolse lo sguardo dai suoi penetranti, severi, castigatori occhi castani e tornò ad osservare la strada. 

"Sei scivolato dalle scale e sei caduto per terra, sbattendo la testa" mormorò, con tono flebile, quasi colpevole. Gilles continuò per poco a stringerle il polso e a guardarla, come per controllare se stesse mentendo. Alla fine ritornò al suo finestrino. Lisa tremò.

Le aveva lasciato un segno sul polso.

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