ECUBA

"Polissena è morta".

Ecuba sedeva su un masso, ritta, con le mani in grembo, i capelli scuri al vento, lo sguardo assente volto all'infinito.
Andromaca, inginocchiata sotto di lei, stringendo i suoi polpacci, era in lacrime mentre diceva queste parole.
"Lo so" rispose, pacata.

L'aveva già saputo mentre veniva picchiata da quei greci, con le grida della figlia alle orecchie.
Era sempre stato Neottolemo ad uccidere Priamo e la sua progenie maschile: l'erede del Pelide era un mostro, mille volte peggio del padre.
"Che sia mille volte maledetto. Che sia la sua prole a cacciarlo nell'Ade" pensò.

Cassandra aveva pianto tutta la notte, chiedendo dove fosse la sorella; Ecuba le aveva domandato il significato delle sue inquietanti parole del giorno prima: "Ci vediamo presto, aspettami!". Aveva ricevuto, come risposta, soltanto singhiozzi e capelli rossi strappati.
Polissena era stato il suo tesoro, con lei aveva perduto tutte le sue figlie. Cassandra non era più sua figlia da molto tempo, l'aveva persa tanti anni prima, quando era ancora una bambina.

Era uscita un pomeriggio, a giocare a palla vicino al tempio di Apollo Timbreo; era tornata tre giorni dopo, impallidita, balbettante di terrore. Farneticava parole oscure, piene di morte e sciagure, e cadeva spesso in stati catatonici, alternando estrema ira a innocua tranquillità. Gridava, correva, andava di matto, graffiava e aggrediva chiunque. Era diventata pazza. Senza ragione.
Aveva nove anni.
Aveva provato all'inizio a volerle bene e ad accettarla, ma poi s'era arresa; quella non era sua figlia, era un animale con le sembianze di sua figlia.

"Come l'hanno uccisa?".
"Sgozzata".
La vedova di Ettore aggiunse poi, tentando di darle conforto: "È stata una morte veloce. Neottolemo l'ha rispettata, conoscendo il suo gentil sesso e il suo sangue reale".
"Sì, l'ha rispettata, strappandola dalle mie braccia per macellarla come un maiale" commentò con voce tremante, un velo di lacrime negli occhi. Si alzò poi dal masso: una vecchia stanca, addolorata, senza figli, patria o sposo. Nella sua superba capigliatura color mogano, grandi ciuffi di capelli canuti. Nel suo bel viso, rughe e occhiaie.
L'ombra di sé stessa.
"Avrà 'rispettato' la principessa come meglio credeva, ma gli altri principi? Anche loro erano di sangue reale. Troilo, quattordici anni, è stato sodomizzato da Achille come un volgare prostituto! Pammone e Polite sono stati massacrati nella polvere!" strillò, con voce rauca. La prima traccia di nervosismo che avesse mai avuto.
Andromaca accarezzò la suocera, si voltò e andò via, lasciandola sola nel suo dolore.

Polissena.

Il suo viso rigato dalle lacrime, il suo bellissimo viso chiaro, ora era morto. Bianco. Senza colore, senza vita.

Il suo cadavere ora giaceva sicuramente ancora sulla sabbia, con la gola aperta e grondante di sangue.
Sarebbe stata lei stessa a tumularla.
Si controllò: ritornò sulla pietra e si apprestò a confezionare una nuova ghirlanda di erbacce.

Quella notte, Taltibio venne a farle visita.
"Mia signora, posso darti un po' di conforto? Forse, mi odi?".
"Certo che no, Taltibio. Tu sei il mio unico amico ora".
La benevola risposta sorprese l'araldo, che si sedette accanto alla regina, fuori dalla tenda delle troiane, al chiaro di luna.

"Ricordo il giorno della nascita di Polissena. Era la mia ultima figlia, sorella di tredici principi. Era già bellissima quando uscì dal mio ventre. Piangeva, ma lo faceva in un modo... non so come descriverlo" commentò dolcemente, prendendo la mano di Taltibio.
"Hai quattordici figli, mia regina? Nella mia patria la sposa di Priamo è famosa per averne cinquanta!" esclamò lui, tentando di sdrammatizzare.
Ridacchiò, divertita. "Cinquanta sono tutti i figli di Priamo, avuti la maggior parte da concubine e schiave! Da me ne ha avuti solo quattordici: Ettore, lo conosci sicuramente;
Creusa, la mia figlia maggiore, andata in sposa ad Enea e morta durante il Sacco di Troia;
Laodice, la più bella tra le mie figlie, ora in sposa ad Agapenore; Deifobo, ucciso nel sonno da Menelao;
Eleno, ora prigioniero dei greci; Cassandra, ancora qui con me, come sai;
Pammone, ucciso in battaglia da Neottolemo...".
Tossì, e riprese dove si era interrotta.
"Polite, assassinato con Priamo durante il Sacco da Neottolemo;
Antifo, ucciso in battaglia da Agamennone;
Ipponoo, ucciso da Achille; Polidoro, prigioniero del re Polimestore del Chersoneso, assieme alla mia altra figlia Iliona; e il più giovane, Troilo, bellissimo. Ora è assieme ad Eleno, in catene.
Polissena è nata dopo Polidoro".
Elencò i suoi figli in modo terribile, ma con un tono tanto amorevole che al messo vennero le lacrime agli occhi. Ad nome la sensazione di colpevolezza gli colpì il ventre sempre più forte.

"Ora solo sei dei miei figli sono vivi. Sei su quattordici. Mi è stata portata via anche Polissena. Fino a ieri, erano sette" continuò, sempre con voce dolce. Non una nota di disperazione, solo dolcezza.
"E Paride?" chiese Taltibio. Ecuba gli scoccò un'occhiata delusa. La pecora nera.
"È nato dopo Ettore" rispose, di colpo algida.
Gli parlò ancora, raccontandogli annedoti di giornate estive liete e lontane, e lui ascoltò senza dire una parola limitandosi a osservare le stelle.

"Hai moglie e figli?".
"Sì, e cinque maschi, mia regina".
"Lei la ami?".
Esitò un istante. "Non troppo. E lei, Orizia, ricambia ancora meno. I figli non li ho cresciuti io, non sono mai stato un padre. E nemmeno un marito."
"E fai bene. Attaccati troppo a qualcuno in questo mondo orribile e finirai come me. Ama solo il tuo seme". Si sfiorò le trecce ramate con i palmi. "Io ero attaccata a mio marito, il re Priamo... lo amavo come un fratello maggiore più che come uno sposo. Neottolemo...", qua la voce si stonò lievemente, "...il tuo signore, me lo uccise fra le mie braccia con un sol colpo di spada, dietro la schiena."
Taltibio parve scostarsi della sabbia invisibile dal mantello. "Qualcuno potrebbe chiamarlo codardo".
"Ed è così. Anche se non dovremmo dire maldicenze sul suo conto, è così. Dare peso alla vita non è debolezza, è forza."
Gli rivolse il più caldo e fiero dei sorrisi. "Sei forte agli occhi di una regina, ricordalo sempre!".

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