GILLES

Così Lisa c'era cascata.
Bene.
Perfetto.

S'era bevuta tutta la storia dell'amnesia, come i medici e le infermiere.

Quando quella donna rossa e con il camice bianco, il nome Patty Johnson sulla targhetta, era venuta a chiedergli come stava, dopo il suo risveglio, Gilles aveva risposto: "Chi è lei? Perché sono qui? Non ricordo chi sono".

I dottori gli avevano diagnosticato una banale amnesia. Quando sua moglie Lisa, con i capelli sfatti e gli abiti di due giorni, isterica per l'angoscia, era venuta a trovarlo, lui aveva continuato a recitare la parte del malato senza memoria. 

Lisa.
Perché gli aveva fatto una cosa del genere? Erano sposati. Lui l'amava. E lei pure. O almeno, così Gilles credeva.
Aveva finto di aver perso la memoria per capire.
Capire quali fossero i veri sentimenti di Lisa nei suoi confronti e perché aveva tentato di fargli una cosa così orribile.
Era furioso con lei.

Durante il viaggio in macchina, non si erano praticamente parlati, escluso qualche patetico tentativo di lei di descrivergli la cittadina dove abitavano e le sue abitudini di prima dell'incidente. Poi Gilles le aveva chiesto come aveva fatto a perdere la memoria, e lei gli aveva mentito, raccontandogli che era scivolato ed aveva battuto la testa. Anche un uomo con una vera amnesia avrebbe capito che era una bugia bella e buona.
Arrivati a casa, c'era stato un odioso silenzio.
Il signor Madison, il loro vicino, li aveva salutati; Lisa poi gli aveva amorevolmente ricordato quanto lo odiasse, e Gilles aveva annuito.
Ora erano da soli.

"Bene, questo è il bagno, questa è la cucina, la sala da pranzo, il salotto e... il tuo studio, con tutti i tuoi libri!".
Gilles ne prese uno, Violenza in una coppia.
Lisa gli spiegò: "È uno dei tuoi saggi. Ne hai scritti tanti, sei uno psicologo di coppia. Guarda!". Gli indicò il nome scritto in caratteri dorati sulla copertina del trattato, Gilles Baker; gli scappò un sorrisetto, che nascose immediatamente quando vide che anche Lisa stava ricambiando il sorriso.
"Ho un nome francese, ma... sono americano, no?" la interrogò. Conosceva benissimo la risposta, ma gli piaceva sentirsela ripetere. Era un vezzo che adorava.
"Tua madre era francese, da Marsiglia" esclamò allora la moglie.

La cena fu infernale.
Mangiarono polpettone ("Lo sai Gilles, è il tuo piatto preferito!") e per dessert, una torta di mele ("La mela è il frutto che ti piace di più, Gilles!").
La conversazione si basò sul tempo soffocante e sulla nuova tinta bionda di Lisa, un efficiente prodotto che aveva eliminato l'odiata ricrescita castana ("Ho sempre detestato i miei capelli castani, e sto così bene bionda! Non trovi?").
Poi, mentre Lisa sparecchiava, fece la spinosa domanda.

"Lisa, tu mi ami?".

Per un secondo, ma solo per un secondo, lei sembrò bloccarsi. Successivamente continuò a sfregare le stoviglie con la spugna.
"Che domanda sciocca! Dai su, vatti a lavare i denti!" fu quello che disse.
"Non m'hai risposto" rincalzò.
Lei allora si girò, andò da lui e gli stampò un bacio sulla guancia; più che un bacio, gli sembrò un forzato appoggiarsi di labbra sulla sua pelle.

Dopo cena, erano in salotto, lui su una poltrona, lei su una sedia a dondolo: mentre Lisa sfogliava un numero di Vogue e torturava la collana di perle che portava al collo, Gilles cercava di assumere l'atteggiamento più disorientato possibile, da uno che entra in una casa per la prima volta, osservando i mobili della stanza con apparente curiosità ma celata noia.
L'atmosfera era tesissima.
"Io non sono caduto dalle scale, vero?".
Lei non alzò gli occhi dalla rivista, ma smise di dondolarsi sulla sedia.
Ripeté la domanda, più impaziente di prima.
Lei allora chiuse di colpo il numero di Vogue e lo guardò con i suoi tristi, ma allo stesso tempo rabbiosi, occhi azzurri.
"Ah no?" lo stuzzicò, velenosa e sarcastica.
Non seppe che rispondere.
"Vado a dormire" mormorò, e fece per dirigersi in camera da letto.
Grave errore.
"Gilles, come fai a sapere dove si trova la camera da letto se non te l'ho ancora mostrata?".

Lui deglutì.
"Merda".

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