D u e
Nell'abitacolo dell'automobile di Minho regnava il più assoluto silenzio, non uno di quei silenzi imbarazzanti, piuttosto di quelli rilassanti, provocati dallo scorrere libero e continuo dei pensieri.
Felix era seduto nel posto del passeggero, accanto a Minho – dato il bisogno di più spazio per poter distendere comodamente la caviglia ferita – e ogni tanto forniva le informazioni necessarie per raggiungere casa sua.
Jisung era nei sedili posteriori – proprio dietro il guidatore – e osservava dal finestrino il paesaggio che scorreva, continuando a riflettere sugli avvenimenti di quella notte.
Seungmin e Jeongin erano stati i primi ad essere portati a casa – essendo i più giovani – e Jisung si era assicurato di accompagnali fino al ciglio della porta, chiedendo loro se si sentissero bene.
Jeongin aveva annuito in silenzio, accennando un sorriso, ma era palese agli occhi di chiunque quanto la sua mente fosse totalmente altrove, assorbita da chissà quali pensieri che riteneva difficili da esprimere.
Solitamente era per lui semplice parlare con Jisung di qualsiasi cosa, ma quella notte scelse di tenere per sé i sentimenti confusi che affollavano i suoi pensieri.
Seungmin invece aveva posato la schiena contro la robusta porta di casa sua, osservando intensamente Jisung e sembrando per un istante molto più maturo della sua effettiva età.
Aveva contratto leggermente la mascella, per poi distogliere lo sguardo puntandolo verso il buio che avvolgeva il suo quartiere.
«So che ha messo gli occhi su di me adesso – aveva sussurrato con voce tagliente – Aiutami a tenerlo alla larga, non sarò una delle sue tante bambole con cui si diverte a giocare e che poi butta quando sono ormai troppo spezzate».
L'amarezza nella sua voce era talmente soffocante da provocare in Jisung la pelle d'oca.
Sarebbe stato capace di fare qualsiasi cosa pur di proteggere i suoi amici, erano l'unica vera famiglia che lui avesse – a differenza dei suoi genitori, che pur amandolo follemente erano sempre assenti e concentrati sulla loro carriera.
«È quella con il staccionata in ferro battuto – disse improvvisamente Felix, indicando casa sua – Accosta pure lì».
Minho annuì seguendo le indicazioni che gli erano state fornite e fermandosi proprio davanti alla casa indicata, in modo che l'australiano non dovesse fare troppa strada a piedi.
Com'era prevedibile, le case di quei ragazzi erano tutte costose e fuori dal comune, trasudavano soldi, potere e rispetto – proprio come la maggior parte delle case in quei quartieri.
Jisung fu il primo a scendere dall'auto – riempiendosi i polmoni con l'aria gelida della notte – seguito a ruota da Minho, ed insieme si accostarono per aprire la portiera a Felix, aiutandolo ad uscire.
Con naturalezza Minho si passò una delle braccia di Felix intorno al collo, per aiutarlo a raggiungere un minimo in autonomia la porta di casa.
Il rossore che aveva scorto prima – quando l'aveva preso in braccio per portarlo alla macchina – gli aveva suggerito quanto quel gesto avesse provocato del disagio nel ragazzo australiano, ed era l'ultima cosa che il maggiore desiderava.
«Lix, dove sono le chiavi dell'ingresso?» gli domandò Jisung, desideroso di fare il tutto il più velocemente possibile per tornare subito a casa, lasciando Felix al sicuro dentro la sua abitazione.
Minho ovviamente non era un pericolo, ma Jisung stava provando una sensazione d'ansia crescente, sempre più pesante al centro del suo petto, probabilmente dovuta agli episodi avvenuti poco prima; era chiaramente uno shock che si stava manifestando in ritardo.
Felix annuì con espressione sofferente e stanca, infilandosi una mano in tasca e tirando fuori ciò che l'amico gli aveva chiesto: le chiavi.
Per fortuna non erano saltate fuori durante il suo impatto con il terreno – successivamente al suo incidente con la bici – altrimenti si sarebbe ritrovato con una caviglia dolorante e pure chiuso fuori casa.
Quando Jisung vide il piccolo mazzo di chiavi nella mano del proprio amico, rilasciò un respiro rilassato, allungando la mano per recuperarlo e aprire la porta; ma Minho fece esattamente lo stesso.
Le loro dita si strinsero in contemporanea intorno alle chiavi – le une sulle altre – e una piccola scossa di elettricità trapassò il corpo di entrambi, lasciando dietro di sé solo brividi e pelle d'oca.
I loro occhi si incrociarono, specchiandosi gli uni dentro gli altri, e le guance di Jisung iniziarono ad arrossire per l'imbarazzo del momento; la mano di Minho era davvero molto calda e grande. Aveva avvolto la sua quasi fino a farla sparire.
Il maggiore allontanò lentamente la mano, liberando dalla sua stretta sia la mano di Jisung che le chiavi, lasciando che fosse il più piccolo ad aprire la porta.
Felix trattenne a stento un risolino, abbassando lo sguardo a disagio ed iniziando a trovare particolarmente interessante la propria caviglia gonfia e livida.
Jisung strinse tra le sue mani quell'oggetto freddo, in modo talmente intenso da ferirsi quasi i palmi, ma nessuno ci fece caso; infilò la chiave giusta nella toppa della porta, con mano leggermente tremante, per poi essere il primo ad entrare per poter accendere la luce.
«Potete tranquillamente lasciarmi sul divano della sala – sussurrò Felix reggendosi al corpo forte di Minho, che lo teneva senza particolare sforzo – Tornate a casa, sarete senz'altro molto stanchi».
Jisung si voltò, fulminandolo con i suoi grandi occhi marroni; anche Minho si ritrasse involontariamente, spaventato da quello sguardo categorico e a tratti "materno".
«Non se ne parla! – sancì in modo secco Jisung, salendo le scale verso la zona notte ed invitando Minho a seguirlo – Conosco molto bene gli orari di tua zia; tornerà tardi oppure non tornerà affatto per la notte, e tu sarai costretto a dormire sul divano, o peggio, potresti tentare di salire le scale da solo finendo con l'ucciderti!».
Minho ridacchiò in modo silenzioso, senza farsi notare, ritenendo la drammaticità del minore davvero comica e adorabile, aiutando Felix a salire le scale con lentezza.
Ogni passo era per l'australiano un palese sforzo, e il maggiore poteva notare come stringeva i denti, incapace di trattenere le espressioni sofferenti che si riflettevano sul suo volto.
Quella volta Changbin aveva davvero esagerato.
Jisung fu il primo ad entrare nella camera da letto del proprio amico, prendendo dall'armadio alcuni indumenti che sarebbero andati bene per la notte, per poi togliere dal letto alcuni effetti personali che l'australiano aveva buttato lì sopra poco prima di uscire.
Un libro. La mascherina per la notte. Il caricabatteria del telefono. Una rivista.
Jisung strinse i denti osservando la camera color pastello di Felix, che rispecchiava perfettamente la sua personalità allegra e solare, pensando a quanto quella sera fosse stato totalmente inutile come amico. Così inutile per Felix.
Si era messo in un bel guaio reagendo in modo tanto violento a Changbin, e Jisung aveva davvero paura che il maggiore potesse fare qualcosa per vendicarsi di lui.
Felix aveva fatto un po' più di fatica a fare l'ultimo tratto del corridoio verso la propria camera, così Minho l'aveva preso nuovamente in braccio, rivolgendogli un sorriso di scuse.
Lo adagiò con il massimo della delicatezza sopra il suo letto, sotto lo sguardo attento e angosciato di Jisung; era preoccupato a morte per il suo amico – chiunque se ne sarebbe reso conto – era come se stesse sprigionando la sua ansia nell'aria circostante, rendendola quasi irrespirabile.
Felix si mosse a disagio sopra il suo copriletto soffice, sentendo una tensione quasi insopportabile alla caviglia ferita.
«Grazie mille ragazzi, per l'aiuto» sussurrò lasciandosi ricadere di botto sopra i cuscini morbidi, sentendo la testa giragli; c'era sempre stato quel caldo soffocante in camera sua?
Jisung iniziò a prendere dalla sedia i vestiti che aveva scelto per Felix, mentre Minho si voltò studiando la scrivania del ragazzo, concentrandosi sul blocco di post-it presente accanto al pc. Prese una penna ed iniziò a scarabocchiarvi sopra qualcosa.
Jisung corrugò le sopracciglia, osservando curiosamente il maggiore, e i muscoli della sua schiena che si tendevano sotto la maglietta. Ingoiò a vuoto la saliva.
«Cosa stai facendo?» chiese con gentilezza e voce leggera, ricevendo su di sé lo sguardo tranquillo di Minho, che sorrise leggermente in direzione di Felix.
«Nel post-it c'è il mio numero, se dovessi avere dei problemi durante la notte non esitare a chiamarmi» disse posando il blocchetto di post-it proprio sul comodino, accanto al telefono.
Il petto di Felix si gonfiò di gratitudine per il pensiero del maggiore.
«Non serve Minho hyung davvero, ci sono i miei amici ed io n-» Minho lo interruppe con un'alzata di spalle: «Per quanto i tuoi amici accorrerebbero da te in pochi istanti, loro non avrebbero una macchina per accompagnarti all'ospedale, se servisse, mentre io si – Jisung annuì lentamente ascoltandolo – E in aggiunta è stato uno dei miei migliori amici a ridurti così, quindi mi sembra il minimo che io possa fare»
Felix sbuffò leggermente. «Dovrebbe essere lui a redimersi per i suoi errori, non tu».
Minho inarcò un sopracciglio a quelle parole, incapace di trattenere il sorriso malizioso che stava man mano sbocciando sulle sue labbra, sussurrando: «Se vuoi ti do il suo di numero, così che possa accorrere lui in tuo soccorso».
Felix arrossì furiosamente udendo quelle parole, iniziando ad aprire e chiudere la bocca nel tentativo di negare, o forse di far virare la conversazione su un argomento che non avesse a che fare con Changbin, ma in quel momento sembrava solo un pesce fuori dall'acqua.
Minho ridacchiò per la sua reazione comica, e Jisung scosse la testa, impaziente di tornarsene a casa e lasciare Felix a riposare.
«Aspettami pure nel corridoio Minho, aiuto Felix a cambiarsi e ti raggiungo» disse il ragazzo con un sorriso, osservando il maggiore lasciare la stanza e chiudere la porta alle sue spalle.
Si sentì leggermente più rilassato trovandosi da solo con il proprio amico, ed iniziò subito a spogliare Felix, con il massimo della delicatezza.
Una cosa che Jisung aveva sempre invidiato a Felix, era la sua pelle lattea; incredibilmente bella ed affascinante.
«Terrò il telefono acceso tutta la notte, se dovessi avere qualche problema chiamami immediatamente» si premurò il maggiore, sfilando i pantaloni dalle gambe del minore, facendo particolarmente attenzione a farli uscire dal piede ferito.
Felix annuì silenziosamente, osservando i movimenti calcolati e frettolosi di Jisung.
Non sembrava in sé quella sera.
«Stai bene Jisung? – domandò il biondo, osservando di sottecchi l'amico, per poi venir "nascosto" dalla maglietta che Jisung gli stava facendo indossare – Sei strano, sembri davvero irrequieto» puntualizzò, quando ormai la testa aveva superato il collo della maglia.
Jisung non rispose subito a quella domanda; prima aiutò Felix ad infilarsi i morbidi pantaloni della tuta, per poi farlo stendere coprendolo bene con il lenzuolo.
Si sedette al suo fianco, sorridendogli.
«Starò senz'altro meglio domattina, ma quando ho visto la situazione che si è venuta a creare con Changbin e Hyunjin ho avuto paura, davvero paura che potesse succedervi qualcosa di brutto – spiegò pettinando in modo rilassato i capelli biondi dell'amico con le dita – Sono il più grande tra noi quattro, e se qualcuno dovesse farvi del male non potrei mai perdonarmelo Lix».
Felix lo ascoltò attentamente, ritenendosi incredibilmente fortunato per avere al suo fianco un amico incredibile come lui; un sorriso dolce gli nacque spontaneo sulle labbra.
«Noi due abbiamo solo ventiquattro ore di differenza, non prenderla tanto sul serio Jisung» lo prese bonariamente in giro, ricevendo dall'altro un pizzicotto ben assestato sulla coscia.
«Augh, sono già ferito!».
«Vedi di riposare un po', è stata una serata intensa, e per qualsiasi cosa chiama me oppure Minho d'accordo?» si premurò il maggiore, alzandosi dal letto e accostandosi alla porta.
Felix annuì, infilandosi meglio sotto le coperte e chiudendo gli occhi.
Jisung si chiuse alle spalle la porta della camera, osservando la figura robusta di Minho che studiava interessato alcune foto appese nel muro del corridoio. Alcune ritraevano semplicemente un piccolo Felix che giocava con la sabbia in una delle tante spiagge dell'Australia, in altre invece era raffigurato un Felix senz'altro più grande, circondato dagli amici che si era fatto in Corea.
I suoi occhi furono subito sulla figura di Jisung.
«È in Corea da tanto tempo?» domandò semplicemente, infilandosi le mani in tasca e staccando la schiena dal muro su cui era appoggiato.
Jisung lo affiancò, osservando a sua volta quelle foto che aveva già ammirato tante volte.
«Ormai sono due anni, ma lo conosciamo fin dall'infanzia - per anni è venuto da noi per le vacanze, e passavamo tutta l'estate insieme» rispose incapace di trattenere un sorriso. Riusciva ancora a ricordare quel viso spaesato e spaventato, il suo primo giorno all'Università.
Conosceva solo pochissime parole di coreano - erano stati loro ad imparare l'inglese per comunicare con lui, inizialmente -, e l'idea di essere circondato da centinaia di persone che parlavano una lingua a lui sconosciuta sembrava terrorizzarlo.
Jisung ricordava sempre con grande affetto quei momenti.
«Possiamo andare?» domandò Minho interrompendo i pensieri del minore, che annuì in risposta.
Scesero velocemente le scale e abbandonarono quella casa nel più completo silenzio, da parte di entrambi; questa volta però non era uno di quei silenzi rilassanti, era un silenzio che racchiudeva tensione ed una certa dose di elettricità.
Minho guidò con cautela lungo le strade ormai deserte della loro città, senza mai voltarsi verso Jisung per assicurarsi che non si fosse addormentato. Non chiese mai – durante tutto il viaggio – neanche mezza informazione per raggiungere l'abitazione del minore, eppure una decina di minuti dopo stava parcheggiando proprio davanti a casa Han.
Scesero entrambi dall'automobile – sempre chiusi nel loro assoluto mutismo – percorrendo il piccolo vialetto fatto di ciottoli bianchi, circondato dal giardino rigoglioso e curato che i genitori di Jisung non curavano personalmente, come avrebbe fatto chiunque altro; pagavano fior di quattrini dei professionisti esperti per avere le siepi migliori del quartiere.
Jisung si fermò davanti alla porta a doppia anta di casa sua, tirando fuori le chiavi dalla tasca della sua uniforme scolastica – che ancora indossava dal pomeriggio – e tentò di aprire.
La presenza di Minho alle sue spalle lo innervosiva, eppure non chiese mai al maggiore perché lo stesse seguendo in casa, conosceva già la risposta.
Lasciò passare il maggiore per primo facendosi da parte, per poi seguirlo e chiudersi la porta alle spalle. Erano entrambi avvolti dal buio cieco che inondava la casa vuota, ma poco prima che Jisung potesse allungare la mano verso l'interruttore, il suo corpo venne intrappolato contro la porta da quello senz'altro più robusto e possente di Minho.
Sentiva il suo respiro affannoso contro il collo, e una delle sue mani calde che iniziava a curiosare lungo il suo fianco, accarezzandolo in modo provocante ma anche profondo.
Il tocco di Minho sembrava sempre lambirgli l'anima, lasciandolo affamato e bisognoso di averne ancora.
«Sono davvero arrabbiato con te – sussurrò Minho con voce roca, mordendogli in modo dispettoso un lobo per poi scendere verso la mascella – È passata una settimana» aggiunse, sentendo il respiro di Jisung farsi sempre più profondo e affaticato; stava cedendo, come sempre.
Il suo corpo si stava facendo troppo debole – predato con impazienza da Minho – e le sue gambe stavano iniziando a tremolare, incapaci di tenerlo in piedi; le sue piccole mani iniziarono a scorrere lungo le braccia del maggiore, accarezzandogli le spalle larghe, per poi circondargli il collo intrecciandosi ai corti capelli scuri sulla nuca di Minho.
Una lunga scia di brividi cosparse il corpo del maggiore, lasciandolo spossato e confuso; solo il tocco di Jisung riusciva a fargli quell'effetto.
«Sono stato impegnato, mi spiace» si scusò con voce poco convincente il minore, che man mano stava spostando il capo per esporre il collo alle attenzioni della bocca di Minho, che lo percorreva delicatamente con le labbra, sfiorandolo; il maggiore sapeva stesse mentendo, non era seriamente dispiaciuto, per il semplice fatto che Jisung non sentiva il bisogno di averlo accanto.
Era Minho tra loro quello che contava le ore e i giorni.
«Dici sempre così, sei un piccolo bugiardo» lo redarguì Minho, circondandogli un polso con la mano e bloccandogli il braccio contro la porta, poco sopra la sua testa. Adorava farlo sentire in trappola, era la sua specialità.
Jisung si indispettì leggermente a quelle parole, nonostante il respiro caldo del maggiore che soffiava sulle sue guance.
«Non sono un b-» Minho bloccò in origine il suo sproloquio, catturandogli le labbra con le sue in un bacio che prometteva ad entrambi di recuperare quella settimana sprecata.
Jisung chiuse immediatamente gli occhi – di riflesso – non appena sentì il sapore familiare di Minho invadergli la bocca, scordandosi che il buio che lo circondava non avrebbe comunque fatto la differenza. Avrebbe voluto toccarlo, reggersi al suo corpo e accarezzargli il volto durante il bacio, ma Minho gli bloccava una mano con forza contro la porta.
Gli lambì la bocca con impazienza, senza offrirgli l'opportunità di riprendersi da quell'attacco passionale, e gli invase subito la bocca con la lingua.
I baci di Minho avevano sempre la capacità di fargli scordare il mondo circostante; mettevano in standby i suoi problemi per mezz'ora, tanto sapeva che dopo sarebbero stati comunque lì ad attenderlo. Sentì pian piano la tensione lasciare il suo corpo, e l'ansia che aveva provato fino a poco prima parve solo un lontano e triste ricordo.
Le loro lingue si intrecciarono tra loro, unendosi in movimenti che già conoscevano e condividevano da mesi, fondendosi in un sapore che era talmente familiare da inondare entrambi di una gratificante sensazione di conforto.
Dopo una settimana, erano tornati in quella che consideravano ormai casa – quel piccolo ambiente che si creava tra i loro corpi quando si baciavano; erano usciti dall'apnea, che aveva attanagliato i loro polmoni in assenza dell'altro.
Il maggiore si scostò dalla bocca di Jisung, guardandolo negli occhi che non poteva vedere a causa del troppo buio, ma che poteva tranquillamente immaginare avendoli ammirati e pensati troppe volte. Caldi e pieni di stelle.
«Mi sei mancato da morire» mormorò Minho affondando i denti nel labbro inferiore del minore, godendo del suo essere tanto soffice; le labbra di Jisung erano in assoluto le migliori che avesse mai baciato. Carnose, ben delineate, soffici e sempre sorridenti.
Inclinò la testa per avere un maggiore accesso alle sue labbra tremanti, lasciando andare la mano del minore – che aveva precedentemente bloccato contro la porta – per affondare le dita nei fianchi morbidi di Jisung; erano la sua più grande debolezza.
Le mani del minore – ormai entrambe libere – corsero immediatamente ad intrecciarsi alle ciocche dei suoi capelli scuri, tirandoli a suo piacimento per fargli inclinare il volto come voleva lui.
Minho era ormai abituato a questa attitudine di Jisung, o per meglio dire "capacità"; ogni volta, senza che il maggiore se ne rendesse conto, Jisung riusciva a prendere il controllo dettando il ritmo a sua discrezione.
Il corpo di Minho era un fortunato testimone di questo Jisung, che solo lui aveva l'onore di vedere in simili atteggiamenti. Era ogni volta sempre più bello ai suoi occhi.
Minho si separò dalle labbra di Jisung – immaginandole gonfie e lucide per i suoi baci – e infilò due dita sotto il collo della maglia di Jisung per scoprirgli la spalla sottile.
Affondò i denti in quel punto tanto delicato ed esposto, sentendo dentro di sé una piccola insana vocina che lo istigava a lasciare qualche segno visibile sul suo corpo; un segno che chiunque avrebbe potuto scorgere, intuendo quanto le notti di Jisung fossero tutto fuorché solitarie.
Nessuno sapeva di loro due, neanche i loro migliori amici.
Per chiunque – sia in Università che fuori da essa – loro erano poco più che due sconosciuti, che a malapena conoscevano l'uno il nome dell'altro; ma quando erano da soli, lontani da occhi indiscreti, potevano concedersi di vivere il loro rapporto a pieno.
Erano amici, confidenti, amanti; facevano sesso e godevano della reciproca vicinanza ormai da mesi.
«Dovresti andare» ansimò improvvisamente Jisung, puntandogli una mano al centro del petto e facendo forza per allontanarlo leggermente da sé. Il suo corpo stava illanguidendo per le attenzioni di Minho, chiedendo sempre maggiori attenzioni, ma non potevano. Non in quel momento almeno.
Minho si scostò bruscamente, allungando un braccio verso l'interruttore.
La luce invase la sala principale di casa Han, collegata all'ingresso, e rivelò finalmente le due figure che si fronteggiavano davanti alla porta. Si osservarono in silenzio, e Minho si godette per un istante le labbra arrossate del minore.
«Non ci vediamo da una settimana, e tutto ciò che sai dirmi è "Dovresti andare"?» chiese il ragazzo con espressione adombrata, arretrando lentamente per sedersi sul bracciolo dell'elegante divano.
Osservò Jisung passarsi una mano tra i capelli scuri, notando quanto il suo viso sembrasse stanco e stressato. Per quanto potesse essere arrabbiato o ferito dai suoi atteggiamenti, non riusciva comunque a non preoccuparsi per lui.
Jisung sospirò, sorridendo leggermente in direzione del maggiore; camminò lentamente verso di lui, posandogli una mano sulla spalla.
«Non ti sto cacciando Minho, non l'ho mai fatto e mai lo farei – sussurrò passando con lentezza un dito in mezzo alle sue sopracciglia, tentando di far rilassare la piccola ruga corrucciata che si era formata sulla sua fronte – Ma gli altri sono ancora in quello spiazzo, aspettando che tu vada a recuperali» continuò, notando lo sguardo di Minho lampeggiare a quelle parole.
Era talmente preso da quel momento, dai loro baci e dalla sensazione di conforto che gli aveva trasmesso lo stare di nuovo con Jisung, da essersi scordato dei suoi migliori amici.
Il minore sorrise soddisfatto – adorando avere un simile effetto su di lui – chinandosi per posargli un piccolo bacio sulle labbra. «Vai a fare il tuo dovere da amico, poi torna da me – sussurrò in modo leggero contro l'orecchio di Minho – Ti aspetto sveglio» aggiunse voltandogli le spalle, camminando verso la cucina.
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Minho avanzò cautamente nello spiazzo sterrato, sentendo le ruote stridere contro la terra sotto il veicolo.
Parcheggiò a pochi passi dai propri amici, che lo attendevano racchiusi dal buio, in un religioso silenzio; erano seduti sullo scomodo terreno, tutti distanti gli uni dagli altri.
Chiaramente avevano discusso per ciò che era successo poco prima con Jisung e i suoi amici, e attualmente si stavano tenendo reciprocamente il broncio.
«Sei arrivato finalmente! – sbottò Hyunjin con voce inacidita quando Minho scese dall'auto, sollevandosi dal terreno e spazzolandosi agilmente i pantaloni con le mani – Pensavo fossi occupato a ricostruire la caviglia di quel piccolo bastardo» continuò, beccandosi un'occhiataccia da parte di Chan.
Minho ignorò volutamente le parole del minore, consapevole del suo palese malumore; in momenti come quello era preferibile lasciar perdere, perché l'unica intenzione di Hyunjin era quella di attaccar briga e litigare, per poter sfogare la rabbia che montava dentro di lui.
Non ricevendo la reazione che desiderava da parte di Minho, Hyunjin finì con il salire in auto prima degli altri, sbattendosi la portiera alle spalle con decisione; il suono rimbombò per tutto lo spiazzo, facendo sospirare il maggiore tra loro.
«Quando smetterà di giocare con i sentimenti altrui, potrò morire in pace» disse Chan a bassa voce sollevandosi anch'egli dal terreno, seguito a ruota da Changbin.
La sua espressione era ancora cupa, ma nettamente più tranquilla di prima; inoltre il suo dito sembrava aver smesso di sanguinare, nonostante il ragazzo se lo stringesse ancora contro la maglia.
«Prima o poi lo farà, quando troverà la persona giusta» rispose Minho con un sorriso, dando una pacca sulla spalla del maggiore. Lui e Chan erano senz'altro quelli più tranquilli e meno problematici del loro gruppo di amici, ed erano sempre in pensiero per la sorte degli altri due.
Changbin e Hyunjin erano due bravi ragazzi infondo, responsabili e maturi, ma entrambi avevano il pessimo vizio di fare le cose senza pensarci su; erano impulsivi e recidivi, e questo li portava spesso a fare cose sbagliate e a pentirsene successivamente.
Ed era esattamente quella l'espressione che Minho vedeva riflessa nei grandi occhi scuri di Changbin. Senso di colpa, terribile e devastante.
«Vuoi chiedermi qualcosa?» gli domandò Minho osservando il suo volto teso. Probabilmente stava morendo dal bisogno di chiedergli le condizioni di Felix, ma l'orgoglio lo stava frenando.
Changbin osservò intensamente l'amico, per poi distogliere lo sguardo, puntandolo verso il vecchio scuolabus abbandonato; Changbin era molto legato a quel vecchio rottame.
«Come sta lui?» domandò riportando gli occhi sull'amico, tentando di fingersi indifferente ma finendo con il fallire miseramente. Stava cercando in ogni modo di mascherare il proprio sguardo preoccupato, senza grossi risultati.
«L'abbiamo portato a casa e messo a letto, ma la sua caviglia aveva davvero pessime condizioni, spero non se la sia rotta» confidò Minho, osservando il volto dell'amico rabbuiarsi sempre di più. Probabilmente non si sarebbe mai perdonato quell'evento.
Minho sperò che per lo meno gli servisse come lezione, da non ripetersi in futuro.
«La zia non era in casa, e dalle parole di Jisung potrebbe non rientrare neanche per la notte – proseguì, calciando sovrappensiero un sassolino – Così gli ho lasciato il mio numero, in modo da chiamarmi se dovesse aver bisogno di andare in ospedale».
Chan annuì in completa approvazione. «Hai fatto benissimo Minho».
Il suono del finestrino dell'auto che pian piano veniva abbassato, attirò la loro attenzione, portandoli a voltarsi verso Hyunjin, che aveva cacciato la testa fuori per guardarli.
«Avete intenzione di accamparvi qui, oppure possiamo tornarcene a casa a dormire? – domandò con voce ancora un po' restia, ma sembrando principalmente annoiato – Domattina abbiamo lezione» proseguì, tirando fuori la versione da "studente modello" che odiava arrivare tardi in classe.
I ragazzi si osservarono per qualche istante, come se stessero avendo una sorta di conversazione silenziosa, per poi avviarsi verso l'auto.
«Apri il bagagliaio Minho» disse improvvisamente Changbin, voltandosi verso l'amico e camminando a ritroso verso la zona buia dello spiazzo. In pochi istanti Changbin venne inghiottito dall'oscurità, per poi riapparire con le braccia piene della bicicletta ormai devastata di Felix.
«Cos'hai intenzione di farci?» domandò Chan appoggiato all'auto, mentre osservava il minore.
Changbin sollevò le spalle.
«So che probabilmente uno come lui può permettersi una nuova bici senza troppi problemi, ma questa è distrutta a causa mia, quindi voglio almeno tentare di farla tornare come prima» confessò posando con delicatezza la bicicletta dentro il bagagliaio.
Probabilmente Felix gli avrebbe riso in faccia, a cavalcioni sulla sua nuova bicicletta fiammante e costosa, ma Changbin sentiva l'esigenza di fare quella cosa, principalmente per se stesso ma anche per il giovane australiano.
Aveva bisogno di fargli capire di essersi pentito.
Chiuse con forza il cofano – osservando la propria mano ferita con espressione pensierosa – ricordando l'espressione sul volto del minore. Paura, rabbia, vergogna, ingiustizia.
Probabilmente si sarebbe meritato anche più di un semplice morso.
«Sono sicuro che ti perdonerà» disse improvvisamente la voce di Minho al suo fianco, parlando a bassa voce per non farsi sentire da Hyunjin e Chan che erano in auto.
Changbin annuì lievemente.
«Se dovesse stare male e chiamarti, ti prego tu-».
Minho annuì interrompendolo: «Non preoccuparti, andrò subito da lui e ti avviserò».
I due si sorrisero avvolti dal buio di quel luogo, salendo in auto e allontanandosi da quello spiazzo che quella notte era stato lo scenario di quegli eventi, che probabilmente avrebbero cambiato per sempre il decorso della loro vita – da quel momento in avanti – ma loro ancora ne erano all'oscuro.
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Grazie per l'attenzione,
TheyIdiot.
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