ESTELLE
"Garcin mi stava giusto raccontando il suo crimine" esclamò amichevolmente Inès, invitando Estelle con in gesto della mano a sedersi accanto a lei.
"Cos'ha fatto?" chiese, curiosa. "Ho violentato mia moglie per dieci anni" spiegò tranquillamente lui, giocherellando distrattamente con un lembo della giacca.
"Che orrore!" strillò, disgustata. Inès, accanto a lei, annuì.
"Orrore davvero. Si è veramente meritato il suo posto qua" commentò, fissandolo in cagnesco.
Garcin scoppiò a ridere.
"Beh, parliamo di voi. Non penso siate capitate qua per sbaglio, no?".
Estelle alzò il capo, orgogliosa. "Certo che sì. Io non ho fatto assolutamente niente!" disse con tono petulante.
"Ne sono felice. E lei, Inès? Qual è il suo crimine?" domandò alla bruna.
Lei si alzò e andò davanti alla libreria, appoggiandovi il gomito, dandosi un'aria da intellettuale.
"Io? Una faccenda con Primrose. Storia di morti" cominciò, controllandosi le unghie. "Tre morti, per la precisione. Suo marito, lei, ed io. Primrose era una di quelle ragazze educate, immacolate, golfino bianco e cresciuta con le suore, sapete. Beh, io ero riuscita a... risvegliare il selvaggio che c'era in lei".
Una lesbica. Uno stupratore e una lesbica. Arricciò il naso. Garcin lo vide e ridacchiò: Estelle gli sorrise, complice.
"Stupratore", pensò, "Però attraente.".
Aveva il naso forse un po' troppo corto, e le sopracciglia spettinate, ma i suoi occhi castani la facevano impazzire. Uno sguardo perverso, che la denudava e la scavava, da vero uomo. E i suoi capelli scuri, ricci... quanto avrebbe voluto prenderli e stringerli tra le dita.
Intanto Inès continuava.
"È finita che ho risvegliato un po' troppa parte selvaggia. Ha accoppato il marito, l'ha scuoiato e gli ha tagliato il cazzo. Mai visto tanto sangue in vita mia. Perdonate. Comunque, non c'è più. Il gas ci ha prese entrambe". Finì il suo breve racconto con un profondo sbadiglio.
Estelle, rigida sul divano, le lanciò uno sguardo di risentimento e voltò offesamente il capo dall'altra parte quando lei le fece l'occhiolino.
Preferiva di gran lunga la compagnia dell'affascinante violentatore brasiliano all'orrenda sodomita scuoiatrice.
Inès fece per dirle qualcosa, ma lei la ignorò, chiedendo a Garcin: "Josè? Com'è morto?".
Egli, visibilmente felice di ricevere attenzioni, rispose: "Fucilato. Ero direttore di un giornale pacifista, mi rifiutai di prendere parte alla guerra".
Estelle si portò una mano alla bocca, fingendo stupore e ammirazione.
Doveva giocarselo bene, per garantirsi un alleato durante la sua breve permanenza.
Certo, lo preferiva alla lesbica, era avvenente, ma in verità trovava anche lui caratterialmente sgradevole, un bruto, si vedeva dal modo in cui parlava con lei. Ma almeno era un uomo. Avrebbe dovuto accontentarsi.
"E lei, Estelle? Com'è finita qua?". L'odiosa, melliflua voce di Inés la fece rabbrividire.
"Polmonite" esclamò, secca, senza neanche guardare la sua interlocutrice, continuando invece a scambiare occhiate languide con Garcin.
Egli si avvicinò a lei, incantato e stuzzicato.
"Mi... ci dica qualcosa di più su di lei!" disse, con l'approvazione della Serrano, che ritornò a sedersi accanto a lei.
"Cosa volete sapere di più? Ero orfana di padre e povera, allevavo con mia madre il mio fratellino Victor. Un giorno un uomo, molto più vecchio di me, venne a chiedere la mia mano" recitò, torcendosi le mani, fissandosi i piedi. Piccoli gesti, che la rendevano innocente agli occhi di chiunque. "Era ricco e gentile, accettai. Ci sposammo, e poi la polmonite. Non c'è altro".
Un racconto strappalacrime. Falso, ma convincente.
"Povera piccola. Come può una ragazza del genere essere finita in mezzo a noi due, Inès?" domandò Garcin, appoggiando cautamente una mano sulle spalle di Estelle. Gli mostrò uno dei suoi sorrisi intimiditi, come li sapeva fare solo lei, quelli che facevano impazzire suo marito. Ormai aveva capito che il brasiliano e il suo vecchio sposo erano dello stesso stampo: vocina, guance arrossate, risatine e loro cadevano ai suoi piedi. Idioti, stupidi scimmioni.
Quasi quasi iniziava a condividere l'opinione della Serrano sugli uomini.
"Chi ti dice che stia raccontando la verità?" gli rispose quest'ultima. Si girò verso di lei, incredula: la stava osservando, ma non più nello stesso modo di Garcin, ma in un modo diverso. Aveva la bocca sigillata in un'espressione dura, e occhi guardinghi e poco convinti. "Cosa?" ridacchiò nervosamente, cercando la complicità del fornicatore di Rio. "Che intendi dire?" chiese lui.
Inès scattò in piedi, mettendosi davanti ad Estelle, scrutandola come un poliziotto scruta un criminale durante un interrogatorio. Aveva sottovalutato la lesbica. Cominciò a sudare, torturandosi una ciocca di capelli rossi e stringendo le gambe nel vestito verde acqua. Evitò di posare gli occhi su entrambi i suoi compagni di stanza.
"Siamo all'inferno, non ci sono errori, non ci sono sviste. La sua storiella dell'orfana col fratellino... una balla. Ha fatto sicuramente qualcosa, ma non ce lo dice". Camminava avanti e dietro, con le braccia incrociate, sempre controllando Estelle. Garcin si allontanò e si mise in piedi accanto a lei, anche lui insospettito.
Maledetta puttana.
"Ma quando arriva il cameriere?" pensò, disperatamente furiosa. "E' evidente che sta cercando di manipolarci, José" continuò la Serrano.
"No... io..." azzardò, ma la mora le afferrò un braccio e la tirò in mezzo a loro due.
Era in trappola.
"Parla: che hai fatto, Estelle?" esclamò, dimenticandosi la forma di cortesia.
Garcin la imitò: "Parla!".
Non ricevendo risposta, i due cominciarono ad urlare in contemporanea alle sue orecchie: "Parla! Qual'è il tuo crimine? Parla!". Successivamente presero a scuoterla violentemente e a spintonarla.
"Parla!".
Estelle non ci vide più. Si coprì le orecchie con le mani, e lanciò un grido acutissimo.
"Mio marito, voleva farmi fare un bambino!" strillò poi.
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