INÈS
Primrose.
Timida, candida Primrose. Una colomba dagli occhi di cerbiatto, una boccuccia minuscola, folti capelli castani, pelle lattiginosa costellata di efelidi. Insicura Primrose. Un uccellino sperduto nel grande mondo, un tenero, pauroso animaletto indifeso.
Ed influenzabile.
Molto influenzabile.
Probabilmente lei all'inizio aveva amato sinceramente suo marito, un coglione grassoccio con gli occhiali figlio di borghesi; una coppietta giovane, fresca, amabile.
Inès, al loro primo incontro, aveva già voluto distruggere quell'armonia. Aveva detestato immediatamente lui in quanto ottuso maschio... e desiderato lei. Come l'aveva desiderata. Affondare le sue unghie in quelle carni pallide e glabre fino a farle sanguinare, baciare quelle labbra screpolate, succhiare quelle dita affusolate, violare quella limpida verginità dai capelli color topo.
Primrose, sin dal giorno in cui si erano casualmente incontrate fuori dal loro appartamento a Londra, l'aveva guardata. Aveva guardato Inès, con i suoi enormi occhi bovini, e si era chiesta cosa non andasse nella sua grigia e fredda vita. Inès allora aveva saputo, saputo il suo enorme ascendente sulla ragazza. Un ascendente fatto solo di sguardi.
Lentamente, senza mai dire una parola, solo con occhiate, Inès aveva preso l'anima della ragazza. S'era insinuata dentro di lei, finché lei aveva visto suo marito con gli occhi di Inès. Non più il suo amato, ma un grassone stupido e noioso.
E così, una sera, Primrose aveva bussato alla sua porta. Inès sapeva che sarebbe venuta da lei per sfuggire l'odiato marito. Aveva aperto la porta del suo angolo dell'appartamento, e la colomba s'era gettata tra le sue braccia, baciandola con passione.
Aveva passato tutta la notte da lei, e lei l'aveva fatta strillare di piacere e di dolore, facendole scoprire la sua femminilità. Il giorno dopo, il marito le aveva chiesto il perché di quelle labbra violacee e dei morsi lungo tutto il corpo, ma lei lo aveva ignorato.
Di lì a qualche mese, tutto il vicinato aveva capito che la piccola Primrose preferiva la compagnia della Serrano a quella del suo uomo. E quando Inès, la strega manipolatrice, la malvagia e perversa Inès, l'aveva convinta a liberarsi di lui, tutti avevano sospettato. E bisbigliato. Ma non c'erano state prove. Inès aveva architettato tutto alla perfezione, aveva fatto credere alla polizia che era stato un ladro ad entrare nell'appartamento, a rubare il mobilio e a strangolare il marito di Primrose con un filo elettrico, a decapitarlo, scuoiarlo e tagliargli l'uccello e testicoli e appenderli alla porta della cucina.
Gli agenti non avevano potuto sospettare di quella creaturina pelle e ossa, esangue in volto, con i capelli color dell'autunno e gli occhi bovini, che in lacrime si era chiesta chi avesse potuto commettere un tale abominio. Gli agenti non avevano visto, dietro alle lacrime, i sorrisi di soddisfazione. Le risate. La pecorella era il lupo. La pecorella aveva massacrato suo marito, lo aveva strangolato, decapitato, scuoiato e privato della sua virilità come gesto d'odio nei confronti del genere maschile.
Inès aveva convinto Primrose a macellare suo marito e a scappare con lei con uno solo, scambio di sguardi. Aveva distrutto la bontà più pura, sostituendola con il male. Era stata fiera di sè stessa, del suo potere. Si era creduta una divinità. Invincibile.
Col passare del tempo, però, Primrose era diventata sempre meno gestibile, e allo stesso tempo, sempre più pericolosa. La sua creatura aveva cominciato a spaventarla, ad intimorirla.
Così, aveva deciso di liberarsene. In modo pulito e veloce però, in memoria dei vecchi tempi.
Una notte aveva aperto il gas. Ma c'era stato un piccolo errore nel piano, perché il gas quella notte aveva ucciso entrambe. Primrose nel sonno, Inès mentre aveva cercato disperatamente di aprire la porta.
Quando il cameriere l'aveva accompagnata all'inferno, si era domandata dove fosse la sua giovane amante, ma aveva preferito non indagare.
Dopotutto, aveva una paura matta di lei.
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