T r e d i c i

Vi è mai capitato di provare la sensazione di non riconoscervi?

Guardarvi allo specchio ed osservare con aria stranita il volto sconosciuto che vi fissa attraverso il riflesso, ma che infondo di sconosciuto non ha assolutamente nulla, perché è il vostro.

La sensazione aliena di non riuscire più a decifrare i vostri stessi pensieri e desideri – come se venissero formulati da qualcun altro, un maldestro narratore esterno – sentendo crescere il panico al centro del petto che vi strappa via il respiro.

«Hai una pessima cera amico – sussurrò Minho accanto a lui quel lunedì mattina, scrutando di soppiatto il suo volto mentre guidava con calma verso il loro ateneo – Hai la faccia di uno che non chiude occhio da giorni» ammise preoccupato.

L'ultima volta che aveva visto Chan era precisamente il venerdì mattina – quindi due giorni prima – e ricordava bene di avergli reso quelle iniziali ore di lezione un vero e proprio inferno, insistendo fino alla morte per chiarire i suoi atteggiamenti facilmente fraintendibili nei confronti di Jeongin; sperava seriamente che l'aspetto pensieroso e stanco dell'amico non avesse niente a che fare con lui e con le sue parole.

Sono stato forse troppo duro con lui – rifletté aspettando che il maggiore aprisse la bocca per dirgli qualcosa, anche solo per mandarlo al diavolo.

Se il motivo fosse effettivamente stato quello, si sarebbe sentito mortalmente in colpa.

Chan chiuse pesantemente gli occhi, sospirando e lasciandosi ricadere con poca grazia contro il comodo schienale del sedile – mandò giù le parole che tanto avrebbe desiderato lasciarsi sfuggire dalle labbra, per poi voltarsi verso il finestrino ed osservare il paesaggio che ormai conosceva a memoria.

Perché non ho il coraggio di raccontargli la verità? Infondo si tratta del mio migliore amico, perché in questi due giorni di weekend – per quanto abbia provato mille volte a scrivergli per parlargli – alla fine ho sempre rinunciato?

La verità era che non era riuscito a darsi alcuna risposta in quelle lunghe ed estenuanti quarantotto ore, in cui si era sentito quasi sul ciglio della pazzia, senza nessuno al suo fianco con cui sciogliere quel nodo che gli si era formato nella gola.

Aveva iniziato a detestare quel peso insopportabile al centro del petto, che gli impediva di buttar fuori tutto il male che percepiva – e la consapevolezza che quello fosse decisamente il momento migliore per parlare con l'amico di ciò che era avvenuto venerdì notte, gli faceva avvertire ancor di più la pressione di non riuscire ad aprirsi.

Ne avrebbe voluto parlare anche con Hyunjin e Changbin – erano anche loro dei carissimi amici per lui – ma in quel momento ringraziò il cielo che nessuno dei due fosse presente in quell'auto.

Aveva bisogno di parlare con il cuore in mano e senza sentirsi giudicato dallo sguardo dubbioso di Changbin, o prendere bonariamente in giro dal sarcasmo affilato di Hyunjin.

Il più giovane del loro gruppo li aveva avvisati in anticipo della sua assenza, dicendo loro che sarebbe andato a lezione in anticipo perché aveva delle "cose da fare".

Chan aveva avvertito un brivido freddo scuotergli la schiena a quelle parole – non promettevano mai niente di buono, e sperò che non avessero nulla a che fare con Kim Seungmin.

Per quanto riguardava Changbin invece, ormai il suo compito era quello di accompagnare Felix, quindi sarebbe andato a lezione in autonomia finché il giovane australiano non si sarebbe sentito meglio.

Chan sospirò.

Quello era il momento ideale – realizzò, voltandosi per osservare il profilo preoccupato dell'amico – Ho bisogno di parlarne con Minho, prima di incontrare nuovamente Jeongin a scuola.

Il cuore batteva forte, solo immaginandosi di sollevare lo sguardo lungo il corridoio, e trovarselo davanti.

Immaginare i suoi occhi grandi ed innocenti nuovamente puntati su di lui.
Potrei impazzire.

«Accosta» disse di punto in bianco, avvertendo un forte conato di vomito scuoterlo da capo a piedi.

Stava per farlo seriamente.
Rilassati.

«Come?» domandò Minho totalmente preso alla sprovvista – Chan era rimasto in silenzio talmente a lungo, prima di parlare nuovamente, che per un momento Minho si era quasi convinto del fatto che non si sarebbe aperto con lui –, ma iniziò comunque a rallentare lievemente.

Chan mosse in modo frettoloso il piede, sollevando ripetutamente il ginocchio, come se avesse lui stesso la possibilità di fermare quell'auto.

«Siamo in anticipo per la prima lezione, accosta al marciapiede» ripeté.

Minho rimase in silenzio – sapeva che qualcosa non andava nell'amico nel momento stesso in cui l'aveva visto aprire la porta di casa, e quello strano atteggiamento non poteva che confermare i suoi dubbi – senza ribattere, accostò al marciapiede; erano in prossimità di una scuola elementare, e nel piccolo parco dall'altro lato della strada era pieno di bambini che giocavano in attesa dell'ingresso in classe.

Le loro risate gioiose riempirono subito l'abitacolo.

Il punto migliore, per il suo stato emotivo, davvero ottimo! – rifletté ironicamente Minho, slacciandosi la cintura e chiudendo il finestrino per tagliare fuori la felicità di quei bambini.

Rimase in silenzio per qualche istante, sentendo il respiro pesante dell'amico e notandolo – con la coda dell'occhio – afflosciarsi contro lo schienale, mentre osservava la strada dinanzi a sé con espressione tormentata.

Se non parlerai da solo, ti farò parlare io.

«In anni di amicizia non hai mai avuto alcun problema a raccontarmi ciò che succedeva nella tua vita, senza la minima esitazione – disse, notando con la coda dell'occhio l'amico voltarsi a guardarlo – Quando eri in Australia mi chiamavi negli orari più impensabili per chiedermi anche solo un consiglio, non riuscivi a parlarne con nessun altro che non fossi io, adesso cos'è cambiato Chan?» domandò voltandosi a sua volta.

Studiarono rispettivamente l'uno gli occhi dell'altro, e Chan accusò dolorosamente il colpo appena ricevuto.

Minho aveva ragione, cos'era cambiato?

Perché per lui era stato così semplice chiamarlo nel cuore della notte – anni prima – per raccontargli di esser finalmente riuscito a baciare per la prima volta la ragazzina per cui aveva una cotta all'epoca, ma non riusciva a dirgli che due giorni prima aveva baciato Jeongin?

Perché Jeongin è un uomo – gli suggerì la sua mente perfida.
Purtroppo, dovette ammettere a se stesso, era quella la verità; e se ne vergognò.

La verità era che Jeongin era un uomo, come lui, questo l'aveva reso così instabile ed insicuro nei confronti di ciò che aveva sentito e provato – per il giudizio maligno che lui stesso si era auto inflitto, in quei due giorni trascorsi chiuso in camera – portandolo al punto di bloccarsi totalmente.

Il terrore che provava, nel sapere che pronunciare per la prima volta quelle parole a voce alta avrebbe reso reale, tutto ciò che in quei giorni aveva inutilmente cercato di negare a se stesso.

Non c'è nulla di male nel fatto che sia ... Jeongin – ce la posso fare.

Minho si mosse a disagio nel sedile, non sapeva veramente cos'altro dire per aiutarlo; se l'aveva pregato di accostare significava che a tutti gli effetti desiderava aprirsi con lui, ma c'era ancora qualcosa che chiaramente glielo impediva.
«Chan, io...».

«Ho baciato Jeongin».

Era stato preciso e diretto come un proiettile, – aveva sganciato la bomba senza alcuna avvisaglia – e Minho aveva avvertito quelle parole conficcarsi in profondità nel centro del suo cranio.

Merda, l'ho detto ad alta voce.

Chan sgranò gli occhi.
L'aveva detto veramente.

Si posò una mano all'altezza del cuore sentendolo battere senza alcun controllo.

La velocità con cui quelle parole avevano reso reale ciò che era avvenuto, era sconvolgente.

Ho baciato Jeongin... cazzo, ho seriamente baciato Jeongin...

Da quel venerdì notte – in cui si era ritrovato a baciare a lungo quel ragazzino sotto il cielo umido e carico di stelle – quella era la prima volta che permetteva a quelle parole di uscire dalle sue labbra – non aveva avuto il coraggio di pronunciarle neanche a se stesso, solo nella propria camera.

Silenzio.

Sollevò nuovamente lo sguardo sull'amico, trovandolo con occhi carichi di dubbi e domande – rise internamente, rendendosi conto del modo assurdo con cui aveva sputato fuori quelle parole, dal nulla.

«Dire che sono confuso in questo momento è dire poco – ammise Minho, respirando piano e scrollando il capo – Quando è successo?» chiese.

Avrebbe realmente voluto reagire diversamente, posando le mani sulle spalle dell'amico per scuoterlo energicamente, sommergendolo di domande.

Quando è successo?
Dove?
Perché l'hai fatto?
Perché non riuscivi a parlarmene?
Come mai mi hai sempre detto che ti piacevano solo ed esclusivamente le ragazze?

Era consapevole che l'ultima suonasse più come un'accusa, ma lo stato pietoso in cui versava l'amico fino a qualche istante prima, l'aveva spinto a stare in silenzio e chiedere ogni cosa per volta.

Il maggiore prese un respiro profondo, accomodandosi meglio sulla seduta; ormai la parte peggiore l'aveva superata, a quel punto restava solo da argomentare la sua confessione e fornire i dettagli.

«Venerdì notte. Siamo andati insieme a guardare le stelle cadenti» disse, passandosi i palmi sudati delle mani sui pantaloni dell'uniforme.

Minho si voltò verso di lui.

«Vuoi aggiungere qualcos'altro, oppure devo procedere a tirarti via tutte le informazioni con le pinze?» chiese arcuando un sopracciglio, e tirandogli gentilmente un piccolo pugno sulla spalla.

Chan rise, sentendo la tensione di quei giorni scivolare finalmente via dalle sue spalle.

Iniziò da principio, raccontandogli di quel venerdì mattina e della discussione tra Jeongin e Hoseok a cui aveva casualmente assistito, cercando disperatamente di trasmettere all'amico le sensazioni che aveva provato trovandosi costretto ad osservare quella scena; la sensazione di violenza e rabbia incontrollata quando aveva visto la mano di quel ragazzo stretta intorno al polso del più piccolo, e i lividi che essa aveva lasciando.

Il fuoco ingestibile che aveva arso i suoi organi, spingendolo a fare qualcosa di cui si sarebbe poi pentito, e di come – in assoluto la cosa più importante – la voce calma di Jeongin e i suoi occhi gentili erano stati come acqua gelida che aveva lentamente spento le fiamme e lenito le sue bruciature.

Minho posò il capo all'indietro, osservando il tettuccio della sua auto con espressione pensierosa.

«È questo il motivo per cui ci hai chiesto di boicottare quella festa, era la sua festa, non è così?».

Chan annuì, stringendo lievemente lo sguardo.

Normalmente Minho odiava la prepotenza e il bullismo tanto quanto le odiava lui, eppure per tutta la durata del racconto non aveva visto minimamente cambiare la sua espressione.

«Non mi sembri molto sorpreso – disse, incapace di trattenere la propria curiosità. In quel momento la consapevolezza lo colpì – Tu già lo sai quello che è successo tra di loro, non è così?» gli chiese, osservando l'amico annuire.

«Lo so io, così come lo sanno Hyunjin, Changbin e letteralmente chiunque nella nostra Università – ammise, alzando leggermente le spalle con espressione dispiaciuta – Penso tu non l'abbia mai saputo perché ti sei trasferito – lo scorso anno – quando Jeongin stava ormai entrando come matricola nel nostro Istituto, il suo incubo era appena passato ed era riuscito a raggiungere i suoi amici sano e salvo; penso che per rispetto nessuno volesse far circolare voci che poi potessero arrivare a lui».

Fece una pausa, per poi riprendere: «Perfino il nostro Rettore tentò di fare da intermediario tra i suoi amici e la scuola in cui Jeongin era rimasto, nella speranza di far ragionare il Direttore e portarlo a prendere dei provvedimenti nei confronti di tutti quei bastardi, ma nessuno fece niente; eravamo tutti molto dispiaciuti, Seungmin e Jisung avevano delle facce peste e cariche di preoccupazione ogni giorno che passava».

Chan annuì.

Non osava neanche immaginare come potesse sentirsi Jeongin in quei primi giorni di ingresso come matricola all'Università, sapendo che tutti intorno a lui erano consapevoli di ciò che gli era accaduto.

«Mi dispiace davvero per ciò che gli è successo, e mi dispiace tanto anche per Jisung» mormorò Chan, non osando neanche immaginare quanto potesse esser stato difficile per lui vivere quella situazione, così come per Jeongin.

Esser consapevole che un amico sta pagando, e soffrendo, per qualcosa che ha avuto origine da te.
Chan sarebbe morto dai sensi di colpa.

Minho voltò la testa di scatto verso di lui, con aria dubbiosa.

«Perché sei dispiaciuto per Jisung?» domandò, sentendo una strana sensazione allo stomaco.

«Be, perché Hoseok era innamorato di Jisung in quegli anni – Ha reso un inferno la vita di Jeongin proprio per vendicarsi del suo rifiuto».

Minho sentì un forte suono riempirgli le orecchie, come il brusio fastidioso di uno sciame d'api.

Jisung non gliene aveva mai parlato.
Perché?

Chinò leggermente il capo verso il proprio grembo, dove le sue mani unite si torturavano tremanti.

Probabilmente non era una cosa così tanto importante – sicuramente era quello il motivo per il quale Jisung non gli aveva mai fatto quella confidenza, infondo non aveva ricambiato i sentimenti di Hoseok – eppure non poteva che sentirsi strano a quella nuova rivelazione.

Aggiungere quel nuovo dettaglio – non da poco – al quadro generale, a distanza di tanto tempo, dava improvvisamente una nuova luce a quanto accaduto.

«Ho detto qualcosa che non dovevo?» domandò Chan dubbioso, osservando il volto tetro dell'amico.

Quello era così strano.

Minho sollevò il capo, sorridendo e negando repentinamente.

«No tranquillo – disse posando le mani sul volante, con fare pensieroso – Sono semplicemente rimasto sorpreso, non sapevo che questa storia fosse nata da dei sentimenti non ricambiati, questa voce a scuola non è mai circolata» disse lasciando che il suo sguardo corresse lontano da quell'auto, lungo quella strada che casualmente – voltando sulla sinistra – portava proprio a casa del suo Jisung.

Chan annuì distrattamente.

«Quindi – riprese improvvisamente Minho, augurandosi che quella sua strana titubanza non catturasse eccessivamente la curiosità dell'amico – Dopo averlo accompagnato in infermeria ed averlo medicato, gli hai proposto di unirti a lui per la serata e ha accettato. Continua...» lo incoraggiò.

Chan ingoiò a vuoto la saliva, sentendo la pelle cosparsa da brividi.

Stava arrivando al tasto dolente di quella storia, quello che gli aveva tolto il sonno e il respiro per tutti i precedenti giorni.

«Mentre eravamo stesi ad osservare le stelle ha iniziato a raccontarmi ciò che era successo anni prima tra lui e Hoseok – e io l'ho baciato Minho» disse, pronunciando nuovamente quelle parole.

Gli bastava chiudere gli occhi per tornare sotto quel meraviglioso cielo, con gli occhi vogliosi del più giovane davanti ai suoi.
Era così carino.

Minho annuì lentamente.

«Riflettiamo un attimo su questa tua azione, ti sei chiesto perché l'hai fatto? - gli domandò senza mai incontrare i suoi occhi, per lasciarlo libero di esprimersi senza sentirsi a disagio – Ti piace, ti senti attratto da lui nonostante sia un ragazzo, oppure l'hai fatto solo perché ti ha fatto pena?».

Chan ci rifletté su per un attimo di troppo, nonostante già conoscesse la risposta.

Era letteralmente l'unica certezza che aveva sulle sue azioni di quella sera.

L'unico pensiero lucido che gli era rimasto prima di perdere totalmente il lume della ragione dietro al profumo e alle labbra dolci di Jeongin.

«Non mi piace la parola "pena" – è triste, Minho – ma sì, in quel momento ho sentito l'istinto di baciarlo perché volevo donargli un nuovo primo bacio che gli permettesse di scordarsi del primo; Tu non hai visto gli occhi lucidi con cui mi raccontava della vergogna che provava ogni volta che qualcuno gli chiedeva com'era stato il suo primo bacio, e di come spesso preferiva mentire fingendo di non averlo ancora dato».

Gli saliva la rabbia solo ricordando l'imbarazzo sul suo viso, come se lui avesse avuto scelta, come se in parte si attribuisse la colpa di ciò che era successo.
Non era colpa sua.

Minho annuì, voltandosi verso di lui.

«Se il motivo è questo, allora perché stai dando così tanto peso ad un bacetto dato in un momento di debolezza, solo per tirarlo su di morale?» domandò confusamente, voltandosi leggermente verso l'amico e osservando le espressioni sul volto dell'altro.

Chan rise amaramente.

La parola bacetto non era esattamente quella che avrebbe usato per descrivere ciò che era successo tra lui e il minore.

Le loro lingue si erano intrecciate talmente tanto a lungo – e con talmente tanto desiderio e passione – che di tanto in tanto Chan aveva temuto che si sarebbero annodate.

Non sarebbe stato male, infondo.

«Perché il "bacetto per tirarlo su di morale" è stato il primo – ammise – Dopo quello l'ho baciato nuovamente, in modo intenso quasi fino all'alba» precisò, vergognandosene un po'.

Sapeva che non avrebbe dovuto, anche perché Minho era gay, ma era più forte di lui.

Minho schiuse le labbra.

E no, quello cambiava totalmente la situazione.

«Quindi non è stato un bacio Chan, avete trascorso tutta la notte a baciarvi» evidenziò, incrociando le braccia al petto.

Quello rendeva tutto decisamente più complicato, ed iniziava a comprendere dove si annidasse tutta quella paura in Chan.

L'amico annuì.

«Quando ho posato le labbra sulle sue ho provato qualcosa che penso di non aver mai provato prima Minho, il suo sapore e il modo dolce ed inesperto con cui ricambiava quelle mie attenzioni mi ha reso così debole e desideroso di baciarlo ancora – non riuscivo più a fermarmi, e il fatto che lui continuasse a stringermi a sé, ha totalmente allontanato dai miei pensieri l'intenzione di farlo» ammise, sentendo al centro del suo petto un fiume in piena che spingeva per uscire.

«Mi sento così strano Minho, così diverso, non credevo possibile per me provare una simile devastante attrazione per un altro ragazzo – sussurrò, sentendo un forte principio di sonnolenza colpirlo – E ora non posso che domandarmi se si è trattato di un caso isolato, magari alimentato dal fatto che è parecchio tempo che non bacio qualcuno, oppure magari devo iniziare a pormi qualche domanda su me stesso e su cosa quel bacio ha scatenato in me» mugugnò.

La cosa difficile non erano state quelle ore – trascorse tra le braccia di Jeongin, con le sue mani piccole e sottili strette sulle sue spalle o intrecciate ai sue capelli – quanto più quei due giorni trascorsi a casa, a porsi mille domande e dubbi.

Si era ritrovato diverse volte – incapace di farne a meno – a portarsi la felpa che aveva indossato quella notte, al viso, per respirare a pieni polmoni l'odore di Jeongin che il tessuto ancora conservava.

Ha un profumo così buono.

Respirare il suo profumo, lo riportava a quella notte, a tutti i baci e le carezze, e lo stomacò si restringeva dolorosamente così come il cuore.

Lo voglio nuovamente tra le mie braccia.

Chan si prese il volto tra le mani, sentendosi stanco e privo di difese.

Non sapeva seriamente come avrebbe fatto da quel momento in poi, ma era consapevole di aver bisogno di qualche consiglio – qualche ottimo consiglio – prima di incontrare nuovamente Jeongin quella mattina.

Non vedo l'ora di vederti.

Seungmin camminò in modo fluido, superando agilmente le automobili che intasavano il parcheggio esterno del loro ateneo; di tanto in tanto si voltava per salutare qualche studente che conosceva, sorridendo loro calorosamente.

Gli piaceva raggiungere le lezioni a piedi – non abitava neanche troppo lontano –, con le cuffiette nelle orecchie e la consapevolezza che ad attenderlo c'era una piacevole passeggiata.

Il tempo in quei giorni si era oltretutto fatto più mite, e le temperature erano divenute molto più gentili.

Si sentiva spensierato, leggero e riposato – le parole che Hyunjin gli aveva rivolto nel bagno, due giorni prima, sembravano aver spazzato via qualsiasi tipo di pesantezza e paura Seungmin covasse nel suo cuore – e si odiava per questo.

Odiava permettere a quel ragazzo – pur non volendolo – di avere tanto ascendente su di lui; odiava che fossero bastate quelle sue rassicurazioni per renderlo così sereno e tranquillo.

Bastava così poco Seungmin? - si rimproverò.

Pur non volendolo aveva creduto ciecamente alle sue parole, fidandosi senza riserve della quieta sincerità che aveva visto riflessa in quei grandi occhi scuri e pericolosi.

"Non farmi aspettare troppo Kim Seungmin"

Scosse il capo per buttar fuori tutti quei pensieri dalla sua testa.

Aveva trascorso tutto il weekend ripercorrendo quei momenti passati con il maggiore – perfino nei suoi sogni – e cercando di interpretare ogni singola parola da esso pronunciata. Inutilmente.

Nonostante fossero passati due giorni, era ancora in quel bagno.

Bloccato mentalmente a quegli istanti, chiuso in quel cubicolo con la schiena premuta al muro e il corpo di Hyunjin impresso sul suo.

Ti farà del male, giocherà con te finché non avrà le mani coperte dai frammenti del tuo cuore, e poi cosa farai? Avrai il coraggio di andare a piangere tra le braccia dei tuoi amici, Seungmin?

Sollevò lo sguardo sovrappensiero verso l'ingresso dell'Istituto, sentendo poi lo stomaco restringersi all'improvviso.

Una grossa auto lucida e scura – parcheggiata a pochi metri dal cancello – attirò subito la sua attenzione, facendogli fare una smorfia infastidita.

Quell'auto – e l'autista di essa – la conosceva fin troppo bene, e proprio questo lo portò a superarla senza degnarla di mezzo sguardo, percorrendo il viale alberato che portava alla porta d'ingresso del liceo.

Bastardi.

Quello era l'autista che i suoi genitori avevano messo a sua completa disposizione per qualsiasi tipologia di spostamento e necessità, probabilmente per far tacere la loro coscienza sporca in merito al loro essere dei genitori totalmente inesistenti.

Seungmin avrebbe di gran lunga preferito essere orfano, almeno in quel frangente avrebbe avuto la fortuna di trovare l'amore in una famiglia adottiva, e invece niente.

Seungmin – proprio a causa del rapporto con i suoi genitori – amava essere indipendente e aveva un'estenuante voglia di crescere velocemente per poter fare a meno di quel poco di cui aveva a tutti gli effetti bisogno, e che loro gli fornivano.

L'auto era uno di quei "regali" di cui lui faceva volentieri a meno, preferendo andare a lezione a piedi con il tempo caldo, sennò in pullman quando pioveva; eppure, nonostante lui non usufruisse di quel servizio, quel povero autista era costretto ad appostarsi là fuori durante tutto l'orario scolastico aspettando il momento in cui Seungmin sarebbe salito sull'auto.

Non accadeva mai.

Quello in cui avrebbe potuto tagliare i rapporti con loro in via definitiva, sarebbe senz'altro stato il giorno più bello della sua vita.

«Buongiorno amore mio» mormorò una voce al suo fianco, mentre percorreva sovrappensiero il viale.

Sobbalzò voltandosi di scatto, trovando dinanzi a sé un Hyunjin sorridente e radioso.

Questa giornata inizia nel migliore dei modi.

«Buongiorno» rispose Seungmin dubbiosamente, guardandosi intorno alla ricerca dei suoi amici, ma il ragazzo sembrava essere da solo.
Strano.

Hyunjin sorrise, osservandolo.

Era così carino quella mattina, con i capelli sbarazzini che gli ricadevano sugli occhi finalmente riposati e brillanti.

Era tornato il suo Seungmin.

«Mi sembri stare molto meglio, Seungminnie – sussurrò sentendo la necessità di sollevare una mano per accarezzargli con il dorso la guancia rosea, ma si trattenne – Sei riuscito a riposare questi giorni?» domandò, incenerendo poi con lo sguardo alcuni studenti che – passando poco dietro di loro – si scambiarono qualche risatina, guardandoli.

Si doveva ricordare di ucciderli, più tardi.

Seungmin annuì alle parole del ragazzo, fingendo di non essersi accorto degli sguardi che alcuni studenti stavano rivolgendo loro.

Non si poteva neanche sorprendere, infondo stava piacevolmente chiacchierando con Hwang Hyunjin.

Era così strano intrattenere una conversazione così tranquilla con lui.

Perché non è sempre così?

«Sì, ti ringrazio per averlo chiesto» rispose leggermente a disagio, abbozzando però un sorriso.

Avrebbe voluto tirar fuori la grinta che solitamente mostrava al maggiore, ma dinanzi a quell'atteggiamento così tanto pacato, non ne aveva l'occasione.

Dopo quello che era successo nel bagno poi, non era neanche più certo di riuscirci.

Ci siamo quasi baciati...

«Tieni, ti ho portato questi» disse improvvisamente il maggiore, attirando nuovamente a sé l'attenzione del più giovane.

Seungmin lo osservò, trovandolo con le braccia tese verso di lui mentre stringeva tra le mani un plico di fogli.

«Cosa sono?» domandò il ragazzo, prendendoli curiosamente.

Le loro mani si sfiorarono.

Furono quasi dolorosi i brividi che come piccoli spilli gli attraversarono le braccia.
Ha le mani così calde.

Ha le mani così soffici – pensò Hyunjin, tossicchiando leggermente.

«Gli appunti delle lezioni del venerdì, che ti avevo promesso» rispose, faticando enormemente ad allontanare la mano da quella più piccola del minore.

Avrebbe voluto continuare a stringergliela, con delicatezza.
Per bearsi di quella morbidezza.

Seungmin sentì il proprio cuore mancare di un battito.

Si è seriamente procurato gli appunti per me?

Sfogliò curiosamente le pagine prese dalle mani dell'altro, notando come alcuni appunti fossero stati presi personalmente da Hyunjin – riconosceva la sua grafia e il suo stile di impaginazione – mentre altri non appartenevano a lui, e Seungmin immaginò che il maggiore si fosse rivolto a qualche altro studente che frequentava le sue stesse lezioni.

Stentava a credere a ciò che aveva davanti.

«Perché ti sei disturbato tanto, per prendermi gli appunti?» gli chiese Seungmin dopo qualche attimo di silenzio, alzando gli occhi su di lui ed immergendoli nei suoi.

Sembravano così belli e sorpresi, per quella domanda.

«Perché te l'avevo promesso» rispose Hyunjin senza alcuna esitazione, come se fosse la cosa più scontata del mondo.

Seungmin rimase in silenzio, non sapendo cosa dire.
Si sentì arrossire.

Quella era una delle attenzioni più carine che lui avesse mai ricevuto.

Cosa nascondi Hwang Hyunjin sotto questa corazza da cattivo ragazzo?

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Grazie per l'attenzione,
TheyIdiot.

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