O t t o

«Penso di aver bisogno di più tempo per metabolizzare le tue parole» disse con voce drammatica Seungmin, pizzicandosi il ponte del naso con pollice ed indice, in segno di concentrazione.

Felix sbuffò, alzando gli occhi al soffitto della sua nuova e triste stanza vuota.

Subito dopo aver accompagnato Changbin alla porta di casa – e aver osservato attraverso le tende tirate, la sua auto che si allontanava lentamente, era subito corso – si fa per dire – in camera per fare una videochiamata con i suoi migliori amici.

Quando l'aveva fatta partire, di base disturbandoli durante le loro attività serali, non sapeva bene cosa raccontare loro – era stato tutto così improvviso e sentito – ma col passare dei minuti gli era uscito tutto dalle labbra come una valanga inattesa.

Aveva raccontato loro ogni singolo istante, ogni singolo pensiero e sensazione.

Non era per niente sorpreso delle espressioni sui loro volti.

«Non ci vedo davvero niente di strano – sussurrò Jisung, tenendo il mento posato contro le sue ginocchia raccolte al petto – Anzi, riteniamo una fortuna che abbia dei sensi così sviluppati, sennò saresti caduto e con la tua fortuna ti saresti rotto anche l'altra caviglia» disse onestamente facendo ridacchiare Jeongin, che stava dipingendo su una tela, ignorandoli quasi totalmente. Quasi.

Seungmin prese in modo poco aggraziato il telefono dal suo supporto, avvicinandoselo eccessivamente al volto.

Tutto ciò che gli amici riuscivano a vedere di lui, era il naso e un occhio.

«Pensi davvero che io sia sconvolto solo perché si stavano per baciare accidentalmente? - domandò con un tono leggermente più acuto – Sono sconvolto perché ce l'aveva in camera sua a petto nudo, e l'ha invitato a mettersi la maglia, ti sembra normale?» disse scuotendo la testa e mettendo nuovamente il telefono al suo posto.

Felix sgranò gli occhi.
«Cosa pensi avrei dovuto fare con lui così? - domandò – Lo odio, mi ha rotto la caviglia, di certo l'ultima cosa a cui sto pensando è farm- ».

«Penso che chiuderò la chiamata» sussurrò Jeongin a disagio, capendo subito su quali argomenti stava virando la discussione.

Erano parte integrante delle sue giornate e della sua famiglia, ed era abituato a quel tipo di discorsi, ma nella camera accanto cera sua madre – che già di suo lo considerava ancora un bambino nonostante i quasi vent'anni – voleva evitare che gli attivasse nel telefono il parental control.

«Piantala Seungmin» disse Jisung sbadigliando.

Il giovane australiano posò le braccia all'indietro lungo il letto, tenendosi in equilibrio, osservando la luce fiocca del lampadario che si rifletteva lungo il soffitto.

«Come vi ho raccontato ha intenzione di tornare domani sera per aiutarmi a sistemare la stanza, e prima di andare via mi ha anche informato che domattina passerà a prendermi per andare a scuola, vista la mia attuale impossibilità a raggiungere la fermata del bus – mormorò – Non so davvero come comportarmi, vorrei tenerlo lontano dalla mia vita, ma è come se sapessi già in partenza che non me lo permetterà».

Jisung sorrise dolcemente, sentendo quelle parole. «Lixie, se ti fa sentire tanto male e a disagio averlo intorno, devi solo dircelo, ti prometto che gli parlerò io e ti assicuro che ti starà lontano».

«Secondo me dovresti lasciarglielo fare» disse con tranquillità Jeongin, attirando su di sé gli sguardi sorpresi degli altri.

Aveva a malapena parlato, dall'inizio di quella videochiamata.

«Ti ha rotto una caviglia solo per fare l'idiota con i suoi amici, ti sta davvero bene che ne esca così pulito? - domandò seriamente, voltandosi e guardando il volto dell'amico attraverso lo schermo del suo laptop – Anche se ti fa sentire un poco a disagio, sforzati e approfittane, fai in modo che paghi e si sdebiti un minimo per ciò che ti ha fatto – proseguì – Fatti portare e prendere da scuola, fatti aiutare con i libri tra una lezione e l'altra e fai in modo che dimostri con azioni concrete ciò che ha detto, se davvero è disposto a fare qualsiasi cosa per farsi perdonare da te, che lo faccia!».

I tre maggiori rimasero ad osservarlo come se davanti avessero uno sconosciuto, mentre Jeongin tornò alla propria tela come se niente fosse.

«Sapevo che cera una parte oscura dentro di te, sono così orgoglioso» urlò Seungmin battendo le mani.

Jisung sorrise. «Jeongin non ha tutti i torti, potrebbe essere un buon modo per fargliela pagare, e la maggior parte del tempo sareste dentro la scuola dove non potrebbe mai farti del male, Felix».

Felix annuì, notando che in fin dei conti avevano ragione.

Non avrebbe potuto fargli nuovamente del male, ma cosa avrebbe fatto se si fosse trovato nuovamente così tanto vicino a lui come la sera precedente?

Sentendo direttamente a contatto con il proprio corpo, la solidità e calore del suo petto, il suo profumo, e le sue braccia forti allacciate intorno ai suoi fianchi; come avrebbe fatto con le sue labbra carnose e schiuse a pochi centimetri dalle sue.

Come avrebbe fatto a gestire quelle emozioni così intense che – miste al rancore e all'odio – l'avevano investito come un fiume in piena?

Si era sentito quasi soffocare, schiacciato tra il risentimento per ciò che il maggiore aveva fatto e l'attrazione fisica che sembrava spingerlo verso Changbin come se fosse un magnete.

Respirò profondamente, chiudendo un poco gli occhi.

Sentiva di essere già di suo un grosso peso per i suoi amici, fin troppo preoccupati per lui e per la sua salute fisica; non se la sentì – in quel frangente – di condividere con loro quei pensieri, e lasciare che si preoccupassero anche di quell'aspetto della situazione.

Spettava a lui combattere, a quel punto.
Dimostrare a se stesso che – per una volta – non si sarebbe innamorato.

Non si sarebbe innamorato – per la seconda volta – del suo carnefice.

«Terminata la video conferenza?» domandò con voce calda ed ironica Minho, facendo capolino nella porta della camera da letto di Jisung.

Jisung lo guardò di sbieco, facendogli però segno di raggiungerlo nuovamente a letto.

Quella era una serata che avevano deciso di passare per conto loro, e Jisung si era sentito mortificato nel doverlo cacciare dalla propria camera per parlare con gli amici, ma quello era il rapporto che in fin dei conti avevano scelto entrambi.

Minho si stese nuovamente al suo fianco – riprendendo la stessa esatta posizione che aveva, quando era arrivata la chiamata di Felix – con un braccio piegato a reggere la sua testa, e l'altra mano ad accarezzare i capelli del minore.

Osservò il bellissimo volto di Jisung, che con occhi chiusi si godeva le sue carezze.
Si chinò su di lui, baciandogli una tempia con delicatezza.

Sembrava ancora rilassato e tranquillo così come lo era poco prima che lui uscisse dalla camera – per lasciarlo in chiamata con i suoi migliori amici – quindi ipotizzò, Changbin non avesse peggiorato la situazione già di per sé grave.

«Changbin si è comportato bene?» mormorò contro la sua pelle, sentendo Jisung accucciarsi un po' di più contro il suo petto.
Il minore annuì.

«È rimasto ore seduto sotto la pioggia, aspettando che Felix gli aprisse la porta per chiedergli scusa – disse respirando profondamente il profumo rassicurante di Minho – In parte è stata una cosa davvero stupida, perché probabilmente domani starà malissimo, ma io la trovo una grossa dimostrazione di serietà; voleva scusarsi con lui e ha fatto di tutto per riuscirci» disse accennando un sorriso.

Minho sgranò gli occhi a quelle parole.

Non aveva mai visto Changbin – da quando lo conosceva – fare qualcosa di simile per qualcuno; doveva essersi seriamente pentito di ciò che aveva fatto.
Oppure... - cacciò prepotentemente quel pensiero dalla sua mente.

«Me lo segnerò – scherzò il maggiore, posando un altro bacio sulla pelle del minore – Nel caso in cui dovessimo mai litigare».

Jisung sorrise, voltandosi verso il maggiore per guardarlo negli occhi.
Le loro labbra a pochi centimetri.

Jisung sapeva bene cosa Felix aveva provato, trovandosi così vicino a Changbin; l'aveva letto nei suoi occhi mentre lo raccontava.

Era esattamente tutto ciò che Jisung provava quando era così vicino a Minho.

Il cuore che palpitava impazzito, la mente totalmente annebbiata dal profumo e dal calore del corpo dell'altro, la profondità di quegli occhi ormai familiari che si fondevano ai suoi, ed un solo innegabile pensiero: avvicinati e bacialo.

«Noi non litigheremo mai – disse Jisung, con una sicurezza tale da stupire Minho – E in aggiunta, non ti permetterei mai di prenderti un malanno solo per far pace con me, non valgo così tanto» ridacchiò, posando una mano sul retro del collo del maggiore, accarezzando con dita leggere quel punto in cui i capelli erano più corti.

Minho lasciò scivolare in modo languido gli occhi sulle sue labbra, per poi posare la fronte contro la sua e riportare gli occhi dentro i suoi.

Gli occhi di Jisung erano stati la prima debolezza per lui.
Quando l'aveva guardato per la prima volta, immergendoli nei suoi, si era sentito come se tutto ciò che aveva fatto nella sua vita, fosse stato fatto per portarlo a quel momento.
A quell'incontro. A quegli occhi.

«Tu sei tutto per me, Jisung» disse, senza esitazione alcuna.

Il cuore di Jisung perse un battito, ma non distolse nemmeno per un attimo gli occhi da quelli del maggiore.

Minho diceva spesso cose come quella, quando erano insieme, ma lui non era mai riuscito ad abituarsi a sentirgliele dire.
Il cuore riprese a battere più forte.

«Tu lo sei per me, lo sai» disse semplicemente, sentendo il viso riscaldarsi.

Non era in imbarazzo, ormai l'imbarazzo per loro era qualcosa di superato da tempo, ma era così bello e piacevole sentirgli dire certe cose.

Lo faceva sentire bene, voluto e amato, come mai nessuno era riuscito a farlo sentire.

Lo so piccolo – pensò, posando finalmente le labbra contro quelle del minore, dandogli il bacio che ormai da svariati minuti lo stava pregando – con gli occhi – di dargli.

Baciare Jisung era come stare nel punto più alto delle montagne russe; quel punto in cui la giostra si blocca e tu stai lì, con i piedi a penzoloni, il fiato sospeso e lo stomaco sotto sopra, che aspetti la ripida ed improvvisa discesa.
Era così che lo faceva sentire.

Sull'orlo di un precipizio, in cui la possibilità di farsi male era in realtà molto più alta, di quella delle montagne russe.

Lo baciò lentamente, inclinando il capo e circondandogli i fianchi con le braccia, per portarselo più vicino.

Infilò le dita tra i suoi capelli soffici, facendosi scorrere le ciocche tra le dita, mentre Jisung gli portava le braccia intorno al collo succhiandogli il labbro inferiore, con un suono secco e bagnato.

«Le tue labbra, hanno sempre un sapore buonissimo» gli sussurrò Minho contro la bocca calda, ascoltando il debole ansimo che Jisung si lasciò sfuggire.

Sorrise, amava fargli quell'effetto.

Gli posò una mano contro la guancia soffice, baciandolo con più decisione e lasciando che le loro lingue si intrecciassero senza malizia.

Jisung sentì il vuoto dentro il proprio stomaco e i brividi che gli scorrevano lungo la schiena.

Minho era quel brivido che aveva cercato in lungo e largo per tanto tempo.

Minho era l'unico che lo faceva sentire vivo, in quel modo così semplice.

Quando si separarono, non servirono parole.
Gli bastò guardarsi.

Jisung posò il capo contro il corpo caldo del maggiore.

Avrebbe voluto dire ancora tante cose in merito a Felix, Changbin e a tutto ciò che era nato da quella sera, ma decise di stare in silenzio.

Per il suo bene e soprattutto per il bene di Felix, decise di tenere saldamente per sé la nuova – e forse peggiore – preoccupazione che era affiorata al centro del suo petto durante la chiamata.

Non gli sarebbe mai potuto sfuggire quel luccichio negli occhi di Felix.

Luccichio che aveva visto l'ultima volta giusto qualche anno indietro nel tempo, l'ultima estate che Felix aveva passato in vacanza con loro in Corea, prima del suo ufficiale trasferimento il gennaio seguente.

Quel luccichio – potenzialmente – poteva essere un guaio ben più grosso di una caviglia rotta, ma Jisung decise di eclissare quella preoccupazione, almeno per quella sera, voleva lasciarsi dietro le preoccupazioni delle precedenti ore e perdersi tra le braccia di Minho.

Jiyun osservò Jisung e Minho con occhi socchiusi, stringendo in modo minaccioso le braccia contro il petto.

Era piccola e con un viso molto gentile, ma sapeva comunque come incutere timore, da brava mamma coreana ma soprattutto avvocatessa di successo.

«Mi fate sentire così inutile voi due, siete sempre perfettamente pronti ed in orario per le lezioni quando arriviamo al mattino – si lamentò, come se fosse una ragazzina – Non mi date neanche modo di farvi la colazione» aggiunse mettendo un leggero broncio.

Assomigliava talmente tanto a suo figlio in quei momenti, che il cuore di Minho non poteva far a meno di ammorbidirsi.

Le si avvicinò con modo affabile, sorridendole come sapeva che lei adorava tanto.

«Ti prometto noona che torno domenica mattina, e facciamo colazione solo noi due» le disse scherzosamente facendole un occhiolino, abbracciandola di slancio.

Lei scoppiò a ridere.

Jisung spalancò la bocca. «Ed io?» chiese, indicandosi ironicamente con il dito.

«Mi sa che noi due non siamo invitati, figliolo» disse suo padre, guardando Minho e sua moglie occupati in una simpatica lotta.

Jiyun spintonò gentilmente il più giovane, sorridendogli.

«Se domenica non ti presenti davanti a casa mia per fare colazione tutti insieme, sappi che saprò dove venire a cercarti Lee Minho – lo minacciò puntandogli contro un dito – Non si scherza con una donna ormai di mezz'età, chiaro?».

Minho le sorrise, annuendo.

Non si sarebbe mai sognato di non mantenere una promessa fatta alla sua seconda madre.

Quando diceva che quella di Jisung era ormai per lui "casa" non scherzava affatto; lo era sul serio, così come la sua famiglia.

I genitori di Jisung si erano ormai abituati alla sua presenza in casa, e pur non conoscendo con esattezza quale fosse il rapporto tra i due ragazzi – ma senz'altro immaginandolo –, erano ben lieti di trovarlo a casa loro.

Mancavano praticamente tutta la settimana – dal lunedì al venerdì – rimanendo a dormire per comodità nell'appartamento che avevano acquistato proprio accanto al loro ufficio legale, e sapere Jisung da solo per tutto quel tempo li aveva sempre preoccupati.

Da quando però era entrato Minho nella vita del loro bambino, quella preoccupazione era come evaporata, sapendo quanto tempo Minho trascorreva lì con lui a fargli compagnia.

In aggiunta lo vedevano come un ragazzo gentile, dolce e beneducato – l'unico capace di far sorridere Jisung, così come faceva negli ultimi tempi.

E per un genitore non c'è niente di più importante.

«Se avete finito, direi che è giunto per noi il momento di andare» disse Jisung facendo una linguaccia in direzione di Minho, per poi avvinarsi a Jiyun e scoccarle un bacio sulla fronte.

Amava con tutto se stesso quella donna.

«La mia ultima lezione terminerà alle sedici, per allora voglio trovarvi a casa a riposare, chiaro? - disse guardando minacciosamente entrambi i genitori – Avrete lavorato come dei pazzi tutta la settimana, facendo le ore piccole in ufficio, non è così?» li sgridò.

Minho sorrise, abbassando lo sguardo.

Adorava il rapporto che Jisung aveva con i suoi genitori, e sapeva bene quanto si preoccupava per la loro salute fisica e mentale – a causa del lavoro.

Jiyun si voltò verso il marito.

«Ti avevo detto di controllare bene l'ufficio, ci metteresti la mano sul fuoco che è riuscito a metterci dentro delle telecamere per sorvegliarci?» gli chiese, facendolo ridere.

Jisung mise il broncio.

«Sono solo preoccupato per voi, ingrata – disse alla madre – Vorrei solo che vi prendeste un po' più cura di voi stessi».

La donna gli rivolse uno sguardo carico di affetto, circondandogli il volto con le mani sottili.

«Lo so 'sungie, ma non dimenticarti che io e papà stiamo insieme e ci prendiamo sempre cura l'uno dell'altra, così come fate tu e Minho» sussurrò, mentre il marito annuiva al suo fianco.

Il figlio sorrise.

«Bacio» le disse dolcemente Jisung, allungandosi verso di lei e arricciando le labbra, chiedendole un piccolo bacio sulla bocca.

Era la sua mamma, ed era una cosa che avevano sempre fatto; non se n'era mai vergognato, neanche davanti a Minho.

Jiyun scosse la testa improvvisamente.
«Non ci penso minimamente – disse lei, avvicinandosi per baciargli affettuosamente una guancia – Dio solo sa cosa hai fatto stanotte con quella bocca» lo prese in giro.

Il silenzio che cadde nella stanza fu quasi soffocante, finché non fu proprio la donna a scoppiare a ridere, vedendo le facce del marito e dei due ragazzi.

Minho era arrossito così intensamente che per un istante aveva pensato che sarebbe svenuto da un momento all'altro, per l'eccessivo afflusso di sangue al cervello.

Doveva aspettarselo – anche se lo faceva sempre a tradimento, quando tutti avevano ormai abbassato la guardia – Jiyun era tipica fare battute di quel tipo, ai due più giovani.

«Hai una boccaccia così brutta, per essere una donna così piccola e carina» la prese in giro il figlio, allontanandosi da lei.

Jiyun gli fece un piccolo occhiolino. «Può darsi, ma visto che non hai negato, suppongo che questa boccaccia non si sia sbagliata di molto».

«Non ricordi più come si apre?».

Furono queste le prime parole che Felix sentì quella mattina, pronunciate proprio da sua zia Hayoon.
Arrossì.

La giovane donna osservava suo nipote fermo davanti alla porta da ormai dieci minuti, senza fare il minimo accenno ad uscire, mentre lei intanto sorseggiava una tisana.

Era tornata solo un'ora prima da lavoro, e desiderava ardentemente andare a riposare, ma quello era senz'altro uno spettacolo che non poteva lasciarsi sfuggire.

Prendere in giro – bonariamente, sia chiaro – il nipote, era la sua attività preferita fin da quando era nato, e lei era solo una ragazzina.

Essendo talmente giovane, ed avendo così pochi anni di differenza da lui, era sempre stata più come una sorella maggiore per Felix piuttosto che una zia.

Il minore chiuse gli occhi, godendosi per un istante il buio delle palpebre e precludendosi la vista della porta.
Si sentiva un vero idiota, e probabilmente Hayoon faceva bene a prendersi gioco di lui.

Era relativamente presto, ma ciò non cambiava il fatto che Changbin era lì fuori ad aspettarlo da almeno mezz'ora, e lui lo stava facendo aspettare ulteriormente non riuscendo a trovare il coraggio per uscire.

«È la prima volta che ti vedo in queste condizioni per un ragazzo – proseguì la donna, accostandosi alla finestra e osservando attraverso le tende – Non che ti possa biasimare, quello è palesemente un cento e lode, con aggiunta di bacio accademico» disse studiando la figura di Changbin, in attesa all'esterno dell'abitazione.

Felix spalancò occhi e bocca.
«Non posso credere al fatto che tu abbia appena fatto un simile commento su un ragazzo così tanto più giovane di te» disse, riservandole un'occhiataccia
Non che non potesse capirla.

Lei sollevò le mani al soffitto, in segno di resa, la tazza saldamente stretta in una di esse.

«Non potrei mai farmi coinvolgere da un tuo coetaneo, dovresti saperlo bene, però non scordarti che abbiamo tutti gli occhi per guardare – disse – E soprattutto un cervello per valutare, e io sto valutando in questo momento che ti stai comportando da idiota» disse senza mezzi termini, indicandolo e accennando un sorrisetto sghembo.

«Se fossi stata al tuo posto gli sarei saltata addosso ieri sera, nel momento esatto in cui avrei aperto la porta per farlo entrare – proseguì – Sai quanto è raro trovare un ragazzo che ti aspetta sotto la pioggia? È talmente raro che l'ho visto accadere solo nei drama, almeno fino a ieri sera» ammise, guardandolo con occhi grandi e luccicanti.

Inizialmente – quando aveva ricevuto quella chiamata da parte della loro vicina – si era sentita furiosa per la situazione, ma con il passare dei minuti, si era trovata a fremere per l'impazienza di tornare a casa e chiedere a Felix tutto riguardo quel misterioso ragazzo.

Felix abbassò il capo.

Lei chiaramente non sapeva qual era la realtà dietro quel gesto, e ormai non poteva neanche più raccontargliela.

Se solo avesse saputo come si era rotto realmente la caviglia, sarebbe impazzita, e ancor peggiore sarebbe stata la reazione di sua madre.
Probabilmente avrebbe preso il primo aereo dall'Australia per uccidere Changbin. 

«Parlare con te e parlare con Seungmin, è come aver a che fare con la stessa persona» disse Felix, tentando di allontanare bruscamente dalla sua mente, il ricordo del petto muscoloso del maggiore.

Aveva intelligentemente precluso quei dettagli dal racconto che aveva fornito ad Hayoon; non serviva altro carburante alla mente già di suo perversa di quella donna.

Lei sorrise, appoggiando la spalla allo stipite della porta d'ingresso.

«Ecco perché adoro così tanto Seungmin».
«Immagino, siete due disagiati» la prese in giro Felix, tornando ad osservare la porta e prendendo un respiro profondo.
Era pronto? Neanche un po'.

La donna tossicchiò leggermente, grattandosi una guancia con le unghie rosso fuoco.

«Come hai detto che si chiama?» gli domandò, con sguardo brillante.
Felix corrucciò le sopracciglia, osservandola in modo preoccupato.

«Si chiama Changbin, perché?».
«Spero mi perdonerai, cucciolo» gli disse prima di premere la mano sulla maniglia e spalancare la porta davanti a lui.

Felix non ebbe neanche modo di gemere per il terrore, prima di trovarsi faccia a faccia con il ragazzo che aveva affollato i suoi sogni ed incubi nelle precedenti ore.

Se ne stava lì – appoggiato alla sua auto scura, con le braccia incrociate al petto – come se fosse appena uscito dalle pagine di un libro per ragazzine.

Con la sua aria da cattivo ragazzo, e quell'espressione perennemente disinteressata ma così tanto sexy per il minore. 

Sollevò lo sguardo sulla figura di Felix, e cercò subito i suoi occhi, accennando una piccola smorfia all'angolo delle labbra, che Felix immaginò essere un sorriso.

Sto per svenire – pensò il giovane australiano, sentendo un calore anormale concentrarsi al centro del suo petto.

«Buongiorno Changbin – lo salutò in modo entusiasta Hayoon, scuotendo una mano in sua direzione – Sono la zia di Felix, grazie per accompagnarlo a scuola, sei un tesoro» gli disse chinando il capo, e sorridendogli in modo davvero adorabile.

Con l'occhio clinico – che solo una donna può avere, in certe occasioni – si rese conto di quanto quel ragazzo fosse l'esatto opposto di suo nipote, nell'aspetto così come – per quel poco che poteva vedere – nei modi. 

Sentiva lo sguardo del nipote addosso, caldo e doloroso come un tizzone ardente.

Tutto poteva aspettarsi Changbin da quella mattinata, fuorché quello di essere accolto – in modo così caloroso poi – dalla zia di Felix in persona.

Chiaramente quella donna non aveva idea che fosse proprio lui il motivo per il quale Felix aveva le stampelle; in caso contrario, probabilmente non sarebbe stata così carina nei suoi confronti.

Quello lo fece sentire molto peggio.

«Non mi costa nulla, è un piacere» le rispose cordialmente, chinando rispettosamente il capo in sua direzione.

Felix sbuffò, decretando quella giornata rovinata a partire da quei pochi minuti di scena patetica tra sua zia e il suo bullo, scendendo le scale con espressione rabbuiata.

Sei carino, anche con quella faccina furiosa – pensò Changbin sorridendogli, anche se Felix non lo stava guardando – più occupato ad osservare dove metteva i piedi, e le stampelle – per poi infilarsi la mascherina sul volto e raggiungere il giovane australiano.

«Sono qui» gli sussurrò, una volta al suo fianco.
Gli mancò il fiato quando Felix sollevò gli occhi su di lui.

Sempre così caldi e avvolgenti.

Hayoon li osservò mentre si incamminavano lentamente verso la macchina, e augurando ad entrambi una buona giornata scolastica, tornò in casa.

«Devi scusarla – disse Felix, leggermente in imbarazzo – Prendersi gioco di me è per lei un lavoro a tempo pieno, non si sarebbe mai lasciata sfuggire questa occasione» ridacchiò, sollevando lo sguardo sul maggiore.

I suoi occhi erano già su di lui.

«Non devi scusarti, è stata semplicemente molto gentile – disse il maggiore, aprendo la portiera dal lato del passeggero – Mi dispiace solamente che lo sia stata, perché non conosce la verità» mormorò osservando il minore.

Rimasero ad osservarsi per un istante di troppo, schiacciati tra l'auto e la portiera aperta.

Felix abbassò lo sguardo e mormorò: «Se avessi raccontato loro la verità, avresti passato parecchi guai, ma ti assicuro che colui a pagarne il prezzo più caro sarei stato io».

Non aggiunse altro, lasciando Changbin con il magone allo stomaco per la curiosità.

Non sapeva ormai spiegarsi neanche lui quell'insano bisogno di sapere tutto sul conto del minore.

A tratti, avrebbe desiderato tanto entrare tra i suoi pensieri, doveva essere tutto così interessante là dentro.

Si accostò al minore, aiutandolo nel tentativo di sedersi ma...

«Aspetta – sussurrò improvvisamente Felix, bloccandosi di scatto e rischiando di dare una testata al maggiore – Come mai non indossi l'uniforme, e perché hai una mascherina?» gli domandò, osservandolo meglio.

Talmente occupato a vergognarsi, per l'atteggiamento di sua zia, si era lasciato sfuggire i dettagli.

Il volto arrossato e gli occhi lucidi di Changbin.
Il maggiore si grattò il capo, in imbarazzo.

Sapeva che prima o poi l'assenza dell'uniforme avrebbe attirato l'attenzione del più piccolo.

«Immagino di aver preso troppo freddo ieri sera, mi sono svegliato con la febbre alta stamattina – osservando l'espressione basita di Felix, ci tenne ad aggiungere – Ma non eccessivamente alta, sono in grado di guidare, devi stare tranquillo».

Felix gli tirò uno schiaffetto proprio al centro del petto, senza pensare alle sue azioni.

«E perché diavolo sei qui? - gli chiese con espressione furiosa – Non temo tu possa fare un incidente con me in auto, ma dovevi stare a casa a prenderti cura di te stesso, io avrei trovato una soluzione, dovevi stare al caldo e riposarti» lo sgridò duramente, con occhi fiammeggianti e sopracciglia aggrottate.

Non è possibile – pensò il maggiore, sentendo il proprio cuore battere contro il petto, come mai prima l'aveva sentito fare.

A tratti sentiva quasi le gambe cedere sotto il suo peso.

Sollevò un braccio posandolo sul tettuccio dell'auto, per poi intrecciare le dita ai capelli lunghi e biondi di Felix, e con una gentile pressione sulla sua nuca, accostò i loro volti.

Le loro labbra nuovamente vicine, a distanza di così poche ore. 

I suoi capelli sono davvero soffici come sembrano.

Con l'altra mano, si scese la mascherina, lasciando che il minore guardasse la sua bocca.

Felix tremò di aspettativa ed impazienza, non capendo cosa stesse succedendo.

Non si era mai ritrovato in una situazione simile con un ragazzo, ma in quel momento seppe con certezza una cosa: lo voleva, lo voleva da morire.

Il bagliore minaccioso nel profondo di quegli occhi neri, lo eccitò al punto tale da farlo ansimare ad alta voce.

«Ti ho fatto del male due notti fa, eppure sei qui che ti preoccupi per il mio raffreddore, lamentandoti del fatto che non sono rimasto nel caldo del mio letto – sussurrò con gli occhi puntati sulle sue labbra screpolate e tremanti, lasciandosi scorrere i capelli lungo la mano, intrecciandoli distrattamente con le dita – Sei buono e gentile in un modo insano, e questa cosa mi farà impazzire» disse, sollevando gli occhi nei suoi.

Erano ormai due pozze liquide di desideri e richieste, e Changbin dovette stringere con forza la carrozzeria dell'auto per non cedere e accontentarlo.
Prese un respiro profondo.

«Siediti Felix, e andiamo a lezione» disse con voce profonda e autoritaria.

Quella non era una richiesta ma bensì un ordine, e Felix lo seguì come un automa, sedendosi lentamente e con gambe molli.
Sapevo sarebbe finita così.

Changbin fece lentamente il giro della vettura, sistemandosi nuovamente la mascherina sul viso, e pregando mentalmente per calmarsi.

Aveva già superato abbondantemente il limite, non poteva superarlo di nuovo.

Salì in auto in silenzio – nonostante il desiderio di non far calare il disagio tra loro fosse molto forte – e una volta avviato il motore, partì.

Gli sfuggì un piccolo colpo di tosse, e gli occhi di Felix furono subito su di lui.

«Hai intenzione di venire anche a prendermi?» domandò con voce sottile, quasi timorosa, e Changbin sorrise; tanto il minore non poteva vederlo.

«Certo che sì, ho tutto il tempo per riposare e stare al caldo fino a quando verrò a prenderti – rispose semplicemente, prendendolo un po' in giro – A proposito, a che ora finisci?».

Felix sentì a malapena quelle parole, troppo concentrato ad osservare il modo in cui le mani grandi di Changbin si stringevano intorno al volante, e come scorrevano su di esso quando svoltava.

Chissà come sarebbero state, affondate sulla pelle delle sue cosce.

«Finisco alle sedici» disse in trance, spostando nuovamente lo sguardo sulla strada.
C'era davvero caldo in quella vettura.

Per fortuna le sue pene gli parvero scomparire – almeno, per quella prima parte della giornata – quando Changbin parcheggiò l'auto nel primo posto disponibile, proprio accanto al cancello d'ingresso.

Era presto, quindi gli studenti che affollavano i parcheggi erano ancora pochi, ma senz'altro non mancava la figura di Jisung.

Li osservava appoggiato alla colonna, in attesa come un gargoyle di pietra.

«Ci vediamo più tardi» disse affrettatamente Felix, slacciandosi la cintura e recuperando le stampelle che aveva appoggiato lateralmente.

Non vedeva l'ora di uscire da lì e allontanarsi al maggiore.
Changbin annuì, augurandogli buona giornata.

Jisung fu subito al suo fianco per aiutarlo, e dopo aver salutato il maggiore, lo osservarono allontanarsi lentamente ed uscire dal parcheggio.

Quando gli occhi di Felix incrociarono quelli dell'amico, Jisung scosse la testa senza aver bisogno di dire nulla; era troppo tardi.

Il luccichio della sera precedente, era ormai diventato un fuoco indomabile.

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8

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Grazie per l'attenzione,
TheyIdiot.

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