S e t t e
Non ha senso essere sorpreso, dovevo aspettarmelo – pensò tra sé e sé Changbin, studiando con una crescente sensazione di disagio la curata villa che si estendeva davanti ai suoi occhi.
Un edificio di tre piani tinto di un caldo color pesca, con finestre ampie e a specchio – che non permettevano di vederne l'interno – e una grande porta a doppia anta con pesanti maniglie in ottone.
Il giardino non era particolarmente grande o rigoglioso – notò Changbin, osservando il semplice prato verde – ma ciò che attirò la sua attenzione, fu l'esteso roseto che circondava l'abitazione.
Rose di ogni colore e dimensione, ma con una vasta preferenza per quelle gialle; chiaramente chi si occupava di loro, ci teneva in modo particolare, vista la cura con cui erano seguite.
Changbin scosse la testa, cercando di concentrarsi sul motivo per il quale era andato a casa del giovane australiano, chiaramente non le rose.
Era quello l'indirizzo che Minho gli aveva dato, quando il minore gli aveva espresso la volontà di andare a casa di Felix per scusarsi, quella stessa sera.
Sentiva che se avesse fatto passare troppo tempo, prima di porgere le proprie scuse, poi non sarebbe più stato in grado di farlo.
E non poteva permetterselo.
Aveva parcheggiato silenziosamente l'auto dei propri genitori davanti al vialetto della casa in questione – una decina di minuti prima – guardandosi intorno e notando come ogni singola abitazione in quel quartiere fosse stratosferica.
Sia lui che i suoi amici appartenevano a famiglie di ceto medio, vivevano una vita piena e dignitosa, ma quelli erano totalmente altri livelli rispetto al loro.
Lì vivevano persone con stipendi da capogiro, e le case parlavano al posto loro.
Scese dall'auto in modo agile, accompagnando gentilmente la portiera e non permettendole di produrre il minimo rumore.
Quelle enormi abitazioni, piene di finestre, lo facevano sentire osservato; attirare l'attenzione su di sé il minimo indispensabile gli sembrava l'opzione migliore.
Quello doveva essere un quartiere molto tranquillo – pensò Changbin – notando come nessuna delle ville avesse un cancello.
La staccionata in ferro battuto terminava direttamente con l'ingresso lungo il vialetto che guidava verso la porta.
Il che era una vera fortuna.
Se Felix si fosse affacciato sul giardino, vedendolo al cancello, non gli avrebbe mai permesso di entrare.
Camminò a passo veloce lungo il vialetto di ciottoli e poi lungo le scale che portavano alla massiccia ed imponente porta, osservando in modo spaventato il campanello.
La piccola telecamera faceva bella vista sopra il cognome, che stranamente non era Lee.
Changbin corrucciò le sopracciglia.
Possibile che nel campanello vi fosse solo il cognome della madre, oppure Minho aveva sbagliato l'indirizzo?
Non si rese neanche conto del momento in cui il suo cervello gli aveva mandato l'impulso di suonare, finché non si trovò con il dito premuto sopra il piccolo pulsante, con il suono forte e penetrante del citofono che rimbombava dentro le pareti della casa.
Dovette quasi posare una mano sulla grossa e pesante maniglia, per non scappare nuovamente verso la macchina e fuggire via.
Non sapeva bene da dove arrivava tutta quell'agitazione, all'idea di rincontrare quel ragazzino.
Il suo sguardo scese velocemente verso la propria mano, nello specifico sul dito accuratamente bendato.
Due grandi occhi color cioccolato, pieni di paura, gli tornarono in mente.
Aveva fatto un disastro, come al solito, quello era il minimo che poteva fare.
Stava facendo la cosa giusta.
Sollevò di scatto lo sguardo verso il legno della porta, quando dall'altro lato sentì dei passi lenti e strascicati che pian piano si avvicinavano.
Stentava quasi a credere che fosse così semplice.
In un frangente di lucidità, si domandò anche cosa avrebbe fatto o detto se al posto del giovane avesse aperto la porta uno dei genitori.
Ma non servì.
L'uscio si aprì con decisione, mostrando a Changbin il volto di Felix per la prima volta dalla sera precedente.
Essendo rimasto in ospedale fino alle prime ore del mattino, doveva aver dormito fino al tardo pomeriggio.
Si presentava infatti con il viso arrossato ed insonnolito, i capelli biondi arruffati in ciocche disordinate che gli ricadevano sugli occhi scuri, e un pigiama – senz'altro discutibile, osservò il maggiore – di un tenue rosa cipria, di un tessuto caldo e confortevole.
È davvero bellissimo – ammise Changbin con se stesso, sentendo un piccolo nodo formarsi al centro del suo petto, all'altezza dello stomaco.
Nonostante tutto gli occhi del minore erano grandi e luminosi, di un caldo e brillante color cioccolato, le labbra erano rosa e carnose, con una forma perfettamente delineata e a cuore.
Così come Changbin aveva pensato la sera precedente – osservandole – erano senz'altro le labbra più belle che avesse mai visto.
Dev'essere incredibile baciarlo, pensò.
Gli occhi scesero quasi in automatico verso il basso, attirati come un magnete dal candido gesso che circondava il piede e la gamba del giovane australiano.
Gli salì lungo la gola un conato di vomito.
Era come se, fino a quel momento – fino a quando non aveva posato gli occhi su di lui – non avesse realizzato a pieno ciò che era successo.
Vederselo davanti, prendeva tutta un'altra pesantezza.
Di cazzate nella sua vita ne aveva fatte fante – Chan si divertiva ogni singolo giorno a ricordargliene una ad una – ma quella era la prima volta che arrecava un danno tanto serio a qualcuno.
Qualcuno oltretutto di così... piccolo.
Felix – con quel suo aspetto tanto minuto e carino – faceva apparire il gesto di Changbin, come qualcosa di davvero mostruoso.
Come se se la fosse presa con un bambino.
Furono infinite le emozioni che passarono attraverso gli occhi sgranati di Felix, ma quella che più Changbin detestò, fu la paura.
Aveva paura di lui, e non ne era affatto sorpreso.
«Come osi venire a casa mia?» disse il minore con voce seria e penetrante, socchiudendo gli occhi in una muta minaccia.
Changbin non seppe quasi cosa rispondere, in un primo momento, quasi sorpreso da quell'atteggiamento così duro da parte dell'altro.
Nonostante il suo essere così delicato, e la paura che Changbin aveva scorto per un istante attraversare quei begli occhi, riusciva comunque ad affrontarlo a testa alta come un toro inferocito.
Non poteva che provare un profondo rispetto per lui, così come l'aveva provato la sera prima, nonostante la rabbia e il dolore per il morso.
«Sono venuto per scusarmi con te» mormorò con voce rauca, abbassando lo sguardo.
Si sentiva giudicato e mortificato dagli occhi fiammeggianti del minore; non aveva davvero idea del perché gli importava così tanto che opinione avesse di lui.
Infondo era lì solo per scusarsi e andarsene a casa, per riprendere la propria vita come sempre, no?
Felix rise di gusto, senza che quel divertimento contagiasse gli occhi, freddi e aridi.
«Non me ne faccio niente delle tue stupide scuse, dette solo per pulirti la coscienza – disse – Tienitele pure, insieme al senso di colpa che probabilmente neanche provi» sbottò arcuando le sopracciglia, con un coreano perfetto ma con qualcosa di diverso ad arricchirlo.
Changbin sorrise.
Era incredibilmente familiare sentire nella voce di Felix l'accento australiano.
Chan l'aveva in parte perso da ormai molto tempo, mentre nella voce del più giovane era ancora forte e marcato.
Il suono intenso della porta che si chiudeva ed il dolore lancinante che ne seguì, lo riportarono vigile dai suoi pensieri.
Felix gli aveva letteralmente sbattuto la porta in faccia.
Changbin si portò entrambe le mani al volto dolorante – arretrando di qualche passo – sentendo il sangue affluire su di esso.
Era stata proprio una bella botta, tanto quanto era stato forte il morso che gli aveva assestato al dito la sera prima.
Forse lui non aveva niente di rotto, ma di questo passo Felix avrebbe rimediato.
«Brutto stronzo!» urlò furiosamente preso dalla rabbia, tirando un forte calcio contro l'imponente porta.
Essa tremò in modo deciso, ma rimase nella sua posizione.
Se solo avesse potuto, l'avrebbe buttata giù!
La osservò con sguardo gelido, tirando un lungo sospiro successivamente.
Devo calmarmi, pensò posandosi una mano nel retro del collo e grattandosi distrattamente.
Si guardò velocemente intorno, per assicurarsi che nessuno avesse assistito.
Non aveva alcun diritto ad arrabbiarsi, era lui quello in torto, Felix stava reagendo di conseguenza a ciò che lui aveva combinato.
Ma a maggior ragione, non si sarebbe arreso.
Scusarsi e tornare a casa? Non ci pensava nemmeno!
«Sono venuto qui per scusarmi Felix, mi senti? - urlò in direzione della porta – Rimarrò seduto qui davanti, finché non aprirai la porta per parlare!».
Gli parse quasi di sentirlo borbottare qualche rispostaccia, nascosto e protetto dalle ampie pareti di quell'immensa casa, ma in parte poteva trattarsi della sua immaginazione.
Si voltò, sedendosi nei gradini difronte all'ingresso.
Non aveva intenzione di andarsene finché non avrebbero chiarito.
➥
Pioggia.
Felix amava da sempre la pioggia.
Era quell'amica silenziosa che gli aveva sempre fatto compagnia nelle sere solitarie come quella, che con il suo suono lento e dolce contro i vetri delle finestre, era sempre riuscita a quietare ogni suo principio di ansia.
Applicò con delicatezza la crema lungo la pelle soffice del suo viso, osservando le profonde occhiaie che solcavano i suoi occhi.
Di norma amava stare davanti allo specchio del bagno, grande e perfettamente illuminato, ma a causa del gesso era stato costretto a mettersi seduto su uno dei divani della sala, applicando la crema con l'aiuto di un piccolo specchio.
La rabbia invase i suoi sensi per un istante.
Sono venuto per scusarmi con te.
Scosse la testa.
Erano tutte bugie le sue, ne era certo.
Magari temeva che Felix potesse causargli qualche problema, e sotto consiglio dei suoi amici stava cercando di calmare gli animi.
Rimarrò seduto qui davanti, finché non aprirai la porta per parlare!
Felix si voltò verso l'ingresso, mentre quelle parole pronunciate dal maggiore continuavano a rimbombargli tra i pensieri.
Si era rifiutato per tutto il tempo – circa due ore, da quando gli aveva sbattuto la porta in faccia – di aprire la porta per verificare che il maggiore se ne fosse andato.
Sei uno stupido ingenuo – si accusò – pensi davvero che sia rimasto sotto questa pioggia intesa, solo per scusarsi con te?
Lo squillo vivace del suo telefono catturò la sua attenzione, facendolo voltare verso lo schermo acceso che mostrava una sua foto con la zia Hayoon.
Era lei.
Felix corrucciò le sopracciglia, difficilmente lei lo chiamava quando era a lavoro.
Rispose subito.
«Tesoro, sei a casa?» domandò la voce dolce della giovane donna dall'altro capo del telefono.
La sua voce sembrava rimbombare, come se si fosse chiusa dentro un bagno per chiamarlo.
«Si certo, ti serve qualcosa?» chiese tenendo il telefono premuto contro l'orecchio con la spalla, mentre con le mani chiudeva il piccolo barattolo della crema.
«Puoi spiegarmi cosa sta succedendo?» domandò lei, con voce seria e schietta, senza usare mezzi termini.
Felix si bloccò. «In che senso zia?».
«Mi ha chiamata poco fa la nostra vicina di casa, la signora Yoon, dicendomi che c'è un ragazzo seduto nei gradini di casa nostra da più o meno due ore – disse con un po' di fastidio nella voce, non era proprio la loro vicina preferita – Si è spaventata a morte e stava per chiamare la polizia pensando di trattasse di un malintenzionato; l'avrebbe pensato chiunque Felix, è seduto da ore sotto la pioggia!».
Felix si sentì gelare a quelle parole, fuori stava diluviando!
Changbin non poteva esser stato tanto stupido da stare davvero lì fuori ad aspettarlo.
La donna proseguì il proprio discorso, notando il pesante silenzio del nipote.
«Lo conosci?» domandò ammorbidendo un poco il tono.
«Si, lo conosco – ammise Felix, non sapendo bene cos'altro dire – È lì fuori per me, sta aspettando me» proseguì, sentendo quasi un principio di vergogna.
«Non so cosa sia successo, ma questo per me è davvero troppo – rispose la donna, la voce leggermente più bassa, come se volesse evitare di farsi sentire da qualcuno - Fallo entrare e fagli fare una doccia calda, non voglio che gli venga una broncopolmonite e che la colpa venga attribuita alla nostra famiglia; qualsiasi cosa sia successa tra di voi, sono sicura che la si può risolvere, o comunque gestire in modo diverso. Chiaro Felix?».
Il giovane australiano annuì, consapevole che lei non l'avrebbe visto.
«Va bene, ma non penso si possa risolvere» mormorò, guardando tristemente il proprio gesso.
Lei sospirò. «Non so cosa sia successo tra di voi, ma sono abbastanza più grande di te da poterti dire che spesso certe cose si fanno per puro errore, non tutto viene fatto con l'intento di far del male e certe azioni hanno ripercussioni più grandi di quelle che potevamo aspettarci – Felix sentì il cuore battere forte a quelle parole, Hayoon sapeva sempre come consolarlo – Non mi aspetto che tu lo perdoni necessariamente, anche perché non so cosa sia successo tra voi due, ma ascolta ciò che ha da dirti e poi fai la tua scelta cucciolo».
Aprì lentamente la porta, quasi sperando che la signora Yoon stesse scherzando, ma così non era purtroppo.
Changbin era lì, seduto accucciato nei gradini di ingresso di casa sua, con gli indumenti fradici e il capo chino verso le sue scarpe ormai zuppe d'acqua.
Quando sentì la porta aprirsi, il maggiore, si tirò su di scatto con un andamento un poco affaticato – a causa dei muscoli irrigiditi dal freddo – e si voltò verso Felix.
Un Felix che non sapeva bene che emozione avrebbe dovuto provare in quel momento; soddisfazione o senso di colpa?
Era davvero arrabbiato con lui per ciò che gli aveva fatto, ma vederlo in quelle condizioni, non lo faceva sentire meglio, anzi.
Gli occhi neri e pericolosi di Changbin lo osservavano da sotto il cappuccio scuro della felpa, da esso scendevano lente gocce d'acqua che poi scorrevano lungo il suo volto.
Le labbra carnose tremavano.
Un lungo e penetrante brivido attraversò la schiena del minore, e per una volta non era un brivido di paura.
Changbin era tutto ciò che di più pericoloso e seducente avesse mai visto in vita sua, in quell'istante.
«Sono venuto davvero a scusarmi con te – mormorò con voce rauca e infreddolita – Mi dispiace tanto per ciò che ti ho fatto, Felix».
Felix abbassò il volto verso il pavimento.
Non baby o puttana – come l'aveva chiamato quella sera – ma semplicemente Felix. Il suo nome.
Strinse i pugni.
Probabilmente era anche sincero nelle sue intenzioni, ma i suoi tristi trascorsi impedivano a Felix di fidarsi di una persona come Changbin; ne aveva conosciute fin troppe, e non avevano fatto altro che portargli enormi guai.
Non doveva fidarsi.
Non poteva cedere.
«Forza, vieni dentro» gli disse, mettendosi di lato e lasciandogli lo spazio per passare ed entrare dentro casa.
Il maggiore esitò.
«Ma sono fradicio» mormorò a disagio Changbin, osservando i suoi poveri vestiti grondanti d'acqua, e poi il pavimento dall'aria pregiata e costosa dell'abitazione.
Felix sbuffò.
«È proprio perché sei fradicio che ti sto permettendo di entrare in casa – lo incalzò l'australiano, con voce ovvia – Se non stava piovendo, per quel che mi riguarda, saresti potuto diventare anche un tutt'uno con i gradini di ingresso» proseguì, facendogli nuovamente cenno di entrare.
Changbin sospirò, arrendendosi e arrancando qualche passo stremato dentro l'abitazione, prima che l'altro potesse stancarsi di pregarlo e cambiare idea.
Si sentiva uno schifo.
Aveva il corpo gelido e rigido, la testa gli faceva incredibilmente male e non riusciva a bloccare i brividi che lo scuotevano da capo a piedi.
«Seguimi» disse semplicemente il giovane camminando, con l'ausilio delle stampelle, attraverso la grande sala e poi lungo l'ampio corridoio.
Changbin fece il possibile per non apparire eccessivamente sbalordito, ma era certo di aver fallito miseramente.
Quell'abitazione era sensazionale, arredata in stile classico moderno attirava la sua attenzione con i suoi colori chiari che facevano contrasto con il verde di alcune piante ben disposte lungo le stanze.
I divani dall'aspetto soffice erano sommersi da mille cuscini, così come alcune librerie che sfioravano il soffitto, piene di colorati libri.
Changbin non sapeva davvero dove posare gli occhi, tanti erano i dettagli magnetici di quella casa.
Non si rese neanche conto di essere entrato in quella che ipotizzava essere la stanza di Felix, finché il minore non si era voltato verso di lui, fermandosi.
Per quel poco che aveva visto sul minore, si aspettava nettamente una camera più colorata e "vissuta".
Quella stanza era invece spoglia e priva di qualsiasi tipo di effetto personale, a tratti assomigliava più ad una stanza d'hotel che alla camera di un ragazzo così giovane.
Il muro era bianco, così come le tende alla finestra che scendevano piatte verso il pavimento; il comodino laterale al letto presentava solo una piccola lampada.
Lungo le pareti erano presenti parecchie mensole, ma erano tutte vuote, senza foto, libri o altri oggetti importanti che di norma chiunque aveva.
Corrucciò le sopracciglia, era davvero strano.
Felix aveva volutamente ignorato il turbamento dell'altro, avvicinandosi invece con stanchezza al letto, prendendo con fatica con un braccio un mucchietto di indumenti che erano stati precedentemente sistemati lì.
«Stavo per buttarli via, ma a quanto pare avranno un nuovo proprietario» mormorò tra sé, senza farsi sentire dal maggiore.
Si voltò verso di lui.
«Forza, vai a farti una doccia calda e indossa questi – disse porgendogli gli indumenti – Sono alcuni dei miei vestiti oversize, che ormai non metto più, dovrebbero starti».
Changbin lo osservò dubbioso, studiando i vestiti dal tessuto soffice che aveva tra le braccia.
«Sei sicuro di volermi far usare la tua doccia, ed indossare i tuoi vestiti?» domandò mordendosi il labbro inferiore.
Felix sospirò stremato – sedendosi a fatica sul letto – e Changbin poté veder scivolare via dal suo volto la maschera che tanto abilmente si era creato per non mostrare la realtà dei fatti.
Era stanco, davvero tanto stanco, e la sua espressione sofferente trasudava i mille pensieri e preoccupazioni che doveva essersi fatto nelle precedenti ore.
«Mi hai rotto una caviglia per puro divertimento, di certo non sei la persona che preferisco al mondo e se potessi scegliere non ti vorrei qui con me adesso – ammise onestamente, lasciando che Changbin vedesse nel suo volto il flusso dei suoi pensieri – Ma nonostante ciò che hai fatto, io non sono una persona cattiva o uno stronzo, e non posso semplicemente far finta di niente mentre tu cerchi di prenderti una broncopolmonite nei gradini di casa mia, cercando il mio perdono».
Changbin spostò un poco lo sguardo lungo le pareti della stanza, trattenendo a stenti una risata.
Trovava Felix una persona incredibilmente buffa, di tanto in tanto diceva cose davvero spassose.
«Quindi – proseguì l'australiano, indicando una porta in fondo alla camera, del medesimo colore della parete – Quello è il bagno, vai a farti una doccia bollente e spera che sia sufficiente per non prenderti un malanno».
➥
Felix si voltò sentendo una presenza alle sue spalle e notando che Changbin era tornato nella sua stanza subito dopo la doccia.
Stava lì in piedi con i pantaloni della tuta leggermente calati lungo l'addome, il petto nudo e si frizionava i capelli con l'asciugamano.
Felix dovette mordersi la lingua per non spalancare la bocca senza ritegno.
Ma quanto cazzo sei figo? - si domandò, schiaffeggiandosi mentalmente per la sua debolezza.
Bastavano due pettorali, ed eccolo lì, liquefatto come una medusa sotto il sole.
Se stava sognando, non aveva alcuna intenzione di svegliarsi.
«Perché sei senza maglia?» domandò con voce ferma, sorprendendosi di non essersi messo a miagolare.
Changbin arrossì un po' a disagio.
Aveva un gran bel fisico – frequentava regolarmente la palestra fin da quando era un ragazzino – eppure detestava mostrarsi a petto nudo davanti ad altre persone.
In aggiunta – notò con un certo fastidio – Felix non appariva nemmeno particolarmente colpito dal suo corpo.
Quasi sicuramente gli piacciono le ragazze, pensò.
«Ho tentato di metterla, ma calza un pochino stretta sulle spalle» mormorò tossicchiando in imbarazzo.
Felix non si sentì sorpreso.
Le sue spalle e la sua schiena erano larghe quanto la porta del bagno che il ragazzo aveva dietro di sé.
«Forse ho qualche indumento più grande, o magari con un tessuto che ti si adatti meglio – mormorò sedendosi sul letto, accanto all'armadio, ed indicando una delle ante – Io non posso inchinarmi, apri e controlla la borsa nera».
Changbin accorse subito, non vedendo l'ora di indossare qualcosa che potesse coprirlo e far sparire la sensazione di soggezione che provava, ma aprendo l'armadio notò che – a parte la borsa che Felix aveva nominato – non era presente nessun altro indumento.
Rimase interdetto per qualche istante – la stanza spoglia e l'armadio vuoto, erano piuttosto insoliti – ma non stava a lui farsi gli affari del minore.
Si limito a chinarsi nella parte bassa del grande armadio, e aprì la grossa zip del borsone.
Dentro erano presenti tanti maglioni e felpe di grosse dimensioni, e in un istante di pausa, il maggiore si domandò a chi appartenessero quei vestiti.
Felix era talmente piccino.
Alla fine, dopo lunghe ricerche e letture di etichette, sfilò dalla borsa una grossa e pesante felpa gialla, con il cappuccio.
Arricciò il naso per il colore, ma non poteva permettersi di fare storie per così poco, era un enorme favore quello che gli stava facendo Felix.
«Quella va bene?» domandò il più piccolo, osservando a malincuore il corpo del maggiore per l'ultima volta.
Changbin annuì, sistemandosela meglio addosso, e ruotando le spalle.
«Sembra di sì, è molto comoda e calda» disse semplicemente, chiudendo educatamente l'anta dell'armadio, e voltandosi nuovamente ad osservare la stanza che lo circondava, nel momento in cui tra loro cadde il silenzio.
Felix studiò l'atteggiamento del maggiore, che aveva notato anche inizialmente, e lo osservò con divertimento posando le mani indietro contro il materasso.
«Come mai guardi in modo così sorpreso la mia camera?» gli domandò curiosamente.
Il maggiore fece spallucce.
«La tua camera – mormorò continuando a guardarsi intorno – Onestamente me l'aspettavo diversa, più colorata e più decorata forse – ammise, abbozzando un sorriso – Qui sembra non ci abbia mai vissuto nessuno».
Felix lo osservò di sottecchi.
Il ragazzo che aveva davanti, non sembrava per niente colui che la notte precedente aveva conosciuto in quello spiazzo.
Quello davanti a lui sembrava gentile, divertente, premuroso e dolce.
È solo una facciata, non farti ingannare da lui.
«Vieni con me» si limitò a dire, sorridendogli in modo esitante, alzandosi dal letto e uscendo dalla stanza stringendo in modo saldo le stampelle.
Il maggiore lo seguì lentamente, tenendo il suo passo - e quando lo vide incamminarsi nuovamente verso l'ingresso, si domandò stupidamente se fosse giunto per lui il momento di essere sbattuto fuori da quella casa.
Ma si sbagliava.
Felix voltò l'angolo, prima di raggiungere l'ingresso, e dietro una delle grandi ed ordinate librerie, si trovava una grande scala in lucido legno, con i gradini illuminati da led bianchi.
Changbin non ci aveva fatto minimamente caso all'inizio.
Erano solo una decina di gradini, ma Felix li osservava come se dinanzi a sé ci fosse un monte da scalare.
«Potresti aiutarmi a salire, per piacere - domandò timidamente - Ho paura a salire da solo» ammise.
Changbin annuì.
Felix arrancò gradino dopo gradino, con Changbin poco dietro di lui, che con il braccio teso a scorrere lungo il corrimano, lo sosteneva sulla schiena per farlo sentire al sicuro.
Una volta al piano superiore, che Changbin dovette ammettere essere bello come il resto della casa, camminarono ancora fino a raggiungere un'imponente porta a doppia anta.
Felix la aprì con decisione.
«Te la immaginavi così, la mia camera?» domandò con un sorriso, chiedendosi come mai gliela stesse mostrando.
Forse desiderava mostrargli ciò a cui aveva dovuto rinunciare a causa della sua pessima azione della sera prima.
Gli occhi di Changbin correvano lungo ogni centimetro di quella stanza, trovando un po' di Felix in ognuno di essi.
I colori di quella stanza erano chiari ma vivaci, con vaporose tende alle finestre e l'immenso letto ricoperto da numerosi cuscini di ogni colore e forma.
Esattamente sopra la testiera era appesa una grossa bacheca in sughero, tempestata di polaroid fissate con puntine di mille colori differenti, arricchita con un filo luminoso che seguiva il magico percorso da una foto all'altra.
Tutto era perfettamente in linea con l'idea che si era fatto di Felix; dal pouf soffice messo in un angolo, con sopra qualche romanzo, alle mensole piene zeppe di plushies.
Rise, rimanendo fermo nell'ingresso della stanza.
«Questa è decisamente come me l'ero aspettata - scherzò osservandolo - Se questa è la tua stanza, l'altra?».
Felix fece spallucce, osservando con occhi malinconici la sua amata stanza.
Si era impegnato tanto - dopo il suo trasferimento dall'Australia - per renderla bella al punto da farla diventare un pezzetto di casa, in una nazione che in realtà non gli apparteneva.
Non sarebbe entrato in grossi particolari, e sperava che Changbin non facesse domande, ma un minino di spiegazione a quel punto gliela doveva.
«Vivo da solo con mia zia, i miei genitori e le mie sorelle sono rimasti in Australia, e a causa del suo lavoro io passo la maggior parte del mio tempo in casa da solo - iniziò a raccontare - Adesso che indosso le stampelle è per me rischioso salire e scendere le scale, senza qualcuno al mio fianco, ecco perché sotto consiglio di mia zia mi sono sistemato al ritorno dall'ospedale, in una delle stanze degli ospiti».
Changbin spalancò le labbra.
Tutto aveva preso un senso.
La stanza vuota, il cognome a lui sconosciuto nel campanello.
Avrebbe voluto fare qualche domanda in più - più raccoglieva informazioni su quel ragazzino, più bramava di averne di nuove - ma il suo sguardo mentre parlava gli aveva fatto capire che non gli avrebbe concesso più di quello che già gli stava offrendo.
«Immagino tu non ti senta a tuo agio, in quella stanza così triste e vuota» sussurrò scherzosamente, riuscendo a rubargli un sorriso.
«Per niente - ridacchiò l'australiano - Non ho avuto modo di spostare niente in queste condizioni, e mia zia manca la maggior parte del giorn-».
Avvenne tutto così velocemente, che nessuno dei due sarebbe poi riuscito a spiegarlo a parole.
Una delle stampelle di Felix, come lui si era mosso leggermente, aveva incespicato nel tappeto facendolo barcollare all'indietro.
Changbin avvolse subito le braccia intorno al suo piccolo corpo, stringendoselo forte al petto per evitargli la caduta.
I loro nasi quasi si sfioravano.
I respiri erano pesanti e sorpresi.
«Scusami – biascicò in imbarazzo Felix, con un filo di voce – Non riesco ancora a camminarci bene» ammise, facendo riferimento alle stampelle che indossava solo da quella mattina.
Changbin annuì, respirando piano.
Temeva che, facendolo in modo più intenso, gli sarebbe scappato un ansimo dalle labbra.
Felix era leggermente più alto di lui, ma la sua conformazione minuta e femminile, lo faceva sembrare minuscolo così stretto contro il suo corpo massiccio.
In aggiunta, sprigionava un profumo talmente buono, che Changbin dovette imporsi con tutta la sua forza di volontà, per lasciarlo lentamente andare.
Avrebbe voluto stringere la presa, premere le mani che gli aveva appoggiato intorno ai fianchi sottili e spingerselo maggiormente contro il petto, posando il naso tra i suoi capelli.
Felix si allontanò subito dal suo corpo caldo, non appena la presa di Changbin su di lui era sparita.
Si sentiva tramortito.
Changbin prese una grossa boccata d'aria, per schiarirsi un po' le idee confuse dal profumo del minore.
«Mi dispiace – mormorò ancora, non sapendo bene che dire – Spero tu non faccia in tempo ad abituarti ad usarle, e te le tolgano presto» aggiunse abbozzando un sorriso, ricambiato dal minore.
Immaginava che quell'incontro fosse giunto alla sua conclusione.
Era stato tutto abbastanza intenso per quelle ore.
«La mia famiglia mi avrà dato per disperso ormai, sono qui da parecchie ore e mi staranno aspettando per cena - disse infilando la mani nelle tasche dei pantaloni della tuta - Ma se ti fa piacere, vorrei tornare domani sera per aiutarti a spostare di sotto le tue cose» tentò ricordando le parole di Hyunjin.
"Fai in modo che capisca il tuo pentimento e renditi utile per sopperire alle mancanze che avrà d'ora in avanti a causa di questo infortunio"
Felix sgranò gli occhi.
«So che vuoi dirmi di no - sorrise il maggiore, abbassando lo sguardo sulle proprie scarpe ancora un po' bagnate - Ma pensaci e fammi sapere domani» gli propose, facendogli un occhiolino.
Non aveva intenzione di arrendersi con lui, ormai era diventata una sfida con se stesso.
Felix arrossì in modo incredibilmente intenso, avvertendo nuovamente quel forte brivido.
Sospettava che quello fosse il brivido che aveva tanto atteso fino a quel momento.
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7
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Grazie per l'attenzione,
TheyIdiot.
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