Q u i n d i c i

Questo capitolo presenta delle scene che potrebbero ledere la sensibilità di qualcuno, ed è mio compito in quanto autrice segnalarvelo.
Se siete sensibili alla tematica "ansia e attacchi di panico" bloccate la lettura non appena incontrerete nel testo questo simbolo (⚠️) e riprendetela quando lo troverete per la seconda volta.


I corridoi dell'ateneo erano deserti e silenziosi durante quelle che erano le ore di lezione; si udivano in lontananza le voci basse dei docenti che spiegavano, e di tanto in tanto qualche studente approfittava del bagno per sfuggire alla monotonia delle attività.

Seungmin era uno di quei pochissimi studenti che non si sarebbe mai alzato dal suo posto – prima che il docente decretasse finita la lezione – ma in quel caso specifico sentiva seriamente necessità.

Speriamo che la docente non pensi io sia uscito dall'aula per noia – pensò disperato, camminando a passo svelto lungo il corridoio vuoto che l'avrebbe condotto al luogo tanto agognato.

Il bagno.

Quei corridoi sembravano davvero infiniti, sia in lunghezza che in larghezza, se non erano invasi dalle centinaia di studenti che si riversavano in essi tra una lezione e l'altra.

Di scatto, si bloccò nel bel mezzo del corridoio.

Un movimento attirò la sua attenzione, repentinamente lo catturò con la coda dell'occhio.

Una sagoma snella ed elegante, schiena dritta e aria arrogante, e lunghi capelli neri e lisci.

Hwang Hyunjin.

Seungmin sentì tutti i suoi sensi accendersi in stato di emergenza, come se stesse per affrontare un temibile pericolo in agguato, ma la verità era che Hyunjin gli dava le spalle e si stava allontanando da lui.

Aveva ricoperto l'ultimo tratto del corridoio – con lunghe falcate – girando l'angolo senza neanche voltarsi indietro.

Dove diavolo sta andando? – si domandò Seungmin, aggrottando le sopracciglia e non riuscendo ad impedire alla curiosità di rosicchiarlo dall'interno come un tarlo.

Lui – come già detto in precedenza – era uno dei pochissimi studenti che mai si sarebbero allontanati dall'aula senza un valido motivo, e tra quei pochissimi era presente anche Hyunjin.

Era principalmente quella consapevolezza che portò Seungmin ad osservare per l'ultima volta la curva a fine corridoio – che l'avrebbe condotto finalmente al bagno – per seguire piuttosto la figura del maggiore.

Me la sto facendo addosso però – pensò ansiosamente, ma quella motivazione non fu sufficiente per fermare il suo "inseguimento".

Era talmente strano trovarlo fuori dall'aula.

Lo seguì in silenzio, faticando a stargli dietro per la foga con lui Hyunjin percorreva il corridoio – come se avesse il diavolo alle calcagna – nel mentre che digitava con fare frettoloso sul telefono.

Seungmin si bloccò solo quando lo vide abbandonare l'Università, lasciandosi alle spalle la pesante porta di vetro – che raffigurava l'opaco logo dell'ateneo – scendendo poi affrettatamente i gradini verso la strada.

Sei incoerente! – si abbaiò contro Seungmin, nel momento in cui avvertì il freddo vetro della porta contro il palmo della sua mano.

Lo stava seguendo. Perché

Non lo sapeva neanche lui ad essere onesti.

Era strano e probabilmente anche spaventoso per alcuni – se visto dall'esterno – ma qualcosa in lui si era ammorbidito a causa delle ultime situazioni che si erano create con il maggiore.

Il modo in cui Hyunjin l'aveva consolato, diventando l'unico abbraccio che in quel momento Seungmin si era potuto concedere; il modo in cui l'aveva guardando negli occhi, facendolo sentire per la prima volta bello e desiderabile; il modo in cui aveva preso per lui quegli stupidi appunti del venerdì, come se fosse la cosa più normale del mondo, ma che in qualche modo aveva aperto una piccola crepa nella corazza che tanto duramente Seungmin si era costruito intorno.

E questo non poteva davvero accettarlo.

Non poteva accettare di vederlo con occhi diversi – più gentili – e non poteva acconsentiread accogliere nella propria vita quel pericolo, con il rischio di bruciarsi in malo modo.

Inconsciamente – forse – sperava che seguendolo avrebbe visto qualcosa, qualcosa che gli avrebbe confermato che in Hyunjin non c'era assolutamente nulla di dolce o gentile, ma che era esattamente come lui l'aveva sempre immaginato dai racconti e dai volti rigati di lacrime dei suoi amanti.

Voleva solo la conferma – quella di aver ragione – che avrebbe poi portato nuovamente a galla tutti quei sentimenti negativi che provava inizialmente nei suoi confronti.

Ma non andò affatto come sperava.
Anzi.

Lo trovò fermò sul marciapiede poco oltre il cancello che delimitava il terreno dell'ateneo, e aveva un volto talmente contratto da quella che Seungmin interpretò come preoccupazione, che non poté trattenersi dall'avvicinarsi a lui.

Sapeva che Hyunjin non poteva aver abbandonato la lezione, senza un valido motivo.

Era successo qualcosa.

«Hyunjin» sussurrò, andandogli subito accanto.

Il maggiore sussultò spaventato, totalmente preso alla sprovvista da quella voce soffice che aveva lambito il suo volto angosciato, come una morbida carezza.

«Seungmin» rispose subito con espressione sorpresa, in un filo di voce, alzando il capo ed osservando il volto curioso del minore

«Cosa ci fai qui? – gli domandò Seungmin, sentendosi un po' in imbarazzo. Poteva tranquillamente passare per uno stalker con quell'atteggiamento – Ti è successo qualcosa?» lo incalzò, torturandosi le mani tra loro.

Se il maggiore l'avesse aggredito verbalmente, mandandolo al diavolo, se lo sarebbe meritato. L'aveva letteralmente seguito, senza un'effettiva ragione, fuori dall'Università, solo per chiedergli dove stesse andando.

Si stava in pratica facendo gli affaracci suoi, e il minore realizzò quanto poco fosse normale quel suo atteggiamento.

Ma il volto di Hyunjin – al contrario – divenne cedevole, addolcendo l'espressione ed osservando il più giovane con occhi un po' lucidi.

Quella non era la vecchia versione crudele del maggiore, che Seungmin sperava di vedere, ma piuttosto quella nuova e rinnovata che sembrava essere tanto il suo tipo.

«Mia madre è all'ospedale Seungmin – disse semplicemente il maggiore, sentendo un tuffò al cuore nel pronunciare quelle parole ad alta voce – Sono stato convocato dal Rettore, che a sua volta è stato avvisato dall'ospedale; mia madre è una donna con una salute molto cagionevole amore, e pare abbia avuto un malore a lavoro» spiegò, portando nuovamente gli occhi sullo schermo del telefono.

«I miei amici sono a lezione adesso, non posso disturbarli per portarmi in ospedale, devo sperare di trovare un taxi in zona» proseguì, non parlando più con Seungmin. 

Stava più che altro esponendo ad alta voce quelli che erano i suoi pensieri, su quello che sarebbe stato il da farsi.

Doveva assolutamente raggiungere sua madre il prima possibile, non sapere con esattezza il suo stato di salute lo faceva sentire piccolo ed inutile.

Quella donna era tutto ciò che aveva.

Seungmin si morse il labbro, forte al punto da sentire il sapore del sangue invadergli la bocca.

Quello probabilmente era il karma – non doveva essere stato una brava persona nella sua vita passata – perché in qualche modo gliela stava pesantemente facendo pagare, fin da quando era nato.

Voltò appena il capo verso la lussuosa e lucida auto dei suoi genitori; poteva facilmente scorgere gli occhi curiosi ed interessati dell'autista, come sempre seduto al posto di guida.

Mandò giù il groppo di saliva.

Gli costava uno sforzò abnorme quel gesto – usare quell'auto e dimostrare in un qualche modo ai suoi genitori, che aveva bisogno di loro e dei loro inutili soldi – ma quella era una vera emergenza, e si sarebbe sentito seriamente una pessima persona a non approfittare di quella possibilità.

«Vieni con me Hyunjin» disse di punto in bianco, stringendo una mano intorno al polso del maggiore e tirandoselo dietro con poca grazia, attraverso il parcheggio.

Il maggiore spostò confusamente lo sguardo dallo schermo, posando gli occhi sulla schiena flessuosa di Seungmin che gli camminava davanti.

Dove diavolo lo stava portando quel ragazzino? Lui doveva assolutamente chiamare un taxi e andare da sua madre.

Fece quasi per aprire la bocca e pronunciare ad alta voce quelle parole, ma il minore abbandonò il suo polso proprio accanto ad una vettura che pareva valere tanto quanto la sua modesta abitazione.

Hyunjin rimase in silenzio.

«Sali» disse semplicemente l'altro, aprendo una delle grosse portiere posteriori e spingendolo dentro; nel comodo e lussuoso interno di quell'auto, tutto fatto di morbida e liscia pelle color caffè.

Gli occhi di un uomo – seduto al posto del guidatore – lo osservarono curiosamente dallo specchietto retrovisore, mettendolo pesantemente a disagio.

Chi era quell'uomo? 

«Seungmin – sussurrò il maggiore, con espressione attonita – Di chi è quest'auto?» chiese, non sapendo bene cosa pensare degli ultimi minuti della sua vita.

Era confuso e preoccupato per la salute di sua madre.

Seungmin si chiuse con poca gentilezza la portiera alle spalle, sbattendola come a recare un dispetto alle persone che biologicamente l'avevano messo al mondo.

Se solo avesse potuto – senza apparire un ragazzino infantile – le avrebbe anche rigato la fiancata, con il suo nome e la media dei suoi esami.

Giusto per ricordar loro che poteva essere un prodigio, anche senza la loro presenza nella sua vita.

«Questa è l'auto dei miei genitori, ma questo adesso è di scarsa importanza – rispose freddamente, ma rivolgendo comunque un pallido sorriso al maggiore – Dov'è stata ricoverata tua madre?» gli chiese, rivolgendo uno sguardo all'autista.

Sorrise pure a lui, infondo era solo un dipendente della sua famiglia, non aveva alcuna colpa.

Hyunjin scosse la testa confusamente, ma sentir nominare sua madre riportò la sua mente sull'unica cosa che in quel momento era veramente importante: la donna che amava di più sul pianeta Terra.

«Sahmyook Medical Center» rispose semplicemente, abbassando il capo.

Quando l'auto iniziò la sua marcia, in direzione dell'ospedale, Hyunjin seppe con certezza che niente di ciò che avrebbe fatto per Seungmin sarebbe stato abbastanza per rendergli quel favore.

L'auto di Changbin procedeva con cautela lungo le strade trafficate di Seoul – di ritorno dalle lunghe ed estenuanti lezioni del pomeriggio – venendo condotta in modo particolarmente irrequieto dal suo proprietario, la cui mente era totalmente altrove.

Si sentiva innervosito da qualsiasi cosa lo circondasse in quel momento; il suono dei clacson delle altre vetture, la lentezza del traffico e le luci dei fari che – essendo il cielo ormai prossimo a rabbuiarsi – risultavano ai suoi occhi particolarmente luminosi ed intensi.

Sapeva con esattezza,cosa lo avesse reso tanto stanco e suscettibile.

E il motivo era racchiuso nella testolina bionda e piena di problemi di Lee Felix. 

Buttò difatti uno sguardo incerto alla piccola figura minuta che se ne stava accartocciata accanto a lui, afflosciata sul sedile del passeggero con l'espressione di chi sta per scoppiare a piangere da un momento all'altro.

Cos'era successo?

Bella domanda, Changbin non ne aveva la minima idea!

Era andato a prenderlo quella mattina per avviarsi come al solito insieme a lezione, e il minore era risultato ai suoi occhi particolarmente solare e raggiante; aveva inondato di calda luce la sua auto, chiacchierando allegramente per tutto il viaggio – che li aveva condotti all'Università – di qualsiasi cosa gli passasse per la mente, portando più volte Changbin a sorridere in sua risposta.

Gli piaceva Felix, e gli piaceva un mondo averlo intorno a sé.

Era così diverso da lui – tanto cupo e a tratti scontroso e scostante – eppure per qualche ragione era come se il minore fosse un pezzo di puzzle che riusciva ad incastrarsi alla perfezione con lui.

Poi dopo l'arrivo in ateneo, e la prima ora di lezione, il blackout.

Changbin l'aveva notato tra una lezione e l'altra – come lo accompagnava, portando i suoi libri per aiutarlo – era come se di ora in ora la sua luce fosse divenuta sempre più tenue, fino a spegnersi definitivamente.

Aveva provato più volte a chiedergli cosa non andasse – durante la giornata – ma Felix aveva abilmente evitato la domanda, sorridendogli gentilmente e cambiando argomento.

Questo ovviamente aveva portato Changbin ad arrendersi – dal chiederglielo ulteriormente – ma piuttosto a concentrarsi maggiormente su ciò che li circondava, e che teoricamente poteva essere il motivo di quell'anomalo cambio di stato emotivo, nel minore; a quel punto, iniziò ad essergli chiaro ciò che aveva portato Felix ad appassire in quel modo.

Risate. Sguardi. Chiacchiericci. Indici puntati.

Intorno a loro tutti sembravano avere occhi solo per il giovane Lee Felix e il suo fedele randagio al fianco, una coppia che mai prima d'ora era stata vista insieme come in quei giorni – erano improvvisamente ciò che di più interessante i pettegoli di quella scuola si sarebbero mai potuti aspettare.

A Changbin quella situazione non pesava minimamente, sapeva bene che al di là di tutto gli studenti avrebbero sempre trovato qualcosa di cui sparlare, ma probabilmente per Felix non era altrettanto.

Poteva leggerlo sul suo viso.

Felix spostò gli occhi stanchi e leggermente lucidi oltre il finestrino, guardando verso l'orizzonte con espressioneun po' aggrottata.

I suoi pensieri e le sue paranoie lo stavano mangiando dall'interno, masticando con lentezza famelica le sue carni sanguinanti.

Non pensarci, non stavano guardando te, è stata solo una tua impressione.

Rise amaramente tra sé – senza che si disegnasse alcuna smorfia divertita sul suo viso angosciato – lasciando che le sue mani giunte sul grembo, si torturassero tra loro.

Erano tremanti, rosse e a tratti graffiate; ci aveva "giocato" a lungo durante quella terribile giornata di lezioni.

Per quanto si fosse ripetuto quelle parole fino allo sfinimento, sapeva bene che in realtà stavano seriamente guardando tutti lui!

Era una sensazione terrificante, per uno come Felix.

Ovunque i suoi occhi si riflettessero, incrociavano sguardi curiosi, divertiti e interessati che osservavano la sua figura costantemente spalleggiata dal corpo massiccio di Seo Changbin.

Smettetela!

Aveva sentito l'aria mancargli, la pelle prudere attraverso i vestiti, e aveva sentito la necessità di fuggire via da quell'edificio e tornarsene a casa sua.

Voleva rintanarsi nel suo letto, piangere ed urlare contro il suo cuscino; buttare fuori tutto fino a non avere più forza in corpo per pensare, cacciando via quei dolorosi ricordi lontani, che quella giornata e quegli sguardi, avevano riportato a galla.

Ovviamente non era stato possibile.

Aveva resistito per tutta la giornata, seguendo le lezioni – anche se con scarsa attenzione – sopportando di ora in ora l'attenzione sempre crescente degli altri studenti, sviando qualsiasi domanda gli venisse rivolta in merito.

Non era stata una buona idea però – se ne rendeva conto solo in quel momento – perché ora, in macchina con Changbin, si sentiva sul punto di esplodere.

Resisti, solo un altro po'.

Il maggiore sospirò, rivolgendogli un'altra occhiata furtiva.

Sembrava disperato, nervoso ed infastidito, e Changbin si sentiva in colpa per non essere riuscito in alcun modo ad essergli utile; gli pesava seriamente il cuore all'idea di portarlo a casa sua ed abbandonarlo lì, con quello stato d'animo, come se niente fosse.

«Anche se non sono propriamente tuo amico, sai che puoi parlarmi di ciò che desideri, vero?» domandò, nella speranza di aiutarlo.

Nella speranza che le sue parole potessero fungere da caldo abbraccio, infondendogli un po' di sicurezza per aprirsi con lui e finalmente tirar fuori quelle parole che tanto lo stavano logorando.

Mai l'avesse fatto.
Felix scoppiò a piangere.

Un pianto tanto sofferto, carico di dolore e paura; forti singhiozzi gli spezzavano la voce facendolo sobbalzare sul sedile.

Changbin trasalì totalmente preso di sorpresa, tentando comunque di mantenere lo sguardo concentrato sulla strada trafficata, nel mentre che il terrificante pianto di Felix pareva rinforzarsi come un'onda che si ritira, per poi infrangersi con maggior vigore sulla riva.

⚠️

Il minore si portò repentinamente le mani a coppa sul viso – per nascondere con vergogna, il volto contratto in quell'espressione carica di tristezza – sentendo le lacrime rigargli il volto senza alcuna sosta, e il respiro farsi pesante e a tratti soffocato.

Non voleva che quello accadesse – proprio il quella situazione – e che Changbin lo vedesse in un momento di simile vulnerabilità, tanto debole e patetico da non riuscire neanche ad ignorare lo sguardo curioso di qualche sconosciuto.

Chissà cosa avrebbe pensato il maggiore di lui.

Sono inutile, e debole.
Tutto il male che nella mia vita mi è capitato, me lo sono meritato.

Avvertì la sensazione di intorpidimento e formicolio – come se mille piccoli insetti stessero marciando attraverso il suo corpo, al di sotto dei vestiti – quando ormai fu troppo tardi per bloccarla, sentendola formarsi al centro dei propri palmi e risalirgli lungo il collo e le guance.

La paura agghiacciante che lo attanagliò – quando realizzò di star avendo un attacco di panico, proprio in quel momento – lo portò a togliersi le mani dal volto, boccheggiando come un pesce tirato fuori dall'acqua.

Inutile dire che la prima sensazione che si prova – quando si realizza di star andando incontro ad un attacco di panico – è ovviamente la paura, perché sai bene cosa stai per affrontare, ma è proprio della paura che esso si nutre, divenendo di secondo in secondo più forte e devastante.

«Fermati, ti prego fermati!» strillò tutto d'un tratto col fiato pesante, portando entrambe le mani alla portiera, come se volesse aprirla con l'auto in corsa.

L'auto di Changbin sbandò leggermente – il maggiore si era spaventato a morte, vedendo l'altro in quelle condizioni – e accostò velocemente ad un marciapiede che dava su una piccola libreria ormai chiusa.

L'auto che procedeva dietro di loro li superò agilmente, lanciandogli un'occhiataccia e suonandogli il clacson.

Vattene a fare in culo – pensò Changbin, sentendo il cuore a mille e la preoccupazione nei confronti del minore come un fiume in piena, ormai impossibile da contenere.

Felix strattonò malamente la portiera per aprirla – mettendoci qualche istante di troppo a trovare la maniglia, attraverso i suoi occhi colmi di grossi lacrimoni – ma non appena riuscì finalmente a spalancarla, tirò fuori il capo per prendere una grossa boccata d'aria fresca.

Avrebbe seriamente desiderato alzarsi ed uscire da essa, ma il gesso – e le stampelle sistemate da Changbin nei sedili posteriori – glielo impedivano; si limitò semplicemente a voltarsi, rimanendo sul sedile ma permettendo alle proprie gambe di ciondolare fuori dall'auto.

L'attacco di panico si era ormai mangiato tutto; come un tarlo che lentamente distrugge la pregiata cornice in legno di un meraviglioso dipinto.

Il suo corpo era talmente intorpidito, da non riuscire più neanche a chiudere e aprire le dita delle mani. 

Era come starsi pietrificandopian piano, e questa cosa gli faceva tanta paura.

Changbin osservò attonito la sua schiena tremante – tremando in risposta, a sua volta – guardando come il minore prendeva quei profondi respiri d'aria come se fosse in apnea da ore, stringendosi il busto con le braccia ancora pesantemente intorpidite.

Si riscosse dalla propria paralisi, solo quando riuscì a conficcarsi le unghie contro la coscia avvertendo il pungente dolore.

Felix ha bisogno del tuo aiuto, idiota!

Scese agilmente dall'auto, facendo velocemente il giro di essa finché non si trovò dinanzi all'altro.

Changbin si chinò ai piedi di quella piccola ed inerme figura tremante – che in quel momento gli appariva tanto fragile, da fargli quasi temere di toccarlo – e posando poi una mano sul suo ginocchio, si sporse verso di lui per stringerlo in un abbraccio rassicurante.

Felix chiuse gli occhi, quando il suo naso entrò in contatto con la giacca nera che Changbin – all'uscita dalle lezioni – si era messo sopra l'uniforme.

Era calda, soffice e aveva il suo odore.

Forte e rilassante – lo faceva sentire tranquillo e protetto, come se niente potesse scalfirlo o fargli del male, finché era tra le braccia di Changbin.

Sentì il suo cuore rallentare leggermente i suoi battiti spaventati, mentre le lacrime continuavano a scorrere senza una fine.

«Changbin» mormorò in un gorgoglio confuso – in una stupida richiesta d'aiuto –, posando la fronte contro la sua spalla e lasciando alla sua calda felpa il compito di assorbire le sue lacrime. Per la seconda volta, da quando si conoscevano.

«Stai tranquillo, sono qui con te» gli sussurrò il maggiore contro l'orecchio.

Changbin prese le sue piccole mani fredde tra le sue, scaldandole e cercando di farle rilassare – ma lasciando la propria fronte posata sulla spalla del minore, che emulava a sua volta la stessa posizione; erano così dure e tese le sue mani, legate in quella posizione a pugno contratta.

Pur volendo, non riusciva più ad aprire le dita.

Era così strano trovarsi in quella situazione proprio con Felix, in assoluto la persona più solare e apparentemente forte che avesse mai avuto l'occasione di incontrare.

In quel momento non era altro se non un guscio.

Un guscio privato di quella che solitamente era la sua calda e brillante luce, riempito piuttosto di paranoie, paura e lacrime.

«Non sei da solo, sono proprio qui al tuo fianco» continuò a ripetergli, sentendo come il suo nome fosse improvvisamente divenuto una litania sulle labbra di Felix.

Lo cercava, lo stava chiamando, lo stava pregando di aiutarlo e trascinarlo fuori da quell'incubo ad occhi aperti.

Abbandonò le sue mani sul grembo del minore – ormai calde e morbide – preferendo avvolgere le proprie braccia nuovamente intorno alla sua figura, che lentamente stava riuscendo a trovare la luce.

Quel corpicino appariva così piccolo, se stretto al suo petto.

⚠️

La promessa che aveva rivolto ad Hayoon qualche giorno prima, gli tornò in mente, riempiendolo di nuova energia.

«Ti prometto che mi prenderò cura di lui, a scuola e fuori, e mi farò perdonare per ciò che ho fatto in quell'assurdo momento di stupidità – userò i miei sensi di colpa per impegnarmi al massimo in questo».

Non poteva venir meno alla parola data.

Parvero interminabili i momenti passati in quel piccolo pezzo di quartiere, con l'automobile ancora in moto – che rischiarava la via con i suoi fari accesi – e i loro respiri che andarono lentamente a divenire silenziosi.

Quasi inesistenti.

Le ginocchia di Changbin dolevano terribilmente, poggiate – con solo i pantaloni leggeri dell'uniforme, a proteggerle – sull'asfalto un po' irregolare; non si era mosso neanche di un centimetro, non aveva osato, neanche quando Felix sembrava essersi addormentato contro la sua spalla, tra le sue braccia.

«Mi dispiace tanto» rantolò improvvisamente la voce di Felix, frantumando quel magico silenzio che si era venuto a creare tra loro.

Changbin sospirò, grato di sentire nuovamente la sua voce – anche se un po' rauca e spenta – allontanandosi appena dal loro abbraccio per poterlo guardare negli occhi; doveva guardarli necessariamente, per avere la conferma che il minore stesse bene.

Ma quanto realizzò quanto i loro volti fossero vicini, gli mancò il respiro.

Le loro labbra quasi si sfioravano – dando loro modo di assaporare il reciproco respiro – e Changbin dovette respirare con cautela per non sporgersi verso di lui.

Calma.

Voleva baciarlo, come mai in tutta la sua vita aveva desiderato baciare qualcuno.

Le sue guance erano rosse, così come la punta del piccolo naso all'insù – come un bambino che ha pianto a lungo per non aver ottenuto il gioco che tanto desiderava – le sue labbra carnose erano lucide, ed ancora un po' tremanti, mentre gli occhi scuri erano leggermente assonati, assenti e lucidi; Changbin riusciva a specchiarsi in essi senza grosse difficoltà.

Passò senza pensarci una mano sul suo viso, gustandosi il calore delle sue guance a contatto con il suo grande palmo.

Sei talmente bello.

Era totalmente incantato da lui.

E se...

Sperò non andasse come la prima volta, ma decise comunque di replicare il gesto che aveva compiuto nello spiazzo, che gli aveva fatto guadagnare un cerotto che ancora teneva ben stretto al pollice.

Passò con reverenza il dito sul suo labbro inferiore, percorrendolo con estrema gentilezza; era soffice esattamente come se lo ricordava.

Poteva sentire l'acquolina in bocca.

Felix arrossì, sentendo a contatto con il labbro il tessuto fibroso del cerotto che il maggiore aveva applicato sul suo morso.

La situazione era esattamente la stessa di quella sera, ma a non essere più gli stessi erano proprio loro.

Felix non si sentiva in pericolo in quel momento – Changbin era stato letteralmente la mano che, tesa verso di lui, l'aveva portato alla fine del tunnel durante quell'attacco di panico – e gli occhi del maggiore, rivolti alla sua bocca, erano incredibilmente dolci ed affettuosi.

«Posso portarti con me in un posto, Felix?» gli domandò d'un tratto il maggiore, riportando gli occhi dentro i suoi.

Si fidava di lui? – si domandò Felix.

In quel momento sì – anche se probabilmente non avrebbe dovuto – ma si fidava ciecamente di Changbin, che era riuscito a dimostrarsi una persona nettamente diversa da quella che aveva incontrato quella notte.

Annuì, senza alcuna esitazione.

Ormai il buio aveva racchiuso il cielo, e i fari dell'auto di Changbin erano l'unica luce che rischiarava quelle abbandonate e sterrate strade di campagna, attraverso cui stavano procedendo.

Non ti farebbe mai del male – si ripeté per l'ennesima volta il minore, tentando di placare l'ansia e i dubbi che l'avevano attanagliato non appena aveva riconosciuto la zona in cui si trovavano.

Sapeva bene dove Changbin lo stava portando, e per quanto non volesse – dentro di sé sentiva seriamente di fidarsi di lui, non poteva veramente aver finto per tutto quel tempo – sentiva al centro del suo stomaco la paura, il sesto senso che lo avvertiva di essere in pericolo.

Era seriamente così, oppure si stava sbagliando?

«Mi stai portando allo spiazzo, non è così?» domandò con voce un po' atona, tirando su con il naso.

Aveva pianto a lungo tra le braccia di Changbin – quasi fino al punto di addormentarsi –, ed in quel momento, cullato anche dall'andatura rilassante dell'auto in movimento, si sentiva spossato e insonnolito.

Vide il maggiore sorridere – con il suo classico ghigno, che gli piegava in modo buffo la bocca da un solo lato, rendendolo così tanto seducente –, voltandosi poi ad osservarlo.

Changbin poteva facilmente leggerlo nei suoi occhi.

Era confuso e aveva paura.
Paura di lui.

«Si, ti sto portando allo spiazzo» ammise semplicemente, scendendo con prudenza una sorta di collinetta scoscesa; dopo di essa, lo spiazzo in questione si estendeva – buio e desolato – dinanzi ai loro occhi.

Sentì Felix trattenere il fiato.

In un primo momento aveva valutato l'idea di rassicurarlo, di guardarlo negli occhi e fargli capire in qualche modo che non gli avrebbe mai più fatto del male – in parte lo feriva, sapere che il minore ancora non si fidasse di lui; ma non poteva biasimarlo – ma alla fine aveva deciso che non sarebbe servito a molto.

Avrebbe sprecato maggior tempo tentando di convincerlo delle sue buone intenzioni, piuttosto che mostrargliele direttamente.

Era proprio in quel luogo che si erano conosciuti una settimana prima, e in cui lui gli aveva deliberatamente fatto del male.

Fidati di me Felix, ancora per qualche minuto e capirai.

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Grazie per l'attenzione,
TheyIdiot.

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