S e i

Sono in ritardo per il pranzo, pensò nervosamente Jisung, chiudendo davanti a sé lo sportello metallico del proprio armadietto – dopo averci depositato dentro alcuni libri e un po' di documentazione – dandogli poi le spalle e allontanandosi con passo veloce.

Il primo pensiero era volato a Seungmin, che come al solito era il primo a raggiungere la mensa, seguito a ruota da Felix, ma in quella giornata Jisung temeva che potesse essere rimasto solo.

Anche Jeongin tendeva ad essere un ritardatario, a maggior ragione quando prima del pranzo aveva le lezioni di Arte.

In quella pausa pranzo i corridoi erano ormai quasi deserti, eccezion fatta per alcuni docenti – che parlavano con dei colleghi, poco fuori dalle aule in cui avevano appena concluso la lezione – e alcuni studenti che si erano soffermati a scambiare qualche chiacchiera vicino agli armadietti.

Tutto regolare, pensò.

Quella giornata era iniziata nel peggiore dei modi, e la preoccupazione nei confronti di Felix l'aveva accompagnato per tutta la giornata, non permettendogli di concentrarsi adeguatamente nemmeno sulle lezioni.

Non sono neanche riuscito a vedere Minho, si lamentò mentalmente, voltando l'angolo e andando quasi a sbattere contro il corpo massiccio di un altro studente.
Quel giorno aveva la testa totalmente altrove.

«Perdonami, ero sovrappensier-» si bloccò improvvisamente, sentendo la propria pelle farsi d'oca ancor prima di sollevare gli occhi su quel volto.
Il suo sesto senso, difficilmente sbagliava.

Aveva gli occhi puntati su un petto ampio e robusto, le braccia muscolose erano leggermente piegate, mentre le mani erano nascoste dentro le tasche dei pantaloni della divisa.

Gli corse un brivido lungo la schiena, mentre i suoi denti iniziavano a digrignare gli uni sugli altri.
Quella voce che ancora rimbombava nelle sue orecchie.
«Ti ammazzo puttana!».

Seo Changbin.

Il maggiore lo osservava come sempre con espressione di totale disinteresse, come se Jisung in quell'istante non avesse avuto una lunga lista di ragioni per farlo fuori.

La necessità di tirargli un pugno – forte e deciso – annebbiò per un istante i sensi del minore; avrebbe voluto farlo davvero, solo per vedere nuovamente su quel viso inespressivo la rabbia che l'aveva assalito quando inaspettatamente Felix l'aveva morso.

«Ciao Jisung – disse Changbin, sentendosi un poco in soggezione e non sapendo come continuare il discorso che si era così abilmente costruito nella propria mente – Ti stavo cercando» aggiunse, domandandosi se in fondo fosse stata proprio una buona idea.

Osservò il volto corrucciato del Rappresentante degli studenti, e gli tornarono in mente le parole pronunciate da Chan quella mattina.

Sono sicuro che Jisung sia furioso in questo momento, ma prende il suo ruolo di Rappresentante fin troppo seriamente per usarlo ingiustamente contro di noi.

In quel momento Changbin, non era sicuro che le parole di Chan fossero poi così esatte.
Jisung non sembrava furioso, era davvero totalmente fuori di sé.

Se uno sguardo poteva avere la facoltà di uccidere qualcuno, in quel momento lui sarebbe già stramazzato al suolo, privo di vita.

I suoi occhi erano colmi di un'emozione che Changbin aveva visto poche volte negli occhi di qualcuno, soprattutto così poco celata.

Odio.
Sincero odio verso di lui.

«Mi stavi cercando? - gli domandò Jisung con tono sprezzante, facendosi scappare un piccolo ghigno sulle labbra – In questo momento, non so se questo ti renda coraggioso o incredibilmente stupido» sbottò passandogli accanto, non evitandosi di dargli una pesante e ben assestata spallata, superandolo agilmente per raggiungere la mensa.

Non aveva tempo da perdere con quell'idiota.

Changbin si voltò sospirando.

Sapeva che non sarebbe stato per niente semplice, e se così era con i suoi amici, chissà come sarebbe andata con Felix.
Lo seguì allungando un po' il passo, massaggiandosi la spalla.

Anche se nettamente più esile di lui, Jisung nascondeva una bella forza fisica.

«Probabilmente questo mi rende stupido, molto stupido, così come lo sono stato ieri notte – disse guardando le spalle del minore – Ma ho capito di aver sbagliato, e il minimo con cui iniziare mi sembrava scusarmi» aggiunse, bloccandosi di colpo non appena lo fece Jisung davanti a lui.

Per poco non gli stramazzò addosso.

Aveva le spalle basse e i pugni stretti, qualcosa che per lui – Rappresentante sempre solare, affidabile e pronto a dare il buon esempio a tutti – era al quanto fuori norma.
Alcuni studenti, iniziarono ad osservarli.

«Scusarti? È con me che devi scusarti? – gli domandò voltandosi lentamente, con voce bassa ma sguardo deciso – Non si tratta di un insulto Changbin, tu gli hai letteralmente spezzato una caviglia facendolo cadere senza alcun motivo dalla bici, ha un nome questo comportamento: bullismo!» lo accusò, cercando volutamente di mantenere tono ed espressione neutri.

Non gli era senz'altro passata la rabbia nei suoi confronti – dovette ammettere il maggiore – ma anche in una situazione come quella, cercava di mantenere davanti agli studenti che li osservavano, un comportamento dignitoso.

Non voleva che sentissero e capissero.
Indirettamente, anche quello era un suo modo per proteggere Felix.
Changbin deglutì a disagio.

I suoi amici erano stati chiari, ma nessuno di loro aveva apertamente usato con lui parole dure; con Jisung la situazione era ben diversa.

Annuì. «Chiaramente no, la persona con cui devo scusarmi è Felix, sia per la frattura sia per le parole dure che ho usato con lui – mormorò lentamente – In quel momento ero arrabbiato per via del dito, e non avevo ancora realizzato il danno che le mie azioni avevano causato a lui, ben più grave».

Jisung lo ascoltò in silenzio, senza far trasparire emozioni.

In quel momento il Changbin che aveva davanti, ben pettinato e vestito con l'elegante uniforme, era ben diverso dal Changbin scompigliato e vestito di abiti larghi e strappati che avevano incontrato la sera precedente.

Quella era una particolarità di quel gruppo di studenti – pensò Jisung – studenti modello dentro quelle mura, ragazzi imprevedibili fuori di lì.
Ma Minho non è come loro.

Changbin continuò. «Questo per dirti che ho capito il mio errore e le ripercussioni che ha avuto su di lui e su di voi che siete suoi amici, ho intenzione di chiedergli scusa e farmi perdonare – disse, prendendo un'espressione decisa – Se serve anche aiutarlo, se dovesse averne bisogno, ma se sono venuto prima da te è perché so che senza il tuo via libera, non avrò modo neanche di accostarmi a lui» ammise.

Jisung continuò ad osservarlo in silenzio.

Non avrebbe voluto – e si odiò per questo – ma nel profondo di quell'espressione disinteressata, era riuscito seriamente a vedere il pentimento e la determinazione a aggiustare tutto ciò che con le sue azioni aveva rotto.
Tranne la caviglia, sia chiaro.

Il minore sospiro, abbassando lentamente sia il capo che le spalle.

Si sentiva stanco, frastornato e in colpa per qualcosa che non era stato neanche lui a fare, e adesso si trovava pure la responsabilità di decidere cosa fare con quell'idiota.

E se dandogli quel tanto agognato permesso – o un via libera, per intenderci – e facendolo entrare nella vita di Felix, questo avrebbe messo il giovane australiano nuovamente in pericolo?

La voce di Minho, che tanto amava, cullò i suoi pensieri.

«Posso assicurarti che che Changbin non è un cattivo ragazzo, ha semplicemente un modo sbagliato di approcciarsi alle persone – Ma per quanto riguarda quello successo con Felix, posso assicurarti che si è pentito di ciò che ha fatto. Se mai dovesse avvicinarsi nuovamente a lui, sarà solo per chiedergli scusa».

Scosse lentamente il capo.

«Sarò onesto Changbin, non so davvero cosa risponderti in questo momento – ammise sollevando lo sguardo e puntando gli occhi nei suoi, adesso più demoralizzati che arrabbiati, notò Changbin – Per quanto io sia protettivo con loro essendo i più piccoli, così come immagino lo sia Chan con voi, questo non implica che certe decisioni debba essere io a prenderle».

Changbin sgranò gli occhi, quello gli sembrava tanto un no.
«Si, ma-». Jisung lo interruppe.

«Se pensi di poterti far perdonare da Felix, semplicemente provaci, non ti farò fuori solo per esserti avvicinato a lui per scusarti, se è ciò che credi – disse sollevando le spalle – Se riesci nell'intento, mi farò da parte e ti lascerò fare ciò che ritieni necessario per redimerti, ma se i tuoi tentativi saranno vani e lui vorrà tenerti alla larga, sappi che farò qualsiasi cosa per non farti avvicinare a lui» ammise, facendo un'espressione che fece accapponare la pelle a Changbin.

«E se dico qualsiasi cosa – proseguì Jisung – Intendo letteralmente qualsiasi cosa che sia in mio potere» proseguì, marcando in modo feroce la minaccia, per niente velata.

Changbin sospirò, seguendolo quando riprese la sua camminata verso l'ingresso della mensa, ormai a pochi metri da loro.

Chan si era chiaramente sbagliato.

Jisung avrebbe usato qualsiasi arma in suo possesso per proteggere i suoi migliori amici, e Changbin di sicuro non lo giudicava.
Lui avrebbe fatto molto peggio, per proteggere i suoi.

«Hai già qualche idea in mente?» chiese improvvisamente Jisung, sentendosi quasi in colpa per star intavolando una conversazione con l'aguzzino del suo migliore amico.

Changbin gli si affiancò.

«Ci ho pensato a lungo e senz'altro la prima cosa sarà semplicemente scusarmi e prendermi gli insulti che mi voleranno contro, se un minimo ho inquadrato la sua personalità – ridacchiò il maggiore, osservando Jisung sorridere sornione, sapendo di aver beccato il punto – In secondo luogo, ho portato a casa con me la sua bicicletta, ho intenzione di aggiustarla e restituirgliela» proseguì.

Jisung rimase in silenzio, entrando in mensa, ma non poté che rimanere colpito da quelle parole.

Quello era davvero un pensiero interessante, se effettivamente era stata la mente di Changbin ad elaborarlo – poi ne avrebbe parlato con Minho – e nessuno più di Jisung sapeva quando Felix tenesse a quella bicicletta.

«Penso sia una buona idea, mi pare il minimo» aggiunse il minore con tono neutro, non poteva mostrare agli occhi dell'altro quanto quelle parole, avessero fatto centro.

I suoi occhi viaggiarono veloci lungo i volti degli studenti che conosceva uno ad uno, seduti in mensa a godersi il pranzo, e si bloccarono allarmati su quello di Seungmin, e alla testa – non di Jeongin – davanti a lui.

Hwang Hyunjin.

«Voi quattro mi farete commettere un omicidio entro la fine dell'anno» sbottò Jisung, camminando come un forsennato tra i tavoli.

Changbin lo seguì, guardandosi intorno e notano come nessuno dei maggiori del suo gruppo, fosse ancora arrivato in mensa.
Se il primo ad arrivare fosse stato Chan, Hyunjin avrebbe avuto non pochi problemi.
Chan era stato piuttosto chiaro.

Stai lontano da Seungmin.

Changbin si aspettava che Hyunjin andasse contro le parole di Chan – quando si prefissava un obbiettivo, era impossibile farlo desistere da esso – ma pensava sarebbe stato un po' più discreto.

«Seungmin mi sembra un tipo in gamba, non penso che Hyunjin possa fargli del male» disse Changbin, pensando potesse essere una buona idea quella di tranquillizzare il minore.

Jisung ridacchiò.

«Infatti non sono preoccupato per il benessere di Seungmin, sono preoccupato che Seungmin possa farsi arrestare per aver fatto fuori Hyunjin» ammise, ricambiando il saluto che gli rivolgevano alcuni studenti al suo passaggio.

Changbin trasalì, quel gruppo era davvero strano.

«In questo modo non fai altro che aumentare la mia voglia di fare l'amore con te, dolcezza» sussurrò a bassa voce Hyunjin, facendo scivolare lo sguardo sulle labbra del minore.

Seungmin continuò a tenere lo sguardo puntato su quegli occhi scuri e pieni di misteri, mentre i suoi pensieri scorrevano rapidi e pesanti.

Era in mensa, il raggio di azione era molto limitato.
Tutti l'avrebbero visto trascinare via il cadavere di Hyunjin in mezzo ai tavoli.

Ucciderlo, non poteva essere una buona idea.

«Interessante, ad essere sincero anche la mia voglia di farti espellere sta aumentando, mi stai solo dando ulteriore materiale per farlo» tuonò la voce di Jisung accanto a loro, facendo sobbalzare Seungmin sul suo posto.

Era rimasto talmente concentrato sugli occhi di Hyunjin, da non accorgersi dell'amico che si era affiancato al loro tavolo, in compagnia di un'altra persona.

Seungmin non poté evitarsi di corrucciare le sopracciglia notando al suo fianco la figura di Changbin.

Come facesse ad essere accanto a Jisung, con entrambe le braccia attaccate al corpo, era un vero mistero.

Hyunjin voltò il capo verso quella voce con lentezza, osservando il minore con sguardo divertito, ma anche leggermente contrariato per quell'interruzione.

Quel gruppo di ragazzi, con le loro lingue velenose, gli stava davvero riempiendo la giornata.
Chi mai l'avrebbe detto.

«Rappresentante, che piacere vederti per pranzo, vuoi unirti a noi?» disse con la voce intrisa di sarcasmo, spostando in un chiaro invito la sedia su cui di norma – senza neanche saperlo – sedeva proprio Jisung.

Changbin scosse la testa, avvicinandosi all'amico.

«Per oggi hai fatto abbastanza, andiamo al tavolo prima che arrivino Minho e Chan» lo mise in guardia, posandogli una mano sopra il braccio, nel tentativo di farlo alzare.

Hyunjin se lo scrollò di dosso, poco gentilmente.

«Chan chi? - domandò socchiudendo gli occhi in un'espressione minacciosa – Bang Chan? Quello che è rimasto tutta la sacrosanta mattina inseguendo ovunque il loro moccioso?» disse guardando Jisung e Seungmin.

I due sgranarono gli occhi, guardandosi subito l'un l'altro.
Bang Chan – l'ultimo di quel gruppo che avevano considerato una minaccia – aveva passato tutta la mattina ad inseguire Jeongin?

Jisung ridacchiò, in modo incontrollato, attirando l'attenzione di tutti e tre i ragazzi davanti a sé.

Si portò una mano davanti alla bocca, ma la risata fiorita al centro del suo petto sembrava diventare sempre più forte ed incontrollata.
Lo stress accumulato, aveva raggiunto il livello massimo.

Si calmò lentamente, osservando il ragazzo seduto che lo guardava a sua volta con sguardo leggermente sbigottito.

Jisung sembrava impazzito in quel momento, e la minaccia di buttarlo giù dal un ponte – che gli aveva rivolto la notte precedente – non sembrò più alle orecchie di Hyunjin poi così vana.

«Di Bang Chan mi occuperò più tardi, ma tu adesso alza il culo dalla sedia di Felix, per oggi ne ho avuto abbastanza di voi» disse con noncuranza, sedendosi nella propria sedia, accanto a Hyunjin.

«Ma io-» provò a protestare l'altro, in direzione del Rappresentante.
Seungmin osservò il proprio amico, spostando poi gli occhi sul ragazzo davanti a sé.

Jisung non avrebbe retto a lungo, e adesso spettava a lui liberarsi di Hyunjin, che era un suo problema.

In quel momento, gli tornarono in mente le parole che aveva rivolto a Jisung la sera prima.

«So che ha messo gli occhi su di me adesso – Aiutami a tenerlo alla larga, non sarò una delle sue tante bambole, con cui si diverte a giocare e che poi butta quando sono ormai troppo spezzate».

Era stato un egoista a chiedere il suo aiuto, e se ne rese conto in quell'istante, notando l'infinita stanchezza sul suo volto.

Lui aveva già tante cose di cui occuparsi, loro erano grandi e vaccinati, dovevano combattere da soli le loro battaglie e non potevano sempre aspettarsi che fosse Jisung a farlo per loro.

«La mia pazienza si è esaurita stamattina Hyunjin, quando svegliandomi ho scoperto che Felix aveva la caviglia rotta – sbottò Seungmin, non evitandosi un'occhiataccia in direzione di Changbin – Se non te ne vai, giuro che ti conficco la forchetta in fronte e ti faccio diventare un appendiabiti!» lo minacciò, stringendo con ferocia l'arma a quattro punte nella mano destra.

«Direi che un appendiabiti mi servirebbe proprio in camera mia, fallo pure, hai tutto il mio supporto» disse la voce calda e suadente di Minho, comparso al loro fianco, con in mano un vassoio colmo di cibo.

Jisung sollevò lo sguardo verso di lui, e quando i loro occhi si incrociarono, fu per lui molto difficile non scoppiare a piangere.

La voce del maggiore aveva azionato un interruttore, in profondità nel suo corpo, a cui solo lui aveva accesso.

Minho era la sua comfort zone, i suoi abbracci quel luogo sicuro in cui sapeva di potersi lasciar andare ed essere totalmente se stesso; ed in quel momento era tanto stanco, confuso e preoccupato, l'unica cosa che voleva era tornare tra le sua braccia e farsi cullare.

Sentirsi dire che non doveva preoccuparsi di niente, e che tutto sarebbe andato bene.
«Alzati» disse semplicemente il più grande tra di loro, osservando Hyunjin.

Non c'era minaccia in quella voce pacata, eppure pochi istanti dopo il ragazzo era in piedi, accanto a Changbin.

Nessuno si sarebbe mai messo contro Minho e la decisione quasi soffocante che metteva in qualsiasi sua parola.
Hyunjin aveva lo sguardo puntato sui propri piedi, senza trovare modo di dire una parola.

Minho fece semplicemente un gesto con il capo, nella loro direzione, e i due si incamminarono in silenzio verso il loro tavolo, ancora vuoto.

Seungmin inarcò le sopracciglia, sorpreso.

Quello doveva senz'altro essere un dono.

Lee Minho – oltre a sembrare il più tranquillo e gentile di quel gruppo – sembrava avere un ascendente su di loro, che nessuno riusciva ad avere.

Seungmin si appuntò mentalmente di rivolgersi a lui, nel caso in cui Hyunjin iniziasse a rendere la sua vita un incubo.

Il maggiore posò in silenzio il vassoio davanti a Jisung, richiamando l'attenzione del ragazzo su di sé.

Il cuore gli doleva vedendo quell'espressione stanca e desolata su quel viso che si era impegnato tanto a tirare su di morale, quella stessa mattina.

Avrebbe voluto dire tante cose, ma davanti a Seungmin dovette mantenere il suo ruolo di sconosciuto.

Faceva maledettamente male.

«Questo te l'ho portato come ringraziamento, per non aver ucciso nessuno dei due» gli fece l'occhiolino Minho, cercando di celare in parte il proprio sguardo al minore tra loro, che invece sembrava seguire quello scambio con espressione molto interessata.

Jisung sorrise.

Quel gesto sembrava aver risolto tutti i suoi problemi.

Nessuno si occupava di lui, come faceva Minho, neanche i suoi stessi genitori che passavano più tempo a lavoro che a casa con lui.

Quel vassoio pieno delle cose che Jisung amava, era portatore di messaggi che solo loro due conoscevano.

Sono preoccupato per te.

Mi sto prendendo cura di te.

Sei la mia prima ed unica preoccupazione.

Voglio che tu stia bene.

«Ti ringrazio Minho» disse semplicemente, sorridendo grato verso il maggiore che, senza aggiungere un'altra parola, si allontanò verso il tavolo dove si erano seduti Hyunjin e Changbin.

Seungmin sorrise. «È stato molto gentile da parte sua» disse semplicemente, osservando l'amico.

Jisung annuì.

Si sentiva stanco e l'unica cosa che voleva era passare un'altra notte tra le braccia di Minho.
Più tardi, gli avrebbe mandato un messaggio.

Non è realistico, ma è comunque molto bello.

Erano questi i pensieri che scorrevano nella testa di Jeongin, osservando la piccola bozza sul suo sketchbook.

Aveva deciso di saltare il primo turno del pranzo in mensa, ancora un pochino in imbarazzo per l'insolito incontro con Bang Chan.

«Quanto sei carino».

Che imbarazzo, non era proprio abituato a ricevere complimenti, ancor meno se fatti da un ragazzo come Bang Chan.

Erano state quelle tre parole, pronunciate con assoluta sincerità, a fargli saltare senza ripensamenti il pranzo.

Voleva evitare di arrivare in mensa – con le guance ancora rosse – e trovarsi il maggiore pochi tavoli più in là; precisamente quattro tavoli sulla destra e due più in alto, seduto nel primo posto sulla sinistra.

Non che fosse importante il motivo per il quale era in possesso di queste informazioni.

Tanto, non ho neanche fame – aveva mentito a se stesso, ignorando lo stomaco che brontolava disperatamente.

Si era fermato a sedere sul prato dell'area verde presente nel retro dell'Istituto, e con il piccolo blocco dalle pagine bianche sulle ginocchia, si era messo con il carboncino a tracciare le linee degli alberi che si ergevano sopra le eleganti panchine.

«Sapevo che ti avrei trovato qui» disse al suo fianco una voce che conosceva bene, e che subito riuscì ad inondare il suo corpo di familiare calore.

Si voltò verso Jisung con un sorriso grande, occhi brillanti e guance sporche di carboncino.

Il maggiore non poté evitarsi una piccola stretta al cuore, allungandosi verso di lui e pulendogli con pazienza il viso con la manica dell'uniforme.

«Come mai non sei venuto in mensa, a mangiare con me e Seungmin?» gli domandò Jisung, posandogli la testa sulla spalla ed osservando la bozza di disegno appena fatta da Jeongin.

Per lui erano una manciata di linee sparse, ma per Jisung quello era mille volte meglio di tutto ciò che mai lui sarebbe mai riuscito a fare.
Il loro piccolo e talentuoso maknae.

«Non avevo molta fame» mentì, abbassando nuovamente lo sguardo sul suo foglio.

Il suo stomaco brontolò, traditore.
Il minore fece finta di niente.

«Mi è stato detto che Chan ti stava cercando stamattina» disse il maggiore, lasciando la frase in sospeso, curioso di vedere quale sarebbe stata la reazione del più piccolo.

Non aveva modo di dubitare delle parole di Hyunjin; per quanto si trattasse di una persona che non apprezzava particolarmente, era certo che non si fosse inventato niente di ciò che aveva detto.

Il minore non sembrava affatto sorpreso, probabilmente si aspettava che Jisung sarebbe venuto a saperlo.

Aveva occhi e orecchie ovunque in quell'ateneo.

Jeongin sollevò leggermente le spalle. «Voleva restituirmi la scheda memoria – disse con un sospiro, infilandosi una mano dentro la tasca dei pantaloni e sfilando il piccolo e prezioso oggetto – Non è tanto importante, è stato molto gentile e soprattutto di parola» aggiunse, passandosi una mano sulla fronte.

«Quindi questo incontro, non ha nulla a che fare con la tua assenza dalla mensa?» gli domandò Jisung, sentendo nel profondo del proprio stomaco, il peso alleggerirsi.

Non aveva mai ritenuto Chan un pericolo per Jeongin – fin dalla sera precedente – e sentire che si era confermato la persona tranquilla e seria che Jisung credeva, era per lui un sollievo.

Jeongin negò. «No, come ti ho detto è stato molto gentile, sicuramente non mi rivolgerà più la parola e tornerà tutto alla normalità» sorrise, mostrando le piccole pieghe ai lati dei suoi occhi.

«Non ne abbiamo parlato, ma sono piuttosto sicuro che abbia cancellato il video fatto durante l'aggressione – disse passandosi il dorso della mano sulla fronte sudata, il sole era davvero caldo ed intenso – Voleva essere certo, che noi non avessimo materiale per dimostrare cos'è successo ieri notte, in questo modo sarebbe la nostra parola contro la loro».

Jisung annuì, pensieroso.

Non l'aveva detto apertamente, ma quando Chan si era gentilmente avvicinato a Jeongin – la notte precedente – quello era stato il primo pensiero che gli era passato per la mente.

Vuole la videocamera.

Per un'istante Jisung era stato tentato di fermarlo, di lottare per poter tenere quel filmato e dare una vera e propria giustizia a Felix, ma aveva lasciato perdere; forse era anche quello il motivo che poi l'aveva portato a sentirsi così tanto in colpa verso l'amico infortunato.

In quel momento l'unica cosa che aveva desiderato era portare via i suoi amici da lì, lontani da quei ragazzi che sembravano avere il controllo su tutto.

E così era stato.
Erano passate sì e no dodici ore, eppure tutto era cambiato per loro.

Jeongin cercato disperatamente da Bang Chan, per tutto il perimetro dell'Università; Seungmin approcciato e – a tratti – molestato, da Hwang Hyunjin nel loro tavolo in mensa; e infine Felix, bloccato in casa con una caviglia rotta, ancora all'oscuro delle intenzioni del suo aguzzino.

Come aveva potuto – un semplice incontro avvenuto in uno spiazzo deserto – cambiare in modo così radicale la loro quotidianità, Jisung non sapeva darsi una risposta.

Era vero, avevano sempre cercato un brivido nelle loro noiose e monotone vite da ragazzi benestanti, ma Jisung non pensava che quei brividi sarebbero stati di paura.

Il brontolio dello stomaco di Jeongin, interruppe il leggero silenzio calato sui due, attirandone l'attenzione.

Il minore arrossì imbarazzato, mentre Jisung – abbozzando un sorriso, recupero la busta che aveva abbandonato sul prato a pochi passi da sé.

«Immaginavo mi avresti mentito» disse semplicemente, allungando verso il ragazzino la busta contenente alcune delle cose che lui preferiva mangiare in mensa.

Jeongin aprì rapidamente la busta e successivamente la prima confezione, sollevando subito lo sguardo verso Jisung.
«Grazie mille hyung» sussurrò grato.

Indipendentemente da tutto, Jisung si sarebbe sempre preso cura di loro.

Ti meriti tutto Jisung, mi auguro che tu permetta a qualcuno di entrare nella tua vita per prendersi cura di te.

«Sento il tuo sguardo perforarmi il cranio – sbottò Hyunjin, osservando i sedili posteriori dallo specchietto del passeggero – Dacci un taglio!».

Minho sospirò, si era aspettato un simile epilogo per concludere quella giornata già di per sé pesante.

Le lezioni si erano concluse in perfetto orario, come sempre, e loro si erano incontrati come ogni pomeriggio nel parcheggio dell'Istituto, pronti per farsi accompagnare a casa da Minho.

Tra di loro, Hyunjin era l'unico a non avere ancora la patente – anche se si trattava ormai di una manciata di mesi – mentre Chan e Changbin, usavano rispettivamente il primo una grossa moto, e il secondo l'auto dei genitori.

Minho era l'unico a possedere una propria auto, motivo per cui – di comune accordo – usavano la sua per spostarsi.

Chan fece una smorfia, spostando lo sguardo dal capo di Hyunjin e puntandolo verso gli alberi che scorrevano veloci fuori dall'abitacolo.

«Ero stato molto chiaro con te Hyunjin – disse con voce più dura di quello che tutti si sarebbero aspettati – Ti ho detto di stare lontano da Seungmin, e per quanto tu l'abbia percepito come un ordine, era in realtà un consiglio» disse sollevando le spalle.
Hyunjin rimase in silenzio.

Era abituato – essendo il più giovane e problematico – ad essere sempre osservato e sgridato dai suoi hyung, ma se c'era qualcosa che neanche lui riusciva a reggere, era quando Chan si arrendeva.

Quando Chan decideva di non stargli più dietro, e assumeva quel tono da "adesso veditela da solo" persino ad uno come lui, scorreva un brivido lungo la spina dorsale.

«Spiegami allora perché tu devi consigliarmi di stare lontano da un ragazzo, mentre tu puoi correre dietro ad un altro» rispose con finta pacatezza nella voce.

Sia Minho che Changbin si irrigidirono nei loro sedili.

Chan puntò lo sguardo verso lo specchietto di Hyunjin, guardandolo – per riflesso – dritto negli occhi.
«Stai parlando di Jeongin?» ridacchiò, passandosi una mano tra i capelli scuri.
Il minore annuì.

«In primo luogo, io posso e tu no perché io a differenza tua tratto i miei partners come persone con dei sentimenti e non come delle bambole gonfiabili» disse senza giri di parole, allungando un poco le gambe sotto il sedile del guidatore.

Minho si mordicchiò nervosamente il labbro inferiore.

Quando Chan diventava così diretto, senza preoccuparsi di ciò che gli usciva dalla bocca, significava che aveva raggiunto il limite.
Probabilmente da quel momento avrebbe lasciato che se la gestissero da soli.

«In secondo luogo, Jeongin per me non è un possibile partner - sai benissimo che mi piacciono le ragazze, quindi non vedo il perché di questa insistenza -, lo stavo cercando disperatamente per restituirgli la scheda memoria che ieri gli ho portato via, e indovina, per proteggere uno di voi due deficienti – sbottò indicando i più piccoli del loro gruppo – Per l'ennesima volta, perché non c'è mai una cazzo di volta in cui fate qualcosa usando il cervello!» aggiunse poi, voltandosi verso Changbin.

Il ragazzo dai capelli neri, abbassò lo sguardo sulle proprie mani giunte sul grembo, sapendo che in quel momento sarebbe toccata a lui.

«Senza neanche farlo di proposito – visto che era a dir poco terrorizzato – Jeongin ha ripreso l'esatto momento in cui hai fatto cadere Felix dalla sua bici, si vedeva l'esatto punto in cui la sua caviglia si è piegata fino a spezzargli l'osso».

Changbin spostò lo sguardo verso la strada, incapace di ascoltare ciò che il maggiore stava dicendo.
Chan sospirò.

Changbin aveva capito il proprio errore ed era intenzionato a farsi perdonare da Felix – continuare a far crescere i suoi sensi di colpa, non sarebbe servito a nulla – era Hyunjin colui che non aveva colto l'importanza dei suoi consigli.

«Con Seungmin non sarà come tutte le altre persone che ti sei scopato e che poi hai scaricato a bordo strada – come cani randagi – Hyunjin, e ti assicuro che te ne accorgerai col tempo» disse recuperando il proprio zaino dal sedile, non appena Minho ebbe accostato l'auto davanti all'ingresso di casa sua, uscendo senza aggiungere una parola.

Nella sua mente – a negare le sue stesse parole, pronunciate poco prima – una sola immagine: gli occhi di Jeongin.

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Grazie per l'attenzione,
TheyIdiot.

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