Q u a t t o r d i c i

Chan camminava a grandi falcate lungo i corridoi affollati dell'Università, alla ricerca dell'unico ragazzo che era stato capace di togliergli il sonno, l'appetito, e la sanità mentale – per due lunghi giorni.

Perché è così difficile trovare quel ragazzino? – si domandò scrutando con attenzione ogni singolo volto che incrociava lungo la sua strada – Ogni volta che ho bisogno di parlargli, così come il giorno che l'ho cercato per restituirgli la scheda memoria, sembra esser stato risucchiato dalle fondamenta dell'edificio!

Non poteva negare a se stesso quanto la loro Università fosse immensa; un concentrato di aule, laboratori e classi studio davvero imponenti, ampie aree verdi ed infiniti corridoi che la attraversavano – eppure Chan era certo del fatto che non sarebbe stato troppo difficile trovare là dentro chiunque altro, purché questo non fosse Jeongin.

Sospirò pesantemente – buttando fuori tutta l'aria dai polmoni, in modo nervoso – una volta giunto alla fine dell'ennesimo corridoio, senza trovare chi gli interessava.

Voltò l'angolo, proseguendo sulla destra.

Aveva assoluta necessità di trovare quel ragazzino.

Nonostante la sola idea di vederlo nuovamente, e parlare con lui, gli faceva scorrere lunghi brividi freddi lungo le braccia.

Minho era stato fin troppo chiaro in merito a quella che sarebbe dovuta essere la sua prima azione una volta giunto in ateneo: cercalo e parla con lui!

Chiaro e diretto, senza giri di parole.

Chan aveva sentito il suo stomaco rivoltarsi agitato, alla sola idea di doverci parlare ed essere il primo ad intavolare una conversazione.

«Se vuoi dare un nome a tutte queste emozioni che ti stanno travolgendo da due giorni, da quando l'hai baciato venerdì sera, è importante iniziare a capire se sono state un caso isolato in quel momento di passione – infondo eravate soli, in una situazione molto intima e romantica – oppure se continui a provare lo stesso anche a distanza di giorni, guardandolo».

Queste erano state le prime parole che Minho gli aveva rivolto, quando Chan gli aveva espressamente chiesto come si sarebbe dovuto comportare da quel momento in avanti.

Gli aveva disperatamente chiesto aiuto per far cessare quel tripudio di sensazioni che continuavano a fargli sentire la pelle d'oca e il cuore pesante.

«Trovalo e parla con lui, guardalo negli occhi e cerca di capire come ti fa sentire averlo davanti, a pochi passi da te – aveva aggiunto poi l'amico annuendo tra sé – Vedi se provi attrazione nei suoi confronti, se stamattina lo reputi particolarmente carino, e se guardare le sue labbra ti fa provare il desiderio di baciarlo ancora una volta».

Chan aveva sentito il cuore battere forte a quelle parole.

Sarebbe riuscito ad accettarsi, se guardando la sua bocca avesse sentito nuovamente la necessità di accostarsi a lui e strappargli un bacio?

Game over – pensò tra sé una volta giunto alla fine dell'ennesimo corridoio, senza aver incrociato lo sguardo dolce di Jeongin, nonostante la sua disperata ricerca.

Possibile che per quel ragazzino adorabile fosse così semplice mimetizzarsi dentro quell'Università?

Una strana idea iniziò a farsi largo tra i suoi pensieri confusionari, portandolo ad appoggiare stancamente le spalle contro il muro laterale alla schiera di armadietti.

E se Jeongin non fosse andato e a lezione quella mattina? – o peggio – Se Jeongin lo stesse volutamente evitando?

Magari era tutto collegato a venerdì sera – la sola idea che Jeongin potesse essersi pentito di aver sprecato il suo secondo primo bacio con lui, magari ritenendolo la persona sbagliata, gli faceva provare le vertigini.

Datti una calmata Chan! – si disse, cercando di darsi un po' di contegno.

Si sentiva totalmente alla mercé dei dubbi scaturiti da quei baci, al punto da non riuscire a fermare il flusso spaesato di pensieri che stavano ormai prendendo il sopravvento.

Jeongin non gli sembrava quel tipo persona, capace di evitarlo volutamente.

O almeno sperava.

Devo continuare a cercarlo!

Ho assoluto bisogno di vederlo e parlare con lui.

Si scostò dalla parete, con una nuova e rinnovata positività.

Aveva tutto il giorno per trovarlo, al massimo sarebbe riuscito ad incrociarlo una volta giunto in mensa.

Sarebbe stato imbarazzante accostarsi al suo tavolo, con i suoi amici ad osservarlo, ma era disposto a tutto.

«Più tardi abbiamo il laboratorio di modellistica, non vedo l'ora!».

Il suo cuore vacillò.

Quella era la sua voce.

Non importava quanto fossero chiassose le centinaia di voci – appartenenti agli studenti che ancora sostavano nei corridoi – che aleggiavano intorno a lui, riempiendogli le orecchie; in mezzo a tutto quel rumore, aveva riconosciuto la voce di Jeongin.

L'unica e sola che sembrava sovrastarle tutte, nonostante il suo essere tanto leggera e pacata.

Si sporse oltre l'angolo della parete, affacciandosi appena nel corridoio che proseguiva lateralmente, e sgranando gli occhi non appena il suo sguardo si posò su di lui.

Era lì, con i suoi occhi brillanti e il suo sorriso luminoso, mentre conversava gioiosamente con alcuni compagni.

Era solo – senza nessuno dei suoi migliori amici accanto – e stringeva faticosamente alcuni grossi album da disegno sotto il braccio.

Merda.

Fu tutto ciò che la sua mente appesantita riuscì a formulare, mentre un duro giramento di testa lo portò a reggersi contro il muro.

Quanto stress – legato a ciò che aveva vissuto con quel ragazzino – aveva accumulato, per ridursi in quelle patetiche condizioni?

Non ne aveva seriamente idea, ma non aveva sufficiente tempo per pensarci su, doveva assolutamente fermarlo prima che si teletrasportasse dall'altra parte dell'edificio.

Uscì allo scoperto – sbucando oltre l'angolo – solo quando sentì la voce di Jeongin salutare i due compagni con cui stava chiacchierando, augurando loro delle piacevoli lezioni.

Questo è il momento migliore.

Osservò i due ragazzi allontanarsi da Jeongin procedendo verso di lui, per poi sparire oltre le sue spalle, mentre il ragazzino si voltò per camminare dalla parte opposta – allontanandosi da lui.

Chan sentì la paura opprimerlo, come se sopra la sua testa gravasse una ghigliottina pronta a cadere in picchiata su di lui; per un istante valutò di rimanere in silenzio, totalmente intorpidito dall'ansia, e lasciare che Jeongin si allontanasse da lui.

Fu il ricordo delle parole pronunciate da Minho – una volta lasciata l'auto nel parcheggio dell'Università – che lo portarono a raccogliere il coraggio sufficiente.

«Non devi essere nervoso o aver paura, ricordati che Jeongin non sa cosa passa tra i tuoi pensieri e non sa cos'hai provato con quei baci – gli aveva detto dandogli un'affettuosa pacca sulla spalla – Comportati normalmente e vedrai che lui farà lo stesso»

«Jeongin».

Gli parve come se quel nome fosse uscito dalle sue labbra come un basso sussurro, ma così non fu.

Jeongin si fermò istantaneamente non appena il suo nome – pronunciato proprio da quella voce – rimbalzò tra gli armadietti del corridoio che stava attraversando.

Quando si voltò Chan era dinanzi a lui, a pochi passi di distanza.

Nel momento in cui i loro occhi si incrociarono – di nuovo dopo oltre quarantotto ore – il maggiore si trovò con la bocca asciutta.

Sono davvero fregato – pensò.

Lo trovava carino quella mattina – anzi, non carino – ma davvero bellissimo.

I capelli scuri ricadevano in modo disordinato sui lucenti occhi marroni, parecchio sorpresi mentre lo osservavano; le labbra erano leggermente screpolare e schiuse per lo stupore di trovarsi il maggiore davanti.

Rimasero ad osservarsi in silenzio per quella che parve ad entrambi un'eternità, mentre la vita universitaria continuava a scorrere intorno a loro e decine di studenti procedevano lungo il corridoio, passando loro intorno ed osservandoli con curiosità ed interesse.

«Ciao piccolo» disse Chan abbozzando un sorriso imbarazzato, nel tentativo di rendere la tensione tra loro un poco più sopportabile.

Era talmente tanto pesante e concreta, da poterla quasi tagliare con il coltello.

Jeongin sfarfallò con le ciglia un paio di volte, come se la voce del maggiore l'avesse trascinato brutalmente fuori da un sogno.

«Ciao hyung» rispose con voce leggermente rauca, come se quest'ultima non desiderasse uscire dalla sua gola, mentre osservava con cautela il maggiore che passo dopo passo si avvicinava di più a lui.

Rilassati.

Chan si blocco ad un passo dalla figura del più giovane, osservando il volto del minore qualche centimetro più in basso del suo.

Non sapeva bene cos'altro dire, e questo lo faceva sentire incredibilmente stupido.

Si era bruciato talmente tanto il cervello, domandandosi come si sarebbe sentito trovandosi il più giovane davanti a sé, da non aver deciso precedentemente di cosa parlare al ragazzino.

Jeongin abbassò gli occhi verso i propri piedi, incapace di non arrossire sotto lo sguardo pesante ed intenso del maggiore.

Percepiva il suo volto talmente tanto rosso e caldo, al punto da sentire il sudore formarsi sulla sua fronte.

Perché lo guardava in quel modo, restando in silenzio?

Rivedere il maggiore dopo gli spettacolari baci che gli aveva dato quella notte, lo faceva sentire così strano.

Strinse gli occhi.

Aveva ampiamente sperato – nei due giorni precedenti – di non incrociare Chan per almeno una settimana – gli serviva seriamente più tempo per analizzare ciò che era successo – ma così non era stato.

Aveva incontrato prima lui, dei suoi migliori amici.
Assurdo come il destino gli remava sarcasticamente contro.

Non importava quanto a lungo si fosse ripetuto quelle parole – urlandosele mentalmente fino a non capire più nulla – faticava ancora a dar loro il giusto valore.

Bang Chan mi ha baciato.
Bang Chan mi ha veramente baciato e stretto al suo petto, per tutta la notte.

Una grossa parte del suo cervello cercava ancora inutilmente di convincerlo di esserselo solo sognato, non c'erano altre risposte plausibili.

«Ti serve una mano? – domandò Chan osservando i numerosi album che il minore reggeva con fatica – Sembrano davvero pesanti» sussurrò, nel tentativo di far apparire il suo avvicinamento solo una generosa proposta d'aiuto.

Sono patetico – si rimproverò.

Jeongin arrancò nervosamente qualche passo indietro, per allontanarsi dal maggiore e fare in modo che i suoi album fossero totalmente fuori dalla sua portata.

Non posso permettere che veda cosa contengono queste pagine – pensò disperato.

«No!» sbottò di riflesso, senza pensarci troppo.

Scosse la testa velocemente – per sostenere la sua forte negazione – lasciando che i suoi capelli scuri si arruffassero durante l'azione.

Chan si irrigidì, sentendo la propria mascella contrarsi.

Desiderava solo passare un po' di tempo con lui, ed essere gentile aiutandolo a portare quei pesanti album; perché reagire in modo tanto spropositato?

Possibile che i suoi precedenti dubbi fossero a tutti gli effetti reali?

Magari Jeongin non era intenzionato ad aver più nulla a che fare con lui.

Abbassò lo sguardo verso le interessanti piastrelle scure del pavimento, chiedendosi come avrebbe fatto a proseguire quella conversazione, portando avanti ciò che Minho gli aveva chiesto di fare.

Non riuscirò mai più a liberarmi di queste sensazioni.

Le scarpe costose di Jeongin entrarono poco dopo nel suo campo visivo, le punte in gomma quasi toccavano le sue.

Il maggiore sollevò il volto di scatto, trovandoselo davanti come mai si sarebbe immaginato; aveva lo sguardo dispiaciuto e il volto incredibilmente vicino al suo.

Poteva sentire il suo respiro abbattersi sul suo viso.

Chan mandò faticosamente giù il groppo di saliva, puntando gli occhi dentro quelli di Jeongin – innocenti e dolci – sentendo la paura e i dubbi degli scorsi giorni volatilizzarsi, risucchiati da quel caldo cioccolato liquido che gli stava togliendo il respiro.

Era nuovamente a casa.
Nuovamente al sicuro tra le braccia amorevoli di Jeongin.

In uno scarso momento di lucidità gli tornarono a memoria le parole che Minho gli aveva rivolto – quelle domande che si sarebbe dovuto lui stesso porre una volta davanti al più piccolo – e le risposte furono talmente tanto lampanti, da spaventarlo.

Quella mattina lo trovava davvero bellissimo – con gli occhi brillanti e lo sguardo imbarazzato – fin troppo attraente ai suoi occhi, ed aveva una voglia di baciarlo talmente tanto forte che dovette stringere entrambe le mani a pungo, conficcandosi le unghie sul palmo per trattenersi.

Trattenersi dal circondargli il volto con entrambi i palmi aperti – avvolgendogli quelle guance arrossate – e buttarsi come un assettato sulla sua bocca, baciandolo con passione nel bel mezzo del corridoio.

Lo voleva – lo voleva ancora una volta, e non solo – e questo per un secondo, lo spaventò a morte.

«Perdonami, non volevo risponderti così – sussurrò Jeongin, sentendo i brividi scorrergli lungo il corpo – Perché sei venuto da me, Chan?» chiese con il cuore a mille.

Chan aveva quello sguardo.
Lo stesso sguardo che gli aveva rivolto a lungo quella notte.

Il maggiore sbatté le palpebre un paio di volte prima di fidarsi a parlare, attendendo che fosse ben lontana da sé l'immagine in cui sbatteva duramente Jeongin contro la schiera di armadietti, mentre lo divorava.

«Pensavo fosse il caso di parlare, di ciò che è successo tra di noi venerdì».

Quasi non riuscì a credere di aver trovato il coraggio dentro di sé per dire quelle parole.

Visto che non si era precedentemente preparato un discorso, tanto valeva puntare tutto sulla sincerità, che solitamente lo caratterizzava.

Jeongin divenne paonazzo, sentendo il battito rumoroso del proprio cuore rimbombare nelle sue orecchie.

Si guardò nervosamente intorno, cercando di capire se qualche studente di passaggio avesse casualmente sentito le parole del maggiore.

Nessuno in vista, fortunatamente.

«Vieni con me» disse cercando di calmare il battito impazzito dentro la propria cassa toracica, stringendo la propria piccola mano intorno a quella grande e calda del maggiore, trascinandoselo dietro.

Gli occhi di Chan rimasero ammaliati dalle loro mani unite.

Jeongin lo trascinò dentro un laboratorio totalmente vuoto – poco lontano da loro – chiudendo la porta alle loro spalle con infinita gentilezza.

Per non attirare ulteriormente l'attenzione.

Posò gli album sul primo banco che si trovava accanto alla porta d'ingresso, voltandosi poi verso la figura del maggiore, che lo guardava pochi passi più in là.

Per un momento gli mancò il fiato, realizzando di essere da solo con Bang Chan in una classe vuota.

Dovette mordersi dolorosamente la lingua, per tenere lontani i ricordi che lentamente lo stavano assalendo.

«Non penso sia necessario parlare di quello che è successo hyung» riuscì a sputare fuori, dopo diversi minuti di silenzio, portandosi entrambe la mani ad abbracciarsi il busto, come ad infondersi calore.

Se ti serve calore, posso stringerti io – pensò il maggiore.

Chan sentì il proprio cuore frantumarsi in piccoli pezzi.

Nonostante la paura e il pessimismo iniziale, nel profondo di se stesso, si era immaginato quella conversazione in modo totalmente diverso.

Non poteva lasciare che andasse così.
«Io penso che serva, infondo noi-» Jeongin lo interruppe.

«Dico sul serio Chan, non serve parlarne – ripeté, accennando un piccolo sorriso verso il maggiore – Ti sono davvero grato per ciò che hai fatto, per avermi offerto una possibilità di riscatto dopo ciò che è successo al liceo, ma ti prometto che nessuno saprà ciò che è successo, almeno questo te lo devo» disse abbassando lo sguardo sulle proprie scarpe, sentendo un principio di lacrime formarsi nei suoi occhi.

Glielo doveva, non importava quanto facesse male.

Chan corrugò le sopracciglia, con espressione dubbiosa.

Ma di cosa stava parlando?

Il minore proseguì, senza guardarlo più in volto.
«Non dirò a nessuno che ci siamo baciati e tu non dovrai vergognartene hyung, te lo prometto».

Un forte fischiò riempì il silenzio che Chan sentiva intorno a sé.

Jeongin pensava che lui si vergognasse dei loro baci?

Scosse il capo. «Ma io non me ne vergogno Jeongin, non me ne vergogno affatto – sussurrò cercando di farlo ragionare, posando entrambe la mani sulle sue spalle sottili – Non mi interessa se si verrà a sapere che ci siamo baciati, tutto ciò che voglio è che tra noi non ci sia questo pesante imbarazzo che percepisco» lo pregò, non riuscendo più ad incontrare i suoi bellissimi occhi.

Gli unici che sembravano attualmente capaci di farlo sentire bene.

Senza di loro – riflessi nei suoi – era piombato nuovamente nel buio della sua disperazione.

Jeongin scosse la testa.

Un sorriso amaro gli piegò le labbra, senza che Chan potesse vederlo

«Non ci sarà nessun imbarazzo, te lo prometto Chan – Infondo, tu non provi niente per me così come io non provo niente per te, è stato solo un bacio».

Non provo niente per te.
È stato solo un bacio.

Non ebbe più bisogno di alcuna risposta.

Tutti i suoi dubbi sparirono, avvertendo quelle parole conficcarsi in profondità nel suo cuore come crudeli e affilati coltelli.

Gli piaceva Jeongin.

Ma i suoi sentimenti, evidentemente non erano ricambiati.

Qualcosa dentro di lui irreparabilmente si ruppe.

Jisung salutò gentilmente alcuni studenti poco lontani da lui, per poi procedere velocemente verso quella che era la sua meta.

Non poteva perdere tempo.

Jeongin gli aveva mandato – pochi minuti prima – un messaggio, chiedendogli di incontrarsi in una classe in disuso del secondo piano.

Una cosa piuttosto inusuale per due amici come loro, che mai prima d'allora era avvenuta.

Motivo per cui Jisung non riusciva ad ignorare la pesante preoccupazione che gli gravava sulle spalle

Era successo qualcosa? Hoseok gli aveva dato noia in qualche modo?
L'avrebbe ucciso nel caso.

Una volta giunto dinanzi alla classe indicata dall'amico, spalancò la porta senza esitare neanche un istante, e ciò che gli si presentò davanti fece raggrinzire dal dispiacere il suo povero cuore.

Jeongin era lì, e non stava bene per niente.

Era seduto scompostamente in una sedia che si trovava sul fondo dell'aula, il volto stanco e umido di lacrime che stava chiaramente versando da molto tempo.

«Jeongin, cosa ci fai qui?» mormorò Jisung con il respiro pesante, non sapendo bene cosa fare o dire.

Non gli era mai capitato di vedere Jeongin in uno stato tanto pietoso; neanche durante gli ultimi angoscianti mesi di liceo.

Il più piccolo tirò un po' su con il naso, passandosi disordinatamente i palmi delle mani sul viso, nel tentativo di asciugarsi le lacrime.

Sentiva le proprie guance umidicce e appiccicose, e questo gli dava terribilmente fastidio.

«Avevo necessità di parlarti Jisung» disse semplicemente, con voce bassa e rauca.

Non voleva neanche sapere in che terribile aspetto si stava mostrando all'amico.
Devo essere uno schifo.

Jisung fece qualche passo in avanti, accostandosi a lui – desiderava stringerselo forte al petto per consolarlo, e solo in un secondo momento sarebbe andato ad uccidere chiunque avesse a che fare con quelle lacrime – ma si bloccò di botto.

Abbassò lo sguardo verso ciò che per poco non aveva accidentalmente calpestato, per poi estendere la visuale su tutto il pavimento che lo divideva dall'amico.

Gli mancò il respiro.

Il pavimento era disseminato di album da disegno, sparsi qui e lì a ricoprire tutta la superficie che si estendeva tra di loro.

Jeongin tirò nuovamente su con il naso, sfregandosi ancora le guance ormai arrossate.

«C'è una cosa di cui ho bisogno di parlarti hyung, e questo mi sembrava onestamente il modo migliore. Non avrei saputo davvero come altro iniziare – si giustificò, alzandosi faticosamente dalla sedia – Aprili, inizia pure da quello che vuoi» lo incoraggiò.

Fece qualche passo nervoso lungo la stanza, aspettando che l'amico seguisse la sua richiesta.

Jisung rimase bloccato per un momento, interdetto dalle parole appena pronunciate dall'amico, per poi chinarsi verso il pavimento ed aprire l'album che si trovava ai suoi piedi.

Ah.

Rimase immobile – come se si fosse tramutato in una statua di ghiaccio – ad osservare il primo foglio che gli si era parato davanti agli occhi.

Sfogliò per un po' l'album, guardando la maggior parte dei disegni che esso conteneva, e poi passò al secondo.
Dopo di quello, al terzo.

In pochi minuti li aveva aperti tutti, ad un certo punto in modo nervoso e sbrigativo, sfogliando con poca delicatezza disegno dopo disegno.

Si lasciò ricadere pesantemente a terra, seduto in modo conserto, osservando gli album aperti dinanzi a lui.

I disegni sparsi un po' ovunque.

Cosa diavolo significa tutto questo? – si domandò, incapace di spiegarsi ciò che si trovava davanti a lui.

Sollevò lo sguardo verso il volto di Jeongin, e la consapevolezza che lesse nei suoi occhi lo lasciò senza fiato.

In quei fogli erano racchiusi schizzi, disegni e dipinti che rappresentavano elementi di tipo diverso.

Occhi caldi e scuri. Labbra rosee e carnose. Un sorriso delimitato da due simpatiche fossette. Un viso tanto virile quanto rassicurante.

Non importava quale parte fosse rappresentata in quei disegni, ogni singolo elemento andava comunque a raffigurare un unico e solo volto: quello di Bang Chan.

«Quando hai iniziato a disegnarlo?» gli domandò Jisung con la bocca asciutta, osservando le centinaia di disegni che si estendevano davanti ai suoi occhi, tutti a rappresentare una parte del viso del maggiore dei randagi.

Rappresentato con una tale cura e minuzia da lasciare senza parole.

Erano davvero una quantità imponente, non poteva aver iniziato a farli solo qualche giorno prima, quando avevano incontrato quel gruppo nello spiazzo.

L'inizio di quei disegni, risaliva a molto tempo prima.

Jeongin confermò subito quei dubbi.

«Quando sono entrato in questa Università come matricola» rispose sinceramente il ragazzino, sentendo finalmente quell'opprimente peso uscire fuori dal suo piccolo corpo.

Dopo più di un anno, finalmente poteva confidarsi con uno dei suoi migliori amici.

«Perché?» domandò Jisung, incapace di comprendere.
Cosa si era perso in tutto quel tempo?

«Perché mi sono innamorato di lui».

La semplicità con cui pronunciò quelle parole, fece schiudere la bocca di Jisung.

Jeongin camminò lentamente intorno ai suoi amati disegni – che Jisung aveva sparso un po' ovunque sul pavimento – per raggiungere l'amico e sedersi al suo fianco.

«Dopo quello che ho vissuto con Hoseok temevo che non sarei più stato capace di fidarmi abbastanza di qualcuno per innamorarmene, ma quando incontrai Chan il mio primo giorno di Università, è stato amore a prima vista per me Jisung – raccontò, sorridendo leggermente verso i propri album. Ricordava sempre con molto affetto quei momenti – Inizialmente pensavo fosse semplicemente un'infatuazione, rivolta ad uno dei ragazzi più fighi dell'Università, ma dopo più di un anno immagino io non possa più considerarla una cottarella, vero?» chiese sarcasticamente.

Non aveva la minima idea di come avesse fatto a mantenere segreti quei sentimenti tanto a lungo, senza che essi arrivassero a logorarlo.

«Un anno – mormorò Jisung, incapace di credere a ciò che le sue orecchie stavano sentendo – Perché in un anno non ne hai mai parlato con noi, con i tuoi amici?» domandò senza giri di parole.

Non era un'accusa, anzi.
La sua voce era calda e morbida, stringeva Jeongin come un tiepido abbraccio.

Il minore poté sentire nuovamente le lacrime salire e spingere sulla palpebre per uscire.

Fece spallucce.

«Diciamo che non ho mai preso questo amore tanto seriamente – ammise, mordendosi il labbro inferiore – Ho sempre saputo di non avere la minima chance con qualcuno come Chan, quindi semplicemente ho fatto finta anche con me stesso che questi sentimenti non esistessero».

Sfiorò quasi con reverenza il disegno che si trovava più vicino a lui, che rappresentava le bellissime labbra del maggiore che gli aveva rubato il cuore.

Quando aveva fatto quel disegno – pensò – di certo non sapeva che sarebbe arrivato seriamente ad assaggiarla quella bocca.

Ingoiò a vuoto.

«Questi disegni sono sempre stati l'unico modo che ho concesso a me stesso per sfogare ciò che sentivo, ciò che provavo per lui. Ho passato notti intere a disegnarlo, fermandomi solo quando il sole dell'alba iniziava a rischiarare il cielo buio» raccontò.

Si voltò ad affrontare l'amico, temendo che l'espressione sul suo viso racchiudesse la rabbia ed il disgusto nei suoi confronti. Ma così non fu.

Sul volto di Jisung era dipinta un'espressione carica di dispiacere, un amore tanto forte per lui da fargli battere il cuore.

«Come hai fatto a portare con te questo fardello, da solo, tanto a lungo?» chiese sentendosi irrimediabilmente in colpa.

Sapeva che era stupido farlo, era stata una scelta di Jeongin quella di tenere per se quei sentimenti senza condividerli con loro, eppure non poteva che chiedersi come avesse fatto a non accorgersene.

Jeongin era stato talmente bravo a fingere.

Jisung lo strinse in un forte abbraccio, posando il volto contro i suoi capelli e respirando forte.

La necessità di proteggerlo e vederlo felice era sempre stata molto forte per lui – soprattutto dopo ciò che era accaduto al liceo – ed in quel momento desiderava come nessun altro al mondo che Jeongin potesse vedersi ricambiare quei sentimenti. Ed essere finalmente felice per una volta.

Jeongin ricambiò l'abbraccio, con tutta la forza che aveva.

«Perché me ne stai parlando ora, dopo tutto questo tempo?» chiese Jisung contro i suoi capelli, accarezzandogli dolcemente la schiena.

Jeongin sospirò.

Sapeva bene che quella domanda sarebbe arrivata.

Jisung non era stupido.

«Perché io e Chan ci siamo baciati» disse, pronunciando finalmente quelle parole a voce alta, davanti a qualcuno che non fosse la sua figura dubbiosa allo specchio.

Sorrise, incapace di trattenersi.

Jisung sussultò a quelle parole.
Quante altre "novità" Jeongin aveva da raccontargli?

Allontanò il ragazzino dal loro abbraccio, per poterlo guardare negli occhi.

«Hai intenzione di raccontarmi la storia a puntate? – domandò facendo scoppiare a ridere l'amico, una risata infantile e gioiosa – Potrebbe venirmi un infarto di questo passo!».

«Sia mai» lo prese in giro il minore, decidendo di mettere fine alla sofferenza dell'amico.

Gli raccontò di getto tutto quello che era successo quel venerdì – come un fiume in piena – iniziando dalla discussione avuta con Hoseok, alla medicazione in infermeria e all'appuntamento che Chan e Jeongin si erano dati per guardare insieme le stelle cadenti.

Si soffermò in particolare su ciò che si erano detti una volta stesi sotto il cielo buio, e tutti baci che poi ne erano seguiti.

Gli raccontò anche dell'incontro di quella stessa mattina, anche se quello faceva ancora male.

Jisung rimase in silenzio per un lungo istante, quando Jeongin finì di raccontare – dopo lunghi minuti in cui si era totalmente perso nel descrivere ciò che era successo.

Il luccichio nei suoi occhi – mentre parlava di Chan – era davvero adorabile, e Jisung non poté evitarsi di sorridere.

«Gli piaci» disse semplicemente, sorprendendo l'altro.

Ai suoi occhi era una cosa talmente palese – anche il fatto che fosse andato a cercarlo quella mattina, per discutere di ciò che era successo tra loro – che si sorprese come il più giovane non ci fosse arrivato da solo.

Quelle parole mandarono Jeongin in un brodo di giuggiole.

«Cosa stai dicendo Jisung? – domandò il ragazzino, tossicchiando in modo nervoso – A Chan piacciono le ragazze, mi ha baciato solo perché gli è dispiaciuto per ciò che gli ho raccontato» disse ripetendo la stessa frase che aveva continuato a ripetersi lui stesso nei giorni precedenti.

Gli ho fatto pena, niente più di questo.

Jisung scosse la testa, tornando ad osservare i disegni dinanzi a loro.

Erano così belli, era certo che il maggiore li avrebbe adorati.
Se solo avesse avuto modo di vederli.

«Sei un ragazzo veramente intelligente Jeongin, comportati da tale – lo rimproverò scuotendo il capo – Se l'avesse fatto solo perché provava pena per te, si sarebbe limitato ad un bacetto a stampo, non a limonarti per tutta la notte» disse schiettamente, facendo arrossire come non mai l'amico.

Il suo stomaco si restrinse dolorosamente, ricordando la passione con cui Chan l'aveva baciato e sfiorato. Se le sentiva ancora addosso quelle mani calde e pesanti, che gli accarezzavano il viso e i fianchi.

Ansimò.

Jisung proseguì il suo discorso: «La tua piccola testa confusa cerca di convincerti del contrario, solo perché dopo un lungo anno in cui ti sei strenuamente persuaso del fatto che non potesse ricambiarti, adesso ti sembra impossibile da credere che lui effettivamente possa farlo».

Jeongin abbassò il capo, sospirando.

«Potrebbero esserci mille motivi dietro i suoi atteggiamenti, ma sicuramente non c'è amore, di questo sono certo Jisung».

Il maggiore sospirò, stringendolo nuovamente in un caldo abbraccio a facendo cadere il discorso.

Non sapeva chi dei due avesse ragione o torto, ma gli sarebbe davvero piaciuto vedere per una volta Jeongin felice.

Chan poteva essere per lui la scelta giusta? Non lo sapeva.

Tutto ciò che sapeva era che tra loro non sarebbe sicuramente finita con la chiacchierata avuta quella mattina, di quello era davvero certo.

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Se vi può far piacere, seguitemi sul mio account ig "quokkaa.lien" dove parlo degli Stray Kids e condivido tante news sulle mie storie su wattpad e anche qualche piccolo spoiler sulle future che ho intenzione di pubblicare.

Lascia una stellina e un commento se ti è piaciuto il capitolo, in modo che la storia possa crescere e arrivare ad altrx STAYS che potrebbero apprezzarla.
Grazie per l'attenzione,
TheyIdiot.

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