GILLES

"Lisa, ti prego!".

Lisa si calò la mascherina per dormire sugli occhi.
"Non insistere, Gilles. Non ho voglia".
Si girò dall'altra parte e spense la luce. Lui si sistemò ancora più vicino a lei, appropriandosi delle sue braccia in un moto di passione.
"Perché fai così? Muoio dalla voglia di una prima notte con te" sussurrò, e la baciò sulla nuca. 

"Una prima notte l'abbiamo già avuta, durante la nostra luna di miele, tanti anni fa" rispose lei, acida.
"Non ti va bene... qui?" domandò allora Gilles, grattandosi la testa. "Siamo marito e moglie, tu dici sempre di voler ritornare alla normalità... che problema c'è?" esclamò innervosendosi.
La signora Baker parve ridacchiare, nel buio.
"Ma se quella volta, quella della prima volta, siamo dovuti andare fino in Italia? Spendemmo un bel po', ma ne valse la pena" disse scherzosamente, e fece per chiudere la conversazione infilandosi nelle coperte: Gilles allora l'afferrò le spalle e la riportò fuori dalle lenzuola, per poi stamparle un bacio sul collo. "Che bisogno c'è di andare fino a Venezia?" chiese, infilando la mano sotto la sua camicia da notte.
"Che cosa?!" scattò di colpo lei.

Lui tirò su la schiena, confuso, e chiese "Che ti prende ora?". Accese la luce.
Lisa si strappò la mascherina dagli occhi, la gettò via e lo fissò, sconvolta e arrabbiata.
"Ripeti bene quello che hai detto" saltò su, inviperita.
"...Che bisogno c'è di andare fino a Venezia..." obbedì con un fil di voce. Lei sembrava impazzita.
Poi capì. Bestemmiò mentalmente.
"Perché a Venezia?" lo interrogò, gli occhi ridotti a due fessure. "Non-non so... ho detto un luogo a caso..." balbettò.
"Bugiardo. Abbiamo passato la luna di miele proprio a Venezia!". Alla finta reazione di stupore di Gilles, Lisa serpeggiò giù dal letto e cominciò ad abbaiare insulti.
"E allora? L'abbiamo fatto a Venezia e..." s'impose, e la giovane donna cacciò un urlo belino per zittirlo. "Tu... tu non hai mai perso la memoria, Gilles! Ti stai burlando di me! Quando sei tornato, sapevi arrivare perfettamente alla camera da letto, non ci avevo troppo pensato... ma ora questo!".
Nella sua bellezza, appariva come una gorgone.
"Sei sempre rancoroso, e quando non lo sei, vuoi scopare! Non ne posso più! Tu..." gli premette un dito smaltato di rosso sul petto. "...Tu sei tornato per tormentarmi! Per vendicarti!". Provò a stringerla tra le braccia, per calmarla, ma lei si divincolò, graffiando il suo pigiama a righe.
Allora le tirò uno sberlone, secco, colpendole l'angolo delle labbra.
Lisa scoppiò a piangere, come una bambina piccola, i piccoli pugni sugli occhi, la bocca spalancata.

D'istinto, come dovere di ogni marito, cercò di consolarla, appoggiandole una mano sulla spalla; lei si rintanò nella parte opposta della stanza.
"Tu sai. Ammettilo, basta mentire" sibilò dopo un interminabile pianto. Gilles non disse una sola parola, ma si limitò ad osservarla, truce.
Ritornarono a letto. Passò esattamente un'ora. Aveva contato i secondi e i minuti.
"Scusami". Mise il capo sul suo petto, all'altezza del cuore; giocherellò con i suoi ricci color del sole e rispose: "Dormi".
Ma nessuno dei due osò chiudere occhio per tutta la notte: ognuno ascoltò il respiro dell'altro, il rumore delle macchine, i piccoli suoni del loro nido d'amore.
"Ha capito, ma non gliela darò mai vinta" si promise, lo sguardo posato sul soffitto, la mano intrappolata tra i morbidi capelli della sua amata.
La notte più lunga della loro vita, perfino più lunga di tutti quegli angoscianti sonni dopo i litigi furiosi. Lisa si era tranquillizzata, ma sussultava ancora, e il cuscino sembrava imperlato di lacrime al tatto... anche se forse non erano solo sue, le lacrime.

"Ma il lenzuolo e le federe si cambiano, così come si cambia faccia" rifletté, depresso e amareggiato.

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